Economia
Un quarto delle imprese UE pronto a lasciare il mercato cinese

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di Asianews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
L’83% dice di avere subito danni dai lockdown imposti da Pechino. Il 60% si aspetta perdite di profitti tra il 6 e il 15% a fine anno. I manager europei faticano a entrare in Cina per valutare la situazione e prendere decisioni su eventuali investimenti. Le autorità cinesi annunciano misure per ripristinare la fiducia degli investitori stranieri.
Il 23% delle imprese europee attive nel mercato cinese è pronto a spostare la produzione in altri Paesi: il doppio rispetto a inizio anno e il livello massimo in 10 anni. Lo certifica un sondaggio pubblicato ieri dalla Camera di commercio dell’Unione europea in Cina, secondo cui rischi legati all’interruzione delle catene globali del commercio e la politica «zero-COVID» di Xi Jinping rendono sempre più difficile operare nel territorio del gigante asiatico.
Al momento nel Paese ci sono focolai attivi in 14 province, compresa la capitale, che interessano 180 milioni di persone. L’83% delle compagnie intervistate dalla Camera di commercio UE ha risposto che le draconiane chiusure sanitarie ordinate dalle autorità in poli industriali come Shanghai, Shenzhen e Changchun hanno colpito la loro produzione.
Il 60% dei rispondenti calcola perdite di profitti tra il 6 e il 15% a fine anno. Il 94% denuncia l’impatto negativo delle stringenti misure anti-COVID sulla logistica; il 92% sostiene che le restrizioni abbiano danneggiato le filiere di approvvigionamento, con l’85% che dice di avere difficoltà a reperire materie prime e componenti per l’attività produttiva.
Le autorità cinesi ammettono i problemi nei trasporti. Secondo dati ufficiali, in due settimane da metà marzo il volume di beni in partenza dal porto di Shanghai, il principale del Paese, è sceso del 25%, mentre il trasporto merci nazionale su gomma ha avuto un calo del 40%.
C’è poi il problema delle restrizioni ai viaggi di lavoro come parte delle misure d’emergenza sanitaria. Joerg Wuttke, presidente della Camera di commercio UE a Pechino, osserva che i manager delle aziende europee faticano a entrare in Cina, non potendo così valutare la situazione sul campo e prendere di conseguenza decisioni su eventuali investimenti.
Per riportare la fiducia nel mercato cinese, gli imprenditori europei chiedono più «prevedibilità» da parte delle autorità locali. In sostanza vorrebbero che Pechino abbandonasse la linea zero-COVID per un approccio di convivenza con il virus, seguito nella maggior parte del mondo.
In un incontro lo scorso 29 aprile, il Politburo del Partito Comunista Cinese ha affermato che risponderà in modo attivo alle richieste delle imprese estere per facilitare i loro affari in Cina. Il massimo organo decisionale del regime ha precisato che prenderà iniziative orientate alla crescita per ripristinare la fiducia degli investitori stranieri.
Tra gli stimoli annunciati ci sono anche politiche «più prevedibili» e di sostegno alle compagnie tecnologiche e a quelle immobiliari.
I due settori sono tra i più colpiti dalla stretta anti-monopoli del governo, considerata una delle maggiori cause del rallentamento economico registrato da fine 2021.
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Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
Economia
Il debito francese è un pericolo per tutta l’Eurozona

Il crescente debito sovrano della Francia, unito alle lotte politiche interne, potrebbe minacciare la stabilità fiscale dell’Eurozona. Lo riporta l’emittente pubblica tedesca Deutsche Welle, citando un esperto.
La Francia ha uno dei debiti nazionali più elevati dell’UE, attualmente pari a 3,35 trilioni di euro (3,9 trilioni di dollari), pari a circa il 113% del PIL. Si prevede che il rapporto salirà al 125% entro il 2030. Il deficit di bilancio è previsto al 5,4-5,8% quest’anno, ben al di sopra del limite del 3% previsto dall’Unione.
Friedrich Heinemann del Centro Leibniz per la Ricerca Economica Europea ZEW di Mannheim, in Germania, ha dichiarato alla testata in un articolo pubblicato sabato: «dovremmo essere preoccupati. L’eurozona non è stabile in questo momento».
Un drastico piano di austerità proposto dal primo ministro francese François Bayrou, membro del governo di minoranza, ha innescato un voto di sfiducia, che ha perso lunedì sera, portando al collasso il governo francese.
Il piano del Bayrou prevedeva tagli ai posti di lavoro nel settore pubblico, una riduzione della spesa sociale e la soppressione di due festività. Il Rassemblement National di Marina Le Pen, i Socialisti e il partito di sinistra La France Insoumise si sono opposti con veemenza alla proposta.
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Anche un sondaggio Elabe condotto prima del voto ha mostrato che la maggior parte degli intervistati era contraria alle misure.
Lo Heinemann ha dichiarato a DW di dubitare che la Francia troverà presto una via d’uscita, visti gli aspri scontri politici.
A luglio, Bloomberg, citando gli esperti di ING Groep NV, ha affermato in modo analogo che il crescente debito della Francia potrebbe rappresentare una «bomba a orologeria» per la stabilità finanziaria dell’UE.
Nonostante il considerevole deficit di bilancio, la Francia prevede di aumentare la spesa militare a 64 miliardi di euro nel 2027, il doppio di quanto speso nel 2017.
Il presidente Emmanuel Macron ha ripetutamente citato una presunta minaccia russa. Il Cremlino ha costantemente liquidato le accuse come «assurdità», accusando l’UE di una rapida militarizzazione.
A maggio, gli Stati membri hanno approvato un programma di debito da 150 miliardi di euro per l’approvvigionamento di armi.
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Immagine di Philippe Druesne via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-ND 2.0
Economia
Trump porge il ramoscello d’ulivo a Musk. Cui Tesla prepara un possibile pagamento da un trilione

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Economia
La Turchia interrompe totalmente gli scambi commerciali con Israele

La Turchia ha interrotto tutti i legami commerciali ed economici con Israele, chiudendo il suo spazio aereo ad alcuni voli israeliani, ha annunciato il Ministro degli Esteri Hakan Fidan. I due Paesi sono in conflitto da mesi a causa della campagna militare israeliana a Gaza, con la Turchia che accusa il Paese di aver commesso un genocidio.
In un discorso al parlamento nazionale di venerdì, il Fidan ha affermato che la Turchia ha «completamente interrotto i nostri scambi commerciali con Israele» e «chiuso i nostri porti alle navi israeliane».
«Non permettiamo alle navi portacontainers che trasportano armi e munizioni verso Israele di entrare nei nostri porti e agli aerei di entrare nel nostro spazio aereo», ha aggiunto il ministro di Ankara, affermando che alle navi battenti bandiera turca è vietato fare scalo nei porti israeliani e che alle imbarcazioni israeliane è vietato entrare nei porti turchi.
Come riportato da Renovatio 21, la guerra commerciale con Israele era partita un anno fa con la sospensione degli scambi.
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Una fonte diplomatica turca ha dichiarato all’agenzia Reuters che le restrizioni ai voli riguardano solo i voli ufficiali israeliani e gli aerei con armi o munizioni, non il transito di routine dei vettori commerciali.
L’agenzia ha inoltre riferito che le autorità portuali turche stanno ora richiedendo informalmente agli agenti marittimi di attestare che le navi non sono collegate a Israele e non trasportano carichi militari o pericolosi diretti nel Paese.
Tuttavia, un funzionario israeliano ha dichiarato al Jerusalem Post che la Turchia aveva «già annunciato in passato la rottura delle relazioni economiche con Israele, e che tali relazioni sono continuate», riferendosi apparentemente alla sospensione delle importazioni ed esportazioni da parte di Ankara a maggio.
I commenti del ministro sono l’ultimo segnale del deterioramento delle relazioni tra Turchia e Israele, rese ancora più tese dalla guerra a Gaza. La Turchia, unendosi agli altri Paesi che hanno portato il caso al tribunale dell’Aia, ha accusato Israele di aver commesso un genocidio a Gaza. Il presidente Recep Tayyip Erdogan in precedenza aveva definito il primo ministro Benjamin Netanyahu «il macellaio di Gaza», suggerendo a un certo punto – in una reductio ad Hitlerum che è andata in crescendo, con contagio internazionale – che la portata dei suoi crimini di guerra superasse quelli commessi dal cancelliere della Germania nazionalsocialista Adolfo Hitlerro.
Nel 2023 la Turchia ha richiamato il suo ambasciatore da Israele e nel 2024 ha interrotto tutti i rapporti diplomatici. Mesi fa Ankara aveva dichiarato che Israele costituisce una «minaccia per la pace in Siria». Erdogan ha più volte chiesto un’alleanza dei Paesi islamici contro Israele.
Come riportato da Renovatio 21, in settimana i turchi hanno guidato gli sforzi per far sospendere Israele all’Assemblea generale ONU. L’anno scorso il presidente turco aveva dichiarato che le Nazioni Unite dovrebbero consentire l’uso della forza contro lo Stato degli ebrei.
Un anno fa Erdogan aveva ventilato l’ipotesi che la Turchia potesse invadere Israele.
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Immagine di Rob Schleiffert via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC 4.0
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