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Viaggio letterario nel «Gotico meridionale» americano

Gli Stati Uniti sono, a ragione, definiti al plurale. L’Illinois o lo Stato di New York sono del tutto diversi dall’Alabama o dalla Louisiana. E, dal punto di vista letterario, gli stati del Sud si sono spesso rivelati molto più interessanti.
Vi nacque un vero e proprio genere letterario, il cosiddetto Southern Gothic, che sfornò diversi importanti autori, come William Faulkner, Tennessee Williams, Walker Percy. Ad essi vanno aggiunti autori come Truman Capote, Lee Harper, autrice del capolavoro Il buio oltre la siepe, voce della retta coscienza americana nei confronti del razzismo, e infine la geniale Flannery O’Connor.
Se è vero che la culla dell’intellighentia americana è stato il New England, è altrettanto vero che il Sud ha prodotto un numero di autori veramente impressionante e questo particolare filone narrativo caratterizzato da ambientazioni decadute o abbandonate, situazioni grottesche e altri eventi sinistri spesso derivanti dalla povertà, dall’alienazione, dal crimine o dalla violenza, e da personaggi profondamente imperfetti, inquietanti o eccentrici.
Il genere prese vita nel Novecento quando il romanticismo, l’umorismo tipicamente meridionale e il nuovo naturalismo letterario si fusero in una nuova e potente forma di critica sociale. Il materiale tematico era in gran parte il risultato della cultura esistente nel Sud dopo il crollo della Confederazione. Un crollo che determinò un vuoto di valori, il rancore verso il Nord che dopo la vittoria militare aveva infierito duramente nei confronti dei vinti, e aveva visto anche andare in crisi la religiosità cristiana, con una frammentazione n una infinita varietà di denominazioni confessionali.
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Il termine «Southern Gothic» fu originariamente usato dalla critica in senso molto negativo. Venne coniato in relazione agli scritti di Erskine Caldwell e William Faulkner.
Lo stile del gotico meridionale impiega macabri e ironici eventi per esaminare i valori del Sud. Quindi, a differenza del genere originale, usa gli strumenti «gotici» non solo per il gusto della suspense, ma per esplorare i problemi sociali e rivelare il carattere culturale degli elementi del Sud. Una esplorazione della decadenza e della disperazione, delle continue pressioni del passato sul presente, in particolare con gli ideali perduti di un’aristocrazia meridionale espropriata e continue ostilità razziali. I cattivi che si travestono da innocenti o vittime si trovano spesso in questo tipo di letteratura, in particolare nei libri di Flannery O’Connor.
Tutto il fascino torbido della Southern Gothic è stato rinnovato da colui che è considerato uno dei più grandi interpreti americani del genere Mystery, quello che in Italia è chiamato Giallo, una etichetta che spesso relega alla narrativa di genere quelli che sono semplicemente romanzi a tutto tondo, narrazioni che vanno al cuore dell’uomo e della vita.
James Lee Burke, classe 1936, evidenti origini irlandesi, è nato a Houston, in Texas. Ha studiato alla University of Louisiana at Lafayette ed alla University of Missouri, ricevendo rispettivamente un Bachelor of Arts e un Master of Arts in Letteratura inglese. Vistosi a lungo rifiutati i suoi dattiloscritti, ha lavorato nell’industria petrolifera, nel giornalismo e come assistente sociale in una zona disagiata di Los Angeles. Dagli anni Ottanta ha insegnato Scrittura creativa alla Wichita State University.
La sua carriera di narratore ha avuto un inizio assai travagliato: alcuni dei suoi primi romanzi sono stati rifiutati decine di volte da case editrici grandi e piccole. Solo la creazione del personaggio di Dave Robicheaux, nel 1987, gli ha fatto conseguire notorietà internazionale. Burke è uno dei pochissimi autori ad aver vinto due volte l’Edgar Award, nel 1990 e nel 1998, oltre il premio alla carriera (il Grand Master Award) a lui assegnato nel 2009.
Burke e sua moglie, Pearl, vivono attualmente tra Lolo, in Montana e New Iberia, in Louisiana. Anche sua figlia Alafair Burke, già vice procuratore distrettuale nell’Oregon e oggi professore universitario di Giurisprudenza, è una nota scrittrice di polizieschi e thriller.
Dave Robicheaux, il personaggio più famoso di Burke, è stato portato sugli schermi due volte: da Alec Baldwin (in Omicidio a New Orleans, 1996, diretto da Phil Joanou) e da Tommy Lee Jones (L’occhio del ciclone – In the Electric Mist, 2009, con la regia di Bertrand Tavernier).
Il talento narrativo dello scrittore texano è stato accostato dalla critica nientemeno che a Ernest Hemingway, e il paragone non ci sembra troppo azzardato. Personalmente, nel mare magnum dell’opera di Burke, prediligo la serie che ha come protagonista Robicheaux, un detective di circa cinquant’anni, già investigatore della Squadra Omicidi di New Orleans, poi trasferitosi in un piccolo centro di circa 30.000 abitanti, New Iberia, nella Louisiana profonda, dove un tempo c’erano piantagioni.
Il ritratto del Sud, la sconfitta e orgogliosa Dixieland, che esce da queste pagine è straordinariamente vivido. Una società che lotta contro i ricordi e la cultura dei vinti è vista da un uomo a sua volta in conflitto con i propri demoni interiori, dall’alcol ai ricordi dolorosi della guerra in Vietnam, dalla depressione alle difficoltà dell’infanzia vissuta nella Louisiana rurale, all’assassinio della madre.
Robicheaux non è uno dei tanti detective «maledetti» della narrativa Mystery: è l’ultimo dei cavalieri erranti, è l’ultimo dei Don Chisciotte.
Va reso merito alla casa editrice romana Jimenez di aver tradotto e pubblicato le opere di Burke. Segnalo in particolare proprio il ciclo di Robicheaux, giunto al più recente episodio, pubblicato nell’ottobre scorso, New Iberia Blues: un’opera toccante, dal ritmo narrativo tipico del Giallo, ma profonda come un testo mitologico o epico, intensa come una tragedia di Shakespeare.
Amore e morte, onore e tradimento, male e giustizia, in una affascinante versione Dixie.
Paolo Gulisano
Articolo previamente apparso su Ricognizioni.
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Mons. Viganò offre la sua preghiera per il pittore Gasparro

L’arcivescovo Carlo Maria Viganò ha scritto su X un messaggio di solidarietà per l’artista Giovanni Gasparro, che ora rischia sei mesi di carcere per aver dipinto un quadro che ritrae il martirio di San Simonino, il bambino secondo la tradizione cattolica (che, fino al Concilio Vaticano II, lo venerava come beato) trucidato dagli ebrei di Trento in un atto di omicidio rituale.
«La rappresentazione del martirio di San Simone di Trento risponde alla narrazione riportata negli atti processuali ed è confermata dagli studi di Ariele Toaff, in particolare da “Pasque di sangue”, pubblicato nel 2007» scrive monsignor Viganò, ricordando il famoso caso editoriale che oramai quasi due decenni fa sconvolse l’Italia e il mondo.
«Quanti accusano di antisemitismo i Cattolici che venerano come Martire il piccolo Simonino sono più preoccupati dei carnefici che della vittima, verso cui continuano a vomitare il loro odio».
La rappresentazione del martirio di San Simone di Trento risponde alla narrazione riportata negli atti processuali ed è confermata dagli studi di Ariele Toaff, in particolare da “Pasque di sangue”, pubblicato nel 2007.
Quanti accusano di antisemitismo i Cattolici che venerano… https://t.co/RQOVzgxvsI
— Arcivescovo Carlo Maria Viganò (@CarloMVigano) September 25, 2025
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«Questa narrazione non incanta più nessuno» dichiara l’arcivescovo, che offre «Tutta la mia preghiera e solidarietà per Giovanni Gasparro».
Simonino di Trento, noto da tutti come San Simonino (1472-1475), bambino di due anni e mezzo, fu trovato morto durante la Pasqua del 1475, venerato come beato dalla Chiesa cattolica sino al Concilio Vaticano II. A seguito del ritrovamento in una roggia del corpo (che, secondo voci, da qualche parte ancora dovrebbe esserci…), quindici ebrei di Trento furono interrogati con la tortura, e confessarono. Furono messi a morte. Il culto di Simonino divenne nei secoli, e non solo per il mondo cattolico, la prova dell’esistenza dell’omicidio rituale ebraico.
Lo studio storico Pasque di Sangue, edito per i tipi prodiani de Il Mulino esamina il contesto storico e culturale dell’ebraismo ashkenazita medievale in diaspora, dove nacque l’accusa agli ebrei di compiere omicidi rituali di bambini cristiani durante la Pasqua, utilizzando il loro sangue per presunti riti anticristiani.
Nel saggio, da un lato Toaff rigetta l’idea di omicidi rituali come mito cristiano, in linea con la storiografia tradizionale che considera tali accuse una montatura delle autorità cristiane, dall’altro suggerisce che, pur mancando prove dell’uso magico o superstizioso del sangue, non si può escludere che singoli individui, forse legati a gruppi estremisti ashkenaziti, possano aver compiuto tali pratiche. In particolare, vi sarebbero elementi che farebbero pensare a collegamenti con culti cabalistici dell’ebraismo dell’Europa orientale.
Il libro fu precipitosamente ritirato dalle librerie poche ore dopo l’uscita, mentre sui giornali impazzava la polemica.
Toaff, va ricordato, è figlio del già rabbino capo di Roma Elio Toaff, la cui «amicizia» con Giovanni Paolo II è stata spesso raccontata ai media. Ariel, professore universitario che insegna storia medievale ad Haifa, ha recentemente pubblicato un post in lingua italiana sui social in cui condanna senza appello quanto Israele sta facendo a donne e bambini palestinesi.
Una smentita alle storie sull’omicidio di bambini è giunta la scorsa settimana per bocca dello stesso premier israeliano Beniamino Netanyahu in un suo intervento alla TV americana per negare che Israele abbia ucciso Charlie Kirk.
🚨🇮🇱🇺🇸 BREAKING: NETANYAHU claims “ISRAEL did NOT ASSASSINATE Charlie Kirk”
What an odd thing for a world leader who is busy bombing 7 countries to say… pic.twitter.com/Nc6WMWENif
— Jackson Hinkle 🇺🇸 (@jacksonhinklle) September 12, 2025
«Nei secoli, specialmente nel Medio Evo, sono state dette le peggiori cose che si potevano dire riguardo agli ebrei: avvelenavamo i pozzi, noi bevevamo il sangue dei bambini cristiani… di tutto e di più… ciò è continuato sino all’Olocausto, i nazisti hanno detto le stesse cose» ha spiegato Netanyahu al canale della destra americana Newsmax, raccontando che ogni volta che queste cose sono state creduto ciò a portato a massacri, «culminando con il più grande massacro di tutti, l’Olocausto».
Nel frattempo, nel mondo impazzano le accuse per l’uccisione di migliaia di bambini, per bombe o per fame, nella campagna militare israeliana a Gaza.
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Quadro su San Simonino da Trento, chiesti sei mesi di carcere per il pittore Gasparro

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