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Geopolitica

Terroristi statunitensi si stanno addestrando in Ucraina?

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Nel Dipartimento per la sicurezza interna USA – il famoso Department of Homeland Security (DHS) creato all’indomani degli episodi di megaterrorismo islamico del 2001 – qualcuno si è concretamente posto la domanda: gli «estremisti bianchi di matrice razzista» che lavorano ora con le milizie neonaziste ucraine stanno imparando nuove tecniche e crudeltà che, terminato il conflitto, riporteranno a casa negli Stati Uniti?

 

A riguardo il sito di sinistra USA The Grayzone ha pubblicato un articolo lo scorso 31 maggio, basandosi su un documento del DHS ottenuto tramite una richiesta di accesso agli atti FOIA.

 

Il DHS li classifica con l’arcronimo «RMVE-WS», che sta per racially-motivated violent extremists – white supremacy («estremisti violenti di matrice razziale: supremazia bianca»). Già l’esistenza di tale definizione, così puntualmente espressa, dice tanto.

 

«I dettagli suonano come la pazza sceneggiatura di un film» scrive EIRN.

 

In primo luogo,  ci sarebbe da osservare che Property of the People, l’ente che ha ottenuto l’atto, avrebbe condiviso il documento del DHS con un famoso sito mainstream che si occupa di politica anche in modo spregiudicato, tuttavia questo  avrebbe minimizzato e/o screditato il materiale del DHS, asserendo che il materiale «riecheggia uno dei punti principali della propaganda del Cremlino».

 

Ad ogni modo, dal documento si apprende che ci sono circa 30 americani assegnati a un gruppo di miliziani ucraini intitolato «Legione nazionale georgiana» (GNL), presumibilmente a causa del ruolo del signore della guerra georgiano Mamuka Mamulashvili a capo dell’unità, che, scrive Grayzone, «al centro del sistema di vie che incanala armi statunitensi e militanti stranieri fascisti nell’esercito ucraino, mentre il Congresso e i media americani la acclamano».

 

Grayzone racconta quindi il caso specifico di un veterano americano  che ha trascorso due mesi con la GNL. L’uomo ha prestato servizio in diversi tour in Iraq con la 101a divisione aviotrasportata, ed è stato membro di vari gruppi razzisti violenti: «American Vanguard», «Atomwaffen Division» e «Patriot Front». Il gruppo «Vanguard» è sconosciuto perché l’auto che si è schiantata contro i manifestanti a Charlottesville nel 2017,  uccidendo una donna, era guidata da un membro dell’Avanguardia.

 

Gli esiti della marcia di Charlottesville favorirono l’opposizione all’allora presidente Donald J. Trump, cioè il Partito Democratico di Joe Biden: fu spinta nell’opinione pubblica l’idea di una connivenza tra Trump e il suprematismo bianco, e la Casa Bianca fu messa sotto tale pressione che lo staff del presidente perse un pezzo importante (considerato centrale dagli avversari), ovvero lo stratega Steve Bannon, che dovette dimettersi dal ruolo di advisor del presidente.

 

Tornando agli USA in Ucraina, l’articolo di Grayzone racconta che a inizio 2021 il veterano americano aperto una palestra di MMA a Kiev, «insinuarsi nella cultura delle arti marziali miste popolare tra gli ultranazionalisti locali».

 

«All’inizio di febbraio 2022, con l’avvicinarsi della guerra con la Russia, il noto neonazista americano si è unito alla Legione Nazionale Georgiana e ha iniziato ad addestrare civili e volontari nelle tecniche militari americane» scrive il sito. Il personaggio è comparso perfino in TV  in collegamento dalla capitale ucraina,.

 

Con un altro americano sul campo, il veterano USA ha «lavorato come una squadra prendendo di mira carri armati e veicoli russi con missili anticarro javelin di fabbricazione statunitense».

 

L’autore dell’articolo Alexander Rubenstein procede a descrivere come uno dei gruppi nazisti americani presenti in Ucraina sia stato coinvolto in vari omicidi.  Il giornalista di Grayzone afferma che il fondatore della GNL, Mamulashvili, sarebbe stato inviato in Ucraina dal perenne agente occidentale, l’ex presidente georgiano Mikheil Saakashvili (di cui si sostiene fosse il «consigliere militare»), l’uomo già protagonista della rivoluzione colorata di Tbilisi ma poi scappato all’estero per essere messo incredibilmente a capo dell’oblast’ ucraina di Odessa dalla presidenza post-Maidan dell’amico personale Petro Poroshenko.

 

Di particolare rilievo, i legionari georgiani GNL avrebbero giustiziato prigionieri di guerra russi a sole otto chilometri da Bucha il 30 marzo, cioè, se ciò fosse veritiero, appena 48 ore prima che i corpi di Bucha divenissero un caso planetario, con le immagini di morte che rimbalzavano ai quattro angoli del mondo per chiedere più supporto nella lotta contro l’orco russo.

 

(Ricordiamo, en passant che i prigionieri di guerra russi erano stati giustiziati vicino a Kharkiv da un gruppo legato ad Azov solo un paio di giorni prima).

 

Secondo Il Corriere della Sera, Mamuka Mamulashvili avrebbe rivendicato i video dell’eccidio apparsi su Telegram. «”L’abbiamo detto sin dal principio, noi non facciamo prigionieri” è l’allucinante spiegazione del comandante».

 

L’articolo di Grayzone prosegue raccontando la tremenda storia di un secondo americano, sempre veterano dell’Iraq e dell’Afghanistan, presente tra le fila del GNL da metà degli anni ’10, già al centro nel 2017 un’inchiesta di FBI e Dipartimento della Giustizia che ritengono l’uomo abbia «commesso o partecipato a torture, trattamenti crudeli o disumani o omicidi di persone che non hanno preso (o smesso di prendere) parte attiva nelle ostilità e (o) hanno inflitto loro gravi lesioni personali intenzionalmente», riporta un articolo del 2021 del sito Buzzfeed.news.

 

Il personaggio ha una storia complessa: «caduto in un’aspra disputa con la moglie incinta, che si era vendicata contro di lui inviandogli un video di se stessa mentre faceva sesso con altri uomini (…) ha circondato il suo condominio con mine antiuomo e ha tentato di ucciderla» scrive Greyzone citando un articolo di Vice.

 

L’uomo avrebbe aderito al movimento banderista ucraino Pravij Sektor nel 2015, agendo, secondo il sito Buzzfeed, come «primo punto di contatto in Ucraina per tanti “ragazzi perduti” venuti nel Paese per combattere».

 

Secondo documenti trapelati dalla divisione penale del Dipartimento di giustizia dell’Ufficio per gli affari internazionali il veterano americano in Ucraina avrebbe «presumibilmente preso come prigionieri non combattenti, li avrebbe picchiati con i pugni, li avrebbe presi a calci, li avrebbe picchiati con un calzino pieno di pietre e li avrebbe tenuti sott’acqua». L’uomo, che si dice sia il «principale istigatore» della tortura, «potrebbe persino aver ucciso alcuni di loro prima di seppellire i loro corpi in tombe anonime».

 

Secondo il sito Ukr-leaks che raccoglie i documenti trapelati, un testimone (ora in arresto negli USA) avrebbe quindi anche raccontato di come il veterano americano avrebbe picchiato e annegato la ragazza, mentre un altro membro del gruppo, un australiano, le avrebbe somministrato iniezioni di adrenalina in modo che la giovane non perdesse conoscenza. «Tutto questo è stato filmato dalla telecamera» scrive il sito.

 

Il veterano americano è stato incriminato dal Dipartimento di Giustizia USA per l’omicidio di una coppia in Florida, ma molto misteriosamente ciò non gli ha impedito di tornare a «lavorare» in Ucraina.

 

Secondo il suo avvocato ucraino, nonostante su di lui penda una richiesta di estradizione da parte di Washington, l’uomo sarebbe tornato sul campo di battaglia all’interno di una non specificata «brigata di volontari».

 

È stato quindi notato che l’uomo riemerso anche sui social media con un nuovo account Twitter e una foto di profilo in cui «indossa un’uniforme militare ucraina e brandisce un’arma anticarro». Come quei missili javelin che Joe Biden dice di aver rifornito all’Ucraina (confondendosi, come spesso nella sua demenza senile, con la Russia).

 

Il problema delle conseguenze del «jihadismo ucronazista» coltivato dall’Occidente per questo conflitto è già stato trattato da Renovatio 21.

 

Come abbiamo ribadito, la memoria deve tornare all’immane massacro, ora dimenticato, che sconvolse il Nordafrica negli anni Novanta, la cosiddetta «guerra civile algerina».

 

A perpetrare la catena giornaliera di eccidi di crudeltà parossistica erano, tra gli altri, gli afghansi, ossia quei guerriglieri che da tutto il mondo islamico si erano recati in Afghanistan a combattere, finanziati dai sauditi e coordinati dalla CIA, i russi – sempre loro.

 

Reduci radicalizzati, in cerca di nuovi teatri di sangue. È inevitabile, anche oggi con il macello ucraino.

 

Sottovoce, lo Stato americano ammette che potrebbe esserci questo problema – ma forse farà ben poco, per precisi motivi politici. Al Partito Democratico USA serve il babau del neonazista, del suprematista bianco, così da spaventare l’elettorato ed allontanarlo, per strategia della tensione, dal Partito Repubblicano e ancora di più dal movimento trumpiano MAGA, ora chiamato sprezzantemente «ultra-MAGA» da Biden.

 

Neonazisti sanguinari, radicalizzati e abituati agli eccidi in una zona di barbarie come l’Ucraina odierna, potrebbe essere utilissimi alla bisogna.

 

Materialmente, il pauroso «uomo nero» potrebbe tornare in patria con la stessa misteriosa facilità con cui ne è fuggito.

 

Cui prodest?

 

 

 

Geopolitica

Putin: la Russia raggiungerà tutti i suoi obiettivi nel conflitto ucraino

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La Russia porterà a compimento tutti gli obiettivi dell’operazione militare speciale in Ucraina, ha dichiarato il presidente Vladimir Putin.

 

Tra gli scopi principali enunciati da Putin nel 2022 vi sono la protezione degli abitanti delle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk dall’aggressione delle forze di Kiev, nonché la smilitarizzazione e la denazificazione dell’Ucraina.

 

«Naturalmente porteremo a termine questa operazione fino alla sua logica conclusione, fino al raggiungimento di tutti gli obiettivi dell’operazione militare speciale», ha affermato Putin in videocollegamento durante la riunione del Consiglio presidenziale per i diritti umani di martedì.

 

Il presidente russo quindi ricordato che il conflitto è scoppiato quando l’esercito ucraino è stato inviato nel Donbass, regione storicamente russa che nel 2014 aveva respinto il colpo di Stato di Maidan sostenuto dall’Occidente. Questo, secondo il presidente, ha reso inevitabile l’intervento delle forze armate russe per porre fine alle ostilità.

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«Si tratta delle persone. Persone che non hanno accettato il colpo di Stato in Ucraina nel 2014 e contro le quali è stata scatenata una guerra: con artiglieria, armi pesanti, carri armati e aviazione. È lì che è iniziata la guerra. Noi stiamo cercando di mettervi fine e siamo costretti a farlo con le armi in pugno».

 

Putin ha ribadito che per otto anni la Russia ha cercato di risolvere la crisi per via diplomatica e «ha firmato gli accordi di Minsk nella speranza di una soluzione pacifica». Tuttavia, ha aggiunto la settimana scorsa in un’intervista a India Today, «i leader occidentali hanno poi ammesso apertamente di non aver mai avuto intenzione di rispettarli», avendoli sottoscritti unicamente per guadagnare tempo e permettere all’Ucraina di riarmarsi.

 

Mosca ha accolto positivamente il nuovo slancio diplomatico impresso dal presidente statunitense Donald Trump, che ha proposto il suo piano di pace in 28 punti come base per un’intesa.

 

Lunedì Trump ha pubblicamente invitato Volodymyr Zelens’kyj ad accettare le proposte di pace, lasciando intendere che il leader ucraino non abbia nemmeno preso in esame l’ultima offerta americana.

 

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 

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Geopolitica

Lavrov elogia la comprensione di Trump delle cause del conflitto in Ucraina

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Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha dichiarato che il presidente statunitense Donald Trump rappresenta l’unico leader occidentale in grado di cogliere le vere motivazioni alla base del conflitto ucraino.   Parlando mercoledì al Consiglio della Federazione, la camera alta del parlamento russo, Lavrov ha spiegato che, mentre gli Stati Uniti manifestano una «crescente impazienza» verso il percorso diplomatico mirato a cessare le ostilità, Trump è tra i pochissimi esponenti occidentali a comprendere le dinamiche che hanno originato la crisi.   «Il presidente Trump… è l’unico tra tutti i leader occidentali che, subito dopo il suo arrivo alla Casa Bianca nel gennaio di quest’anno, ha iniziato a dimostrare di aver compreso le ragioni per cui la guerra in Ucraina era stata inevitabile», ha dichiarato.   Lavrov ha proseguito sottolineando che Trump possiede una «chiara comprensione» delle dinamiche che hanno forgiato le politiche ostili nei confronti della Russia da parte dell’Occidente e dell’ex presidente statunitense Joe Biden, strategie che, a suo dire, «erano state coltivate per molti anni».

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Il ministro ha indicato che «si sta avvicinando il culmine dell’intera saga» ucraina, affermando che Trump ha sostanzialmente ammesso che «le cause profonde identificate dalla Russia devono essere eliminate».   Il vertice della diplomazia russa ha menzionato in modo specifico le storiche riserve di Mosca sull’aspirazione ucraina all’adesione alla NATO e la persistente violazione dei diritti della popolazione locale.   Lavrov ha poi precisato che Trump resta «l’unico leader occidentale a cui stanno a cuore i diritti umani in questa situazione», contrapposto ai governi dell’UE che, secondo Mosca, evadono il tema. Ha svelato che la roadmap statunitense per un’intesa includeva esplicitamente la tutela dei diritti delle minoranze etniche e delle libertà religiose in Ucraina, «in linea con gli obblighi internazionali».   Tuttavia, sempre secondo Lavrov, tali clausole sono state indebolite nel momento in cui il documento è stato sottoposto all’UE: il testo è stato modificato per indicare che l’Ucraina dovrebbe attenersi agli standard «adottati nell’Unione Europea».   Da tempo Mosca denuncia la soppressione della lingua e della cultura russa da parte di Kiev, oltre ai sforzi per limitare i diritti delle altre minoranze nazionali, e al contempo accusa i leader ucraini di fomentare apertamente il neonazismo nel paese.

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Immagine dell’Ufficio stampa della Duma di Stato della Federazione Russa via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
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Gli europei sotto shock per la strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti per il 2025

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I leader europei e i media dell’establishment sono in preda al panico dopo la diffusione, sul portale ufficiale della Casa Bianca, della «Strategia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti d’America 2025» (NSS).

 

A terrorizzare Bruxelles e dintorni è l’impegno esplicito del governo USA a privilegiare «Coltivare la resistenza all’attuale traiettoria dell’Europa all’interno delle nazioni europee», descritta in termini aspri ma realistici. Il report si scaglia in particolare contro l’approccio dell’UE alla Russia.

 

L’NSS ammonisce che il Vecchio Continente rischia la «cancellazione della civiltà» se non invertirà la rotta imposta dall’Unione Europea e da altre entità sovranazionali. La «mancanza di fiducia in se stessa» del Continente emerge con evidenza nelle interazioni con Mosca. Gli alleati europei detengono un netto primato in termini di hard power rispetto alla Russia in quasi tutti i campi, salvo l’arsenale nucleare.

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Dopo l’invasione russa in Ucraina, i rapporti europei con Mosca sono drasticamente deteriorati e numerosi europei vedono nella Federazione Russa una minaccia esistenziale. Gestire le relazioni transatlantiche con la Russia esigerà un impegno diplomatico massiccio da Washington, sia per reinstaurare un equilibrio strategico in Eurasia sia per scongiurare frizioni tra Mosca e gli Stati europei.

 

«È un interesse fondamentale degli Stati Uniti negoziare una rapida cessazione delle ostilità in Ucraina, al fine di stabilizzare le economie europee, prevenire un’escalation o un’espansione indesiderata della guerra e ristabilire la stabilità strategica con la Russia, nonché per consentire la ricostruzione post-ostilità dell’Ucraina, consentendole di sopravvivere come Stato vitale».

 

Il conflitto ucraino ha paradossalmente accresciuto la vulnerabilità esterna dell’Europa, specie della Germania. Oggi, le multinazionali chimiche tedesche stanno erigendo in Cina alcuni dei più imponenti complessi di raffinazione globale, sfruttando gas russo che non possono più procurarsi sul suolo patrio.

 

L’esecutivo Trump si scontra con i burocrati europei che coltivano illusioni irrealistiche sul prosieguo della guerra, appollaiati su coalizioni parlamentari fragili, molte delle quali calpestano i pilastri della democrazia per imbavagliare i dissidenti. Una vasta maggioranza di europei anela alla pace, ma tale aspirazione non si riflette nelle scelte politiche, in gran parte ostacolate dal sabotaggio dei meccanismi democratici perpetrato da quegli stessi governi. Per quanto allarmati siano i continentali, l’establishment britannico lo è ancor di più.

 

Ruth Deyermond, docente al dipartimento di Studi della Guerra del King’s College London e specialista in dinamiche USA-Russia, ha commentato su X che il testo segna «l’enorme cambiamento nella politica statunitense nei confronti della Russia, visibile nella nuova Strategia per la Sicurezza Nazionale – il più grande cambiamento dal crollo dell’URSS». Mosca appare citata appena dieci volte nel corposo documento, nota Deyermond, e prevalentemente per evidenziare le fragilità europee.

 

In un passaggio esemplare, il report afferma che «questa mancanza di fiducia in se stessa è più evidente nelle relazioni dell’Europa con la Russia». «L’assenza della Russia dalla Strategia di Sicurezza Nazionale 2025 appare davvero strana, sia perché la Russia è ovviamente uno degli stati che hanno l’impatto più significativo sulla stabilità globale al momento, sia perché l’amministrazione è così chiaramente interessata alla Russia (…) Non è solo la mancanza di riferimenti alla Russia a essere sorprendente, è il fatto che la Russia non venga mai menzionata come avversario o minaccia» scrive l’accademica.«La mancanza di discussione sulla Russia, nonostante la sua importanza per la sicurezza e l’ordine internazionale e la sua… importanza per l’amministrazione Trump, fa sembrare che stiano semplicemente aspettando di poter parlare in modo più positivo delle relazioni in futuro».

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La parte dedicata al dossier ucraino – che allude al fatto che «l’amministrazione Trump si trova in contrasto con i politici europei che nutrono aspettative irrealistiche per la guerra» – pare quasi redatta dal Cremlino. L’incipit della Deyermond è lapidario: «Se qualcuno in Europa si aggrappa ancora all’idea che l’amministrazione Trump non sia inamovibile filo-russa e ostile alle istituzioni e ai valori occidentali, dovrebbe leggere la Strategia per la Sicurezza Nazionale del 2025 e ripensarci».

 

Il NSS dedica scarsa attenzione alla NATO, se non per insistere sulla cessazione della sua espansione indefinita, ma stando ad un articolo Reuters del 5 dicembre, Washington intende che l’Europa rilevi entro il 2027 la gran parte delle competenze di difesa convenzionale dell’Alleanza, dall’intelligence ai missili. Questa scadenza «irrealistica» è stata illustrata questa settimana a diplomatici europei a Washington dal team del Pentagono incaricato della politica atlantica, secondo cinque fonti «a conoscenza della discussione».

 

Nel corso dell’incontro, i vertici del Dipartimento della Difesa avrebbero espresso insoddisfazione per i passi avanti europei nel potenziare le proprie dotazioni difensive dopo l’«invasione estesa» russa in Ucraina del 2022. Gli esponenti USA hanno avvisato i loro omologhi che, in caso di mancato rispetto del termine del 2027, gli Stati Uniti potrebbero sospendere la propria adesione a certi meccanismi di coordinamento difensivo NATO, hanno riferito le fonti. Le capacità convenzionali comprendono asset non nucleari, da truppe ad armamenti, e i funzionari non hanno chiarito come misurare i progressi europei nell’assunzione della quota preponderante del carico, precisa Reuters.

 

Non è dato sapere se il limite temporale del 2027 rifletta la linea ufficiale dell’amministrazione Trump o meri orientamenti di singoli addetti del Pentagono. Diversi rappresentanti europei hanno replicato che un tale orizzonte non è fattibile, a prescindere dai criteri di valutazione di Washington, dal momento che il Vecchio Continente necessita di risorse finanziarie aggiuntive e di una volontà politica più marcata per rimpiazzare alcune dotazioni americane nel breve periodo.

 

Tra le difficoltà, i partner NATO affrontano slittamenti nella fabbricazione degli equipaggiamenti che intendono acquisire. Sebbene i funzionari USA abbiano sollecitato l’Europa a procacciarsi più hardware di produzione statunitense, taluni dei sistemi difensivi e armi made in USA più cruciali imporrebbero anni per la consegna, anche se commissionati oggi.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

 

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