Geopolitica
Gerusalemme, marcia delle bandiere: oltre 100 feriti negli scontri israelo-palestinesi
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di Asianews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Alla manifestazione hanno partecipato circa 70mila persone, 21 gli arresti effettuati dalla polizia. Bennett aveva promesso «tolleranza-zero» contro le violenze, Netanyahu accusa il governo di debolezza. Hamas minaccia risposte durissime «a tempo debito». I timori di una escalation delle violenze, sfociate lo scorso anno nella guerra-lampo a Gaza.
Sono oltre un centinaio i feriti palestinesi durante gli scontri avvenuti ieri a Gerusalemme in occasione della «marcia della bandiera»”, manifestazione promossa da gruppi estremisti ebraici e coloni in un clima di forte tensione che aleggia da tempo nell’area.
I palestinesi hanno reagito alla marcia (e alla sfilata alla Spianata delle moschee) promuovendo contro-proteste – con slogan anti-occupazione e contro la profanazione della moschea di al-Aqsa – in diverse zone della Cisgiordania, subito represse dalle forze di sicurezza israeliane.
Secondo quanto riferisce la Mezzaluna rossa palestinese a Ramallah i soldati israeliani hanno attaccato due diverse manifestazioni, ferendo decine di partecipanti.
L’agenzia Safa spiega che i dimostranti si sono radunati nei pressi dell’insediamento di Beit El, nato sui terreni della cittadina palestinese di Al-Bireh, bloccando gli ingressi con mattoni e incendiando gomme.
I militari hanno risposto con la forza, come avvenuto nel villaggio di Nabi Saleh, a ovest di Ramallah, dove anche in questo caso si erano radunati centinaia di dimostranti
Secondo alcune fonti la polizia avrebbe pure aperto il fuoco sulla folla, almeno otto le persone rimaste ferite da proiettili di gomma e ora ricoverate in condizioni definite stabili
Secondo alcune fonti la polizia avrebbe pure aperto il fuoco sulla folla, almeno otto le persone rimaste ferite da proiettili di gomma e ora ricoverate in condizioni definite stabili.
Come in passato, la «marcia delle bandiere» promossa dall’ultra-destra israeliana per festeggiare la riunificazione nel 1967 della città santa sotto la sovranità israeliana – o l’occupazione di Gerusalemme est per i palestinesi – ha raccolto l’adesione di decine di migliaia di persone.
I partecipanti, dalla porta di Damasco al Muro del pianto, hanno intonato slogan e canti, fra i quali «morte agli arabi» e altri inni nazionalisti e a sfondo razziale fra cui «Shireen (Abu-Akleh) è morta» con riferimento alla giornalista cristiana palestinese uccisa l’11 maggio scorso e sventolando con orgoglio il vessillo israeliano.
Fonti della polizia parlano di almeno 70mila persone presenti, tremila gli agenti mobilitati e 21 gli arresti effettuati durante gli scontri. Alla vigilia della manifestazione il primo ministro israeliano Naftali Bennett aveva annunciato la «tolleranza-zero» di fronte a violenze o provocazioni di qualsiasi tipo e da entrambi i fronti.
La maggioranza dei partecipanti, aveva sottolineano, è presente per «festeggiare» ma vi è anche una «minoranza che vuole creare agitazione, alimentare il fuoco» della tensione.
Dalla leadership palestinese giunge una nota in cui si afferma che «Gerusalemme est, con i suoi luoghi santi islamici e cristiani, resterà sempre l’eterna capitale dello Stato di Palestina».
Nabil Abu Rudeina, portavoce del presidente Mahmoud Abbas, sottolinea che non saranno mai possibili «sicurezza e stabilità nella regione, fino a che Israele continuerà a ingaggiare una guerra contro il nostro popolo, contro la sua terra e i suoi luoghi santi» agendo come una entità «al di sopra delle leggi».
Una nota di condanna per le violenze avvenute ieri alla Spianata delle moschee è giunta anche dalla Giordania, responsabile dello status quo.
Il clima di tensione, già alto per l’ondata di attacchi in Israele e la risposta violenta delle forze di sicurezza, oltre alla morte della giornalista cristiana palestinese, sembra destinato a inasprirsi ancora di più nelle prossime settimane.
E la debolezza del governo Bennett – senza maggioranza alla Knesset, nel mirino delle opposizioni e dell’ex premier Benjamin Netanyahu che muove da dietro alle quinte per tornare al potere –, non aiutano certo a rasserenare gli animi e garantire sicurezza e giustizia alle parti.
Ad esasperare il quadro anche gli scontri della mattinata alla Spianata delle moschee fra polizia e manifestanti palestinesi, inferociti per l’irruzione nell’area di al-Aqsa di coloni e nazionalisti ebraici, capeggiati dal parlamentare di estrema destra Itamar Ben Gvir.
I palestinesi considerano questi gesti come provocatori e Hamas ha già detto che risponderà «a tempo debito».
Per molti analisti gli assalti alla Spianata sono ben più gravi della marcia delle bandiere, all’origine lo scorso anno della sanguinosa guerra-lampo a Gaza di 11 giorni che ha provocato centinaia di vittime.
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Immagine di Nettadi via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International (CC BY-SA 4.0)
Geopolitica
La Cina snobba il ministro degli Esteri tedesco
Il ministro degli Esteri tedesco Johann Wadephul ha dovuto cancellare un viaggio previsto in Cina dopo che Pechino si sarebbe rifiutata di organizzare incontri di alto livello con lui, secondo quanto riportato venerdì da diversi organi di stampa.
Il Wadephul sarebbe dovuto partire per Pechino domenica per discutere delle restrizioni cinesi sull’esportazione di terre rare e semiconduttori, oltre che del conflitto in Ucraina.
«Il viaggio non può essere effettuato al momento e sarà posticipato a data da destinarsi», ha dichiarato un portavoce del Ministero degli Esteri tedesco, citato da Politico. Il Wadephullo avrebbe dovuto incontrare il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, ma l’agenda prevedeva troppo pochi incontri di rilievo.
Secondo il tabloide germanico Bild, i due diplomatici terranno presto una conversazione telefonica.
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Questo intoppo diplomatico si inserisce in un contesto di crescenti tensioni commerciali tra Cina e Unione Europea. Nell’ultimo anno, Bruxelles e Pechino si sono scontrate sulla presunta sovrapproduzione industriale cinese, mentre la Cina accusa l’UE di protezionismo.
All’inizio di questo mese, Pechino ha rafforzato le restrizioni sull’esportazione di minerali strategici con applicazioni militari, una mossa che potrebbe aggravare le difficoltà del settore automobilistico europeo.
La Germania è stata particolarmente colpita dal deterioramento del clima commerciale.
Come riportato da Renovatio 21, la Volkswagen sospenderà la produzione in alcuni stabilimenti chiave la prossima settimana a causa della carenza di semiconduttori, dovuta al sequestro da parte dei Paesi Bassi del produttore cinese di chip Nexperia, motivato da rischi per la sicurezza tecnologica dell’UE. In risposta, Pechino ha bloccato le esportazioni di chip Nexperia dalla Cina, causando una riduzione delle scorte che potrebbe portare a ulteriori chiusure temporanee di stabilimenti Volkswagen e colpire altre case automobilistiche, secondo il quotidiano.
Venerdì, il ministro dell’economia Katherina Reiche ha annunciato che Berlino presenterà una protesta diplomatica contro Pechino per il blocco delle spedizioni di semiconduttori, sottolineando la forte dipendenza della Germania dai componenti cinesi.
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Immagine di UK Government via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
Geopolitica
Vance in Israele critica la «stupida trovata politica»: il voto di sovranità sulla Cisgiordania è stato un «insulto» da parte della Knesset
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Geopolitica
Trump minaccia di togliere i fondi a Israele se annette la Cisgiordania
Israele «perderebbe tutto il sostegno degli Stati Uniti» in caso di annessione della Giudea e della Samaria, nome con cui lo Stato Ebraico chiama la Cisgiordania, ha detto il presidente USA Donald Trump.
Trump ha replicato a un disegno di legge controverso presentato da esponenti dell’opposizione di destra alla Knesset, il parlamento israeliano, che prevede l’annessione del territorio conteso come reazione al terrorismo palestinese.
Il primo ministro Benjamin Netanyahu, sostenitore degli insediamenti ebraici in quell’area, si oppone al provvedimento, poiché rischierebbe di allontanare gli Stati arabi e musulmani aderenti agli Accordi di Abramo e al cessate il fuoco di Gaza.
Netanyahu ha criticato aspramente il disegno di legge, accusando i promotori di opposizione di una «provocazione» deliberata in concomitanza con la visita del vicepresidente statunitense J.D. Vance. (Lo stesso Vance ha qualificato il disegno di legge come un «insulto» personale)
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«I commenti pubblicati giovedì dalla rivista TIME sono stati espressi da Trump durante un’intervista del 15 ottobre, prima dell’approvazione preliminare alla Knesset di mercoledì – contro il volere del primo ministro – di un disegno di legge che estenderebbe la sovranità israeliana a tutti gli insediamenti della Cisgiordania» ha scritto il quotidiano israeliano Times of Israel.
Evidenziando l’impazienza dell’amministrazione verso tali iniziative, il vicepresidente di Trump, J.D. Vance, ha dichiarato giovedì, lasciando Israele, che il voto del giorno precedente lo aveva «offeso» ed era stato «molto stupido».
«Non accadrà. Non accadrà», ha affermato Trump a TIME, in riferimento all’annessione. «Non accadrà perché ho dato la mia parola ai Paesi arabi. E non potete farlo ora. Abbiamo avuto un grande sostegno arabo. Non accadrà perché ho dato la mia parola ai paesi arabi. Non accadrà. Israele perderebbe tutto il sostegno degli Stati Uniti se ciò accadesse».
Vance ha precisato che gli era stato descritto come una «trovata politica» e «puramente simbolica», ma ha aggiunto: «Si tratta di una trovata politica molto stupida, e personalmente la considero un insulto».
Gli Emirati Arabi Uniti, che hanno guidato i Paesi arabi e musulmani negli Accordi di Abramo, si oppongono da tempo all’annessione della Cisgiordania, sostenendo che renderebbe vani i futuri negoziati di pace nella regione.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
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