Politica
Kazakistan, presidenziali: nessun vero avversario per Tokaev
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Correranno in sei al voto del 20 novembre, incluso il presidente in carica. Curiosità per la 48enne Karakat Abden, che rappresenta gli operatori sociali. Rimane l’opzione di voto “contro tutti” come “valvola di sfogo” per gli elettori. Poche proteste dai candidati esclusi.
Il Comitato elettorale del Kazakistan ha approvato definitivamente la lista dei candidati alle elezioni presidenziali del prossimo 20 novembre, dopo aver analizzato le candidature presentate, escludendone la metà e lasciando in campo sei nomi. Il primo è quello dello stesso presidente uscente, il 69enne Kasym-Žomart Tokaev, che secondo tutti i pronostici non dovrebbe avere problemi a essere riconfermato per il suo secondo mandato dopo l’elezione del 2019, anch’essa avvenuta in anticipo sulla fine del mandato del predecessore Nazarbaev.
Tutti gli sfidanti sono poco conosciuti, nonostante uno dei requisiti fosse un adeguato periodo di servizio nella pubblica amministrazione.
Il 61enne Meyram Kažyken è presentato dall’unione dei sindacati Amanat; dirige l’Istituto di ricerche economiche di Astana ed è un consulente del governo dall’inizio degli anni 2000, soprattutto presso il ministero dell’Industria e del commercio.
Altrettanto autorevole appare il 67enne Žiguli Dayrabaev, candidato del partito Auyl e presidente del Comitato per il complesso agricolo-industriale della Camera degli imprenditori Atameken, già dirigente di kolkhoz in tempi sovietici.
Forse la più interessante tra le figure presentate è la 48enne Karakat Abden, che rappresenta gli operatori sociali e difende ad alti livelli amministrativi i diritti delle donne. Fin da giovane molto attiva nel partito presidenziale Nur Otan, e deputata municipale di Astana, ha pubblicato nel 2019 un libro dal titolo «Tu sei kazaka: sii fiera!», che ha avuto un grande successo e ha anche attirato delle critiche per i finanziamenti statali ricevuti.
L’altra candidata donna è Saltanat Tursynbekova, anch’essa 48enne, dell’associazione repubblicana «Madri kazake come vie per la tradizion»”. Lo scorso anno Tokaev l’ha nominata presidente della Commissione per le questioni femminili, la politica demografica e la famiglia nell’amministrazione presidenziale: è considerata un’attivista in difesa dei diritti delle persone.
Chiude la lista Nurlan Auesbaev, 65 anni, del Partito social-democratico OSDP, l’unico che si definisce «di opposizione». Ex membro del Partito comunista, è conosciuto per la sua proposta di elevare nella nuova capitale Astana una statua di Lenin, rigettata dal presidente Nazarbaev. La sua candidatura è frutto di una vittoria alle primarie di partito.
Nelle schede elettorali verrà lasciata anche l’opzione di voto «contro tutti», che non avrà alcun effetto sugli esiti, in quanto i voti contrari non saranno conteggiati, anche se raggiungeranno la maggioranza di quelli espressi. Rimane l’opzione per volontà di Tokaev, che vuole comunque lasciare agli elettori una «valvola di sfogo» nell’urna.
I candidati esclusi per ragioni formali (insufficienza delle firme di presentazione, scarso servizio pubblico e scontri interni ai gruppi dei sostenitori), non hanno espresso particolari proteste, tranne il politico di opposizione Žasaral Kuanyšalin, che non è neppure arrivato a presentare la sua candidatura. Egli sarebbe vittima di «boicottaggio di Stato» per le pressioni esercitate su tutte le formazioni politiche e le associazioni disposte a considerare il suo nome, e l’impossibilità di ottenere la registrazione per il suo partito «Forza, Kazakistan!».
Anche altri attivisti e giornalisti hanno lamentato l’impossibilità di presentare dei veri «candidati del popolo», che rivelano un diffuso malcontento della popolazione, anche se difficilmente questo si esprimerà in reali proteste contro la nuova consacrazione di Tokaev.
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Immagine di Press Service of the President of Republic of Tatarstan via Wikimedia pubblicatra su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
Politica
Il governo israeliano chiude Al Jazeera
Il governo del primo ministro Benjamin Netanyahu ha votato all’unanimità per fermare le operazioni in Israele dell’emittente televisiva qatariota Al Jazeera, ha affermato il governo in una nota.
Israele accusa da tempo Al Jazeera, che rimane uno dei pochi canali di informazione internazionali ad avere corrispondenti sul campo a Gaza, di mostrare pregiudizi nei suoi confronti e di cooperare con i militanti di Hamas. L’emittente ha negato le accuse.
Netanyahu domenica si è rivolto a X per annunciare lo sviluppo, scrivendo che «il governo da me guidato ha deciso all’unanimità: il canale di istigazione Al Jazeera sarà chiuso in Israele».
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Poco dopo, il ministro israeliano delle Comunicazioni Shlomo Karhi ha dichiarato di aver firmato l’ordine di limitazione delle operazioni dell’emittente, che entrerà in vigore immediatamente.
L’hardware «utilizzato per fornire i contenuti del canale», comprese le apparecchiature di editing e routing, fotocamere, laptop e alcuni telefoni cellulari, verrà sequestrato, ha scritto Karhi su X.
La decisione del governo israeliano è in linea con una legge approvata dal parlamento del Paese, la Knesset, in aprile, che consente la chiusura temporanea in Israele delle emittenti straniere ritenute una minaccia alla sicurezza nazionale durante il conflitto a Gaza. Secondo la normativa, il divieto prevede la ricertificazione ogni 45 giorni.
Il capo di Al Jazeera in Israele e nei territori palestinesi, Walid Omary, ha insistito sul fatto che la mossa del gabinetto di Netanyahu è «pericolosa» e motivata esclusivamente da considerazioni politiche. Il team legale dell’emittente sta preparando una risposta al divieto, ha detto Omary a Reuters.
Il corrispondente di Al Jazeera a Gaza, Hani Mahmoud, ha affermato che i palestinesi percepiscono la chiusura del canale di notizie come «una mossa disperata per impedire un’equa copertura di ciò che accade sul campo» nell’enclave.
Al Jazeera ha «documentato le atrocità» e «gli atti che vanno contro la legge internazionale sui diritti umani», ha affermato Mahmoud, aggiungendo che questo era “qualcosa che non è piaciuto molto al governo israeliano”.
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Il bilancio delle vittime degli attacchi aerei e dell’offensiva di terra in corso da parte di Israele a Gaza ha già raggiunto 34.654 persone, mentre altre 77.908 sono rimaste ferite, secondo il ministero della Sanità dell’enclave palestinese.
Al Jazeera aveva riportato molte delle atrocità commesse dalla Stato Ebraico, tra cui il video dell’eliminazione via drone di alcuni ragazzi che sembravano camminare tranquillamente tra le macerie. Il filmato fece parlare di «genocidio massivo robotizzato».
Al Jazzera è controllata dal Qatar, Paese sponsor dei Fratelli Musulmani, di cui Hamas è una derivazione. Doha, si dice, sarebbe stato il primo Paese del Golfo ad aver rapporti non ufficiali con lo Stato degli ebrei.
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Immagine di Wittylama via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
Politica
Tokyo, governo sconfitto alle suppletive, sempre più basso il consenso per Kishida
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Bioetica
Biden fa il segno della croce durante una manifestazione a sostegno dell’aborto
Il presidente americano Joe Biden, ad un evento politico in Florida, si è fatto il segno della croce quando la signora con lui sul palco, la presidente del Partito Democratico della Florida, si è espressa a favore dell’aborto. Lo riporta Modernity News.
La vicenda ha generato sconvolto tra la comunità cristiana internazionale.
La candidata governativa fallita Nikki Fried stava sollecitando la rielezione di Biden quando ha fatto commenti su Ron DeSantis e Donald Trump che spingevano per maggiori restrizioni sull’aborto.
La prossima settimana in Florida entrerà in vigore un divieto di aborto di sei settimane, e questo sarebbe uno dei motivi per cui Biden si è fermato nello Stato. La Fried aveva dichiarato la scorsa settimana che Biden sa che deve trascorrere del tempo in Florida per dimostrare quanto le cose siano diventate «estreme» sotto DeSantis. «Capisci che se dobbiamo combattere contro l’estremismo dei repubblicani MAGA, devi venire al ventre della bestia».
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Mentre Biden era al suo fianco, la Fried ha dichiarato che «Ron DeSantis sentiva di dover candidarsi alla presidenza, quindi quindici settimane non erano sufficienti, dovevamo arrivare a sei settimane», sottolineando la sua opposizione alla legge sull’aborto.
È a questo punto che Biden, sulla carta secondo presidente «cattolico» della storia USA (e forse l’unico, che nonostante gli acciacchi, porterà al termine mandato: il primo è stato JFK e sappiamo come è andata a finire) si è fatto il segno della croce.
Joe Biden made the sign of the cross as the chair of the Florida Democratic Party spoke in favour of abortion yesterday. Apparently he was so horrified at the notion of Ron DeSantis limiting abortions to six weeks that he had to bless himself. Report: https://t.co/m4sOjcWTtI pic.twitter.com/HZ8pC81GCx
— m o d e r n i t y (@ModernityNews) April 24, 2024
La reazione della rete è stata immediata, con commenti che davano del «vile» al vegliardo del Delaware. «Biden, l’autodefinito “cattolico devoto”, fa il segno della croce a sostegno del desiderio di questa donna di uccidere i bambini fino ai 3 mesi di gravidanza» scrive Buck Sexton. «Totalmente malvagio e sacrilego» ha twittato LifeNews. «Davvero da vomitare. Disgustoso. Insulto. Blasfemo» hanno scritto ancora su Twitter. Ancora: «Joe Biden si fa il segno della croce mentre promuove l’aborto! Questo è il male!».
Il fatto è avvenuto a pochi giorni dalla sostituzione della Pasqua della Casa Bianca con la giornata mondiale di visibilità trans.
La Fried, già Commissario per l’Agricoltura della Florida, grande sostenitrice dell’aborto, è anche esplicita riguardo alla sua pratica del giudaismo. Mentre era al liceo, partecipava al B’nai B’rith, la famigerata organizzazione ebraica. La donna ha preso anche attivamente in considerazione l’idea di fare aliya – cioè di andare a vivere in Israele –e di unirsi alle forze di difesa israeliane.
Dopo la sua elezione a commissario per l’agricoltura, Fried ha prestato giuramento utilizzando la prima Bibbia ebraica pubblicata negli Stati Uniti.
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