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Trump dice di odiare Taylor Swift

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Donald Trump si è scagliato contro la superstar del pop Taylor Swift per aver appoggiato la sua rivale alle prossime elezioni, la vicepresidente Kamala Harris.

 

In un breve post scritto tutto in maiuscolo sulla sua piattaforma Truth Social domenica, l’ex presidente e candidato repubblicano ha scritto: «ODIO TAYLOR SWIFT!»

 

La Swift, ampiamente ritenuta essere la cantante più popolare al mondo, ha annunciato ai suoi 284 milioni di follower su Instagram la scorsa settimana che avrebbe votato per «Kamala Harris e Tim Walz alle elezioni presidenziali del 2024».

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La diva nullipara ha descritto Harris come una «leader dotata» che «combatte per i diritti e le cause» che hanno bisogno di «un guerriero che li sostenga», insieme al sostegno del suo compagno di corsa per i «diritti LGBTQ+».

 

Come noto, il Walz, governatore del Minnesota, ha fatto del suo Stato un «santuario» per le transizioni di genere giovanili, proibite negli ultimi anni in vari Stati della Federazione, con grande scorno dei gruppi omotrasessualisti che hanno assaltato i campidogli delle capitali statali per protestare.

 

La 34enne controversa cantante ha accompagnato il suo post con una foto di sé stessa con un gatto, firmandola «Gattara senza figli», in un apparente riferimento alla battuta del candidato repubblicano alla vicepresidenza JD Vance di tre anni fa, secondo cui il Partito Democratico è gestito «da un gruppo di gattare senza figli».

 

 

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Considerando il peso che la Swift è ritenuta avere per il Partito Democratico USA, le parole del Vance rivelano una verità incontrovertibile: l’ugola miliardaria è priva di prole, e a quanto sembra ama accompagnarsi di felidi.

 

Nel post, la Swift, la cui fan base è composta in gran parte da giovani donne note come «Swifties», ha esortato i suoi follower a esprimere il loro voto a novembre.

 

Alcuni analisti politici, ripresi dai giornali mainstream, avevano notato nei mesi scorsi che le Swifties potrebbero valere milioni di voti, quindi direzionabili a piacimento dalla cantante verso il Partito Democratico. Alcune voci, tuttavia, sostengono che questa sia una storia messa in piedi solo per giustificare anomalie statistiche alle prossime elezioni: in pratica, quando i Democratici verranno accusati dai trumpiani di aver truccato anche queste elezioni, il voto swifty sarà una possibile pezza d’appoggio.

 

Ulteriori speculazioni erano addirittura arrivate a considerare la Swift come un asset del Deep State americano o del Pentagono o financo della NATO. In effetti, una clip di una conferenza del Centro di eccellenza per la difesa informatica cooperativa della NATO del 2019 la Swift veniva definita una «potente influencer». Il giornalista di Fox Jesse Watters dichiarava quindi che «È vero l’unità PsyOp [operazioni di guerra psicologica, ndr] del Pentagono ha proposto alla Nato di trasformare Taylor Swift in una risorsa per combattere la disinformazione online».

 

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L’attenzione dei servizi segreti nei confronti della Swift è emersa anche poche settimane fa, quando il concerto di Vienna fu annullato: la stessa CIA ha dichiarato che terroristi ISIS pianificavano di uccidere diecine di migliaia di fan della cantante.

 

Nel discorso di ringraziamento agli MTV Video Music Awards dello scorso mercoledì, la star della canzone ha ribadito l’appello, dicendo: «se hai più di 18 anni, registrati per votare per qualcosa di molto importante… le elezioni presidenziali».

 

Secondo la società di dati TargetSmart, l’intervento di Swift ha innescato un aumento del 500% delle registrazioni degli elettori.

 

Secondo la CNN, nelle prime 24 ore successive al suo appoggio, Vote.gov ha registrato 405.999 visitatori diretti al sito ufficiale delle elezioni direttamente dal profilo Instagram di Swift.

 

I sostenitori di Harris hanno accolto con favore il sostegno della Swifta, con il CEO di Vote.org Andrea Hailey che ha affermato che «l’impatto di Taylor Swift sul coinvolgimento degli elettori è innegabile».

 

Nel frattempo , gli elettori repubblicani hanno criticato il suo intervento, sostenendo che le celebrità «non sono esperti di politica» e che le loro opinioni non dovrebbero influenzare il voto di una persona.

 

«Prima che Taylor Swift influenzi il tuo voto, vorrei ricordarti che il 90% delle sue canzoni di successo parlano di come scegliere la persona sbagliata», si legge in un meme di tendenza su X.

 

Un recente sondaggio di YouGov ha indicato che la maggior parte degli intervistati riteneva che l’appoggio di Swift avesse aiutato la campagna di Harris «molto» o «un po’» , con il 41% che riteneva che non avrebbe dovuto parlare pubblicamente di politica.

 

In un evento live con Tucker Carlson, la popolare giornalista Megyn Kelly ha mandato un messaggio preciso a Taylor Swift, più duro ancora di quello di Trump.

 

«Vaffanculo Taylor Swift!»

 

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Nell’elaborazione della sua posizione, la Kelly ha dipinto una scena molto persuasiva, raccontando la possibile storia di una minorenne di un altro Stato che grazie a Tim Walz – il campione dei «diritti LGBT» per cui la Swift chiede di votare – andrà in Minnesota a farsi amputare le mammelle e ad essere sottoposto a cure ormonali, trattamenti che di fatto la sterilizzeranno.

 

Più tardi, ipotizza la giornalista, la ragazza transessualizzata potrebbe pentirsi di quel che ha fatto, che però è irreversibile. E quindi la sua vita è rovinata.

 

La Kelly ha specificato che molti di questi casi riguardano bambini nello spettro autistico, una circostanza nota ai lettori di Renovatio 21 che sta ora affiorando nel mainstream.

 

Come riportato da Renovatio 21, alcune voci come quella del dottor Peter McCullough stanno ipotizzando una correlazione tra l’ipervaccinazione dei bambini e l’aumento dell’autismo e quindi del transgenderismo.

 

La Swift si è rivelata controversa anche dal punto di vista spirituale.

 

Come riportato da Renovatio 21avvertimenti sul tour mondiale della Swift, e in particolare riguardo la canzone «Willow», sono stati lanciati negli scorsi mesi da varie voci, tra cui quella dell’esorcista americano padre Dan Reehil, che ha indicato come questo spettacolo alluda di fatto alla stregoneria e che «probabilmente attira molti demoni ai suoi concerti».

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Immagine di makaiyla willis via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
 

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Nuova serie gay sui militari americani: il Pentagono contro Netflix

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Il Pentagono ha accusato Netflix di produrre «spazzatura woke» per una sua nuova serie incentrata su un marine gay. La serie ha debuttato durante la campagna del presidente Donald Trump e del Segretario alla Guerra Pete Hegseth per eliminare la «cultura woke» dall’esercito.   Kingsley Wilson, portavoce del dipartimento della Guerra, ha dichiarato a Entertainment Weekly che il Pentagono non appoggia «l’agenda ideologica» di Netflix. L’esercito americano «non scenderà a compromessi sui nostri standard, a differenza di Netflix, la cui leadership produce e fornisce costantemente spazzatura woke al proprio pubblico e ai bambini», ha detto Kingsley, sottolineando che il Pentagono si concentra sul «ripristino dell’etica del guerriero».   «I nostri standard generali sono elitari, uniformi e neutrali rispetto al sesso, perché al peso di uno zaino o di un essere umano non importa se sei un uomo, una donna, gay o eterosessuale», ha aggiunto la portavoce.   Lo Hegseth ha introdotto nuovi requisiti fisici «di livello maschile» per affrontare situazioni di «vita o morte» in battaglia, affermando: «Gli standard devono essere uniformi, neutri rispetto al genere ed elevati. Altrimenti, non sono standard» criticando approcci alternativi che «fanno uccidere i nostri figli e le nostre figlie». A febbraio, il Segretario alla Guerra ha definito il motto «la diversità è la nostra forza» come il «più stupido» nella storia militare.   Il Pentagono lotta da anni con carenze di reclutamento, registrando nel 2023 un deficit di 15.000 unità, il peggiore dalla fine della leva obbligatoria nel 1973. I repubblicani attribuiscono il problema all’eccessiva enfasi sulla diversità a scapito della preparazione militare, come evidenziato da un rapporto del 2021 che criticava la Marina per aver prioritizzato la «consapevolezza» rispetto alla vittoria in guerra.  

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia  
 
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Da Nasser a Sting e i Police: il mistero di Miles Copeland, musicista e spia della CIA

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La I.R.S. Records venne fondata nel 1979 da Miles Copeland III. L’etichetta produsse alcuni tra i più rappresentativi artisti musicali degli anni Ottanta. L’influenza che esercitò nel punk inglese e nella new wave fu fondamentale producendo prodigi come i Police, i R.E.M., i Dead Kennedys. Il logo della casa discografica statunitense ritraeva un uomo in primo piano con un cappello anni ’50 stilizzato in bianco e nero e chiamato spy guy

 

Un altro fratello Copeland, Ian (1949-2006), fondò la Frontier Booking International, in acronimo F.B.I., una agenzia di talenti specializzata nella musica e che rappresentò tra gli altri anche i R.E.M., Jane’s Addiction, Snoop Dog, Sting. 

 

Il terzo fratello Copeland, Steward invece era il batterista dei Police e quindi proprio di Sting. Entrato di diritto nella Rock and Roll Hall of Fame come membro dei Police, venne aggiunto anche nella Modern Drummer Hall of Fame e nella Classic Drummer Hall of Fame. Ha avuto poi una carriera come compositore di colonne sonore per il cinema, musicando pellicole rimaste nella storia come il capolavoro di Francis Ford Coppola Rusty il selvaggio (1983), Wall Street (1987) e Talk Radio (1988) di Oliver Stone, Riff-Raff (1991) e Piovono pietre (1993) di Ken Loach e pure il videogioco Alone in the Dark.

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Se i tre fratelli denotano una esagerata presenza di talento scorrere nelle loro vene quello che sorprende ancora di più è la fonte da cui questi tre fenomeni derivano. Il loro padre, di nome Miles Copeland, fu uno dei fondatori della CIA nonché musicista e personaggio eccezionale nel panorama politico dalla Seconda Guerra Mondiale in avanti. 

 

Prima della guerra, ancora in Alabama provò a seguire le orme del padre iscrivendosi alla locale università con l’intenzione di diventare medico. Folgorato dal jazz, invece, comprò una tromba e si diede totalmente allo swing. Nel giro di poco si ritrovò a suonare e comporre con giganti come Glenn Miller, Benny Goodman, Buddy Rich, racconta lo storico John Simkin in un suo articolo.

 

Arrivò però Pearl Harbour e la direzione della sua vita cambiò completamente. Entrò a far parte dell’ufficio finanziario della guardia nazionale. Racconta proprio il sito della CIA che un giorno gli venne chiesto di ripetere un test d’intelligenza perché, dal risultato ottenuto, erano tutti convinti che avesse utilizzato un trucco. Una volta ripetuto guadagnò un risultato se possibile ancora maggiore. 

 

L’esito del test attirò l’attenzione del generale William «Wild Bill» Donovan, direttore di una nuova agenzia chiamata Office of Strategic Service (OSS), la prima agenzia americana che fungeva da servizio segreto. Donovan, che stava formando la base della nuova agenzia, era sempre alla ricerca dei migliori prospetti e con le migliori connessioni. Miles aveva senza dubbio colpito il generale anche per quello che il figlio Stewart chiamava il gift of gab, il dono della chiacchiera. Era un abile oratore e una persona di grande spirito per cui creare empatia non era mai stato un problema.

 

Amava giocare, si considerava un giocatore, prendeva parte con entusiasmo alle simulazioni di guerra. Nel dopo guerra creò un gioco da tavola cult basato sul suo fondamentale libro, pieno di rivelazioni, Games of Nation, anche questo diventato introvabile oggetto di culto.

 

Mentre era Londra Copeland divenne amico di Boris Pash, capo della sicurezza del Manhattan Project e anche di Ernest Hemingway. Venne assegnato a dirigere la scuola di controspionaggio, la Corps of Intelligence Police, che divenne nel 1942 la Counterintelligence Corps, CIC, partecipazione che gli valse la Legione di Merito. Copeland partecipò attraverso la CIC all’operazione Overlord, lo sbarco in Normandia ed era parte della BIGOT list, acronimo per British Invasion of German Occupied Territory, un ristrettissimo gruppo di persone con un passato inattaccabile e degne di ottenere i documenti più protetti e riservati. 

 

La CIC, oltre ad impegnarsi nel più famoso Manhattan Project si occupò anche di altri progetti di spicco per l’epoca. Uno di questi, la missione ALSOS, diretta da Boris Pash, era il tentativo da parte degli alleati di raccogliere quante più informazioni possibili sugli sviluppi scientifici nazisti in ambito nucleare; quindi l’operazione Paperclip che cooptò oltre 1600 scienziati, ingegneri e tecnici vari dalla Germania nazista per reinserirli in ambito per lo più scientifico militare statunitense; l’operazione TICOM che aveva come scopo l’impadronirsi di risorse riguardanti la crittografia e le ultime vette della ricerca scientifica sulle telecomunicazioni, ambito in cui i tedeschi eccellevano. Alla fine della guerra Copeland venne anche incaricato di redigere la cronaca del controspionaggio del periodo appena trascorso, intervistando decine di spie e scienziati nazisti. 

 

In seguito alla trasformazione dell’OSS in CIA, Copeland partecipò alla messa a punto del progetto fino alla sua realizzazione nel 1947, anno di nascita della più grande agenzia spionistica americana. Dopodiché ottenne la gestione dell’ufficio dell’agenzia a Damasco in Siria e divenne l’uomo in Medio Oriente per i servizi statunitensi. Nel marzo del 1949 supportò il colpo di stato in Siria in cui venne deposto il governo legalmente eletto in favore del potere militare. Nel 1953 prese parte all’operazione Ajax incaricata di destituire il primo ministro iraniano, Mohammed Mossadegh, reintegrando Reza Pahlavi, assicurando così l’accesso statunitense al petrolio iraniano e contemporaneamente istituendo un avamposto del primo mondo contro i sovietici. 

 

Fluente in almeno dieci lingue, divenne amico personale del presidente egiziano Nasser. Nonostante il cammino tra USA e Egitto avesse preso due strade differenti e i servizi americani avessero preso in considerazione operazioni estreme verso il presidente africano Copeland rimase genuinamente al suo fianco e un ammiratore dell’opera politica di Nasser. 

 

Mantenne ufficialmente questo ruolo per dieci anni costruendo la posizione dell’Intelligence americana nel territorio attraverso il reclutamento di agenti in loco e la costruzione delle reti informative necessarie.

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In seguito, dopo aver rassegnato le dimissioni perché in totale disaccordo con le politiche di Eisenhower, continuò a lavorare privatamente nel solco dell’Intelligence a stelle e strisce fino agli anni Settanta quando si distaccò completamente dando vita a una nuova carriera di autore. I vari articoli e libri che scrisse ottennero un notevole successo ma ebbero anche la conseguenza di esacerbare definitivamente i rapporti con l’agenzia governativa. Nel 1988, scrisse un articolo «Spooks for Bush» in cui dichiarò il totale supporto del mondo dell’Intelligence verso la candidatura di G. W. Bush all’elezione come presidente del 1994.

 

E. Micheal Burke, ex ufficiale OSS, CIA, e in seguito con una importante carriera nel mondo dello spettacolo, scrisse nell’agosto 1974 una recensione su uno dei suoi testi più famosi Without cloak or dagger (1974). Copeland nel suo libro descriveva la CIA come il demonio di cui ignoriamo l’esistenza, gestita da una cricca di vecchi commilitoni abbastanza potenti da buttare giù un direttore non particolarmente apprezzato come James Schlesinger.

 

La CIA è un organo interno più potente dei vari governi succedutosi sullo sfondo che ha come grande dilemma trovare il modo per restare potenti, anonimi, silenziosi ma allo stesso vincere la confidenza del pubblico. Come scrive Copeland nel libro: «conosciamo il nemico, sappiamo come gestirlo, siamo incorruttibili. Anche se non ci conoscete, potete implicitamente fidarvi di noi».

 

Marco Dolcetta Capuzzo

 

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Amazon Prime Video rimuove tutte le armi e le Bond Girls dai poster dei film di 007. Poi ci ripensa

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La piattaforma streaming di Amazon Prime Video ha recentemente rimosso tutte le armi e le Bond girl dalle locandine dei film di James Bond. Poi nelle ultime ore, sembra aver ripristinato la versione originale.   L’amata serie di pellicole di spionaggio 007, dove le pistole giuocavano un ruolo grafico sin dalle locandine, si trova ancora sotto il tallone della cultura woke, e quindi della censura e dell’orwelliana cancellazione della storia.   È ridicolo, e antistorico, vedere il comandante Bond a braccia conserte senza la sua arma (che è variata, dagli anni, da una Walther PPK a una Beretta forse di modello 418 o 950) impugnata disinvoltamente – un elemento che è parte fondamentale dello stesso personaggio, elegante e pericoloso, come il mondo in cui la spy-story promette di immergere lo spettatore.      

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In particolare, tutte le armi sembravano essere state rimosse da immagini già note, tra cui un ritratto di Sean Connery con una pistola Walther PPK tra le braccia incrociate, utilizzato come foto pubblicitaria per la pellicola Dr. No e ora esposto alla National Portrait Gallery di Londra. Un poster teaser ampiamente visto per il film Spectre con Daniel Craig è stato apparentemente modificato per eliminare la pistola che tiene al fianco (sebbene la fondina ascellare indossata da Craig sia ancora visibile).   Un ritocco simile sembrava essere stato effettuato su un’immagine pubblicitaria di Roger Moore in Agente 007 Vivi e lascia morire, in cui Moore impugna una .44 Magnum, un allontanamento dalla tradizione di Bond di pistole relativamente piccole.   Le immagini modificate digitalmente dei poster originali dei film sono un insulto agli artisti che le hanno create e ai fan che le hanno guardate negli ultimi 63 anni – oltre che all’idea stessa che sta alla base del racconto di James Bond.  

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L’establishment progressista cerca di cancellare le armi dall’immaginario cinematografico classico, mentre il transgenderismo e i temi satanici vengono promossi in film e cartoni pensati per bambini.   Notizia delle ultime ore, Amazon si averci ripensato: dopo il pubblico clamore, le pistole sono tornate sulle locandine.   La mossa era arrivata dopo che Amazon ha acquisito i diritti del film acquistando gli studi MGM per un miliardo di dollari all’inizio di quest’anno e si appresta a lanciare un nuovo film diretto da Denis Villeneuve (il regista di The Arrival, Blade Runner 2049, e del recente, noiosissimo, Dune), scritto e diretto da Steven Knight, il cui nuovo attore di Bond deve ancora essere annunciato.   In passato si è speculato sull’arrivo di un Bond negro (si è fatto il nome del divo anglo-nigeriano Idris Elba) o di una Bonda. In realtà, una potente anticipazione era nell’ultimo film No Time to Die con Daniel Craig – la cui scelta come protagonista della serie, una ventina di anni fa, fu contestata da un gruppo di fan: è biondo – dove saltava fuori una agente MI6 nera e statuaria (tipo Grace Jones, per intenderci), seduttiva e letale anche più del Bond stesso.   No Time to Die sconvolse gli aficionados perché mostrava un atto incomprensibile per chi conosce la saga: la morte di James Bond, un fatto narratologicamente, archetipicamente inconcepibile, in quanto il tema profondo della serie è, senza dubbio alcuno, il mito dell’eroe invincibile.   La castrazione del carattere di 007 era presente nei film dell’era Craig anche in precedenza: il filosofo ratzingeriano coreano Byung-chul Han nel suo saggio La società della stanchezza indicava la stranezza di vedere in Skyfall (2012) un James Bond affaticato e depresso, con traumi psicanalitici che riemergono.   Il codice «007» è in realtà un riferimento preciso che il romanziere (e vero agente segreto) britannico Ian Fleming faceva agli intrecci tra l’occultismo e la storia di Albione, in particolare nel momento in cui Londra si separò dalla Chiesa cattolica e cioè dall’Europa.   Il primo «oo7» fu infatti John Dee (1527-1608), matematico, geografo, alchimista, astrologo, astronomo ed occultista inglese che organizzo i servizi segreti britannici nella sua visione di un nuovo mondo fatto di colonie dell’«Impero britannico», un’espressione che alcuni dicono sia stata coniata proprio da lui stesso.   Nei messaggi cifrati riservati alla regina Elisabetta I Dee apponeva la sigla «007» in cui gli zeri erano due occhi, il sette un numero fortunato.

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