Suicidio
Cantante K-pop trovato morto: ennesimo suicidio dello showbusiness coreano?
Moonbin, un membro della boy band K-pop Astro, è stato trovato morto a casa sua, diventando l’ultimo di una lunga serie di membri dello showbusiness sudcoreano morti apparentemente per suicidio.
Il manager di Moonbin è andato nel suo appartamento nell’elegante quartiere Gangnam di Seoul – quello della famosa canzone «Gangnam Style» –mercoledì sera, dopo non essere riuscito a contattare il cantante 25enne, e ha trovato il suo corpo che non rispondeva, secondo quanto riportato da Yonhap News e altri media sudcoreani.
La polizia, che non ha trovato prove che indicassero un omicidio, ha detto che sembrava che si fosse tolto la vita. Potrebbe essere condotta un’autopsia per confermare la sua esatta causa di morte.
«Moonbin improvvisamente ci ha lasciato ed è diventato una stella nel cielo», ha detto in un annuncio l’agenzia di gestione del cantante, Fantagio Group. «È incomparabile con il dolore delle famiglie in lutto che hanno lasciato i loro amati figli e fratelli, ma tutti i membri di Astro, i colleghi, i dirigenti e i dipendenti di Fantagio piangono profondamente il defunto con grande tristezza e shock».
«Vi chiedo sinceramente di astenervi da segnalazioni speculative e maligne in modo che le famiglie in lutto, profondamente rattristate dall’improvvisa triste notizia, possano commemorare e salutare con riverenza il defunto» scrive il comunicato.
Moonbin era meglio conosciuto come membro degli Astro, uno dei gruppi musicali più famosi della Corea del Sud. Ha iniziato la sua carriera nell’intrattenimento come attore e modello bambino, debuttando all’età di 11 anni. Lui e un altro membro di Astro, Sanha, hanno formato una sottounità nel settembre 2020 che ha pubblicato tre EP, l’ultimo a gennaio. Uno dei brani, chiamato «Madness», ha superato i 12 milioni di visualizzazioni su YouTube.
Secondo quanto riferito, il cantante si è preso una pausa dall’esibirsi per periodi del 2019 e del 2020, citando la sua salute. Altre stelle del K-pop come Sulli, Goo Hara e Jonghyun sono state trovate morte negli ultimi anni in casi confermati come suicidi o sospettati di esserlo. Sulli si è tolta la vita nell’ottobre 2019, secondo quanto riferito a causa del bullismo online.
La lista dei suicidi tra celebrità coreane non comprende solo gli idoli del K-pop, la musica leggera coreana – fatta di boy-band e divette costruiti in modo completamente artificioso – ma anche tutti gli altri settori dello showbusiness.
La notte del 22 febbraio 2005, l’attrice cinematografica Lee Eun Joo è stata trovata morta nel suo appartamento a Bundang, Seongnam. Si era tagliata i polsi e si era impiccata pochi giorni dopo essersi laureata alla Dankook University. Aveva 24 anni.
L’attrice, cantante, rapper, modella e ballerina Lee Hye Ryeon è stata trovata morta il 21 gennaio 2007 nella sua casa di Seo-gu, Incheon. Si è impiccata. Aveva 25 anni.
Il 10 febbraio 2007, il ragazzo dell’attrice e ballerina Jeong Da Bin l’ha trovata impiccata con un asciugamano nel bagno della sua casa a Samseong-dong, nel distretto di Gangnam. Aveva 26 anni.
L’8 settembre 2008 si impiccò Choi Jin Sil, considerata la migliore attrice sudcoreana. Era sospettata di essere coinvolta nel suicidio del collega Ahn Jae-Hwan, con speculazioni online per cui la Choi sarebbe stata una strozzina. Non è stata trovata alcuna lettera, ma ha inviato messaggi al suo assistente al trucco via telefono dicendo: «Prenditi cura dei miei figli, qualunque cosa accada (…) Mi dispiace». Aveva 40 anni.
Kim Daul era una modella internazionale, pittrice e blogger abituale. All’età di 20 anni, si è suicidata impiccandosi nel suo appartamento nel 10° arrondissement di Parigi il 19 novembre 2009. «Sto per spaccarmi la faccia. La mia vita come Daul era così miserabile e solitaria. Per favore unisciti alla mia solitudine in un altro mondo. Vi amo tutti, Daul» aveva scritto nel 2007 su internet, per poi ritrattare. Nel 2009 divenne la nona celebrità coreana a suicidarsi quell’anno.
Il 7 marzo 2009 si impiccò Jang Ja-yeon, attrice famosa neo K-Drama, le soap opera coreane. La sua morte ha causato uno scandalo nazionale nel 2009 ed è stata riaperta nel 2018 quando i media hanno fatto circolare informazioni sul fatto che fosse stata abusata sessualmente e fisicamente da oltre 30 importanti dirigenti dell’intrattenimento durante la sua carriera. Aveva 29 anni.
Il 18 dicembre 2017 Kim Jonghyun, cantautore, conduttore radiofonico e scrittore, nonché cantante principale della boy band sudcoreana chiamata Shinee, si è tolto la vita per avvelenamento da monossido di carbonio. Aveva 27 anni.
Il 29 giugno 2019 è stata trovata morta impiccata in un hotel a Jeonju l’attrice di K-Drama Jeon Mi Seon. La polizia ha concluso che si trattava probabilmente di un caso di suicidio. È morta all’età di 48 anni.
La Corea del Sud ha il più alto tasso di suicidi giovanili tra le nazioni sviluppate, classificandosi in cima all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE). Circa 13.300 sudcoreani – un tasso di 26 ogni 100.000 persone – si sono tolti la vita nel 2021, secondo i dati del governo.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha riferito che ogni anno più di 700.000 persone muoiono per suicidio. La Corea del Sud ha avuto il più alto tasso di suicidi dal 2003 al 2019 e il suicidio è stato segnalato come la quinta principale causa di morte in Corea.
Immagine di 티비텐 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported (CC BY 3.0)
Suicidio
Il tasso di suicidio assistito nell’Australia Occidentale aumenta del 63%
Un aumento choc del 63%: è quanto emerge dall’ultimo rapporto annuale del governo dell’Australia Occidentale sul suicidio assistito, pubblicato la settimana scorsa.
Nel periodo 2023-24 erano state 293 le persone che avevano fatto ricorso alla Voluntary Assisted Dying («morte volontaria assistita») VAD; nell’anno successivo il numero è salito a 480. Significa che oggi il 2,6% di tutti i decessi registrati nello Stato (su un totale di 18.380) avviene tramite suicidio assistito volontario.
L’età media dei pazienti resta alta – 77 anni – ma tra loro c’è anche una persona di appena 23 anni.
Contrariamente a quanto spesso viene raccontato dai sostenitori dell’eutanasia, il dolore fisico non è la ragione principale. Il 68,3% dei pazienti ha indicato come motivazione primaria «la minore capacità di impegnarsi in attività che rendono la vita piacevole» o la paura di perderla. Al secondo e terzo posto (entrambi al 58%) la «perdita di autonomia» e la «perdita di dignità». Solo meno della metà ha citato un «controllo inadeguato del dolore».
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Il documento governativo si apre con una metafora insolita per un testo burocratico: «Quando un sassolino cade in uno stagno di acqua ferma, si verifica un primo tonfo seguito da una serie di onde concentriche… Lo stesso accade quando una persona sceglie il suicidio assistito volontario». Gli autori usano l’immagine per trasmettere empatia, ma critici vi leggono anche un tentativo di normalizzare e umanizzare la pratica, preparando il terreno a richieste di maggiori fondi e personale dedicato.
Il rapporto include testimonianze di familiari e operatori che, di fatto, descrivono come amici e parenti abbiano convinto i malati a scegliere il suicidio assistito invece di un suicidio «fai-da-te» o di continuare a vivere.
Viene presentato un racconto aneddotico.
«In quella fase iniziale [dopo la diagnosi], [il mio amico] era più convinto che mai che [il suicidio] fosse la strada giusta. Gran parte della mia discussione con [il mio amico] è stata volta a convincerlo che il percorso di VAD a sua disposizione avrebbe portato a un risultato di gran lunga migliore per la famiglia. È stato interessante osservare i cambiamenti nel suo modo di pensare man mano che procedeva attraverso le diverse visite e telefonate con il team VAD… Inizialmente era scettico, poi ha iniziato a volersi auto-somministrare e infine, dopo l’ultimo incontro, ha accettato che affidare questo compito finale al Care Navigator] e all’operatore sanitario fosse la strada giusta da percorrere».
Un altro resoconto dimostra come l’idea del suicidio assistito sia considerata preferibile al suicidio iniziato dal paziente: «mio padre ha pensato al suicidio… Rabbrividisce pensare alle conseguenze accidentali che potrebbero derivare da… un’avventura suicida. Gli orrori delle procedure illegali si evitano al meglio facilitando informazioni, procedure e accesso sicuri… Grazie al cielo la VAD è ora disponibile in Australia Occidentale. Mio padre è mancato serenamente, circondato dall’amore della sua famiglia».
Diverse testimonianze criticano apertamente gli operatori e le strutture (soprattutto cattoliche) che si rifiutano di partecipare al processo. «L’obiezione di coscienza causa disagio ai pazienti e ritardi che per molti significano l’impossibilità di accedere alla VAD» scrive un medico. Un familiare aggiunge che il padre non avrebbe potuto nemmeno fare le visite preparatorie se fosse stato ricoverato in un hospice cattolico.
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Nello Stato del Victoria, Stato vicino, è già legge l’obbligo per i medici contrari di indirizzare comunque i pazienti a colleghi favorevoli al VAD.
Sebbene il racconto ufficiale insista sulla morte «pacifica e circondata dall’amore», esperienze da altri Paesi (come l’Oregon) documentano casi in cui i pazienti hanno impiegato fino a 47 ore per morire dopo l’assunzione del farmaco letale.
Il rapporto dell’Australia Occidentale, quarto dalla legalizzazione nel 2019, conferma una tendenza chiara: il numero di persone che sceglie di anticipare la propria morte cresce rapidamente, e con esso la pressione per rimuovere ogni ostacolo – anche etico – all’espansione del programma.
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Eutanasia
Il vero volto del suicidio Kessler
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Eutanasia
Gemelle Kessler, Necrocultura Dadaumpa
Alice ed Ellen Kessler erano diventate membri della Deutsche Gesellschaft fur Humanes Sterben (società tedesca per la morte umana) da oltre sei mesi e avevano deciso di morire insieme il 17 novembre. Secondo quanto riportato da una testata bavarese, un avvocato e un medico della DGHS avrebbero condotto dei colloqui preliminari con le famose gemelle e alla data stabilita si sarebbero recati nella loro casa di Grunwald per «assisterle».
In Germania il suicidio assistito è stato depenalizzato nel 2020 dalla Corte Costituzionale, la quale ha dichiarato incostituzionale una norma che lo proibiva. La sentenza in questione stabiliva infatti che deve esserci «margine sufficiente affinché un individuo possa esercitare il proprio diritto a una morte autodeterminata».
La Corte Costituzionale ha specificato altresì che nessuno può essere obbligato a favorire il suicidio assistito e ha lasciato al Parlamento la facoltà di introdurre una legislazione sul tema, ma finora i tentativi di arrivare a una legge sono tutti falliti. In Germania è consentito ricorrere a tale pratica solamente ad alcune condizioni: colui o colei che intende ricorrervi deve dimostrare di agire responsabilmente e di propria spontanea volontà, di essere maggiorenne e di avere riconosciuta la propria capacità giuridica.
Inoltre, chi assiste il richiedente non può eseguire personalmente l’atto, perché ciò sarebbe da considerare una pratica di «eutanasia attiva», che invece è vietata. La morte avviene tramite l’infusione endovenosa di un’alta dose di anestetico barbiturico che provoca, in breve tempo, l’arresto cardiocircolatorio del soggetto ricevente.
In un’intervista rilasciata nel 2019 al Quotidiano Nazionale Ellen Kessler aveva manifestato la volontà che le loro ceneri fossero unite a quelle della mamma e del cane: «ne abbiamo parlato noi due e abbiamo deciso di fare così, di stare tutte in un’urna. Anche il cane (…) lo spazio ci vuole. La gente è sempre di più, invecchia sempre di più, la morte purtroppo c’è per tutti e quindi la soluzione è questa: una tomba e un’urna per tutti. Molti in Germania adesso si fanno cremare e seppellire sotto un albero nella foresta (…) Non vogliamo certo finire in un asilo per anziani o per malati. Abbiamo un testamento biologico secondo cui se succede qualcosa di grave ci sono degli ospedali speciali che curano senza allungare la vita. Il mio sogno è andare a letto e non svegliarmi più, la morte più bella che ci possa essere».
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Mentre in un’intervista rilasciata lo scorso anno al quotidiano Bild le Kessler avevano dichiarato di non voler sopravvivere l’una all’altra e avevano anche aggiunto che una vita senza dignità non vale la pena di essere vissuta.
La loro decisione, tuttavia, non può essere compresa appieno senza considerare il contesto filosofico in cui si inserisce. In questa prospettiva, il materialismo del pensiero moderno identifica il principio vitale dell’essere umano nell’attività cerebrale, mentre la tradizione filosofica su cui la civiltà occidentale ha fondato il suo diritto e la sua morale, almeno fino alla metà del secolo scorso, afferma che l’uomo è composto di anima e corpo e ha nell’anima razionale il principio vitale che lo caratterizza. Tale principio pur essendo nel corpo non si trova in nessun organo, tessuto o funzione perché è di natura spirituale.
Pertanto, ciò che sostanzia l’essere umano non è l’autocoscienza e nemmeno la sua capacità di interagire con l’ambiente ma la presenza in lui dell’anima razionale che include l’uso di queste funzioni. La vita inizia con l’infusione da parte di Dio Creatore dell’anima nel corpo e termina con la separazione da esso, nel momento in cui l’organismo si dissolve nei suoi elementi costitutivi.
Ci troviamo di fronte a due concezioni dell’esistenza umana diametralmente opposte: una che riconosce e difende il suo valore intrinseco, l’altra che riconosce il suo valore solo a determinate condizioni. Nell’ottica cristiana l’uomo è Imago Dei mentre in quella del pensiero moderno è un mero agglomerato di organi e funzioni al pari di qualsiasi altro essere vivente; ancora, nell’ottica cristiana la dignità della persona umana è ontologica, mentre in quella del pensiero moderno dipende dalla persistenza o meno di determinate funzioni intellettive: la sofferenza fisica e/o psichica viene considerata un danno oggettivo alla qualità della vita di un essere umano che viene talvolta ritenuto motivo sufficiente per giustificarne l’eliminazione.
La concezione filosofica dell’esistenza che hanno espresso in vita le gemelle Kessler è esattamente quella che la Necrocultura diffonde con ogni modalità possibile e in tutti i campi. La loro fine rappresenta, in fondo, ciò che lo stato moderno si aspetta che ciascuno di noi faccia, ossia togliere il disturbo quando la nostra condizione non ci consente più di produrre o essere utile agli altri o alla comunità nel suo complesso.
Va da sé che il cosiddetto principio dell’autodeterminazione rappresenta il classico specchietto per le allodole: l’eutanasia e il suicidio assistito conducono necessariamente all’eliminazione di tutti coloro che non hanno una qualità di vita ritenuta sufficiente secondo i parametri della modernità, come abbiamo visto nei casi di Charlie Gard e Alfie Evans uccisi dalla giustizia inglese in ossequio al loro best interest, solo per fare qualche esempio. L’eliminazione programmata e obbligatoria dell’essere umano è un approdo che rischia di diventare solo questione di tempo.
La scelta delle gemelle Kessler diventa il simbolo di un conflitto sempre più evidente nella nostra società: da una parte una visione che riconosce alla vita umana un valore intrinseco, indipendente da condizioni di efficienza o autonomia; dall’altra una concezione che lega la dignità alla qualità percepita dell’esistenza e che vede nella fragilità e nella sofferenza un limite intollerabile.
Di fronte a questa deriva culturale, è necessario ribadire che la dignità umana non è negoziabile e non dipende dalle condizioni in cui ci si trova.
Alfredo De Matteo
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia; immagine modificatra
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