Persecuzioni
I vescovi indiani: «Suore prese di mira, l’arresto in Chhattisgarh non è un fatto isolato»

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
La denuncia della Conferenza episcopale indiana sulla vicenda delle due religiose di Agra arrestate con un’accusa palesemente falsa di «conversioni forzate». «Le religiose cristiane sono sempre più spesso seguite da disturbatori sociali, che le circondano nelle stazioni ferroviarie, istigano la folla e usano un linguaggio offensivo». Appello ai governi locali e al quello centrale di Delhi perché garantiscano la sicurezza. Rahul Gandhi: «È la giustizia di piazza del BJP. Le due suore siamo liberate subito».
La vicenda delle due suore di Agra fermate venerdì nello Stato del Chhattisgarh alla stazione ferroviaria di Durg con l’accusa di «conversioni forzate» mentre – con il consenso scritto dei genitori – stavano accompagnando alcune ragazze maggiorenni già cristiane al loro nuovo posto di lavoro, non è stato caso isolato. Lo sostiene in una nota la Conferenza dei vescovi cattolici dell’India (CBCI), che condannando «con fermezza il recente arresto e la presunta aggressione fisica», la definiscono «parte di una preoccupante ondata di molestie, false accuse e casi fabbricati che prendono di mira le suore in tutto il Paese».
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I vescovi esprimono preoccupazione per il fatto che «le religiose cristiane sono sempre più seguite da disturbatori sociali, che le circondano nelle stazioni ferroviarie, istigano la folla e usano un linguaggio offensivo. Queste azioni – scrivono – rappresentano una minaccia grave non solo alla dignità e alla modestia di queste donne, ma anche alle loro vite».
La Conferenza episcopale – definendo questi ripetuti episodi di molestie come una «grave violazione della Costituzione» – chiede ai governi locali degli Stati dell’India di «garantire la sicurezza di tutte le donne e di adottare misure tempestive per prevenire tali incidenti». Inoltre, fa appello anche al governo centrale di Delhi, chiedendo un intervento urgente.
«Ribadendo il proprio impegno per la giustizia e la tutela dei diritti delle minoranze – conclude la nota – la Conferenza episcopale indiana esorta le autorità a prendere provvedimenti concreti per garantire i diritti e la dignità delle donne religiose e assicurarne la sicurezza. Si impegnata a continuare a monitorare attentamente la situazione e a intraprendere tutte le azioni necessarie per salvaguardare le comunità minoritarie in India».
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Intanto la vicenda delle due suore sta facendo discutere anche la politica indiana. Oggi è intervenuto in loro difesa anche Rahul Gandhi, il leader del Congress Party: «Questa non è giustizia, è il dominio della folla targato BJP-RSS (il partito e i movimenti della destra nazionalista indù, ndr)», ha scritto in un post sui social network. «Riflette un modello pericoloso: la persecuzione sistematica delle minoranze sotto questo regime».
Gandhi ha inoltre ricordato che i membri del suo schieramento hanno protestato davanti al Parlamento di Delhi per quanto accaduto nel Chhattisgarh. «Non resteremo in silenzio. La libertà religiosa è un diritto costituzionale», ha affermato, chiedendo il rilascio immediato delle suore arrestate e l’assunzione di responsabilità per l’ingiustizia commessa.
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Immagine da AsiaNews; immagine rielaborata
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Persecuzioni
Arcivescovo armeno condannato a due anni di carcere

L’arcivescovo armeno Mikael Ajapahyan è stato giudicato colpevole di incitamento al colpo di stato e condannato a due anni di carcere, in un clima di crescente tensione tra la Chiesa nazionale e il governo. Il religioso ha respinto le accuse, definendole di natura politica.
Come riportato da Renovatio 21, l’arcivescovo era stato arrestato ad inizio estate, quando la polizia aveva fatto irruzione nella sede della Chiesa apostolica armena, la più grande del Paese, nella città di Vagharshapat, provocando gravi scontri tra chierici, membri della chiesa e forze dell’ordine.
Negli ultimi mesi, le frizioni tra il primo ministro Nikol Pashinyan e l’opposizione, appoggiata da figure di spicco della Chiesa Apostolica Armena (CAA), si sono intensificate. I critici hanno accusato Pashinyan di compromettere gli interessi nazionali dell’Armenia per aver accettato di cedere alcuni villaggi di confine all’Azerbaigian, Paese con cui l’Armenia ha contenziosi territoriali. Pashinyan ha difeso la decisione, che ha scatenato proteste, sostenendo che punta a risolvere il conflitto decennale tra le due ex repubbliche sovietiche.
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Venerdì, un tribunale di Yerevan ha emesso la sentenza contro Ajapahyan, in custodia cautelare da fine giugno. L’accusa aveva richiesto una condanna a due anni e mezzo, mentre la difesa aveva sostenuto l’innocenza dell’arcivescovo. Secondo l’atto d’accusa, Ajapahyan avrebbe incitato al rovesciamento del governo armeno in due interviste rilasciate a febbraio 2024 e giugno 2025.
Commentando le accuse dopo il suo arresto, Ajapahyan ha dichiarato che il «Signore non perdonerà i miseri servitori che sanno bene cosa stanno facendo».
Ad agosto, Karekin II, Patriarca supremo e Catholicos di tutti gli armeni, ha espresso preoccupazione per la «campagna illegale contro la Santa Chiesa apostolica armena e il suo clero da parte del potere politico», come riportato in una dichiarazione ufficiale della Chiesa.
A giugno, le autorità armene hanno arrestato un altro importante religioso, il vescovo Bagrat Galstanyan, accusandolo di terrorismo e di aver pianificato un colpo di Stato.
Nello stesso mese, il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha definito la spaccatura tra il governo armeno e la Chiesa una «questione interna» dell’Armenia, aggiungendo però che molti membri della numerosa diaspora armena in Russia stavano «osservando questi eventi con dolore» e non «accettavano il modo in cui si stavano svolgendo».
L’Armenia e il vicino Azerbaigian sono entrambe ex repubbliche sovietiche, coinvolte in una disputa territoriale sulla regione del Nagorno-Karabakh dalla fine degli anni Ottanta. La regione, a maggioranza armena, si è staccata da Baku all’inizio degli anni ’90 in seguito a una guerra in piena regola.
Il territorio è stato fonte di costante tensione tra Armenia e Azerbaigian per oltre due decenni, con molteplici focolai e conflitti su larga scala, prima che Baku riuscisse a riprendere il controllo della regione con la forza nel 2023, provocando l’immane esodo degli armeni del Nagorno, regione divenuta prima teatro di atrocità poi di città fantasma.
Come riportato da Renovatio 21, strutture gasiere legate all’Azerbaigian sono state colpite nei pressi di Odessa, a pochi metri dal confine romeno (cioè NATO) nelle scorse ore.
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Baku è legata alla politica europea, ed italiana, tramite il gasdotto TAP, considerato come fornitura di idrocarburo alternativa a Mosca, per cui spinta dalle élite euro-atlantiche di Brusselle, pronte a chiudere un occhio sulle accuse allo Stato dinastico petro-islamico dell’Azerbaigian riguardo i diritti umani.
Secondo un giornale spagnolo, l’Armenia, nel suo movimento di allontanamento da Mosca perseguito dalla presidenza Pashynian, starebbe per porre parte del suo territorio sotto il controllo degli Stati Uniti.
Yerevan è diventata sempre più filo-occidentale sotto Pashinyan; durante la conferenza stampa, il primo ministro ha ribadito che «l’Armenia vuole entrare a far parte dell’UE», riflettendo una legge firmata all’inizio di quest’anno che esprime questa intenzione. Tuttavia, ha riconosciuto che sarà «un processo complicato», poiché il paese dovrà soddisfare determinati standard e ottenere l’approvazione di tutti gli Stati membri.
Nelle ultime settimane, la tensione in Armenia è stata elevata a seguito dell’arresto di due alti prelati della Chiesa Apostolica Armena (CAA) e di uno dei suoi principali sostenitori, l’imprenditore russo-armeno Samvel Karapetyan. Sono stati accusati di aver cospirato per rovesciare il governo di Pashinyan dopo aver esortato la popolazione a protestare contro la decisione del primo ministro di cedere diversi villaggi di confine all’Azerbaigian.
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Immagine screenshot da YouTube
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