Maternità
Riduzione del seno: se amputarsi le tette diventa una questione femminista
Molti conoscono il caso di Angeline Jolie, che si fece asportare il seno preventivamente: disponendo della mutazione famoso gene BRCA1, quella che teoricamente porterebbe a maggiori possibilità di cancro alle mammelle, la diva anni nel 2013 diede ampia pubblicità alla doppia mastectomia preventiva.
Il trend è ora in aumento. Secondo le cronache, tantissime giovani sotto i 30 anni con casi di tumori al seno in famiglia si rivolgono al chirurgo per tagliare via le mammelle.
Tuttavia, questa molto discutibile pratica medica di amputazione non è l’unico motivo per cui la chirurgia sta mutilando a tante donne l’organo dell’allattamento e della femminilità.
Il New York Times lo scorso mese ha mandato in stampa un lungo articolo intitolato «La questione femminista della riduzione del seno».
L’autrice è una giovane che si fa raffigurare in canotta, con un seno piuttosto prosperoso e nessun reggiseno ad occultare i capezzoli che premono sul tessuto tra tatuaggi a caso. La didascalia ci informa tuttavia che la foto è scattata dopo l’operazione di riduzione del seno.
Perché l’articolista ha optato per intervenire chirurgicamente per diminuirsi le tette? Beh, viene raccontata una storia piuttosto triste.
«Ero una ragazza sicura di sé e atletica (…) Poi è arrivato il mio seno: enorme, pesante e primo tra i miei coetanei. Hanno segnato il prima e il dopo del mio corpo, cosa significava nel mondo delle persone e cosa significava per me».
«La mia trasformazione mi ha inibito sia fisicamente che socialmente. Non potevo più correre, in parte perché era scomodo (…) ma anche perché non potevo essere visto correre. Ho smesso di fare sport, ho smesso del tutto di giocare all’aperto. Peggio ancora, sono stata perseguitata dai ragazzi e detestato dalle ragazze e presto ho sviluppato la reputazione di puttana. All’inizio, ciò era dovuto esclusivamente al mio seno, ma è peggiorato quando ho ceduto con riluttanza ai ragazzi che volevano toccarli. L’attenzione sessuale poteva essere allettante, ma lo spettro del piacere era un miraggio (…) ho acconsentito ad atti che mi hanno sopraffatto e sono stata incessantemente molestata a scuola».
Un seno enorme e desiderato da tutti, una vera maledizione. Al contempo, un grimaldello infallibile per il focus altrui.
«Nei successivi 25 anni, il mio seno ha attirato attenzioni che altrimenti non avrei ricevuto. Come un faro sessuale, segnalavano agli uomini ovunque».
Purtroppo però, l’autrice confessa di aver «sempre saputo di essere queer e ho iniziato a frequentare donne da adolescente». Queer non abbiamo mai capito bene cosa significhi, dovrebbe essere la Q in LGBTQ. Arrotondiamo, per nostra ignoranza, nel dire che in questo caso si tratta di qualcosa di vicino al lesbismo (ma non ne siamo sicuri).
L’autrice, confessando di preferire partner femminili, aggiunge però un commento oscuro: «mentre trovavo rifugio in queste relazioni intime, vivevo ancora nel mondo degli uomini e le dimensioni del mio seno significavano che il mio corpo era loro per lo sguardo, il commento, l’afferramento e il feticismo».
Insomma, la maledizione continua. Anche perché, pare di capire, il «mondo degli uomini», notoriamente e misteriosamente attratti dalle tette, non era stato ancora abbandonato.
Ecco quindi che scatta il primo cortocircuito femminista: «per la maggior parte della mia vita, ho voluto disperatamente che il mio corpo fosse diverso, e ho anche inteso l’ossessione come un difetto, come un fallimento per essere una vera femminista».
Se hai le tette grosse, non puoi davvero essere una vera femminista. Ma in realtà bisogna cercare comprensione anche lì.
«Ho pensato che dovevo accettare il mio corpo, amare il mio corpo e trovarlo bello, per respingere con successo il messaggio interiorizzato della cultura patriarcale».
Eccoci: le tette come «messaggio interiorizzato della cultura patriarcale». Le tette, oscene Quisling del corpo femminile, sono chiaramente complici del patriarcato. Perché i patriarchi, notoriamente e misteriosamente, per lo più adorano le tette (non tutti, per qualche oscuro motivo).
È stato duro, per la femminista, cercare la via del bisturi.« La più importante teorica femminista contemporanea sull’argomento, in un articolo del 1991 sulla rivista Hypatia, che la chirurgia estetica fosse “considerata come una forma estrema di misoginia medica, che produce e riproduce i temi culturali perniciosi e pervasivi della femminilità carente”».
La chirurgia estetica è patriarcale, in sé. «La donna che ha ceduto al desiderio di commettere una tale violenza sul proprio corpo era una “droga culturale”, afflitta da falsa coscienza, credendo di aver fatto una scelta personale mentre in realtà si arrendeva a un sistema che controlla e opprime le donne».
Quelle che si aumentano il seno o si botoxano lo fronte, insomma, sono delle tossiche schiave dei maschi.
L’autrice maggiorata quindi parla del tentennamento nei confronti del chirurgo estetico: « quando avevo vent’anni, le uniche persone che sapevo che l’avevano fatto erano amiche che lavoravano nell’industria del sesso, per i quali sembrava un investimento professionale piuttosto che personale».
Un attimo… cosa significa «amiche che lavoravano nell’industria del sesso»? Prostitute? Attrici porno? In che senso «amiche»?
Dopo discussione con la «moglie», l’autrice si decide infine per l’intervento.
L’esperienza è descritta con toni mistici: «nella sala operatoria il corpo è sacro solo al suo abitante. Mi è venuta addosso di soppiatto, la strana sensazione di sacralità, mentre il mio chirurgo mi ha stretto, misurato e scarabocchiato sul seno con un pennarello la mattina del mio intervento».
Strana «sacralità del corpo», che si esprime nella sua mutilazione. Tuttavia, sul versante tecnico-organolettico dell’esperienza, «La mattina del mio intervento chirurgico al seno, ero felice di non dover vedere le mie parti scartate gettate nella spazzatura».
La questione femminista rimane:
«Nonostante la considerazione dell’esperienza vissuta dalle donne con la chirurgia estetica, la teoria femminista la considera ancora in gran parte problematica, un modo per scambiare una sofferenza terribile con una sofferenza meno terribile: la scelta è quella di continuare a vivere in un corpo che si sente insopportabile o di subire un aborrente violenza. Il presupposto è che nessuno sceglierebbe la violenza fisica se non per alleviare sofferenze insopportabili».
«Questo semplicemente non è vero» realizza la fanciulla ex-gigantomastica, rivelando d’improvviso cose inaspettate. «Lo dico non solo come ex dominatrix professionista, ma come persona che ha capito da tempo che la maggior parte delle forme di guarigione include il dolore e molte includono la violenza».
Piano, piano, scusate, un secondo.
Cosa è una dominatrix professionista? Apprendiamo dall’enciclopedia online che una «dominatrice», detta anche «padrona», è una donna che nelle pratiche sadomasochiste interpreta il ruolo dominante.
Cioè: quella con il corpetto nero, il frustino che schiocca, magari una maschera di lattice i tacchi a spillo con cui eseguire crudeltà indicibili.
«Riveste invece una certa diffusione il fenomeno delle Prodomme» scrive Wikipedia, «ovvero di donne che esercitano professionalmente il ruolo di padrona, spesso all’interno di un dungeon [sotterraneo, ndr] ben attrezzato, percependo denaro come profitto della propria attività. Tali rapporti, quando consistono in uno scambio tra prestazione sessuale e denaro, vengono inquadrati nell’ambito della prostituzione».
Quindi, una dominatrice professionista è…
Ma quindi, con quel seno pazzescamente problematico, è possibile dire che l’autrice del pezzo ci abbia «lavorato»? Che abbia in qualche modo contribuito ai suoi guadagni?
Insomma, seguite la linea: palpamenti e pentimenti, femminismo, omosessualismo, sadomasochismo «professionale», amputazione delle mammelle. Il quadro è questo.
E noi, in tutto questo, cosa cosa ci vediamo?
La mortificazione assoluta dell’essere femmina, dell’essere donna. La mutilazione di organi della maternità: alla fine finiamo sempre là, all’attacco alla donna generatrice della vita, custode del genere umano.
Fateci caso: i cristiani, di solito non sempre comprensivi riguardo alle nudità, per millenni non hanno avuto problemi a raffigurare l’allattamento di Gesù dal seno di Maria. Ciò rimane, anche se sempre più in difficoltà, anche nella vita reale: se una madre si mette a bordo della strada ad allattare, nessuno si scandalizzava, fino a poco tempo fa. Si scandalizzava se qualcuno le urlava che stava facendo una cosa indecente.
Ma quale indecenza? La funzione del seno è, per la continuazione dell’umanità, per la legge naturale, davvero sacra.
Qui invece, per blasfema perversione nosocomiale, diviene «sacra» la sua riduzione chirurgica. Perché l’ora presente santifica cioè che distrugge i sessi biologici e la riproduzione naturale.
Ecco, in tutta questa storia ci vediamo un paragrafo poco considerato dell’azione della Necrocultura: la guerra del mondo moderno contro le tette.
Gravidanza
L’esposizione prenatale ai PFAS è legata a cambiamenti «misurabili» nel cervello dei bambini
Renovatio 21 traduce questo articolo per gentile concessione di Children’s Health Defense. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Anni dopo, ricercatori scandinavi hanno scoperto forti associazioni tra diverse esposizioni al PFAS nelle madri incinte e diversi aspetti della struttura cerebrale dei loro figli, ha dichiarato a The Defender Aaron Barron, Ph.D., autore principale di uno studio pubblicato su The Lancet Planetary Health.
Una nuova ricerca dimostra che l’esposizione della madre a «sostanze chimiche eterne» durante la gravidanza è collegata a cambiamenti misurabili nel cervello del bambino entro i 5 anni di età.
Lo studio, pubblicato su The Lancet Planetary Health, è il primo a esaminare in modo esaustivo il legame tra sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche (PFAS) materne e cambiamenti strutturali e funzionali nel cervello dei bambini.
I ricercatori hanno scoperto forti associazioni tra diverse esposizioni al PFAS nelle madri incinte e diversi aspetti della struttura cerebrale dei loro figli anni dopo, ha dichiarato a The Defender l’autore principale Aaron Barron, Ph.D.
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I cambiamenti includevano volumi ridotti in diverse regioni del cervello e cambiamenti nei modelli di connettività funzionale in tutto il cervello.
Le tre principali regioni del cervello colpite sono state il corpo calloso, il più grande tratto di sostanza bianca del cervello, che collega i due emisferi cerebrali; la corteccia occipitale, responsabile della vista e dell’elaborazione visiva; e l’ ipotalamo, che regola i livelli ormonali e il metabolismo.
Hanno riscontrato effetti anche a bassi livelli di esposizione
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I PFAS sono sostanze chimiche che alterano il sistema endocrino e che vengono comunemente utilizzate in un’ampia gamma di prodotti di consumo, dai prodotti per la pulizia ai cosmetici, fino alle pentole. Queste sostanze chimiche persistono nell’ambiente e possono accumularsi negli esseri umani e negli animali.
Le sostanze chimiche PFAS sono state collegate al cancro, a difetti congeniti, a malattie del fegato, a malattie della tiroide, a un sistema immunitario indebolito, a squilibri ormonali e a una serie di altri gravi problemi di salute.
Secondo lo studio, la maggior parte delle persone è esposta cronicamente ai PFAS da anni.
«Questo studio descrive in modo doloroso come siamo costretti a vivere nell’ambiente tossico che creiamo», ha affermato Karl Jablonowski, ricercatore senior del Children’s Health Defense, che non ha preso parte allo studio.
«Interferire con lo sviluppo cerebrale è spesso irreversibile. I PFAS sono ovunque, ubiquitariamente presenti nelle gravidanze di tutto il mondo. Questo studio suggerisce che il nostro inquinamento sta avendo un effetto sullo sviluppo cerebrale in tutta la specie umana».
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I risultati sono «molto interessanti e potenzialmente allarmanti»
Jablonowski ha affermato che la tecnologia per identificare la contaminazione da PFAS è ancora agli inizi, motivo per cui gli studi più importanti che ne esaminano gli effetti sono recenti. Ricerche recenti hanno trovato collegamenti tra PFAS e problemi di sviluppo cerebrale, tra cui il disturbo dello spettro autistico e il disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD).
Anche alcuni studi precedenti hanno riscontrato associazioni tra l’esposizione materna e la struttura del cervello esaminando porzioni limitate del cervello dei bambini.
Per testare ulteriormente questo collegamento, Barron e il suo team di ricercatori scandinavi hanno misurato i composti PFAS in campioni di sangue prelevati da un gruppo di oltre 50 donne incinte alla 24a settimana di gravidanza.
Hanno monitorato i loro figli cinque anni dopo, utilizzando tecniche di risonanza magnetica per misurare la struttura del cervello, i percorsi della materia bianca e la connettività tra le diverse regioni del cervello.
Barron ha definito i molteplici cambiamenti nella struttura cerebrale da loro identificati «molto interessanti e potenzialmente allarmanti».
Poiché la ricerca era uno studio di coorte basato sulla popolazione, le donne che hanno partecipato non erano casi anomali con livelli insolitamente elevati di esposizione ai PFAS. La loro esposizione era tipica della maggior parte delle persone.
«Ma anche a questi bassi livelli, i PFAS erano fortemente e linearmente associati alla struttura del cervello, il che significa che i potenziali effetti dei PFAS sullo sviluppo del cervello non sono rilevanti solo per la minoranza della popolazione con un’esposizione molto elevata ai PFAS, ma per tutti», ha affermato Barron.
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«Chiaro meccanismo attraverso il quale il PFAS materno può raggiungere il cervello fetale»
Barron ha avvertito che il suo studio non ha dimostrato la causalità. Per farlo, avrebbe richiesto esperimenti che non sono realmente possibili sugli esseri umani, ha affermato.
«Ma le associazioni sono convincenti», in particolare se combinate con altre ricerche che hanno dimostrato che il PFAS può passare attraverso la placenta fino al bambino, può attraversare la barriera emato-encefalica e accumularsi nel cervello, e influenzare direttamente il modo in cui i neuroni e le cellule staminali neurali possono crescere e maturare.
«Esiste quindi un chiaro meccanismo attraverso il quale il PFAS materno può raggiungere il cervello fetale e causare cambiamenti che portano al tipo di associazioni che osserviamo», ha affermato.
Non esiste un cambiamento immediato nello stile di vita che le donne incinte possano apportare per ridurre i livelli di PFAS nel sangue, ha affermato. Ma le donne incinte non dovrebbero preoccuparsi in questo momento, né trarre conclusioni affrettate, anche perché non c’è nulla che si possa fare durante la gravidanza per affrontare il problema.
«Con i PFAS, non è vero che alcune persone li hanno e altre no: sono presenti nel sangue di quasi tutti. Si accumulano molto lentamente nel corso degli anni e in genere vengono eliminati dall’organismo molto lentamente», ha affermato.
Ha aggiunto che è importante che le persone siano consapevoli degli effetti dannosi, «ma se preoccuparsi eccessivamente durante la gravidanza porta a livelli elevati di stress materno, allora questo può avere conseguenze negative anche per lo sviluppo del bambino».
Barron ha affermato che sarebbe scettico nel raccomandare cambiamenti radicali nello stile di vita o nelle politiche basandosi su un singolo studio.
«Ma dovremmo parlare dei PFAS: ci sono sempre più prove che dimostrano che sono dannosi per la nostra salute, e il nostro studio non fa che aggravare questa situazione», ha affermato.
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Quali composti PFAS comportano il rischio più elevato? Non lo sappiamo ancora.
Anche se alcuni PFAS hanno iniziato a essere regolamentati, «continueranno a persistere nell’ambiente e sono ancora presenti nel sangue di quasi tutti», ha affermato Barron. «Dovremmo continuare a informare le persone su queste sostanze chimiche e trovare modi per rimuoverle dall’ambiente».
Poiché queste sostanze chimiche sono presenti nel sangue di ogni madre, «ogni cervello si sviluppa in presenza di PFAS» e queste informazioni devono essere integrate nelle attuali conoscenze sullo sviluppo cerebrale normale, ha affermato.
Questo fatto potrebbe non rappresentare una catastrofe, avvertono i ricercatori.
«È importante ricordare che solo perché il cervello appare “diverso”, non significa necessariamente che sia peggiore, e si spera che nuove ricerche dimostrino se questi cambiamenti strutturali del cervello siano realmente dannosi o meno per un bambino», ha affermato Barron.
I ricercatori hanno sottolineato la necessità di un follow-up a lungo termine e di replicare i loro risultati in altre popolazioni. Hanno inoltre affermato che ulteriori ricerche dovrebbero verificare se questi primi cambiamenti cerebrali si traducano in impatti misurabili a livello educativo, sociale o comportamentale in età più avanzata.
Hanno chiesto un’indagine per individuare quali specifici composti PFAS comportino il rischio più elevato, quanto sia importante il momento dell’esposizione e quali strategie di mitigazione possano ridurre il trasferimento materno-fetale.
Brenda Baletti
Ph.D.
© 14 novembre 2025, Children’s Health Defense, Inc. Questo articolo è riprodotto e distribuito con il permesso di Children’s Health Defense, Inc. Vuoi saperne di più dalla Difesa della salute dei bambini? Iscriviti per ricevere gratuitamente notizie e aggiornamenti da Robert F. Kennedy, Jr. e la Difesa della salute dei bambini. La tua donazione ci aiuterà a supportare gli sforzi di CHD.
Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
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Gravidanza
Rischi incalcolabili: possibili effetti degli antidepressivi assunti durante la gravidanza sullo sviluppo del feto
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La ricerca dimostra che gli antidepressivi in gravidanza danneggiano lo sviluppo fetale
Un’analisi pubblicata dal Brownstone Institute ha esaminato come le organizzazioni mediche e i media tradizionali abbiano minimizzato le prove secondo cui gli antidepressivi assunti durante la gravidanza danneggiano il feto in via di sviluppo. L’autore, il dottor Peter Gøtzsche, co-fondatore della Cochrane Collaboration, ha riassunto i risultati presentati a un panel della Food and Drug Administration (FDA) statunitense, in cui gli esperti hanno lanciato l’allarme sui pericoli degli SSRI. Invece di riconoscere queste preoccupazioni, i principali gruppi medici hanno respinto le prove come parziali e hanno rassicurato il pubblico sulla sicurezza di questi farmaci.Lo sviluppo del cervello è a rischio
Studi sugli animali dimostrano che l’esposizione fetale agli SSRI interrompe lo sviluppo cerebrale e produce comportamenti dannosi a lungo termine. Questi includono ritardo delle capacità motorie, risposte anomale alla paura, ridotta capacità di provare piacere e maggiore vulnerabilità a depressione e ansia. Studi condotti sull’uomo hanno confermato questi risultati, rivelando un aumento dei rischi di aborto spontaneo, malformazioni congenite, basso peso alla nascita e ipertensione polmonare persistente. Ciò significa che l’uso di antidepressivi durante la gravidanza non è solo un problema a breve termine, ma ha effetti duraturi sullo sviluppo del bambino.I neonati spesso mostrano sintomi di astinenza
La ricerca ha anche rivelato che i neonati esposti agli SSRI nel grembo materno soffrono spesso di quella che i medici chiamano sindrome da astinenza neonatale. In uno studio, il 30% dei neonati esposti a questi farmaci ha mostrato sintomi quali nervosismo, pianto debole, scarso tono muscolare, difficoltà di alimentazione, convulsioni e difficoltà respiratorie. Questi problemi costringono molti neonati a essere ricoverati in terapia intensiva, rendendo i primi giorni di vita particolarmente difficili sia per la madre che per il bambino.I rischi di sviluppo a lungo termine sono significativi
La ricerca ha collegato l’esposizione prenatale agli antidepressivi a tassi più elevati di disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD) infantile, disturbo dello spettro autistico e disturbi dell’umore in età adulta. Uno dei membri della FDA, il dottor Jay Gingrich, ha spiegato che i bambini esposti agli SSRI nel grembo materno sembravano normali all’inizio, ma che quando raggiungevano l’adolescenza, i loro tassi di depressione aumentavano drasticamente. Ciò è in linea con la ricerca sugli animali che dimostra che alterare la serotonina durante lo sviluppo fetale riprogramma l’amigdala, una regione del cervello responsabile della regolazione della paura e dell’umore.Sostieni Renovatio 21
I gruppi professionali hanno respinto gli avvertimenti sugli antidepressivi durante la gravidanza
L’American Psychiatric Association, l’American College of Obstetricians and Gynecologists e altre associazioni mediche hanno rilasciato dichiarazioni in cui respingevano gli avvertimenti del comitato della FDA. Sostenevano che la depressione non trattata fosse il vero rischio durante la gravidanza e sostenevano che gli antidepressivi fossero sicuri. Tuttavia, come ha sottolineato Gøtzsche, le meta-analisi di studi clinici controllati con placebo mostrano che i benefici degli antidepressivi sono così minimi da non avere alcuna rilevanza clinica. Ciò significa che l’argomentazione secondo cui “i rischi del non trattamento superano i rischi del trattamento” non regge se si considerano le prove.Gli antidepressivi interferiscono con lo sviluppo del cervello e del cuore
La serotonina svolge un ruolo chiave nello sviluppo cerebrale, guidando la crescita, la connessione e il funzionamento dei neuroni. Bloccando la ricaptazione della serotonina, gli SSRI modificano il modo in cui le cellule fetali utilizzano questo neurotrasmettitore durante le fasi chiave dello sviluppo. Questa interruzione aiuta a spiegare perché gli studi sugli animali riscontrino costantemente cambiamenti duraturi nelle funzioni e nel comportamento del cervello. In parole povere, alterare i livelli di serotonina durante la gravidanza modifica il cervello del bambino in modi che aumentano il rischio di problemi di salute mentale permanenti. Uno studio pubblicato su Communications Biology ha inoltre scoperto che l’uso di SSRI durante la gravidanza aumenta il rischio di difetti cardiaci congeniti nei neonati.Gli antidepressivi aumentano le nascite pretermine
Uno studio condotto da Kaiser Permanente su 82.170 donne in gravidanza ha rilevato che la consulenza psicologica ha ridotto il parto pretermine del 18%, mentre l’uso di antidepressivi lo ha aumentato del 31%. Maggiore è la dose di farmaco, maggiore è il rischio. Ciò significa che scegliere trattamenti non farmacologici, come la consulenza psicologica, non solo evita questi rischi, ma può anche migliorare i risultati sia per la madre che per il bambino.Iscriviti al canale Telegram ![]()
I conflitti di interesse all’interno della psichiatria e della medicina portano alla negazione sistemica
Gøtzsche ha descritto come i conflitti di interesse abbiano dato vita a un’“industria del dubbio” progettata per confondere il pubblico. Inondando il campo di studi parziali o mal progettati, i ricercatori con legami finanziari con l’industria farmaceutica creano incertezza e proteggono gli antidepressivi da un esame approfondito. Questo lascia le future mamme disinformate e vulnerabili, spesso convinte che questi farmaci siano sicuri quando prove concrete dimostrano il contrario.Gli esperti avvertono di un rischio senza precedenti
Durante l’udienza della FDA, il dottor Adam Urato ha riassunto la gravità del problema: «Mai prima nella storia dell’umanità abbiamo alterato chimicamente lo sviluppo dei bambini in questo modo, in particolare lo sviluppo del cervello fetale, e questo sta accadendo senza alcun reale preavviso pubblico». La sua affermazione coglie la portata del problema. La responsabilità di mettere in discussione i consigli medici standard non è mai stata così urgente. Conoscere i rischi ti dà la forza di cercare alternative più sicure per la salute mentale durante la gravidanza.Modi più sicuri per sostenere la salute mentale durante la gravidanza
La depressione durante la gravidanza è reale e spesso può risultare opprimente, quando mente e corpo stanno già lavorando a pieno ritmo per far crescere una nuova vita. La verità è che gli antidepressivi non risolvono la causa principale del problema: interferiscono con la serotonina e interferiscono con lo sviluppo del bambino. Invece di affidarsi ai farmaci, consiglio di adottare misure che nutrano il corpo, ripristinino l’energia e calmino il sistema nervoso in modo naturale. Non si tratta di soluzioni rapide, ma di soluzioni concrete che offrono a te e a tuo figlio una base più solida per la salute. 1. Nutri le tue cellule con vera energia: il tuo cervello funziona a carburante e se le tue cellule non producono abbastanza energia, tutto ne soffre, incluso l’umore. Suggerisco di aumentare l’assunzione di carboidrati facili da digerire come frutta e riso bianco. La maggior parte degli adulti ha bisogno di 250 grammi di carboidrati al giorno e, se sei attivo, ne hai bisogno ancora di più. Elimina gli oli vegetali e i cibi lavorati, ricchi di acido linoleico che inibisce la funzione mitocondriale e prosciuga le energie. Cucina invece con grassi saturi come burro, ghee o sego di animali allevati al pascolo. Quando le tue cellule sono ben nutrite, il tuo cervello funziona meglio e la tua resilienza emotiva migliora. 2. Correggere le carenze nutrizionali che influenzano l’umore: se sei depresso, è molto probabile che tu stia esaurendo i nutrienti chiave. Il magnesio è uno dei più importanti: aiuta a regolare lo stress e spesso si riscontra una carenza nelle persone depresse. Anche le vitamine del gruppo B svolgono un ruolo centrale. Una carenza di vitamina B3 scatena ansia, paranoia o aggressività, mentre una carenza di vitamina B1 porta a irritabilità, disturbi del sonno e confusione. Se la tua dieta non è sufficiente, aggiungi più alimenti ricchi di questi nutrienti o usa integratori di alta qualità. 3. Muoviti con delicatezza: l’esercizio fisico è un antidepressivo naturale. Se sei incinta, scegli attività a bassa intensità come yoga, nuoto o camminate all’aria aperta. Questi movimenti migliorano la circolazione, equilibrano gli ormoni e rilasciano sostanze chimiche nel cervello che migliorano l’umore. Considera ogni passo come un piccolo aiuto per la tua salute mentale. Monitorare i tuoi progressi, anche annotando i minuti di cammino percorsi ogni giorno, ti aiuta a vedere quanta strada hai fatto e ad aumentare la fiducia in te stesso e a continuare ad andare avanti. 4. Trascorri del tempo all’aperto alla luce naturale: la luce del sole è una medicina gratuita per la tua mente. Quando esponi la pelle al sole, produci vitamina D, che è strettamente correlata a tassi più bassi di depressione. Punta a un intervallo compreso tra 60 e 80 nanogrammi per millilitro (150-200 nanomoli per litro in Europa) e controlla regolarmente i tuoi livelli per sapere se sei nella zona giusta. La luce solare ha anche un profondo impatto sulla salute mentale, oltre alla vitamina D, influenzando anche le endorfine e l’energia mitocondriale. Se la vostra dieta è ricca di oli vegetali, evitate per ora il sole di mezzogiorno e iniziate con la luce del mattino presto o del tardo pomeriggio per evitare danni alla pelle. Nel tempo, eliminando gli oli vegetali nocivi dalla dieta per almeno sei mesi, la pelle diventa più resistente. La luce del mattino resetta anche il tuo orologio biologico, facilitando il sonno notturno. 5. Dai priorità a un sonno ristoratore e a un rilascio di stress: il sonno è il momento in cui il cervello si resetta e, se non lo fai a sufficienza, il tuo umore precipita. Esci entro 30 minuti dal risveglio per stabilizzare il tuo ritmo circadiano, quindi crea una routine rilassante per andare a dormire che ti permetta di addormentarti e rimanere addormentato nel buio più totale. Riduci la luce blu la sera e abbassa le luci al tramonto. Per gestire lo stress durante il giorno, pratica la respirazione profonda, la meditazione o le Tecniche di Liberazione Emotiva. Questi metodi calmano il sistema nervoso e impediscono agli ormoni dello stress di sopraffare il cervello. Quando passi dall’intorpidire i sintomi con i farmaci al rifornire il tuo corpo di nutrienti, bilanciando le sostanze nutritive, muovendoti e riposando, dai a te stessa e al tuo bambino le maggiori possibilità di un esito positivo. (…)Aiuta Renovatio 21
Domande frequenti sugli antidepressivi durante la gravidanza
D: Gli antidepressivi sono sicuri da usare durante la gravidanza? R: No. Le prove dimostrano che gli antidepressivi, in particolare gli SSRI, interrompono lo sviluppo cerebrale fetale e aumentano il rischio di aborto spontaneo, basso peso alla nascita, parto pretermine e problemi a lungo termine come ADHD, autismo e depressione. D: Quali tipi di problemi devono affrontare i bambini esposti agli antidepressivi nel grembo materno al momento della nascita? R: I neonati sviluppano frequentemente sintomi di astinenza neonatale, tra cui nervosismo, debolezza del tono muscolare, difficoltà di alimentazione, convulsioni e difficoltà respiratorie. Uno studio ha rilevato che il 30% dei neonati esposti agli SSRI ha sofferto di questi sintomi. D: In che modo l’alterazione della serotonina danneggia lo sviluppo fetale? R: La serotonina è essenziale per guidare la crescita e la connessione delle cellule cerebrali di un bambino. Gli antidepressivi bloccano la ricaptazione della serotonina, interferendo con questo processo. Questo modifica il cervello in modi che aumentano il rischio di problemi di salute mentale in età adulta. D: Perché le organizzazioni mediche insistono sul fatto che gli antidepressivi sono sicuri durante la gravidanza? R: Gruppi come l’American Psychiatric Association e l’American College of Obstetricians and Gynecologists sostengono che la depressione non trattata sia più pericolosa. Tuttavia, meta-analisi di studi clinici controllati con placebo mostrano che gli antidepressivi forniscono benefici minimi, troppo esigui per compensare i rischi. D: Quali sono le alternative più sicure per gestire la depressione durante la gravidanza? R: I passaggi che affrontano le cause profonde includono: mangiare una quantità sufficiente di carboidrati facili da digerire, correggere le carenze nutrizionali, mantenersi fisicamente attivi con esercizi leggeri, trascorrere del tempo alla luce del sole, migliorare il sonno e praticare tecniche di riduzione dello stress come le tecniche di liberazione emotiva. Dottor Joseph Mercola Pubblicato originariamente da Mercola. I punti di vista e le opinioni espressi in questo articolo sono quelli degli autori e non riflettono necessariamente le opinioni di Children’s Health Defense.Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Bioetica
Medici britannici lasciano morire il bambino prematuro perché pensano che la madre abbia mentito sulla sua età
Un bambino prematuro nato a 22 settimane è morto dopo che i medici in Gran Bretagna si sono rifiutati di somministrargli un trattamento salvavita. Lo riporta LifeSite.
Mojeri Adeleye è nato prematuro alla 22ª settimana, dopo che la madre aveva subito la rottura prematura delle membrane. Durante l’emergenza, la mamma e il bambino sono stati trasferiti in un altro ospedale, dove la data di gestazione è stata scritta in modo errato, etichettando Mojeri come se avesse meno di 22 settimane di gestazione.
Le linee guida raccomandano l’assistenza medica solo per i neonati prematuri nati dopo la 22a settimana di gestazione. Sebbene la madre di Mojeri avesse informato il personale medico dell’errore, questi non le hanno creduto e hanno lasciato che il bambino morisse.
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Secondo il rapporto del medico legale, la madre di Mojeri era stata visitata per gran parte della gravidanza presso l’ospedale locale ma a seguito di complicazioni, la donna è stata trasferita in un altro ospedale.
Tuttavia, è stato commesso un errore nelle note di riferimento e la madre di Mojeri è stata registrata come a meno di 22 settimane di gestazione. Le linee guida nazionali raccomandano che il trattamento salvavita venga fornito solo ai prematuri nati a 22 settimane di gestazione o dopo, e sebbene la madre di Mojeri abbia ripetutamente cercato di comunicare al personale la corretta età gestazionale, non le hanno creduto.
Quando la madre è entrata in travaglio, il personale si è rifiutato di fornire a Mojeri qualsiasi assistenza salvavita. Era, infatti, da poco più di 22 settimane di gestazione, come aveva insistito la madre. Poiché i medici non hanno fatto nulla, Mojeri è morto.
Il medico legale ha scritto nel rapporto: «Nel corso dell’inchiesta, le prove hanno rivelato elementi che destano preoccupazione. A mio parere, sussiste il rischio che si verifichino decessi in futuro, se non si interviene».
«Date le circostanze, è mio dovere legale riferirvi. Le questioni di interesse sono le seguenti: La mancanza di considerazione nei confronti della conoscenza da parte della madre di Mojeri della propria gravidanza e della data prevista del parto per Mojeri; La mancanza di discussione con i genitori di Mojeri sulle possibili misure da adottare in caso di parto prematuro prima della 22ª settimana».
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Le linee guida della British Association of Perinatal Medicine (BAPM) del 2019 raccomandavano che, se i bambini nascevano vivi a 22 settimane, venissero fornite cure «focalizzate sulla sopravvivenza»; in precedenza, le linee guida affermavano che i bambini nati prima delle 23 settimane non dovevano essere rianimati.
Dopo l’attuazione di queste linee guida, il numero di bambini prematuri sopravvissuti alla 22ª settimana è triplicato. Prima di allora, i bambini prematuri considerati «troppo piccoli» venivano semplicemente lasciati morire.
Si stima che il 60-70% dei neonati possa sopravvivere alla nascita prematura a 24 settimane di gestazione. Tuttavia, fino al 71% dei neonati prematuri, anche quelli nati prima delle 24 settimane, può sopravvivere se riceve cure attive anziché solo cure palliative. E sempre più spesso, i bambini sopravvivono anche a 21 settimane, scrive Lifesite, che ricorda: «non tutti i bambini sopravvivranno alla prematurità estrema, ma meritano almeno di avere una possibilità».
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia; immagine modificata
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