Politica
Trump dice che Biden è stato vittima di un «un colpo di Stato». La Casa Bianca è in mano a «fascisti, comunisti e marxisti»

Il Partito Democratico ha «organizzato un colpo di Stato» contro il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden, ha affermato l’ex Presidente Donald Trump. Trump ha precedentemente affermato che Barack Obama ha orchestrato il ritiro di Biden dalla corsa presidenziale del 2024.
Biden ha sospeso la sua candidatura alla rielezione il mese scorso, dopo una campagna di pressione durata settimane in cui importanti esponenti del partito democratico, tra cui l’ex presidente della Camera Nancy Pelosi e l’ex presidente Barack Obama, e i donatori del partito hanno convinto l’81enne che non avrebbe potuto sconfiggere Trump a novembre.
«Hanno organizzato un colpo di stato contro il Presidente degli Stati Uniti», ha detto Trump a Laura Ingraham di Fox News in un’intervista questa settimana. “Sono entrati e gli hanno detto “te ne vai, sei molto più in basso nei sondaggi”, 17 punti, credo».
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«È come se fossi in lotta con qualcuno, e tu stessi davvero vincendo, e loro lo eliminano e mettono dentro qualcun altro», ha continuato. «Nessuno ne aveva mai sentito parlare prima. Questo è un colpo di Stato».
Parlando al New York Post il mese scorso, Trump ha affermato che Obama «non sopporta»Biden e ha avuto un ruolo di primo piano nell’estromettere il suo ex vicepresidente dalla corsa.
«Lo hanno scaricato tutti e hanno detto, “O te ne vai in modo gentile o ti daremo la caccia”. Ed è quello che è successo. E non aveva scelta. Non c’è dubbio», ha detto Trump al giornale.
Biden, che all’epoca era in quarantena a casa per il Covid-19, annunciò il suo ritiro sui social media. Il presidente non è apparso in pubblico nei tre giorni dopo l’annuncio e ha sostenuto la vicepresidente Kamala Harris per candidarsi al suo posto in un breve post su X.
«Preferirei candidarmi contro di lei piuttosto che contro di lui», ha detto Trump a Ingraham. «Penso che lei sia più facile di lui. Ho sempre pensato che fosse incompetente, ma aveva una certa base e, non importa quanto fosse scarso, la gente avrebbe votato per lui. Lei non ha quella base».
Harris si è candidata per la nomination presidenziale del suo partito nel 2019, ma si è ritirata dalle primarie di quell’anno con meno di 900 voti popolari e numeri nei sondaggi in bassa cifra singola.
Nonostante sia stata una vicepresidente storicamente impopolare, Harris sta attualmente ottenendo consensi migliori contro Trump rispetto a Biden prima del suo ritiro, anche se gli analisti hanno avvertito che probabilmente sta beneficiando di un «aumento» di entusiasmo che si attenuerà con l’avanzare della campagna.
Trump ha concentrato i suoi attacchi sul curriculum liberale di Harris e sul suo ruolo di «zar di confine» di Biden, incolpando il vicepresidente per i livelli record di immigrazione illegale registrati dal 2021. Trump ha anche lanciato altri attacchi personali alla Harris, dicendo a un gruppo di giornalisti neri mercoledì che ha promosso la sua eredità indiana finché «non è diventata nera e ora vuole essere conosciuta come nera» e dicendo a Ingraham che ha «la risata di una persona pazza».
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Nell’intervista con la Ingraham l’ex presidente ha dichiarato che ritiene che le decisioni alla Casa Bianca vengano prese da un gruppo di «fascisti, comunisti» e «marxisti».
«Un gruppo di persone che sono fasciste, comuniste, marxiste», ha detto Trump, aggiungendo che «circondano» lo Studio Ovale e il Dipartimento di Giustizia.
«Sono l’opposto di una minaccia per la democrazia: sono una minaccia per la democrazia», ha detto Trump riguardo ai membri del Partito Democratico. «Voglio dire, guarda cosa hanno appena fatto».
Come riportato da Renovatio 21, uno scoop del reporter premio Pulitzer Sy Hersh ha indicato in Obama il fulcro del colpo di Palazzo che ha portato alla repentina destituzione del Biden sotto la minaccia dell’applicazione del 25° emendamento, cioè la parte della Costituzione che prevede la rimozione del presidente divenuto incapace di sedere al comando.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
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Politica
Il passo indietro di Ishiba: nuovo capitolo nella lunga crisi del centro-destra giapponese

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Il primo ministro giapponese ha annunciato ieri le dimissioni dopo settimane di tensioni con i membri del Partito Liberaldemocratico, in difficoltà di fronte alla perdita di consenso tra gli elettori conservatori. Diversi candidati si sono già fatti avanti segnalando la volontà di succedere a Ishiba nella presidenza del partito, ma resta il nodo della guida del governo senza la maggioranza in parlamento.
A meno di un anno dal suo insediamento, il primo ministro giapponese Shigeru Ishiba ha annunciato ieri le dimissioni, aprendo una nuova fase di incertezza politica. La decisione è una conseguenza delle crescenti pressioni all’interno del suo stesso partito, il Partito Liberaldemocratico (LDP), che alle ultime elezioni ha subito significative sconfitte, arrivando a perdere la maggioranza in entrambe le Camere.
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Ishiba si è assunto la responsabilità per i pessimi risultati dell’LDP alle elezioni della Camera dei Consiglieri a luglio e ha sottolineato che le sue dimissioni servono a prevenire un’ulteriore spaccatura all’interno del partito. Già a luglio, il quotidiano giapponese Mainichi aveva per primo riportato che Ishiba si sarebbe dimesso, basandosi su informazioni raccolte tra il premier e i suoi più stretti collaboratori.
Le prime indiscrezioni indicavano che i preparativi per la corsa alla presidenza dell’LDP sarebbero iniziati entro agosto. Ishiba, tuttavia, aveva pubblicamente smentito queste notizie e nelle sue affermazioni aveva sottolineato l’importanza di portare a termine le trattative sui dazi con il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che aveva imposto il primo agosto come scadenza ultima.
Nel suo discorso di ieri, Ishiba ha spiegato che l’annuncio delle dimissioni a luglio avrebbe indebolito la posizione del Giappone: «chi negozierebbe seriamente con un governo che dice “ci dimettiamo”?», ha detto.
Ishiba ha poi cercato di placare le pressioni interne all’LDP minacciando di sciogliere la Camera dei Rappresentanti e indire elezioni anticipate, una mossa che ha esacerbato le divisioni e spinto il principale partner di coalizione, il partito Komeito, a ritenere inaccettabile la decisione. Secondo l’agenzia di stampa Kyodo, l’ex primo ministro Yoshihide Suga e il ministro dell’Agricoltura Shinjiro Koizumi entrambi tenuto colloqui con il premier sabato, evitando una scissione all’interno del partito e aprendo la strada all’annuncio delle dimissioni di ieri.
Ora l’attenzione si sposta sulla scelta del prossimo leader dell’LDP, che potrebbe assumere anche la carica di primo ministro se ci fosse una qualche forma di sostegno o di accordo anche con le opposizioni. Tra i principali contendenti ci sono membri del partito che avevano già sfidato Ishiba in passato, tra cui Sanae Takaichi, ex ministra per la sicurezza economica, che ha ricevuto il 23% dei consensi in un recente sondaggio di Nikkei. Takaichi fa parte dell’ala conservatrice e ha una forte base di sostegno tra i fedelissimi dell’ex primo ministro Shinzo Abe, di cui è considerata l’erede, soprattutto per quanto riguarda le politiche economiche, che potrebbero favorire una ripresa dei mercati azionari. Takaichi ha inoltre la reputazione di andare d’accordo con il presidente Donald Trump.
Anche Shinjiro Koizumi, attuale ministro dell’Agricoltura e figlio dell’ex leader Junichiro Koizumi, è un altro papabile candidato, dopo essere riuscito ad abbassare i prezzi del riso appena entrato in carica. Il sondaggio di Nikkei ha registrato un 22% dei consensi nei suoi confronti.
Altri membri del partito hanno segnalato la volontà di candidarsi, tra cui Yoshimasa Hayashi, attuale segretario capo del Gabinetto e portavoce principale del governo Ishiba, che si è classificato quarto nella corsa per la leadership del partito del 2024. Tra gli altri contendenti figurano Takayuki Kobayashi, un altro ex ministro per la sicurezza economica che gode di un maggiore sostegno all’interno dell’ala centrista, e Toshimitsu Motegi, ex segretario generale dell’LDP e il più anziano tra i candidati con i suoi 69 anni.
L’LDP oggi si trova in una posizione di forte debolezza. Molti elettori conservatori alle ultime elezioni hanno preferito il partito di estrema destra Sanseito anche a causa dell’allontanamento di Ishiba dall’ala conservatrice.
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Secondo un sondaggio di Kyodo, condotto prima che fossero riportate le dimissioni di Ishiba, l’83% degli intervistati ha dichiarato che un chiarimento pubblico del partito sulle ultime sconfitte non avrebbe comunque aumentato la fiducia degli elettori. È chiaro, quindi, che il compito del prossimo presidente di partito sarà quello di ripristinare la credibilità del centrodestra.
Chiunque verrà scelto si troverà davanti a un’importante decisione: se indire elezioni anticipate per cercare di riconquistare la maggioranza alla Camera bassa o rischiare di perdere il potere del tutto. Quest’ultima scelta rischierebbe di aprire una nuova fase di instabilità politica senza precedenti, che richiederebbe la ricerca di sostegno anche tra i partiti dell’opposizione per approvare le leggi e i bilanci.
Secondo diversi commentatori, il prossimo leader dovrà prima di tutto godere di una genuina popolarità sia all’interno che all’esterno del partito per affrontare sfide come l’invecchiamento della società, la forza lavoro in calo, l’inflazione e i timori che gli Stati Uniti possano abbandonare il loro ruolo di garanti della sicurezza nella regione asiatica.
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