Persecuzioni
Suora birmana: «il Calvario del mio Paese, ridotto alla fame dalla guerra»

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
La testimonianza di suor Regina, delle Suore della Riparazione: «Bambini e anziani soffrono nelle foreste senza aiuti umanitari perché le strade sono bloccate dai militari. La leva obbligatoria serve a procurarsi scudi umani per costringere i ribelli a uccidere propri connazionali. Le nostre consorelle restano accanto alla gente, camminando con loro, anche tra lacrime, pericoli e dolori».
Il 27 marzo il Centro PIME di Milano ha promosso nella chiesa di San Francesco Saverio un momento speciale di preghiera per la pace in Myanmar, Paese che come ricordavamo pochi giorni fa, vive anche quest’anno una Pasqua segnata dalla guerra, dalla libertà negata e dalla sofferenza. Pubblichiamo la testimonianza proposta durante la celebrazione da suor Regina, una religiosa birmana delle Suore della Riparazione, congregazione religiosa fondata dal venerabile padre Carlo Salerio, uno dei primi missionari del PIME, che in Myanmar è presente fin dal 1895 e attraverso tante sue religiose birmane continua a servire questo Paese anche in quest’ora così difficile.
Sono trascorsi ormai tre anni dal colpo di stato che ha destabilizzato la nascente democrazia in Myanmar e la situazione è peggiorata sotto tanti aspetti: oltre ai morti, molti dei quali giovani, ai numerosi feriti, alle case incendiate, alla fuga nelle foreste e al vivere accampati in situazioni precarie, al sofferto e deprimente silenzio delle istituzioni internazionali, c’è da rilevare soprattutto in questi ultimi tempi un allarmante pericolo a causa della fame e dell’aumento dei prezzi dei generi alimentari che provoca nelle persone una situazione insostenibile, che troppo spesso sfocia in reciproche rapine.
Posso testimoniare che circa una settimana fa il fratello di una mia amica stava guidando la sua moto quando un gruppo di persone lo ha aggredito, picchiato e derubato della stessa moto; è finito in ospedale ed è ancora grave. Anche i negozi vengono saccheggiati dalle persone affamate e tutti vivono nella paura, preoccupati della stessa vita.
Le popolazioni, in particolare i bambini e gli anziani, soffrono perché costrette ad abbandonare le proprie case per scappare nella foresta in luoghi inaccessibili dove non c’è acqua potabile, non c’è cibo e dove le piogge torrenziali, accompagnate dal vento, impediscono di dormire.
Questo non succede solo in qualche luogo, ma in molte zone del Myanmar. Inoltre, gli aiuti umanitari non riescono ad arrivare perché a causa dei combattimenti le strade vengono bloccate dai militari i quali, senza pietà, bombardano con gli aerei i campi profughi, le scuole, gli ospedali, i negozi e le chiese dove la gente cerca di rifugiarsi.
Durante la notte, oltre ai bombardamenti aerei e al blocco delle linee elettriche che riducono le persone al buio, avvengono incursioni da parte dell’esercito che entra armato nelle case e senza motivo arresta le persone, gettando interi paesi nel panico. I bambini quando sentono o vedono un aereo scappano in cerca di un nascondiglio. Oltre al dolore per i morti e feriti c’è anche la grande sofferenza di non riuscire a comunicare con le organizzazioni che potrebbero intervenire a lenire le sofferenze.
I giovani birmani sono consapevoli che la loro «vita donata» contribuisce alla costruzione della tanto desiderata democrazia e sono determinati a non tornare indietro. Anche le numerose etnie che compongono il nostro popolo si sono unite come braccio armato alla «People’s Defence Force» (Forza di Difesa Popolare) per far fronte al regime militare.
Il 12 marzo scorso il regime ha emanato una legge che costringe al servizio militare i giovani birmani dai 18 ai 35 anni, le ragazze fino ai 28 e perfino i minori.
L’intenzione è quella di usarli come scudi umani ponendoli in prima linea dove non c’è via di scampo, costretti ad uccidere i propri connazionali creando così conflitti etnici e religiosi. Per sfuggire a questa disumanità i giovani hanno due possibilità: o unirsi alle forze rivoluzionarie, la «People’s Defence Force» e combattere contro il regime, oppure rischiare partendo per l’estero. Recentemente un giovane si è suicidato al pensiero di essere arruolato dal regime.
Di fronte a questa tragedia il nostro Istituto cerca di aiutare il più possibile la gente mediante il nutrimento fisico e il sostegno spirituale. Alcune sorelle vivono insieme ai profughi per star vicino ai bambini e alle mamme, creano nella foresta una vita para-normale con la scuola, il catechismo ed altre attività. Anche questo, però, è assai difficile perché i militari controllano i nostri conventi non permettendo i viaggi e gli spostamenti. La scelta dell’Istituto rimane comunque quella di stare accanto alla gente e camminare con loro, fra lacrime e dolori, affrontando le sfide e i pericoli quotidiani.
La Chiesa birmana ha mosso alcuni passi con i suoi vescovi e sacerdoti contattando i responsabili del regime, i quali hanno fatto promesse, ma non hanno poi mantenuto gli accordi che erano stati definiti. I vescovi incoraggiano tutta la popolazione ad aiutarsi reciprocamente, particolarmente nelle zone dove il conflitto è più violento. Alcuni sacerdoti hanno scelto di vivere accanto ai loro fedeli nei campi profughi.
La nostra nazione ha tanto bisogno di guarigione. Ha bisogno di pace e di giustizia. E perché il Myanmar abbia un futuro di pace, vi chiedo per favore di pregare.
Suor Regina
religiosa delle Suore della Riparazione
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Persecuzioni
Il ministro israeliano Katz: suore e clero cristiano saranno considerati terroristi se non lasceranno Gaza

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Persecuzioni
Nuovo rapporto sulle comunità cristiane in Nigeria

La Nigeria, il Paese con la popolazione più numerosa dell’Africa, è in preda a un’ondata di violenza sconcertante, che colpisce in particolare le comunità cristiane. Secondo l’ultimo rapporto della ONG International Society for Civil Liberties and Rule of Law (Intersociety), pubblicato a settembre 2025, tra gennaio e luglio sono stati uccisi più di 7.087 cristiani e quasi 7.800 rapiti.
I dati pubblicati dalla ONG Intersociety sono schiaccianti: rivelano una realtà complessa che combina persecuzione religiosa, conflitti etnici, reti criminali e abdicazione dello Stato. Eppure questa tragedia rimane ampiamente ignorata dai media internazionali e dalle cancellerie occidentali, creando un silenzio assordante di fronte a quella che può essere descritta, senza esagerazione, come una pulizia etnica e religiosa.
I massacri dei cristiani in Nigeria non si limitano ad atti isolati. Si inseriscono in un contesto di violenza sistemica, in cui diversi fattori si combinano per alimentare una spirale di terrore. I gruppi jihadisti, in particolare quelli affiliati a Boko Haram o allo Stato Islamico dell’Africa Occidentale (ISWAP), svolgono un ruolo centrale in queste atrocità.
A tutto questo si aggiungono le tensioni etniche, in particolare tra i pastori Fulani, in maggioranza musulmani, e gli agricoltori cristiani, e si ottiene un cocktail esplosivo di violenza in cui non mancano scontri motivati da lotte per il controllo della terra, in un Paese in cui la pressione demografica e la scarsità di risorse stanno esacerbando le rivalità.
L’ incapacità dello Stato nigeriano di garantire la sicurezza dei suoi cittadini – o addirittura la sua complicità, secondo alcune voci cattoliche – è un fattore nuovo. Le forze dell’ordine , indebolite dalla corruzione e dalla mancanza di risorse, faticano a contrastare gli aggressori, siano essi milizie organizzate o gruppi criminali. Nello Stato di Benue, 1.100 cristiani sono stati uccisi nel 2025 in attacchi di una brutalità senza precedenti.
Il massacro di Yelewata del 13 e 14 giugno 2025, riportato da FSSPX.Actualités, illustra questo orrore: 280 persone, principalmente cristiani sfollati ospitati da una missione cattolica, sono state massacrate con machete o colpi di arma da fuoco, alcune bruciate vive. Nello Stato di Plateau sono state registrate 806 morti. Altre regioni, come lo Stato del Niger, Kogi, Edo e Borno, hanno registrato tributi altrettanto pesanti.
Le conseguenze di questa violenza vanno ben oltre la perdita di vite umane. Dal 2015, 18.000 chiese e 2.200 scuole sono state incendiate e quasi 5 milioni di cristiani sono stati sfollati. Queste cifre, riportate dal Senato francese nel 2024, testimoniano la portata della crisi umanitaria. I campi profughi, spesso gestiti dalla Chiesa cattolica, sono diventati obiettivi di aggressori, come a Yelewata, dove centinaia di persone sono state massacrate mentre cercavano rifugio.
La violenza non si limita agli omicidi. Rapimenti di massa, conversioni forzate, matrimoni forzati e violenze sessuali sono all’ordine del giorno. Nello Stato del Niger , descritto come il quartier generale dell’Alleanza per la Jihad Islamica in Nigeria, 605 cristiani sono stati uccisi, spesso dopo rapimenti o conversioni forzate all’Islam.
Donne e ragazze, in particolare, sono obiettivi primari, utilizzate per spopolare le comunità cristiane attraverso matrimoni forzati. Questi atti fanno parte di un modello di terrore volto a cacciare i cristiani da alcune regioni, trasformando villaggi un tempo a maggioranza cristiana in aree dominate da popolazioni musulmane.
Il silenzio della comunità internazionale è ancora più preoccupante se si considera che la Nigeria è un attore importante in Africa, sia demograficamente che economicamente. I 222 milioni di abitanti del Paese , circa la metà dei quali cristiani, conferiscono a questa crisi una dimensione globale. Eppure i media occidentali, spesso pronti a parlare di altri conflitti, sembrano relegare questi massacri in secondo piano.
Di fronte a questa tragedia, si levano voci che chiedono una risposta internazionale. Nel suo rapporto, Intersociety chiede sanzioni più severe contro i leader religiosi che sostengono le milizie Fulani, nonché una maggiore pressione da parte di Stati Uniti, Unione Europea , Regno Unito e Canada. La designazione della Nigeria come «Paese di particolare preoccupazione» da parte degli Stati Uniti è un primo passo, ma rimane ampiamente insufficiente senza misure concrete.
Ma a chi importa davvero del destino dei cristiani nigeriani, una minoranza il cui colore è troppo poco sveglio o troppo colorato perché i media occidentali possano interessarsene veramente?
Articolo previamente apparso su FSSPX.News
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Persecuzioni
Cina, repressione dei contenuti religiosi online

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