Cina
Trattative e nuovi scenari: le contromisure di Pechino ai dazi di Trump
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Il ministero cinese del Commercio accusa Washington di «bullismo unilaterale» ma tiene aperti i canali di comunicazione. Le autorità avevano già varato le misure di stimolo per i consumi interni prevedendo le difficoltà nelle esportazioni, ma ora dovrà fare i conti anche con le ricadute dei forti dazi imposti anche al Sud-est asiatico. L’ipotesi di un area di libero scambio con Giappone e Corea del Sud.
La Cina si «oppone fermamente» a nuovi dazi statunitensi sulle sue esportazioni, e promette «contromisure». Pechino ha affidato a un comunicato del ministero del Commercio la sua reazione alle nuove tariffe del 34% nei suoi confronti annunciate ieri da Trump nell’ambito delle misure nei confronti di decine di Paesi di tutto il mondo che dovrebbero entrare in vigore a partire dal 9 aprile.
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Per la Cina quella messa in atto dagli Stati Uniti sarebbe una «tipica pratica di bullismo unilaterale». I dazi «non sono conformi alle regole del commercio internazionale e danneggiano gravemente i diritti e gli interessi legittimi delle parti interessate». Esorta, quindi, Washington a «cancellarle immediatamente», avvertendo che «mettono in pericolo lo sviluppo economico globale», danneggiando gli interessi degli Stati Uniti e le catene di approvvigionamento internazionali.
Il ministero del Commercio di Pechino ha comunque aggiunto che le due parti stanno «mantenendo aperta la comunicazione» sui motivi di contesa nelle questioni commerciali ed economiche, sottolineando «l’ampia opposizione internazionale alle misure».
Già nelle scorse settimane la Cina aveva risposto alla prima ondata di dazi mirati del 20% nei suoi confronti imponendo prelievi fino al 15% su una serie di prodotti agricoli americani, tra cui soia, carne di maiale e pollo. Gli analisti l’avevano giudicata una reazione contenuta a cui ora potrebbero affiancarsi contromisure più dure, mirate in particolare sulle esportazioni di minerali critici e terre rare, materie prime essenziali per i dispositivi elettronici e l’economia digitale.
Visti dal punto di vista di Pechino, i dazi sono un’ulteriore minaccia alla fragile ripresa economica della Cina, alle prese con una lunga crisi del debito nel settore immobiliare e con consumi interni che restano bassi. Le misure di Trump non arrivano però inaspettate: già nei programmi economici presentati durante le Due sessioni le autorità cinesi avevano annunciato l’intenzione di aumentare le misure di stimolo ai consumi interni, proprio mettendo in conto il calo delle esportazioni.
Forse quello che ha sorpreso di più Pechino è l’entità dei dazi imposti da Trump anche gli altri Paesi del Sud-Est asiatico, tra cui Cambogia, Vietnam e Laos, che vanno a colpire indirettamente anche la Repubblica popolare.
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Con questa misura, inbfatti, Washington mira a chiudere la porta alle delocalizzazioni attraverso cui la Cina ha riorganizzato le sue catene di approvvigionamento per aggirare le tariffe imposte a Pechino già durante il primo mandato di Trump. Non a caso tra i 10 Paesi e territori colpiti con i dazi più alti nelle misure annunciate ieri ci sono ben cinque nazioni asiatiche. E Pechino dovrà per forza tenere conto anche dei malumori dei governi locali che temono ora di venire ulteriormente invasi dalle merci cinesi in eccedenza, a scapito delle proprie imprese.
Le tariffe potrebbero però anche spingere la Cina a cercare di costruire alleanze con altre nazioni del Continente che hanno subito i dazi. Alcune discussioni sono già in corso: Cina, Corea del Sud e Giappone hanno recentemente tenuto i primi colloqui economici in cinque anni. Hanno concordato di accelerare i colloqui per un accordo di libero scambio, proposto per la prima volta oltre un decennio fa.
Le nuove tariffe potrebbero dare loro un ulteriore incentivo a farlo.
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Immagine di Wéijī xiǎo bàwáng via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
Cina
Prima vendita di armi a Taiwan sotto Trump
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Cina
Apple elimina le app di incontri gay dal mercato cinese
Le principali app di incontri gay in Cina, Blued e Finka, sono state eliminate dall’Apple Store locale su ordine dell’autorità di regolamentazione internet di Pechino. Lo riporta Wired. Nel contesto è tuttavia utile ricordare che sino a qualche anno fa la Cina controllava l’app di incontri gay più diffusa al mondo.
Lanciata nel 2012, Blued è la più grande app di incontri gay in Cina, che in passato contava oltre 60 milioni di utenti nel mondo, prima che i controlli statali più rigidi ne riducessero la portata globale. Finka, concorrente più recente e popolare tra i giovani, è diventata una delle piattaforme LGBT in più rapida crescita in Cina grazie alle funzioni di social networking e all’interfaccia in stile gaming.
Secondo Wired, Apple ha rimosso entrambe le app dal suo App Store cinese su disposizione della Cyberspace Administration of China (CAC), che supervisiona i contenuti online e la sicurezza dei dati.
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L’articolo della rivista statunitense non specifica quando o perché sia stato emesso l’ordine, ma utenti dei social cinesi hanno notato la scomparsa delle app dagli store online durante il fine settimana. Le app, secondo quanto riferito, restano funzionanti per gli utenti esistenti, ma non sono più scaricabili per nuovi utenti.
Apple ha confermato la rimozione in una dichiarazione rilasciata lunedì.
«Rispettiamo le leggi dei Paesi in cui operiamo. In base a un ordine del CAC, abbiamo rimosso queste due app solo dallo store cinese», ha dichiarato un portavoce di Apple in un’e-mail alla testata. L’azienda ha aggiunto che entrambe le app erano già state ritirate da altri mercati. Né Blued né Finka hanno risposto alle richieste di commento.
La Cina ha depenalizzato l’omosessualità negli anni ’90, ma continua a vietare il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Sotto la presidenza di Xi Jinping, le autorità hanno intensificato gli sforzi per promuovere i valori familiari tradizionali e contrastare quella che definiscono «influenza occidentale». La campagna mira ad aumentare i tassi di natalità, rafforzare i ruoli di genere e scoraggiare stili di vita ritenuti incompatibili con i valori tradizionali. Gli attivisti LGBTQ+ cinesi affermano che la campagna ha alimentato censura e sorveglianza, con la chiusura di molti gruppi gay, il divieto di eventi Pride, la rimozione di contenuti omosessuali dai media e lo scioglimento di associazioni universitarie.
La maggior parte delle app di incontri LGBT è già bloccata in Cina. Grindr, con sede negli Stati Uniti, è stata rimossa dall’App Store cinese di Apple nel 2022 dopo l’inasprimento delle norme sulla sicurezza informatica e sulla privacy dei dati, che impongono l’archiviazione locale dei dati degli utenti. ZANK, un tempo tra le principali app di incontri gay in Cina, è stata chiusa nel 2017 per «diffusione di contenuti pornografici».
Renovatio 21 ha spesse volte parlato di Grindr, l’applicazione usata dalla comunità omosessuale. La possibilità che i suoi dati fossero usati per fini di ricatto verso migliaia (milioni…) di persone con lavori sensibili per il governo spinse Trump, allora presidente, a chiedere ai cinesi, che l’avevano comprata, di averla indietro. I cinesi, incredibilmente, obbedirono, ma non è chiaro se possano essersi sbarazzati dei dati.
Grindr, che ad un certo punto pareva potesse essere comperata dall’apparentemente inarrestabile azienda italiana Bending Spoons, già coinvolta nell’app governativa di tracciamento COVID «Immuni» e partecipata da grandi famiglie del capitalismo nazionale, sarebbe subentrata anche in alcuni scandali che riguardavano la politica e pure il mondo religioso.
Renovatio 21 ha ipotizzato che parte del rapporto tra Santa Sede e Repubblica Popolare Cinese, sbocciata negli accordi sino-vaticani, potrebbe essere dovuta al kompromat da Grindr che i comunisti cinesi detengono su tanti consacrati segretamente omosessuali.
Su Grindr infatti si dice che siano presenti quantità massive di sacerdoti. Il fatto è tornato alla ribalta di recente con il caso di un sacerdote USA, noto per le posizioni intransigenti verso lo sdoganamento cattolico di Sodoma, beccato sulla piattaforma. Ma anche in Italia sarebbero stati trovati consacrati di un certo spessore. Di uno in particolare, scriveva il Giornale, che raccoglieva il sussurro di Dagospia: «nella sua seconda vita si dava alle droghe (ecstasy, ma anche crack, Ghb e chetamina) e alla conquista di amanti (rigorosamente di sesso maschile) su Grindr». Una storia con parole che sembrano riemergere anche ora.
L’uso intensivo della app di incontri gay da parte perfino dei seminaristi è raccontato da un recente libro del sociologo Marco Marzano, La casta dei casti.
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Nata a Los Angeles nel 2009, Grindr per un periodo finì nelle mani dei cinesi, che acquistarono la società. Nel 2016 la società aveva venduto una quota del 60% nella società per 93 di dollari milioni a un gruppo di sviluppo di videogiochi cinese, Kunlun Tech Co.
L’acquisizione di una tale massa di dati sensibili non passò inosservata. Nel 2019 governo Trump chiese alla Cina di farla tornare in mano americana, perché i servizi USA paventavano che le informazioni contenute in quella app mettessero a rischio la sicurezza nazionale: quante persone, nell’esercito e nella pubblica amministrazione, nel governo e nelle grandi aziende, potevano essere ricattate? Quanti funzionari, generali, ministri, soldati, uomini delle pulizie hanno una doppia vita e quindi possono essere manipolati?
I cinesi, piuttosto incredibilmente, accettarono l’ordine di Trump. Il gruppo Kunlun cercò un compratore per liberarsi dell’applicazione. Nel marzo 2020, Kunlun annunciò che avrebbe venduto la sua quota del 98,59% in Grindr alla San Vicente Acquisition LLC con sede negli Stati Uniti per 608,5 milioni di dollari. Il lead investor, Raymond Zage, viene dall’Illinois ma ha base ora a Singapore – un luogo dove gli interessi della Cina Popolare non sono sconosciuti.
All’altezza del 2018, Grindr indicava perfino se l’utente fosse sieropositivo o meno: la feature venne ritirata, perché i giornali sinceri e democratici rabbrividirono per mancanza di privacy sanitaria (cosa che adesso fa ridere…), senza capire che probabilmente dietro a questa nuova spunta poteva schiudersi il mondo dei bugchasers e dei giftgivers, coloro che volontariamente contagiano o si fanno contagiare con l’HIV.
Da Grindr deriva Tinder, la app di incontri usata dagli eterosessuali: anche quella è sicuramente stata causa di migliaia di disastri famigliari, perché può esporre la doppia vita di «cacciatore» di appuntamenti di un coniuge. Tuttavia Tinder, nonostante la disperazione che produce la promiscuità della hook-up culture («cultura del rimorchio») che ha generato, non è stato in grado di impensierire i servizi di Intelligence USA. Grindr, invece, sì.
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Cina
Test dimostrano che i veicoli elettrici possono essere manipolati a distanza da un produttore cinese
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