Politica
Raid FBI in casa di Trump

Agenti dell’FBI hanno fatto irruzione nella residenza di Donald Trump a Mar-A-Lago, in Florida.
La mossa è priva di precedenti. Mai in America si era visto una forza della polizia fare irruzione a casa di un ex presidente.
Si tratta di qualcosa di eclatante: l’amministrazione del presidente in carica, Joe Biden, manda una squadra armata ad irrompere in casa del suo probabile sfidante alle elezioni 2024.
L’ex presidente ha definito di «persecuzione politica», notando come Hillary Clinton abbia cancellato 33 mila email che era tenuta a mostrare ad una commissione del congresso (erano sotto quello che nel sistema legale USA si chiama sub poena, tradotto generalmente in Italia come «mandato di apparizione») ma l’FBI non si è mai interessato della cosa, né i Clinton hanno subito nessuna conseguenza.
Sebbene il Dipartimento di Giustizia non abbia ufficialmente commentato l’operazione, diversi importanti organi di stampa statunitensi hanno riferito che il raid potrebbe essere stato correlato a scatole di documenti riservati che Trump ha portato con sé dalla Casa Bianca, citando «persone che hanno familiarità» con la questione.
«Questi sono tempi bui per la nostra nazione, poiché la mia bella casa, Mar-A-Lago a Palm Beach, in Florida, è attualmente sotto assedio, perquisita e occupata da un folto gruppo di agenti dell’FBI», ha detto Trump in una dichiarazione rilasciata lunedì alle 19 ora della costa orientale, aggiungendo che «niente di simile è mai successo prima a un presidente degli Stati Uniti».
Secondo Trump, il raid è stato «non annunciato» e gli agenti «hanno persino fatto irruzione nella mia cassaforte». L’ex presidente ha definito l’operazione «non necessaria o appropriata», definendola una «militarizzazione» del sistema giudiziario da parte dei democratici che “disperatamente” non vogliono che si candidi alla presidenza nel 2024.
«Qual è la differenza tra questo e il Watergate…?» ha chiesto Trump, riferendosi all’irruzione del 1972 nell’ufficio del Comitato Nazionale Democratico a Washington. Lo scandalo alla fine ha costretto il presidente Richard Nixon a dimettersi.
Il povero Nixon non aveva nemmeno il 5% dei problemi che emergono dagli hard disk di Hunter Biden, dove non solo ci sono prove di comportamenti osceni e rivoltanti a livello sessuale, familiare e drogastico – ci sono tracce del fatto che vi fosse un traffico di influenze operate dall’allora vicepresidente Biden per compensi economici milionari oscuri.
Un presidente che usa l’FBI come forza pretoriana contro il predecessore. E non è finita.
Sono cose che, se dobbiamo dirlo, non abbiamo visto nemmeno in Tamil Nadu, dove per un periodo c’era l’usanza (ci riferiamo, nello specifico al conflitto tra l’attrice Jayalalithaa e lo sceneggiatore Karunanidhi: una storia misconosciuta quanto appassionante) di mettere in galera l’avversario politico alla carica di primo ministro dello Stato Indiano, ma dopo le elezioni, non prima.
Sono cose che possiamo immaginare da un qualche Paese africano subsahariano. I commentatori della destra americana stanno ora parlando di «Banana Republic».
Gli USA sprofondano a livelli di Stato africano, ricordandoci un vecchio adagio: «gli Stati Uniti sono un Paese del Terzo Mondo che ha avuto successo economico». Sparito il successo economico, resta il Terzo Mondo.
L’equilibrio sociale in USA sembra totalmente compromesso.
In Arizona ha vinto le primarie repubblicane per il ruolo di governatore Kari Lake, una ex giornalista sostenuta da Trump. La Lake, combattuta in modo atroce dal suo stesso partito, è pienamente convinta che nel suo Stato le elezioni presidenziali 2020 siano state truccate – specialmente nella famigerata contea di Maricopa.
Questo può aiutare a capire, forse, la situazione: l’establishment democratico, tentacolo dello Stato profondo, sta premendo sull’acceleratore, forse sapendo che l’enorme menzogna su cui si base il regime del loro pupazzo demente sta per crollare.
Siamo qui ad aspettare. Perché l’alternativa, come hanno capito tutti, è una devastante guerra civile in USA:
Immagine di Gage Skidmore via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-SA 2.0);
Politica
Orban dice che l’UE potrebbe andare al «collasso» e chiede accordi con Mosca

L’UE è sull’orlo del collasso e non sopravvivrà oltre il prossimo decennio senza una «revisione strutturale fondamentale» e un distacco dal conflitto ucraino, ha avvertito il primo ministro ungherese Viktor Orban.
Intervenendo domenica al picnic civico annuale a Kotcse, Orban ha affermato che l’UE non è riuscita a realizzare la sua ambizione fondante di diventare una potenza globale e non è in grado di gestire le sfide attuali a causa dell’assenza di una politica fiscale comune. Ha descritto l’Unione come entrata in una fase di «disintegrazione caotica e costosa» e ha avvertito che il bilancio UE 2028-2035 «potrebbe essere l’ultimo se non cambia nulla».
«L’UE è attualmente sull’orlo del collasso ed è entrata in uno stato di frammentazione. E se continua così… passerà alla storia come il deprimente risultato finale di un esperimento un tempo nobile», ha dichiarato Orban, proponendo di trasformare l’UE in «cerchi concentrici».
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L’anello esterno includerebbe i paesi che cooperano in materia di sicurezza militare ed energetica, il secondo cerchio comprenderebbe i membri del mercato comune, il terzo quelli che condividono una moneta, mentre il più interno includerebbe i membri che cercano un allineamento politico più profondo. Secondo Orbán, questo amplierebbe la cooperazione senza limitare lo sviluppo.
«Ciò significa che siamo sulla stessa macchina, abbiamo un cambio, ma vogliamo muoverci a ritmi diversi… Se riusciamo a passare a questo sistema, la grande idea della cooperazione europea… potrebbe sopravvivere», ha affermato.
Orban ha accusato Brusselle di fare eccessivo affidamento sul debito comune e di usare il conflitto in Ucraina come pretesto per proseguire con questa politica. Finché durerà il conflitto, l’UE rimarrà una «anatra zoppa», dipendente dagli Stati Uniti per la sicurezza e incapace di agire in modo indipendente in ambito economico, ha affermato.
Il premier magiaro ha anche suggerito che, invece di «fare lobbying a Washington», l’UE dovrebbe «andare a Mosca» per perseguire un accordo di sicurezza con la Russia, seguito da un accordo economico.
Il primo ministro di Budapest non è il solo a nutrire queste preoccupazioni. Gli analisti del Fondo Monetario Internazionale e di altre istituzioni hanno lanciato l’allarme: l’UE rischia la stagnazione e persino il collasso a causa di sfide strutturali, crescita debole, scarsi investimenti, elevati costi energetici e tensioni geopolitiche.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
Politica
Il passo indietro di Ishiba: nuovo capitolo nella lunga crisi del centro-destra giapponese

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Politica
Il governo francese collassa

Il governo francese è collassato dopo che il Primo Ministro François Bayrou ha perso un cruciale voto di fiducia in Parlamento lunedì. Bayrou è il secondo primo ministro consecutivo sotto Emmanuel Macron a essere destituito, precipitando la Francia in una crisi politica ed economica.
Per approvare una mozione di sfiducia all’Assemblea Nazionale servono almeno 288 voti. Quella di lunedì ne ha ottenuti 364, con il Nuovo Fronte Popolare di sinistra e il Raggruppamento Nazionale di destra coalizzati per superare lo stallo sul bilancio di austerità di Bayrou.
Dopo aver resistito a otto mozioni di sfiducia, Bayrou ha convocato questo voto per ottenere supporto alle sue proposte, che prevedevano tagli per circa 44 miliardi di euro per ridurre il debito francese in vista del bilancio di ottobre.
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Bayrou, che aveva definito il debito pubblico un «pericolo mortale», sembra aver accettato la sconfitta. Domenica, ha criticato aspramente i partiti rivali, che, pur «odiandosi a vicenda», si sono uniti per far cadere il governo.
Bayrou è il secondo primo ministro deposto dopo Michel Barnier, rimosso a dicembre dopo soli tre mesi, e il sesto sotto Macron dal 2017.
La caduta di Bayrou lascia Macron di fronte a un dilemma: nominare un Primo Ministro socialista, cedendo il controllo della politica interna, o indire elezioni anticipate, che i sondaggi indicano favorirebbero il Rassemblement National di Marine Le Pen.
Con la popolarità di Macron al minimo storico, entrambe le opzioni potrebbero indebolire ulteriormente la sua presidenza. Gli analisti temono che una perdita di fiducia dei mercati nella gestione del deficit e del debito francese possa portare a una crisi simile a quella vissuta dal Regno Unito sotto Liz Truss, il cui governo durò meno della via di un cavolo prima della marcescenza.
Il malcontento verso Macron è in crescita: un recente sondaggio di Le Figaro rivela che quasi l’80% dei francesi non ha più fiducia in lui.
Come riportato da Renovatio 21, migliaia di persone hanno protestato a Parigi nel fine settimana, chiedendo le dimissioni di Macron con slogan come «Fermiamo Macron» e «Frexit».
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Immagine di © European Union, 1998 – 2025 via Wikimedia pubblicata secondo indicazioni
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