Persecuzioni
Rito indù della puja imposto alle scuole cattoliche indiane
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Nello Stato del Tripura un gruppo vuole imporre alla Don Bosco School una celebrazione indù. Nell’Assam prendono a pretesto gli abiti dei religiosi cristiani per gridare alle conversioni. Mons. Moolachira: «Il governo ci protegga». Il vescovo di Agartala: «Serviamo disinteressatamente tutti. E nelle nostre classi i poveri hanno trovato dignità».
Due inquietanti casi di minacce nei confronti delle scuole cristiane sono avvenuti negli ultimi giorni nella regione nord-orientale dell’India. Nel primo caso, una scuola missionaria di Tripura si è rivolta all’amministrazione chiedendo protezione da un gruppo di persone che si sono identificate come membri dell’Hindu Jagran Manch e del Sanatani Dharma e hanno minacciato di condurre nell’istituto il 14 febbraio «con le buone o con le cattive» la Saraswati Puja, un rito indù.
Tessy Joseph, preside della Don Bosco School di Dhajanagar, alla periferia di Udaipur, ha chiesto al magistrato distrettuale di Gomati di prendere provvedimenti per «impedire questo atto illegale e proteggere l’istituto, la sua proprietà e i suoi diritti garantiti dalla Costituzione indiana».
Simili «richieste» di Puja sono state presentate anche a tre scuole dell’Assam, spingendo i rappresentanti delle scuole missionarie del Nord-Est a tenere una riunione a Guwahati domenica per affrontare la situazione.
Un leader dell’Hindu Jagran Manch del distretto di Gomati ha dichiarato che «un gruppo di persone appartenenti al Samaj indù e alcuni genitori hanno incontrato il preside della scuola Don Bosco con la richiesta di celebrare lì la Saraswati Puja, proprio come il Natale viene celebrato da tutti, perché la maggior parte degli studenti della scuola sono indù».
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Nella sua richiesta di protezione, il preside della scuola – fondata nel 1999 – ha raccontato le tre visite compiute tra l’8 e il 9 febbraio da persone che volevano celebrare la Saraswati Puja.
«Sebbene sia un’istituzione di minoranza cristiana destinata principalmente agli studenti cristiani – spiega Joseph – la nostra scuola si rivolge a studenti di tutte le religioni e ci impegniamo a rendere gli studenti migliori esseri umani e migliori cittadini dell’India. Abbiamo ribadito che abbiamo pieno rispetto per la Saraswati Puja e per altri rituali religiosi di qualsiasi religione, ma ci riserviamo il diritto di gestire la nostra istituzione secondo l’articolo 30 della Costituzione indiana, che garantisce alle minoranze la libertà di amministrare proprie scuole. Loro però sono stati irremovibili», si legge nella lettera.
In un secondo caso, poi, un gruppo indù dell’Assam ha dato alle scuole cristiane dello Stato un ultimatum di 15 giorni per rimuovere tutti i simboli cristiani e gli abiti religiosi indossati da preti, suore e religiosi nei loro campus. L’iniziativa è di un gruppo poco conosciuto, il Kutumba Surakshya Parishad, che chiede anche la rimozione di statue e immagini di Gesù e Maria, nonché la chiusura delle chiese situate nei complessi scolastici. Il suo leader Satya Ranjan Borah, ha dichiarato ai giornalisti: «i missionari cristiani stanno convertendo le scuole e gli istituti educativi in istituti religiosi per attività di conversioni. Non lo permetteremo».
L’arcivescovo di Guwahati, mons. John Moolachira che è anche presidente della Conferenza episcopale della regione del nord-est, ha commentato queste notizie ad AsiaNews: «Non permettiamo la celebrazione di una Puja nei nostri locali. Possono bere un tè o promuovere programmi culturali all’interno del complesso, ma non svolgere attività religiose. Anche i programmi religiosi cristiani non si tengono durante gli orari scolastici. Temiamo che questi elementi possano entrare nella scuola e celebrare la Puja. Se il governo non ci protegge, non saremo in grado di continuare come prima. Quanto poi all’abbigliamento religioso, abbiamo il nostro abito e non rimuoveremo le statue. Prima di questi gruppi, nessuno ha mai sollevato problemi».
Anche mons. Lumen Monteiro, vescovo di Agartala nel Tripura, aggiunge ad AsiaNews: «La Chiesa cattolica nella diocesi serve disinteressatamente la gente, senza discriminazioni di casta o di credo, attraverso il nostro apostolato dell’istruzione. Lavoriamo per la costruzione della nazione senza svolgere alcuna funzione religiosa nelle nostre scuole, perché non sono un luogo adatto. Non abbiamo intenzione di cedere a nessuno di questi gruppi. Molti dei migliori studiosi, funzionari pubblici, imprenditori, medici ed educatori della nostra regione sono stati studenti delle nostre scuole. E i poveri hanno trovato dignità e valorizzato i talenti donati da Dio nelle nostre aule».
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Continuano i massacri di cristiani in Nigeria
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Persecuzioni
Pakistan, conversioni forzate: tentato avvelenamento di un cristiano di 13 anni
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Saim era uscito di casa per andare a tagliarsi i capelli, quando una guardia di sicurezza, che aveva notato addosso al ragazzo una collana con la croce, ha iniziato a chiedergli di recitare preghiere islamiche. Il giovane, dopo essersi rifiutato, è stato costretto a ingerire una sostanza nociva.
In Pakistan si è verificato l’ennesimo tentativo di conversione forzata nei confronti di un ragazzo cristiano di 13 anni, costretto a ingerire una sostanza tossica dopo essersi rifiutato di abbracciare l’Islam.
L’episodio è avvenuto nella città di Lahore il 13 aprile: Saim era uscito di casa per andare a tagliarsi i capelli, ma è stato fermato da una guardia di sicurezza musulmana che aveva notato che il ragazzo aveva al collo una croce.
La guardia, di nome Qadar Khan, ha strappato la collana e costretto Saim a recitare una preghiera islamica, ma il ragazzo si è rifiutato, dicendo di essere cristiano. L’uomo ha quindi costretto Saim a ingerire una sostanza tossica nel tentativo di avvelenarlo.
Sono stati i genitori del giovane a trovare il corpo del figlio senza conoscenza dopo diverse ore che Saim mancava da casa. Il padre, Liyaqat Randhava, si è rivolto alla polizia ma ha raccontato di aver ricevuto un trattamento iniquo.
Gli agenti hanno registrato la denuncia solo dopo diverse insistenze e una copia del documento non è stata rilasciata alla famiglia di Saim, che ha detto inoltre che diverse parti del racconto non sono state incluse nella denuncia (chiamata anche primo rapporto informativo o FIR).
Joseph Johnson, presidente di Voice for Justice, ha espresso profonda preoccupazione per i crescenti episodi di conversioni religiose forzate in Pakistan e ha condannato quanto successo a Saim, aggiungendo che la polizia sta mostrando estrema negligenza nel caso. «Evitando di includere i dettagli cruciali nel FIR, la polizia ha sottoposto Saim e la sua famiglia a ulteriori abusi», ha affermato Johnson, chiedendo l’intervento del governo per un’indagine.
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Immagine di Guilhem Vellut via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
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