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Renovatio 21 saluta Hulko Hogan

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È venuto a mancare la settimana scorsa un personaggio notissimo in America e anche in Italia, il lottatore e personaggio dello spettacolo Terry Bollea, meglio conosciuto come Hulk Hogan.

 

Lo Hogan ha avuto un arresto cardiaco giovedì mattina nella sua casa di Clearwater, in Florida. Secondo quanto riportato, i paramedici hanno curato Hogan prima di trasportarlo in ospedale, dove è morto alle 11:17, secondo il maggiore della polizia di Clearwater, Nate Burnside.

 

Era divenuto un’icona degli anni Ottanta, l’indiscussa superstar del «pro-wrestling», gli incontri di lotta fasulla ma altamente spettacolare (e dolorosa…) che tanto piacciono ai bambini. La fama era arrivata anche in Italia, dove le reti di Berlusconi trasmettevano a tarda notte il wrestling con il memorabile commento americanoide del grande Dan Peterson. La sua nemesi era il wrestler acromegalico francese André René Roussimoff detto anche André The Giant (224 centimetri per 236 chilogrammi).

 

 

Hulk Hogan (i diritti del nome furono acquisiti dalla Marvel per 20 anni a causa della somiglianza tra il biondo italo-americano e l’energumeno verde dei fumetti)  rappresentava il piatto forte della serata. Praticamente invincibile, anche se qualche incontro da copione lo ha dovuto perdere, entrava nell’arena in delirio sulle note di un pezzo, «Real american», che decantava le sue doti democratico-patriottiche di statunitense che «lotta per i diritti di ogni uomo».

 

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Arrivato sul ring, si strappava la maglietta, come appunto l’incredibile Hulko, scena che ha ripetuto sul palco della Convention Repubblicana che incoronò Trump – un suo amico, che seguiva il wrestling e lo ospitava nei suoi hotel nei decenni della crescita – come candidato presidente lo scorso anno, a poche ore dal tentato assassinio di The Donald.

 

«Cosa è successo la settimana scorsa quando hanno sparato al mio eroe e hanno cercato di uccidere il prossimo presidente degli Stati Uniti? Basta così. Lascia che la Trump-mania si scateni, fratello. Lascia che la Trump-mania regni di nuovo. Lascia che la Trump-mania renda di nuovo grande l’America», aveva urlato, citando il motto della campagna di Trump.

 

Secondo alcuni, la visione del 70enne che si strappa la t-shirta dal palco dei comizi politici ha significato lo shift dell’intero partito, oramai totalmente trumpizzato, cioè spettacolarizzato, invaso da «personaggi» più che da burocrati.

 

 

Non aveva avuto una vita semplicissima. La gavetta è stata lunghissima: aveva girato il Paese, e pure, non senza pericoli, Paesi limitrofi (con il rischio di ledere gli interessi delle piccole «mafie» locali inerenti agli incontri di lotta), finendo pure per apparire nel difficile catch giapponese dei primi Ottanta – quello in cui, per intenderci, gareggiava il Taiga Masuku, conosciuto in Italia come «Uomo tigre», ma dove lo Hogan aveva soprattutto avuto a che fare con il celeberrimo lottatore nippo-brasiliano Antonio Inoki, per la cui dipartita Renovatio 21 aveva scritto un accorato omaggio tre anni fa.

 

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Assieme al manager della federazione di wrestling Vince McMahon – anche lui grande amico di Trump, che ha reso la moglie ministro alla Scuola USA – aveva costruito tassello dopo tassello l’intera galassia di intrattenimento che riempie stadi e palinsesti. Hogan lo ha raccontato, trasmettendo grande fascino e pure saggezza, in un memorabile podcast di Joe Rogan di qualche anno fa.

 

 

Con la famiglia, i problemi non erano mancati – per esempio con il figlio in galera per gare d’auto ubriaco che hanno menomato per sempre altre persone. La carriera al cinema (nonostante una precoce comparsata in Rocky III con Stallone) e in TV (dove era protagonista di un telefilm con un improbabile motoscafo anti-crimine Thunder in Paradise) non era mai davvero decollata. Poi c’era stato il caso più oscuro, quello della causa giudiziaria, di cui ancora oggi si parla.

 

Il sito scandalistico Gawker pubblicò spezzoni di un video dell’Hogan a letto con la moglie di un suo amico, un DJ radiofonico bizzarro e piuttosto controverso chiamato Bubba The Lovesponge («Bubba la Spugna d’amore», nome che ha assunto perfino all’anagrafe). Si dice che il Bubba potrebbe aver filmato lui la cosa per questioni, come dire, personali…

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L’episodio boccacesco, con sputtanamento globale a mezzo stampa, arrivò quando la vita di Hogan, tra divorzio e famiglia distrutta, sembrava segnata. Hogan non aveva i mezzi per combattere contro la testata: in USA le leggi sulla libertà di parola, almeno prima del COVID, sono fortissime, si pensi ai tanti casi della pornografia approvata dalla Corte Suprema oppure del video intimo di Pamela Anderson e di suo marito pubblicato da riviste, nonostante le rimostranze degli interessati.

 

Intervenne, a quel punto, un uomo di cui ora si parla moltissimo come «puparo» della nuova amministrazione Trump (e di certo scopritore e mecenate del vicepresidente JD Vance: il venture capitalist miliardario Peter Thiel, figura di estremo interesse di cui Renovatio 21 scrive da anni, allievo diretto del filosofo del sacrificio Réné Girard, primo investitore di Facebook e lucido pensatore riguardo alle evoluzioni di società e tecnologia.

 

Thiel sostenne segretamente la causa di Hogan contro Gawker con milioni di dollari e con il migliore studio legale di Los Angeles. Per capirne il motivo, bisogna sapere che nel 2009, un sito affiliato a Gawker aveva rivelato che Thiel era omosessuale, qualcosa che l’interessato non aveva mai detto pubblicamente, non ai suoi investitori (tra cui, magari, alcuni arabi…) e forse neppure alla famiglia.

 

Gawker fu condannato ad un risarcimento di oltre 100 milioni di dollari a Hogan, una cifra di fatto inesigibile, e venne quindi mandato in bancarotta. Quando giornali rivelarono il ruolo di Thiel nell’operazione, lui disse che era il miglior investimento filantropico fatto in vita sua, e ad una festa all’Halloween seguente il capitalista si presentò vestito appunto da Hulk Hogan.

 

Si tratta di un caso che ancora fa discutere: da una parte il Primo Emendamento della Costituzione Americana, quello che sancisce una libertà di parola pressoché assoluta; dall’altra parte – questo il calcolo dichiarato da Thiel quando venne allo scoperto – la possibilità della preminenza del Quarto Emendamento, il quale protegge i cittadini da perquisizioni e sequestri irragionevoli: rivelare il privato di qualcuno contro la sua volontà, dice Thiel, è un’infrazione di questo ulteriore pezzo della legge fondamentale americana, che va quindi calibrata.

 

Il lettore di Renovatio 21 tuttavia deve ricordare che Hulk Hogan fu autore di un denso, profondo breve scritto sul potere di Dio, e la nostra necessaria mortificazione, durante la prima fase della pandemia.

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Vogliamo riportarne le parole, perché sincere, perché teologicamente, pensiamo, piuttosto profonde, perché di fatto bellissime.

 

«In tre brevi mesi, proprio come ha fatto con le piaghe dell’Egitto, Dio ha portato via tutto ciò che adoriamo» aveva scritto Hogan in pieno lockdown pandemico . «Dio ha detto: “Tu vuoi adorare gli atleti, io chiuderò gli stadi. Tu vuoi adorare i musicisti, io chiuderò gli auditorii. Tu vuoi adorare gli attori, io chiuderò i teatri. Tu vuoi adorare i soldi, io chiuderò l’economia e farò crollare la borsa. Non vuoi andare in chiesa ed adorarmi, io farò in modo che non potrai più andare in chiesa”».

 

«“Se il mio popolo chiamato con il mio nome si umilierà, pregherà e cercherà il mio volto e si allontanerà dalle loro vie malvagie, allora ascolterò dal cielo e perdonerò il loro peccato e guarirò la loro terra”».

 

«Forse non abbiamo bisogno di un vaccino, forse dobbiamo prendere questo tempo di isolamento dalle distrazioni del mondo e avere un risveglio personale in cui ci concentriamo sull’UNICA cosa al mondo che conta davvero. Gesù».

 

È impossibile non vedere come, sotto strati di finzione americana di tutti i tipi, vi fosse un uomo vero, in cerca di una fede sempre maggiore, in cerca del senso ultimo delle cose.

 

Buon viaggio, Hulko. La terra ti sia lieve.

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Bibita col DNA di Ozzy Osbourne disponibile con pagamento a rate

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Una nuova partnership kitsch tra John «Ozzy» Osbourne e Liquid Death, il marchio di acqua in lattina, ha lanciato sul mercato una serie limitata di lattine di tè freddo infuso con il DNA del «reverendo rock».   Ovviamente il prodotto è andato subito a ruba ed è esaurito. Le lattine sono state tutte tracannate e schiacciate da Osbourne in persona, lasciando «tracce di DNA della sua saliva che ora potete possedere», secondo il sito web di Liquid Death.   Ma diciamoci la verità, non si compra lo scarto salivare di una rockstar per dissetarsi: lo si compra per fare necro-collezionismo probabilmente. Le leggende attorno al personaggio sono molteplici: si diceva che Ozzy fosse un mutante genetico, capace di resistere a secchiate di droga, alla rabbia per aver morso un pipistrello vivo e a un incidente quasi mortale in quad.   «Ozzy Osbourne è 1 su 1», recita il testo pubblicitario del sito, «ma stiamo vendendo il suo vero DNA così potrete riciclarlo per sempre».

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Ogni lattina viene consegnata in un «barattolo per campioni sigillato in laboratorio», etichettato con il nome del donatore, il numero del campione (su dieci) e la data del prelievo. Ozzy ha persino firmato il contenitore, apparentemente dando un assegno in bianco per qualsiasi futura clonazione.   «Ora, quando la tecnologia e la legge federale lo consentiranno, potrete replicare Ozzy Osbourne e godervi la sua musica per centinaia di anni nel futuro», si legge sul sito web. I pezzi disponibili sono solo 10 e sono stati venduti a 450 dollari ciascuno, anche in comode rate.    Vista la rarità del prodotto, il «bagarinaggio online» non poteva mancare: su eBay ce ne sono state due in vendita, ciascuna a migliaia di dollari.   Sui social media, i fan erano entusiasti della partnership di Ozzy con il suo brand, anche se il prezzo ha fatto storcere il naso a qualcuno. «Accidenti, avrei dovuto salvare il tuo DNA quando mi hai sputato addosso nell’84 durante un concerto alla LB Arena», ha scritto un fan su X.   Ozzy Osbourne, che da giovane sul palco aveva pure mangiato un pipistrello, è perito quattro mesi fa. Il fatto che fosse stato iniettato col vaccino COVID, che ci dicono venire da un chirottero di Wuhano, lo rende in qualche modo un personaggio simbolico della pandemica, e non solo di quella: alcuni hanno ipotizzato che la morte, avvenuta dopo una «lunga battaglia» (in genere dicono per qualche ragione così) contro il morbo di Parkinson, potrebbe costituire un caso di eutanasia.  

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Arruolamento forzato anche per l’autista ucraino di Angelina Jolie

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La visita a sorpresa della star di Hollywood ed ex ambasciatrice umanitaria ONU Angelina Jolie in Ucraina martedì scorso è stata interrotta dagli agenti della leva obbligatoria, che hanno arrestato un membro del suo entourage e lo hanno arruolato. Lo riporta la stampa locale.

 

L’episodio si è verificato a un posto di blocco militare vicino a Yuzhnoukrainsk, nella regione di Nikolaev, mentre il convoglio di Jolie era diretto verso una zona della regione di Kherson controllata da Kiev.

 

Nonostante avesse segnalato alle autorità di trasportare una «persona importante», un componente del gruppo – identificato in alcuni resoconti come autista, in altri come guardia del corpo – è stato fermato dagli ufficiali di reclutamento.

 

Un video circolato su Telegram mostra la Jolie (il cui vero nome è Angelina Jolie Voight, figlia problematica dell’attore supertrumpiano John Voight) recarsi di persona al centro di leva per tentare di ottenerne il rilascio.

 

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Secondo TASS, avrebbe persino cercato di contattare l’ufficio del presidente ucraino Volodymyro Zelens’kyj. Fonti militari ucraine avevano inizialmente riferito all’emittente locale TSN che la presenza della diva al centro non era legata all’arresto, sostenendo che aveva semplicemente «chiesto di usare il bagno». Le autorità hanno poi precisato che l’uomo, cittadino ucraino nato nel 1992 e ufficiale di riserva senza motivi di esenzione, era trattenuto per verifiche sulla mobilitazione.

 

Alla fine, l’attrice americana ha lasciato il membro dello staff e ha proseguito il viaggio. Gli addetti alla leva di Kiev sono stati aspramente criticati per i video virali che mostrano uomini trascinati nei furgoni, pratica nota come «busificazione».

 

L’indignazione pubblica è cresciuta, con numerose denunce di scontri violenti e persino decessi legati alla mobilitazione forzata. Il mese scorso, il giornalista britannico Jerome Starkey ha riferito che il suo interprete ucraino è stato «arruolato con la forza» a un posto di blocco di routine. «Il tuo amico è andato in guerra. Bang, bang!», avrebbe scherzato un soldato.

 

Anche le modalità di coscrizione ucraine hanno attirato l’attenzione internazionale: a settembre, il ministro degli Esteri ungherese Pietro Szijjarto ha condannato quella che ha definito «una caccia all’uomo aperta», accusando i governi occidentali di chiudere un occhio.

 

La Jolie aveva già visitato l’Ucraina nell’aprile 2022, poco dopo l’escalation del conflitto, in un periodo in cui numerose celebrità, come gli attori Ben Stiller e Sean Penn, si erano recate nel Paese. Il primo ministro ungherese Vittorio Orban ha sostenuto che le star di Hollywood venivano pagate tramite USAID – il canale USA per finanziare progetti politici all’estero, ormai chiuso – per promuovere narrazioni pro-Kiev.

 

In seguito l’autista, di nome Dmitry Pishikov, ha dato una sua versione dell’accaduto.

 

«A quel posto di blocco mi hanno fermato per qualche motivo, senza spiegazioni, e mi hanno chiesto di seguirli in auto per chiarire alcuni dettagli. Evidentemente con l’inganno», ha dichiarato Pishikov a TSN in un’intervista pubblicata venerdì.

 

È stato portato in un centro di leva locale, dove è stato trattenuto con falsi pretesti, ha aggiunto. «”Dieci minuti, c’è un piccolo dettaglio, ti lasceremo andare non appena avremo chiarito la situazione”, hanno detto. Hanno mentito», ha riferito all’emittente, aggiungendo di essere ancora «un po’ indignato» per le azioni dei funzionari della coscrizione.

 

L’uomo dichiarato a TSN che venerdì si trovava in un centro di addestramento militare e che «verrà addestrato e presterà servizio nell’esercito».

 

Igor Kastyukevich, senatore della regione russa di Kherson – la parte controllata dall’Ucraina visitata da Jolie – ha condannato il viaggio definendolo «un’altra trovata pubblicitaria che sfrutta la fame e la paura». Nessuna visita di star di Hollywood «che usa i soldi dei contribuenti americani ed europei» aiuterà la gente comune, ha dichiarato alla TASS.

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Nuova serie gay sui militari americani: il Pentagono contro Netflix

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Il Pentagono ha accusato Netflix di produrre «spazzatura woke» per una sua nuova serie incentrata su un marine gay. La serie ha debuttato durante la campagna del presidente Donald Trump e del Segretario alla Guerra Pete Hegseth per eliminare la «cultura woke» dall’esercito.   Kingsley Wilson, portavoce del dipartimento della Guerra, ha dichiarato a Entertainment Weekly che il Pentagono non appoggia «l’agenda ideologica» di Netflix. L’esercito americano «non scenderà a compromessi sui nostri standard, a differenza di Netflix, la cui leadership produce e fornisce costantemente spazzatura woke al proprio pubblico e ai bambini», ha detto Kingsley, sottolineando che il Pentagono si concentra sul «ripristino dell’etica del guerriero».   «I nostri standard generali sono elitari, uniformi e neutrali rispetto al sesso, perché al peso di uno zaino o di un essere umano non importa se sei un uomo, una donna, gay o eterosessuale», ha aggiunto la portavoce.   Lo Hegseth ha introdotto nuovi requisiti fisici «di livello maschile» per affrontare situazioni di «vita o morte» in battaglia, affermando: «Gli standard devono essere uniformi, neutri rispetto al genere ed elevati. Altrimenti, non sono standard» criticando approcci alternativi che «fanno uccidere i nostri figli e le nostre figlie». A febbraio, il Segretario alla Guerra ha definito il motto «la diversità è la nostra forza» come il «più stupido» nella storia militare.   Il Pentagono lotta da anni con carenze di reclutamento, registrando nel 2023 un deficit di 15.000 unità, il peggiore dalla fine della leva obbligatoria nel 1973. I repubblicani attribuiscono il problema all’eccessiva enfasi sulla diversità a scapito della preparazione militare, come evidenziato da un rapporto del 2021 che criticava la Marina per aver prioritizzato la «consapevolezza» rispetto alla vittoria in guerra.  

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