Guerra cibernetica
Ipotesi sugli Hacker vaccinali
Riprendiamo il discorso di ieri su hacker e green pass parlamentari.
All’inizio i giornali hanno provato a raccontare che quello al sistema informatico della Regione Lazio fosse un attacco no-vax per sabotare la campagna vaccinale. Tuttavia, questa versione dei fatti era insostenibile: chiunque del settore sa che i dati sui vaccini delle Regioni vengono sincronizzati tre volte al giorno con l’Anagrafe Nazionale Vaccini gestita dal generale Figliuolo.
Infatti la campagna vaccinale non si ferma perché Figliuolo fornisce in poche ore al Lazio le liste di vaccinati e prenotati del giorno prima. Vengono però sospese le nuove prenotazioni perché il sito web è offline.
La versione ufficiale cerca di chiudere il caso raccontando che si è trattato di un comune ransomware che prende in ostaggio i dati dei server aziendali. Le notizie trapelate in prima battuta però smentirebbero questa circostanza: negli attacchi comuni con ransomware i team di hacker prendono il controllo di computer di cui ignorano l’identità grazie a vulnerabilità scoperte per caso sulla rete.
La rete viene scansionata con certi programmi (scanner) in cerca di vulnerabilità e si tratta di strumenti automatici, che non sono supervisionati dal team di hacker.
Una volta che un computer viene violato, il criminale potrebbe non sapere se ha bucato il server di un’università o quello di una banca. Non solo, ma questo genere di crimini potrebbe non prevedere nemmeno che si risalga all’identità della vittima: richiederebbe analisi forensi da parte del gruppo criminale molto dispendiose.
Invece su Il Messaggero del 3 agosto si riferisce in dettaglio che «l’accesso al CED è avvenuto attraverso le credenziali VPN di un amministratore della rete, un dirigente di Frosinone della società LazioCrea, che affianca la Regione nei servizi per attività tecnico amministrative e che ha la qualifica di amministratore della rete. Gli hacker sono entrati dal suo pc personale, hanno infestato il sistema e criptato i dati. “Ho sempre rispettato tutti i protocolli di sicurezza, non ho commesso leggerezze”, ha spiegato il dipendente ai tecnici e agli investigatori della Polizia postale».
«Al momento, un solo dato è certo: la porta di ingresso dei criminali informatici al cuore virtuale della Regione Lazio, è stato il PC di un funzionario, in smart working dalla sua casa di Frosinone».
Continua Il Messaggero:
Sembrerebbe più un’operazione di cyberwarfare che una rapina coi classici ransomware che colpiscono le aziende
«Non si sa ancora se il virus sia arrivato attraverso un sito sul quale il dipendente di Lazio Crea è andato a finire navigando in rete, mentre era collegato con il VPN, ossia la rete virtuale riservata e privata attraverso il quale un computer è connesso a un sistema chiuso. O se alla postazione, nella notte tra il 3 luglio e il primo agosto, ci fosse suo figlio o un familiare. Di certo la porta della Regione era aperta, forse la password era memorizzata e, come ha rilevato la Postale, per il Vpn non erano previsti due passaggi di identificazione. Misura prevista dalle basilari norme di sicurezza».
Ciò che conta ripetere è che – a maggior ragione se un gruppo di hacker ha ottenuto accesso per caso ad un pc privato di un operatore della piattaforma – non avrebbe mai potuto scoprire che quel computer privato fosse il punto di accesso al CED del Lazio. Perché la cosa avrebbe richiesto un’analisi forense del computer violato. E questa è un’operazione che si potrebbe fare soltanto se si ha già la certezza di essere entrati su un bersaglio preciso.
Quindi, il team di hacker ha violato il computer del funzionario sapendo già che sarebbe servito per accedere al CED del Lazio. Sembrerebbe più un’operazione di cyberwarfare che una rapina coi classici ransomware che colpiscono le aziende.
Come abbiamo sopra visto, accedere al CED del Lazio per un team di hacker avrebbe avuto precise fonti di valore.
Abbiamo visto; era di dominio pubblico che i dati sulle vaccinazioni fossero replicati sull’Anagrafe Nazionale Vaccini. Dunque, il team criminale sapeva di non poter prendere in ostaggio la campagna vaccinale del Lazio o bloccare i green pass. Al massimo poteva pensare di interrompere le prenotazioni per qualche giorno.
Chi ha sferrato questo attacco sapeva che avrebbe trattato coi Servizi Segreti?
Poteva dunque trattarsi di due fonti di valore atteso dal crimine:
1)prendere in ostaggio dati non direttamente legati alla campagna vaccinale ed effettivamente – citiamo l’esperto Matteo Navacci – sono andati perduti «dieci anni di documenti regionali, necessari a garantire l’operatività. Al momento non si sa se la Regione o l’Italia intendono pagare il riscatto (ufficialmente no)». Mentre per tutto il resto dei dati sanitari sono stati recuperati grazie ad un banale errore degli hacker: non hanno distrutto correttamente i dati: «Perché non abbiano criptato ma abbiano solo fatto wipe non è chiaro: forse i criminali non ne avevano tempo o non hanno voluto attirare l’attenzione; forse c’erano regole che impedivano la scrittura». In altre parole, non si spiega il comportamento dilettantistico di questi professionisti del crimine.
2) Forse la merce di scambio non erano i dati cifrati, ma la loro diffusione. Come fai ad essere certo che un gruppo di criminali non diffonda dei dati? Pagando periodicamente finchè i dati rimangono caldi. Ai criminali conveniva giocarsi questa opzione, appurato che sapevano esattamente dove avessero messo le mani.
Ma perché allora criptare i dati e non ricattare direttamente la vittima (in questo caso il governo italiano) senza fare scalpore e senza rendere pubblico l’attacco?
Chi ha sferrato questo attacco sapeva che avrebbe trattato coi Servizi Segreti?
«Dietro l’attacco di questi giorni — ha detto Franco Gabrielli, sottosegretario con delega ai Servizi segreti — ci sono terroristi e anche Stati sovrani che hanno interesse ad acquisire dati, conoscenze e proprietà intellettuali».
In tal modo per accusare un onorevole qualsiasi di non essere vaccinato, basterebbe qualche data leak sul dark web. E dal 2 agosto sarebbe sempre colpa dei famosi hacker russi
«Al Copasir, è stata anche ascoltata Elisabetta Belloni direttrice del DIS che ha elencato tutte le situazioni di massima criticità dovute appunto alle aggressioni sul web. Il presidente del Copasir Adolfo Urso ha voluto sottolineare che “l’intelligence si è mossa subito” e che la Belloni ha fornito “una relazione molto circostanziata e approfondita su tutti gli aspetti”». (Corriere della Sera, 5 agosto)
Però c’è una terza pista. Da quando ufficialmente un gruppo criminale ha potenzialmente sottratto i dati sensibili della Sanità del Lazio, da un momento all’altro potrebbero comparire sul web estratti degli archivi rubati.
In tal modo per accusare un onorevole qualsiasi di non essere vaccinato, basterebbe qualche data leak sul dark web. E dal 2 agosto sarebbe sempre colpa dei famosi hacker russi.
Adesso che le liste dei dubbiosi le hanno loro, le liste le possono usare tutti. Invece prima del 2 agosto i dubbiosi erano protetti dalla Privacy.
Di protezione adesso non ce n’è più per nessuno
Gian Battista Airaghi
Guerra cibernetica
Paesi NATO valutano la guerra cibernetica contro Mosca
Stati europei dell’Alleanza Atlantica stanno esaminando l’opportunità di lanciare azioni cibernetiche offensive coordinate contro Mosca, come indicato da due alti esponenti governativi dell’UE e tre addetti diplomatici. Lo riporta Politico.
La testata ha precisato che le cancellerie d’Occidente stanno ponderando soluzioni cibernetiche e di altra natura come replica ai supposti «assalti ibridi» perpetrati dal Cremlino.
La titolare della diplomazia lettone Baiba Braze ha confidato a Politico che la NATO è chiamata a «mostrarsi più incisiva nell’offensiva cibernetica» e a sincronizzare con maggiore efficacia i propri apparati di Intelligence. «Non sono le dichiarazioni a trasmettere un monito, bensì le azioni concrete», ha puntualizzato.
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Sul finire del 2024, l’Alleanza Atlantica aveva annunciato l’avvio di un innovativo polo unificato per la difesa cibernetica all’interno della propria sede belga, previsto in funzione entro il 2028. S
I partner della NATO avevano in precedenza attribuito alla Russia l’infiltrazione di server istituzionali, l’interferenza sui segnali GPS di velivoli e l’intrusione di droni nei loro cieli territoriali. Il governo russo ha rigettato le imputazioni come belliciste, qualificando invece le restrizioni e gli apporti occidentali a Kiev come «aggressione ibrida».
A giudizio di RED Security, nel corso di quest’anno gli strike informatici contro la Federazione Russa sono cresciuti del 46%. Tra gli episodi di spicco, a luglio ha avuto luogo la violazione del database dell’Aeroflot, l’aviolinea nazionale russa, attribuita da due collettivi pro-ucraini.
Come riportato da Renovatio 21, nelle ore successive all’attacco contro la compagnia aerea di bandiera russa, il Roskomnadzor ha bloccato lo strumento di misurazione delle prestazioni di Internet Speedtest, gestito dalla società statunitense Ookla, citando minacce all’infrastruttura digitale nazionale.
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Guerra cibernetica
Internet down in tutto il mondo a causa del crash del sistema di Cloudfare
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Guerra cibernetica
Orban: gli ucraini sono dietro il furto dei dati personali dei cittadini dell’UE
Dietro il furto e la fuga di dati personali di 200.000 ungheresi ci sono individui ucraini e un partito di opposizione ungherese, ha dichiarato il premier magiaro Vittorio Orban, definendo la situazione un «grave rischio per la sicurezza nazionale» che richiede un’immediata indagine statale.
Le accuse, formulate in una dichiarazione video di lunedì, seguono le notizie diffuse dai media ungheresi secondo cui un database con i nomi, gli indirizzi e i recapiti degli utenti che avevano scaricato l’app di organizzazione Vilag del partito Tisza è stato brevemente pubblicato online alla fine della scorsa settimana.
Il partito pro-UE e il suo leader Peter Magyar rappresentano la principale opposizione al governo Orban, che accusa l’UE di interferire nella politica interna del Paese.
«Un grave scandalo ha scosso la vita pubblica ungherese. I dati personali di 200.000 nostri connazionali sono stati pubblicati online senza il loro consenso», ha dichiarato Orban. «In base alle informazioni attuali, questi dati sono stati raccolti dal partito Tisza».
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Il primo ministro di Budapesto ha affermato che un’analisi del database ha dimostrato che «anche individui ucraini erano coinvolti nella gestione dei dati» e ha ordinato ai funzionari della sicurezza nazionale di condurre l’indagine.
Sia il partito Tisza che il suo leader hanno negato qualsiasi coinvolgimento ucraino nello sviluppo dell’app. Magyar ha affermato domenica – senza fornire prove – che l’app del partito era stata presa di mira da «hacker internazionali… che sono ovviamente supportati dai servizi segreti russi».
Tuttavia, un articolo del quotidiano ungherese Magyar Nemzet ha ipotizzato che i dati trapelati provenissero dalla piattaforma Vilag, osservando che le prime voci corrispondevano ad account di sviluppatori e tester, alcuni con identificativi dello stato ucraino.
Orban, un critico convinto del sostegno militare occidentale all’Ucraina, ha ripetutamente affermato che l’UE e Kiev stanno cospirando per influenzare la politica ungherese e portare al potere il partito Tisza, sostenuto da Bruxelles, nelle elezioni del 2026.
Affermazioni simili sono state riprese all’inizio di quest’anno dal Servizio di Intelligence estero russo (SVR), secondo cui la Commissione Europea stava «studiando scenari di cambio di regime» in Ungheria.
Bruxelles intende portare Magyar al potere nelle elezioni parlamentari del 2026, «se non prima», ha affermato l’SVR, aggiungendo che Bruxelles starebbe impiegando significative «risorse amministrative, mediatiche e di lobbying», mentre i servizi segreti ucraini farebbero il «lavoro sporco».
Come riportato da Renovatio 21, il ministro magiaro Szijjarto ha dichiarato che l’Unione Europea sta tentando di rovesciare i governi di Ungheria, Slovacchia e Serbia perché danno priorità agli interessi nazionali rispetto all’allineamento con Bruxelles.
A inizio ottobre Orban ha ribadio apertis verbis che i leader dell’UE sembrano intenzionati a trascinare il blocco in un conflitto con la Russia.
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Come riportato da Renovatio 21, il mese scorso Orban ha avviato una petizione contro il cosiddetto «piano di guerra» dell’UE, avvertendo che il sostegno continuo all’Ucraina sta spingendo il blocco verso un confronto diretto con la Russia.
Il primo ministro ad agosto aveva accusato il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj di aver minacciato gli ungheresi aggiungendo che l’Ucraina non può entrare nell’Unione Europea con la forza attraverso estorsioni, attentati e intimidazioni. In estate gli attacchi ucraini all’oleodotto Druzhba («Amicizia») di questo mese hanno ripetutamente interrotto i flussi verso Ungheria e Slovacchia, suscitando rabbia in entrambi i Paesi dell’UE.
Durante un’intervista a Tucker Carlson nell’agosto 2023, il premier ungherese Vittorio Orban aveva dichiarato significativamente che Ungheria e Serbia erano pronte ad entrare in guerra contro chiunque facesse saltare il loro gasdotto.
Come riportato da Renovatio 21, nelle scorse settimane è stata data alle fiamme nella zona di confine una chiesa cattolica ungherese, sui cui muri è stato scritto in ucraino «coltello agli ungheresi».
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