Spazio
Test di difesa planetaria: la NASA fa schiantare una navicella spaziale contro un asteroide

Il veicolo spaziale Double Asteroid Redirection Test (DART) si è scontrato con l’asteroide Dimorphos per determinare quanto la collisione avrebbe influenzato l’orbita dell’asteroide.
Sebbene Dimorphos non rappresenti una minaccia per la Terra, la missione è uno studio per testare una tecnica per deviare il corso di un asteroide che sfreccia verso il nostro pianeta.
La navicella spaziale si è schiantata ieri contro Dimorphos alle 23:14 UTC, a circa 6,8 milioni di miglia dalla Terra e viaggiando a quasi 25 mila km/h.
L’asteroide ha un diametro di circa 560 piedi, che potrebbe facilmente adattarsi alla parabola da 1.000 piedi dell’Osservatorio di Arecibo.
Fa parte di un sistema binario di asteroidi, che ruota attorno al suo vicino più grande, Didymos (in greco «gemello»). Didymos è stato scoperto dal Kitt Peak National Observatory nel 1996 e confermato come un sistema binario dall’Osservatorio di Arecibo nel 2003.
La navicella DART si è agganciata al bersaglio al momento giusto e la sua telecamera di bordo ha mostrato la visuale mentre accelerava verso l’impatto.
Per coloro che hanno assistito all’evento dal vivo, è stato sorprendente vedere chiaramente i massi e le rocce dell’asteroide, pochi minuti prima dell’incidente.
Gli scienziati della NASA e della Johns Hopkins University si sono abbracciati e hanno applaudito quando è stato confermato l’impatto di successo di DART con Dimorphos.
L’impatto è stato osservabile dalla Terra e ora gli astronomi di tutto il mondo contribuiranno allo studio dei postumi dell’impatto.
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Spazio
«Scandalo e divisione»: dichiarazione di mons. Strickland sulla nomina del vescovo che vuole le donne diacono

Renovatio 21 pubblica questa dichiarazione del vescovo emerito di Tyler, Texas, Joseph Edward Strickland apparsa su LifeSite.
In profonda preoccupazione per i fedeli della Chiesa, mi sento in dovere di parlare della recente nomina del vescovo Shane Mackinlay ad arcivescovo di Brisbane da parte di Sua Santità Papa Leone XIV.
Sebbene dobbiamo rispetto filiale e obbedienza al Santo Padre nelle questioni che rientrano propriamente nella sua autorità, questa nomina solleva serie questioni pastorali e dottrinali.
Il vescovo Mackinlay ha pubblicamente espresso il suo sostegno alla possibilità di ordinare le donne al diaconato – una posizione che non solo introduce grave confusione, ma sfida direttamente l’insegnamento e la tradizione coerenti della Chiesa cattolica. Come affermato inequivocabilmente da Papa San Giovanni Paolo II in Ordinatio Sacerdotalis, «la Chiesa non ha alcuna autorità di conferire l’ordinazione sacerdotale alle donne», e questo principio si estende, per coerenza logica e teologica, al diaconato sacramentale, che è parte dell’Ordine Sacro.
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La spinta a ridefinire il diaconato per includere le donne non è una questione di disciplina minore o di adattamento pastorale: è una rottura con la tradizione ininterrotta della Chiesa e un passo verso l’indebolimento della natura stessa del sacerdozio sacramentale. Sebbene le donne abbiano sempre occupato un posto elevato nella Chiesa – come martiri, mistiche e sante – la loro dignità non si accresce imitando i ruoli maschili, ma vivendo appieno la vocazione unica data loro da Dio.
Nominare un vescovo che sostiene tali opinioni a guida di un’arcidiocesi importante è fonte di scandalo e divisione. I fedeli meritano chiarezza, non ambiguità; fedeltà, non sperimentazione.
In questo tempo di confusione, incoraggio tutti i cattolici a rimanere saldi nella verità tramandata dagli Apostoli. Cristo è il Capo della Chiesa e il Suo disegno sui sacramenti non può essere alterato dalle pressioni del mondo o da maldestri tentativi di modernizzazione.
Preghiamo per l’Arcivescovo Mackinlay, affinché possa riaffermare il suo impegno per l’insegnamento immutabile della Chiesa.
E preghiamo per Papa Leone XIV, affinché sia guidato dallo Spirito Santo a nominare pastori che sostengano la pienezza della verità cattolica senza compromessi.
Nel Sacro Cuore di Gesù,
Joseph E. Strickland
vescovo
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Spazio
La DARPA finanzia un gigantesco lampione sulla Luna

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Spazio
L’esercito cinese definisce il Golden Dome di Trump come «militarizzazione dello spazio»

In un articolo pubblicato in settimana il quotidiano Jiěfàngjūn Bào – il giornale dell’Esercito di Liberazione del Popolo (ELP) della Repubblica Popolare Cinese ha definito il progetto di difesa «Golden Dome» dell’amministrazione Trump come un’«ossessione» per la sicurezza assoluta e un tentativo di militarizzazione dello spazio.
L’articolo sottolinea in particolare i tentativi del Pentagono di schierare «intercettori spaziali proliferati in grado di intercettare in fase di spinta», ovvero veicoli spaziali orbitanti progettati per distruggere minacce missilistiche in volo, come riportato oggi dal quotidiano di Hong Kong South China Morning Post. Il pezzo riportava che il programma, «offuscando i confini tra attività spaziali civili e militari», avrebbe aumentato i rischi per la sicurezza globale.
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«Militarizzando lo spazio e dando priorità al predominio, gli Stati Uniti violano i principi di uso pacifico sanciti dal Trattato sullo Spazio Extra-Atmosferico», ha scritto Quotidiano dell’ELP, riferendosi al trattato del 1967 firmato sia dagli Stati Uniti che dall’Unione Sovietica, evidenziando inoltre il fatto che gli attacchi considerati nell’ambito del Golden Dome potrebbero creare il tipo di scenario a cascata di detriti che ostacolerebbe gravemente le attività spaziali pacifiche e pratiche – si tratta della minaccia, ben conosciuta dai lettori di Renovatio 21, della sindrome di Kessler.
La Cina – lanciata più che mai nel cosmo con i suoi programmi taikonautici e progetti sempre più concreti sulla Luna (con tanto di estrazione di minerali, in attesa di scavi sistematici per l’elio 3, il carburante necessario alla fusione atomica del futuro – da tempo lamenta delle attività spaziali americane.
Come riportato da Renovatio 21, un anno fa le forze armate cinesi avevano dichiarato che gli USA rappresentano la «massima minaccia alla sicurezza nello spazio». I vertici dei programmi spaziali americani negli anni hanno invece accusato che la Cina, che effettivamente vi ha piantato bandiera, potrebbe reclamare parti della Luna.
Sebbene il presidente degli Stati Uniti Donald Trump faccia spesso riferimento al suo progetto «Golden Dome» riferendosi all’Iniziativa di Difesa Strategica (SDI) di Reagan del 1983 (le cosiddette «Guerre stellari»), cercando di incapsularla in un’atmosfera reaganiana, è importante comprendere che il presidente Reagan propose l’SDI come un programma congiunto e persino collaborativo di «laboratorio aperto», il cui dispiegamento, qualora fosse stata sviluppata la tecnologia necessaria, sarebbe stato regolato da un solenne trattato negoziato tra Stati Uniti e Unione Sovietica.
Reagan era pienamente consapevole del fatto che se gli Stati Uniti avessero proceduto unilateralmente, come Trump chiaramente intende fare, ciò sarebbe stato percepito come una minaccia reale per l’Unione Sovietica e avrebbe potuto portare a una guerra nucleare.
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«La leadership sovietica in genere non prese mai sul serio le intenzioni chiaramente enunciate da Reagan da Mosca, il cui programma di difesa missilistica era di gran lunga più avanzato di qualsiasi cosa gli Stati Uniti stessero facendo all’epoca, e Gorbaciov voleva che le cose rimanessero così per preservare la loro capacità di primo attacco» scrive EIR.
Secondo vari osservatori, le «Guerre stellari» reaganiane erano un grande bluff per portare l’URSS alla bancarotta. Bisogna considerare, tuttavia, che Reagan, che arrivo alla Casa Bianca come falco nucleare, uscì sconvolto dalla visione del film TV di realismo post-apocalittico The Day After (1983), che vide assieme ad almeno cento milioni di americani.
La storia delle vicissitudini degli esseri umani nel dopo-bomba spinse il presidente ex-attore di Western a chiamare Gorbaciov per iniziare una vera politica di disarmo atomico.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia; modificata
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