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Stragi in Mozambico dopo la conferma della vittoria del partito al governo

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Almeno 21 persone sono state uccise a causa della ripresa delle violenze in Mozambico, dopo che la corte suprema del Paese ha confermato la vittoria del partito Frelimo, da tempo al potere, in elezioni contestate, ha annunciato martedì sera il ministro degli Interni del paese dell’Africa meridionale, Pascoal Ronda.

 

Il Mozambico è stato travolto dai tumulti da fine ottobre, quando il candidato presidenziale del Frelimo, Daniel Chapo, è stato dichiarato vincitore delle elezioni tenutesi all’inizio di quel mese. Venancio Mondlane, il leader dell’opposizione del partito Podemos, arrivato secondo, ha affermato che i voti sono stati rovinati da «frodi massicce» e ha esortato i sostenitori a protestare contro i risultati.

 

Gli osservatori delle elezioni nel paese ricco di risorse, compresi quelli dell’Unione Europea, hanno segnalato irregolarità nello spoglio e modifiche ingiustificate ai risultati.

 

Lunedì, il Consiglio costituzionale, la corte elettorale più alta del paese, ha concluso che Chapo ha vinto le elezioni del 9 ottobre. Tuttavia, secondo il conteggio, il presidente eletto ha ottenuto il 65% dei voti, anziché il 70% precedentemente annunciato dalla Commissione elettorale nazionale (CNE).

 

Inoltre, ha assegnato al Frelimo meno seggi in parlamento rispetto alla commissione e ha portato i voti del leader dell’opposizione Mondlane al 24%, superando il 20% che il CNE sosteneva avesse vinto.

 

L’Agenzia di informazione del Mozambico (AIM), di proprietà statale, ha affermato che Lucia Ribeiro, il giudice che ha annunciato la decisione del consiglio, ha ammesso che si erano verificate irregolarità, ma ha minimizzato il loro impatto sui risultati.

 

 


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«Le irregolarità verificatesi durante le elezioni non hanno influenzato sostanzialmente i risultati», ha affermato, secondo AIM. Judite Simao, rappresentante di Mondlane, avrebbe respinto la decisione del tribunale. «Non abbiamo mai pensato che la verità elettorale sarebbe stata calpestata. La volontà del popolo è stata cancellata», ha detto Simao secondo l’agenzia Reuters.

 

Secondo l’AIM, il caos è scoppiato subito dopo la dichiarazione del giudice: i manifestanti hanno dato fuoco a cumuli di pneumatici nelle strade dalla capitale Maputo fino all’aeroporto principale, scatenando scontri con la polizia.

 

In una conferenza stampa tenutasi martedì, Ronda ha affermato che gli investigatori hanno registrato 236 «atti di grave violenza» in 24 ore, tra cui 25 veicoli incendiati, 11 unità di polizia e strutture carcerarie «attaccate e vandalizzate» e circa 86 detenuti liberati.

 

 

 

Secondo il ministro degli interni mozambicano gli scontri «hanno provocato 21 morti, di cui due membri del PRM [Polizia della Repubblica del Mozambico, ndr]». Circa 25 persone, tra cui 12 agenti di polizia, sono rimaste ferite, mentre 78 dimostranti sono stati arrestati, ha riferito il funzionario.

 

«La forza armata e di difesa aumenterà la sua presenza nei punti critici e chiave», ha affermato.

 

Dall’inizio delle proteste in ottobre, almeno 130 persone sono morte negli scontri con la polizia nell’ex colonia portoghese, secondo Plataforma Decide, un gruppo di monitoraggio della società civile locale. Il gruppo non-profit ha pubblicato domenica dati che mostrano che dal 21 ottobre al 15 dicembre, la polizia ha sparato a 345 persone e ne ha arrestate altre 3.636.

 

Come riportato da Renovatio 21, il voto contestato aveva portato a visibili tensioni ancora due mesi fa.

 

Come noto, il Mozambico, sulla carta, sarebbe stato «pacificato» dalla Comunità di Sant’Egidio, una scheggia di CL che si è fatta strada sotto il papato di Woytila per arrivare ad esprimere persino un ministro nel governo Monti (2011). Il pervadente gruppo romano avrebbe guidato la pace tra le parti in lotta, i socialisti del FRELIMO (Fronte di liberazione del Mozambico) e i conservatori del RENAMO (Resistenza Nazionale Mozambicana), che cessarono le ostilità con gli Accordi di pace di Roma del 1992.

 

Presenti alla firma della pace, oltre al fondatore di Sant’Egidio Andrea Riccardi (poi ministro alla cooperazione internazionale nel gabinetto dei tecnocrati montiani), c’era il cardinale Zuppi, arcivescovo di Bologna, uomo della diplomazia vaticana fallita con Kiev, distributore di tortellini filomusulmani a base di pollo e secondo alcuni prossimo papabile.

 

Il capitale politico ottenuto dalla «pace» mozambicana ha catapultato la Sant’Egidio nell’Olimpico della geopolitica internazionale, come visibile il mese scorso quando il presidente francese Macron ha aperto un evento della Comunità a Parigi.

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Come ha già scritto Renovatio 21 fa in un articolo sulla situazione mozambicana tra ISIS e giacimenti di gas (nell’area ci sono interessi ENI), la pacificazione del Mozambico non pare essere stata un gran capolavoro, visto che ora vi si affaccia, in modo sanguinario, il fondamentalismo islamista.

 

Come riportato da Renovatio 21, negli ultimi mesi vi è stata una recrudescenza degli attacchi dei jihadisti Ahl al-Sunnah wa al-Jamma’ah, gruppi affiliati all’ISIS che hanno intensificato l’attività terrorista nella provincia di Pemba, nel nord del Mozambico.

 

Si è distinto, per la sua resistenza all’ondata jihadista, monsignor Antonio Juliasse Ferreira Sandramo, vescovo di Pemba, diocesi di Cabo Delgado, nel Nord del Mozambico, regione divenuta terreno preferito dei gruppi islamici armati. Il prelato segnala che interi villaggi appartenenti alla sua circoscrizione ecclesiastica sono stati cancellati dalle carte geografiche.

 

Le persecuzioni in Mozambico non sono mai terminate, con racconti di schiave sessuali ISIS uccise se hanno l’AIDS e non si convertono all’Islam.

 

Tra le persone uccise dagli islamisti c’era una suora veneta, suor Maria De Coppi, una missionaria comboniana che serviva bambini malnutriti e orfani.

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Politica

La nuova presidente irlandese è NATO-scettica e contraria alla militarizzazione dell’UE

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Catherine Connolly, candidata indipendente e storica sostenitrice della neutralità militare irlandese, nota per le sue critiche all’espansione della NATO e alla militarizzazione dell’UE, ha trionfato nelle elezioni presidenziali irlandesi con una vittoria schiacciante.   Mentre lo spoglio dei voti era ancora in corso, la principale avversaria, Heather Humphreys, ha riconosciuto la sconfitta, vedendosi superata con un ampio margine. I risultati preliminari indicavano Connolly al 63% dei voti contro il 29% di Humphreys. «Catherine sarà una presidente per tutti e sarà anche la mia presidente», ha dichiarato Humphreys ai media.   Il primo ministro irlandese Micheal Martin ha formalmente congratulato Connolly, definendo la sua vittoria «molto netta».

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Pur essendo indipendente, Connolly, 68 anni ed ex sindaco di Galway, ha ricevuto il sostegno dei principali partiti di sinistra, tra cui Sinn Féin e Labour. Il suo successo è stato attribuito in gran parte alla capacità di attrarre il voto dei giovani, grazie a un’efficace campagna sui social media e a una forte risonanza in un contesto di crescente malcontento per la crisi abitativa e il costo della vita in Irlanda.   Durante la campagna, Connolly ha ribadito l’importanza della neutralità irlandese, criticando l’UE per il suo orientamento verso la militarizzazione a discapito del welfare. Pur esprimendo critiche alla Russia per il conflitto ucraino, ha sostenuto che il ruolo «bellicoso» della NATO abbia contribuito alla crisi.   Il mese scorso, durante un dibattito all’University College di Dublino, Connolly ha paragonato l’attuale impegno della Germania nel rilanciare la propria economia attraverso il «complesso militare-industriale» al riarmo degli anni Trenta sotto il nazismo, affermando: «Vedo alcuni parallelismi con gli anni Trenta».   Sebbene il ruolo del presidente in Irlanda, una democrazia parlamentare, sia principalmente simbolico, esso comporta poteri significativi, come la possibilità di deferire leggi alla Corte Suprema per verificarne la costituzionalità e di sciogliere la Camera Bassa del Parlamento, convocando nuove elezioni in caso di perdita della fiducia da parte di un primo ministro.  

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Il presidente romeno fischiato per il sostegno all’Ucraina

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Il presidente rumeno Nicusor Dan è stato contestato per il suo sostegno all’Ucraina durante un evento commemorativo tenutosi venerdì.

 

Decine di manifestanti hanno espresso il loro dissenso quando Dan è giunto al Teatro Nazionale di Iasi per partecipare a una celebrazione storica, come riportato dall’emittente locale Digi24.

 

Un video mostra Dan scendere dall’auto e salutare i manifestanti, che gridavano «Vergogna!» e «Vai in Ucraina!».

 


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Secondo il quanto riportato, le proteste sono continuate anche dopo l’evento, al momento dell’uscita del presidente dal teatro.

 

Come riportato da Renovatio 21i, Dan, politico favorevole all’UE, è salito al potere quest’anno dopo una controversa ripetizione delle elezioni, in seguito all’annullamento della vittoria iniziale del candidato conservatore Calin Georgescu, critico esplicito della NATO e delle forniture di armi occidentali all’Ucraina. Georgescu è stato successivamente escluso dalla competizione elettorale e affronta accuse di aver pianificato un colpo di Stato, tanto da essere arrestato.

 

Georgescu, che ha sempre avuto il favore di migliaia e migliaia di manifestanti pronti a scendere in piazza, ha definito la UE «una dittatura». Di contro, Bruxelles ha rifiutato di commentare l’esclusione del candidato dalle elezioni rumene. A inizio anno Georgescu aveva chiesto aiuto al presidente americano Donaldo Trump.

 

Georgescu aveva definito Zelens’kyj come un «semi-dittatore», accusando quindi la NATO di voler utilizzare la Romania come «porta della guerra».

 

Il CEO di Telegram Pavel Durov aveva parlato di pressioni su di lui da parte della Francia per influenzare le elezioni presidenziali in Romania.

 

Il Dan ha ribadito il suo impegno a sostenere l’Ucraina. La Romania ha già destinato 487 milioni di euro a Kiev, principalmente in aiuti militari, dall’intensificarsi del conflitto nel 2022, secondo i dati del Kiel Institute tedesco.

 

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I detenuti minacciano Sarkozy e giurano vendetta vera per Gheddafi

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Un video girato con un cellulare nella prigione parigina La Santé sembra mostrare che i detenuti hanno minacciato l’ex presidente francese Nicolas Sarkozy di vendicare la morte del defunto leader libico Muammar Gheddafi.   Sarkozy, 70 anni, ha iniziato a scontare la sua condanna a cinque anni martedì, dopo che un tribunale di Parigi lo ha dichiarato colpevole di associazione a delinquere finalizzata a finanziare la sua campagna presidenziale del 2007 con denaro di Gheddafi, contro il quale in seguito guidò un’operazione di cambio di regime sostenuta dalla NATO che distrusse la Libia e portò alla morte di Gheddafi.   Martedì hanno iniziato a circolare video ripresi da La Sante, in cui presunti detenuti minacciavano e insultavano Sarkozy, che sta scontando la sua pena nell’ala di isolamento del carcere.   «Vendicheremo Gheddafi! Sappiamo tutto, Sarko! Restituisci i miliardi di dollari!», ha gridato un uomo in un video pubblicato sui social media. «È tutto solo nella sua cella. È appena arrivato… se la passerà brutta».  

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Il ministro degli Interni francese Laurent Nunez ha sottolineato che, a causa del pericolo, due agenti di polizia della scorta di sicurezza assegnata agli ex presidenti saranno di stanza in modo permanente nelle celle adiacenti a quella di Sarkozy.   «L’ex presidente della Repubblica ha diritto alla protezione in virtù del suo status. È evidente che sussiste una minaccia nei suoi confronti, e questa protezione viene mantenuta durante la sua detenzione», ha dichiarato Nunez mercoledì alla radio Europe 1.   Sarkozy, che ha guidato la Francia tra il 2007 e il 2012, ha negato tutte le accuse a suo carico, sostenendo che siano di matrice politica. Il suo team legale ha presentato una richiesta di scarcerazione anticipata, in attesa del procedimento di appello.   L’inchiesta su Sarkozy è iniziata nel 2013, in seguito alle affermazioni del figlio di Gheddafi, Saif al-Islam, secondo cui suo padre aveva fornito alla campagna dell’ex presidente circa 50 milioni di euro.   A dicembre 2024, la Corte Suprema francese ha confermato una condanna del 2021 per corruzione e traffico di influenze, imponendo a Sarkozy un dispositivo elettronico per un anno. È stato anche condannato per finanziamento illecito della campagna per la rielezione fallita del 2012, scontando la pena agli arresti domiciliari.   Nel 2011, Sarkozy ha avuto un ruolo di primo piano nell’intervento della coalizione NATO che ha portato alla cacciata e alla morte di Gheddafi, facendo sprofondare la Libia in un caos dal quale non si è più risollevata.   Come riportato da Renovatio 21, all’inizio del 2025 gli era stata revocata la Legion d’Onore. In Italia alcuni hanno scherzato dicendo che ora «Sarkozy non ride più», un diretto riferimento a quando una sua risata fatta con sguardo complice ad Angela Merkel precedette le dimissioni del premier Silvio Berlusconi nel 2011 e l’installazione in Italia (sotto la ridicola minaccia dello «spread») dell’eurotecnocrate bocconiano Mario Monti.     Nell’affaire Gheddafi finì accusata di «falsificazione di testimonianze» e «associazione a delinquere allo scopo di preparare una frode processuale e corruzione del personale giudiziario» anche la moglie del Sarkozy, l’algida ex modella torinese Carla Bruni, la quale, presentatole il presidente dall’amico comune Jacques Séguela (pubblicitario autore delle campagne di Mitterand e Eltsin) secondo la leggenda avrebbe confidato «voglio un uomo dotato della bomba atomica».  

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