Digiuno
Seoul, nuova mozione di arresto per il leader dell’opposizione (in sciopero della fame)
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Lee Jae-myung, capo del Partito democratico, è accusato di corruzione. Ha sempre negato di aver commesso reati e due giorni fa è stato ricoverato in ospedale. In risposta l’opposizione ha chiesto le dimissioni del premier. In un Paese spaccato a metà la fiducia dell’amministrazione di Yoon Suk Yeol è in calo anche per non essersi opposto al rilascio delle acque di Fukushima in nome del disgelo con il Giappone.
Il governo sudcoreano ha presentato oggi in Parlamento una mozione che chiede l’arresto del leader dell’opposizione Lee Jae-myung. Schieramento che ha risposto con una mozione separata, che invoca le dimissioni del primo ministro Han Duck-soo. Entrambe le mozioni saranno sottoposte a votazione durante la sessione plenaria di domani.
Lee Jae-myung, capo del Partito democratico (DP), di orientamento progressista e imputato per una serie di reati, due giorni fa è stato ricoverato in ospedale a causa di uno sciopero della fame che sta portando avanti da circa tre settimane in segno di protesta contro quello che ritiene un accanimento contro di lui di un governo «incompetente e violento».
Alcune delle accuse mosse contro Lee risalgono a quando era sindaco di Seongnam, una città a sud di Seoul, tra il 2014 e il 2017 e riguardano reati di abuso d’ufficio, corruzione e il presunto coinvolgimento in un piano di trasferimento di denaro in Corea del Nord.
I deputati della Corea del Sud godono dell’immunità parlamentare e possono essere imprigionati solo previo consenso dell’Assemblea nazionale (il Parlamento); già a febbraio, i deputati del DP – che sono la maggioranza, 167 su 297, nonostante la vittoria di Yoon alle presidenziali – avevano votato contro e respinto la mozione.
Non è però chiaro come voteranno domani, soprattutto dopo che ieri l’ex presidente Moon Jae-in è andato a visitare Lee in ospedale chiedendogli di mettere fine allo sciopero della fame. Lo stesso Lee negli ultimi mesi ha detto di non aspettarsi di essere protetto dal suo partito.
Il Partito Democratico nel frattempo ha presentato una controproposta chiedendo le dimissioni del premier Han Duck-soo, incolpato di incompetenza in quanto capo del gabinetto e ritenuto responsabile di quelli che sono stati definiti i fallimenti dell’amministrazione Yoon, tra cui, in particolare, la mancata opposizione al Giappone (ex potenza colonizzatrice in Corea) per il rilascio delle acque radioattive dalla centrale nucleare di Fukushima, e la cattiva gestione del World Scout Jamboree tenutosi ad agosto.
Alcuni commentatori politici si aspettano tuttavia che il presidente Yoon Suk Yeol, appartenente allo schieramento dei conservatori, annulli la mozione prima della votazione, come già successo in passato per le richieste di dimissioni del ministro degli Esteri Park Jin e del ministro dell’Interno Lee Sang-min.
Il fatto però che Yoon abbia invece accolto la mozione per l’arresto di Lee mentre si trova a New York per partecipare alla riunione dell’Assemblea generale delle Nazioni unite, ha fatto infuriare i membri del Partito democratico. L’approvazione equivarrebbe a «firmare una condanna a morte per un rivale politico», ha commentato il portavoce del partito, Kang Sun-woo. «È come chiedere leader di un partito di opposizione di “morire già”», ha aggiunto.
Lee ha perso le elezioni presidenziali lo scorso anno contro l’ex magistrato Yoon per un leggero margine e da allora è oggetto di indagini penali. Finora ha negato ogni accusa, e definito l’amministrazione Yoon «una dittatura dei pubblici ministeri» in cui il sistema giudiziario viene utilizzato per intimidire e screditare gli avversari politici.
Nelle ultime settimane, Yoon, che nell’ultimo anno ha ricevuto bassi tassi di approvazione da parte della popolazione, ha intensificato gli attacchi contro i progressisti, paragonando alcuni di loro a «forze antistatali» e accusandoli di collusione con la Corea del Nord o accusandoli di diffondere «notizie false».
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Digiuno
Leader degli agricoltori indiani da oltre 40 giorni in sciopero della fame
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Digiuno
Attivista tailandese muore in carcere: era in sciopero della fame contro la lesa maestà
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La 28enne Netiporn «Boong» Sanesangkhom è deceduta in ospedale dove era stata ricoverata per l’aggravarsi delle condizioni. Era diventata un simbolo per ONG internazionali e il suo nome era presente nei rapporti dei governi occidentali relativi agli abusi. Quasi 2mila persone perseguite per reati di opinione, centinaia rischiano pesanti pene detentive.
A tre mesi dall’inizio del digiuno di protesta in carcere, la 28enne Netiporn «Boong» Sanesangkhom, uno dei riferimenti dei movimenti di protesta contro la detenzione per ragioni politiche o di coscienza e la custodia indeterminata in attesa di processo, è deceduta questa mattina nell’ospedale dell’Università Thammasat.
Netiporn, nota per la partecipazione al movimento di protesta Thalu Wang e a iniziative a tutela dei diritti dei detenuti e delle libertà civili, era stata «adottata» come prigioniera di coscienza da diverse organizzazioni internazionali, tra cui Amnesty International. Il suo nome era apparso in diversi rapporti riguardanti la Thailandia, nazione da tempo «sotto osservazione» da parte statunitense ed europea.
Il suo sciopero della fame e della sete era iniziato nel carcere femminile centrale della capitale thailandese dove era stata rinchiusa il 26 gennaio scorso, dopo che le era stata revocata la libertà su cauzione perché accusata di lesa maestà. Un’incriminazione legata alla sua partecipazione a un sondaggio del febbraio 2022 sui cortei di auto di membri della monarchia che spesso attraversano aree della capitale, con disagi per la circolazione.
Irremovibile nel rifiutare cibo e liquidi, lo scorso febbraio l’attivista era stata prima trasferita in un ospedale carcerario e poi in quello universitario Thammasat, prima di essere riportata in cella dove, secondo l’amministrazione penitenziaria, avrebbe ripreso ad alimentarsi regolarmente.
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Per i gruppi che hanno seguito la sua vicenda, tra cui avvocati thai per i diritti umani (Thai Lawyers for Human Rights), Netiporn era tornata nell’ospedale carcerario a inizio aprile ma la sua salute si era deteriorata rapidamente. Questa mattina il ricovero dopo una crisi cardiaca ma il suo trasferimento in ospedale è risultato inutile, poiché l’attivista è deceduta alle 11.22 ora locale (le 6.22 in Italia).
Immediate le espressioni di solidarietà e di cordoglio di attivisti che ne condividevano la causa – come i colleghi di impegno civile Natthanon «Frank» Chaimahabud e Tantawan «Tawan» Tuatulanon – e anche l’esperienza del digiuno di protesta, ma anche di politici dell’opposizione e di esponenti della società civile.
La sua vicenda ha tenuta alta l’attenzione riguardo una legge, quella sulla “Lesa maestà”, da tempo criticata per il suo utilizzo che, più che tutelare la dignità della famiglia reale, sembra indirizzato a perseguire chi dissente con le pretese di controllo sul Paese dei militari e di altri poteri forti o chiede maggiori spazi di critica e dibattito.
Secondo un recente rapporto di Thai Lawyers for Human Rights, dall’inizio delle proteste dei movimenti giovanili che chiedono più libertà e giustizia sono 1.954 gli individui perseguiti legalmente per ragioni politiche e di questi almeno 272 rischiamo pesanti pene detentive in base all’articolo 112 del Codice penale, quello appunto noto come Legge sulla lesa maestà, e 153 per l’accusa di sedizione secondo l’articolo 116 del codice.
Evidenziato pure dalla tragica fine di Netiporn «Boong» Sanesangkhom l’eccesso di pene detentive a cui tanti sono sottoposti prima di accedere al giudizio, in particolare per i casi politici, e l’arbitrarietà con cui viene decisa la libertà su cauzione.
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