Cina
Racconto crudele dalla Cina dello «zero-COVID»
Un articolo di Thomas Hale, corrispondente da Shanghai del Financial Times, dà la rara possibilità di vedere la crudele follia che abita oggi la Cina del regime zero-COVID voluto da Xi Jinping.
La storia descritta ha dell’incredibile. Hale non era mai risultato positivo, tuttavia ha dovuto affrontare un’odissea fatta di prigioni pandemiche, tamponi e l’ansia di non sapere quando tutto questo sarebbe finito.
Nel caso dello Hale, il semplice fatto di essere designato come un «contatto stretto» di qualche positivo è stato sufficiente per condannarlo a 10 giorni di reclusione in un campo segreto dell’isola identificato solo come «P7».
La descrizione di come è strutturato il sistema di repressione pandemica cinese è molto precisa:
«I test PCR in Cina sono un rituale quasi quotidiano e le cabine di prova sono comuni a molti angoli delle strade. Assomigliano vagamente a bancarelle che vendono cibo, tranne per il fatto che sono più grandi e a forma di cubo e un lavoratore all’interno siede dietro il plexiglas tagliato con due fori per le braccia».
«Sono semplicemente il macchinario di superficie di un vasto sistema di monitoraggio. Il pass digitale COVID cinese ricorda i programmi di tracciabilità e rintracciabilità altrove, tranne per il fatto che è obbligatorio e funziona. Utilizzando Alipay o WeChat, le due principali app del paese, un codice QR è collegato ai risultati dei test più recenti di ciascuna persona. Il codice deve essere scansionato per entrare ovunque, tracciando così la tua posizione. Verde significa che puoi entrare; rosso significa che hai un problema».
Per il corrispondente di FT l’orrenda avventura è iniziata con la sua semplice presenza in un bar di Shanghai. Qualcuno che era nello stesso locale è risultato positivo, quindi tramite il suddetto sistema di localizzazione continua, le autorità pandemiche cinesi sapevano che anche lo Hale era stato lì.
Si trattava di un colpo di sfortuna pazzesco: il giorno in cui era in quel bar, c’erano solo 18 casi in tutta Shanghai quel giorno, una città che ha 26 milioni di persone.
Pochi giorni dopo la sua uscita al bar, le autorità hanno chiamato per confermare che era stato al bar. Il giorno successivo, una persona del Centro municipale di Shanghai per il controllo e la prevenzione delle malattie lo ha avvertito telefonicamente che le autorità stavano arrivando. Hale stava per essere «portato via» , un’espressione usata dai cinesi per descrivere il fenomeno, riporta Summit News.
Successivamente, un membro dello staff dell’hotel ha chiamato per dire che non poteva andarsene e che l’hotel era in isolamento a causa della sua semplice presenza al suo interno. Poi sono arrivati gli uomini in tute ignifughe , che lo hanno scortato lungo un corridoio deserto fino a un ascensore del personale e fuori attraverso l’ingresso dell’hotel isolato. Gli è stato ordinato di salire a bordo di un piccolo autobus guidato da un altro uomo con una tuta ignifuga.
Hale si è unito agli altri passeggeri condannati, nessuno dei quali era effettivamente risultato positivo. Le sue speranze secondo cui sarebbe stato portato in un hotel per le quarantene sono state deluse. Un viaggio di oltre un’ora si è concluso su una stradina in mezzo a un campo, con diversi grandi autobus in coda davanti al suo.
Qui l’autista è sceso chiudendo l’autobus dietro di sé e allontanandosi. Un altro passeggero è rimasto sorpreso nel sentire che Hale proveniva dal Regno Unito: «Ti hanno portato qui? Con passaporto straniero?» Dopo ore di attesa sull’autobus sempre più freddo, verso le 2 del mattino l’autobus è ripartito.
L’alloggio previsto per il giornalista britannico era una scatola simile a un container, rialzata a mo’ dipalafitta. Ogni porta, come la sua, era monitorata da una telecamera. Non c’era acqua calda.
«Dentro la mia cabina di 196 piedi quadrati c’erano due letti singoli, un bollitore, un condizionatore, una scrivania, una sedia, una ciotola, due piccoli panni, una saponetta, un piumone non aperto, un piccolo cuscino, uno spazzolino da denti, un tubetto di dentifricio e un materassino arrotolabile dello spessore di un guanto da forno».
«Il pavimento era coperto di polvere e sudiciume . L’intero posto ha tremato quando sei andato in giro , cosa che presto ho smesso di notare. La finestra era sbarrata, anche se potevi ancora sporgerti. Non c’era la doccia (…) Il letto era costituito da una struttura in ferro e sei assi di legno, e il materasso era così sottile che dovevi sdraiarti completamente piatto. Al giroletto, nel frattempo, era impossibile appoggiarsi».
La connessione internet, tuttavia, era 24 volte più veloce di quella che aveva nel suo hotel. Come Hale, al personale del campo era proibito inviare o ricevere pacchi. Un lavoratore del lager ha detto che guadagnava l’equivalente di circa 32 euro al giorno.
In un passaggio tragicomico, lo Hale racconta di aver cercato di scoprire se il suo status di giornalista straniero potesse farlo uscire dalla detenzione . Il lavoratore del campo a cui si è rivolto con la domanda era sconcertato dalla semplice premessa.
Il giornalista imprigionato descrive gli aspetti chiave della vita quotidiana durante la detenzione pandemica:
- Ogni mattina veniva svegliato da un «rumore simile a un tosaerba», quando una macchina di livello industriale spruzzava disinfettante sui finestrini della cabina e sui gradini anteriori
- Intorno alle 9 del mattino, due lavoratori sono venuti a somministrare i test PCR. Un risultato positivo avrebbe significato essere portati in un diverso tipo di centro di prigionia
- I pasti venivano consegnati alle 8:00, mezzogiorno e alle 17:00
- Hale ha perseguito una rigida routine di studio della lingua, scrittura, esercizio fisico, musica, scacchi online e poi lettura o visione di intrattenimento di Amazon Prime
Hale nota che la routine gli è servita bene. Nel corso del tempo, ha notato che i suoi vicini hanno smesso di fare colazione, mentre di notte si sentivano alcuni che camminavano su e giù per le loro traballanti stanze-container.
Il cronista dice di aver sopportato un certo disagio psicologico, sotto forma di non sapere quando sarebbe uscito. Inizialmente gli era stato detto sette giorni, ma alla fine sono stati 10.
Hale racconta la voluttà provata al suo rilascio una volta esperiti il ritorno acqua calda della doccia e la morbidezza del suo letto in albergo.
Tuttavia il giornalista narra di come ha vacillato quando, una volta uscito per un pasto celebrativo, tuttavia, ha pensato che andare al ristorante significava rientrare nella matrice di tracciamento dei contatti della Cina comportava il pericolo di un ritorno al confino.
Egli ha quindi optato per l’asporto da un ristorante di bistecche, dove un dipendente ha detto che non sarebbe stato necessario controllare il suo codice, se avesse ordinato da asporto.
Si tratta di un racconto importante: perché sappiamo bene come il totalitarismo bioelettronico cinese sia sopra di noi, pronto ad essere implementato nell’Europa post-costituzionale uscita dal COVID e dalle prossime emergenze.
Cina
La Cina supera il trilione di dollari di surplus commerciale
Per la prima volta, il surplus commerciale della Cina ha superato i mille miliardi di dollari nei primi 11 mesi del 2025. Mentre le esportazioni verso gli Stati Uniti sono diminuite di circa un terzo a causa dei dazi, le esportazioni verso Europa, Australia e Sud-est asiatico sono aumentate.
Gran parte di questa impennata è stata trainata dalla forte crescita dei beni high-tech, che ha superato del 5,4% l’aumento delle esportazioni complessive. Le esportazioni di automobili hanno registrato un boom, sostituendo Giappone e Germania in termini di quota di mercato. Le esportazioni di semiconduttori sono aumentate del 24,7% nello stesso periodo e le esportazioni di cantieristica navale sono aumentate del 26,8%.
Il canale all-news cinese CGTN ha pubblicato un articolo che attacca le narrative occidentali di «sovracapacità» o «dumping» come spiegazioni del boom delle esportazioni cinesi.
«Per i politici e i leader dell’industria occidentali, la questione non è come presentare la Cina come un rivale, ma come riconoscere le realtà strutturali che rappresenta. Comprendendo il surplus come parte del panorama economico globale, si apre l’opportunità di adattare le strategie, esplorare le complementarietà, promuovere la collaborazione e ricercare miglioramenti dell’efficienza che vadano a vantaggio di entrambe le parti».
Vari allarmi sulla tenuta dell’economia cinese erano stati lanciati negli ultimi anni.
Come riportato da Renovatio 21, la Cina, dopo la guerra dei dazi di Trump, è ancora impegnata in un conflitto con gli USA e i satelliti occidentali per i chip.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Cina
Cina, il vescovo Zhang e gli altri cattolici ridotti al silenzio
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1. Lo splendore dei comunicati e le assenze nella realtà
Il comunicato cinese ha enfatizzato la «solenne celebrazione», elencando i membri della Conferenza episcopale cinese presenti alla cerimonia, senza però menzionare l’ordinario legittimo della prefettura di Xinxiang, mons. Zhang Weizhu, neppure con un cenno formale. Il comunicato vaticano, con il suo consueto linguaggio prudente e istituzionale, afferma: il Santo Padre ha accettato la rinuncia di Mons. Zhang. Ma la realtà non detta è un’altra: – mons. Zhang non è stato autorizzato a partecipare all’ordinazione del suo successore; – pur essendo l’Ordinario legittimo, è stato tenuto completamente ai margini, come se non fosse mai esistito; – sacerdoti e religiose della comunità «non ufficiale» non hanno ricevuto alcuna informazione, né invito di partecipazione; – alcuni laici responsabili di parrocchia sono stati convocati «per un colloquio preventivo» o addirittura trattenuti per evitare la loro presenza. Una celebrazione che avrebbe dovuto coinvolgere l’intera Chiesa locale si è trasformata in una cerimonia ristretta, controllata da pochissimi.2. Come una celebrazione può rendere di nuovo «sotterranea» la comunità sotterranea
Quando a mons. Zhang fu chiesto di presentare la rinuncia, egli avrebbe posto una sola condizione: «Che si possa provvedere in modo dignitoso alla situazione dei sacerdoti e delle religiose della comunità sotterranea». Era la richiesta di un pastore che, nonostante anni di sorveglianza, restrizioni e pressioni, continuava a preoccuparsi soltanto del suo popolo. La realtà, però, ha dimostrato il contrario: – i sacerdoti sotterranei non sono stati inclusi in alcuna disposizione; – non è stata elaborata nessuna lista, nessun riconoscimento, nessuna regolarizzazione; – nessuna comunicazione è stata fatta loro prima della cerimonia; – molti hanno saputo dell’ordinazione soltanto tramite l’annuncio del governo. Non è una soluzione ai problemi: è la creazione di nuovi conflitti. Non è la guarigione di vecchie ferite: è l’apertura di ferite nuove. La Santa Sede afferma che tutto è avvenuto «secondo l’Accordo»; la parte cinese, tuttavia, ha proceduto secondo la propria logica, ignorando il ruolo di mons. Zhang, lo spirito dell’intesa e la situazione concreta della prefettura. È il risultato di una trattativa profondamente asimmetrica: l’espressione dell’arroganza del potere statale e della sofferta sopportazione della Chiesa.3. Mons. Zhang Weizhu: un vescovo reso invisibile, ma il più simile a Cristo
Qualunque sia la narrazione esterna, un fatto non può essere cancellato: prima di questa ordinazione, la prefettura apostolica di Xinxiang aveva un vescovo legittimo nominato dalla Santa Sede: mons. Zhang Weizhu. Dopo anni di sorveglianza, restrizioni e isolamento, senza mai lamentarsi pubblicamente, egli è stato infine indotto a presentare la rinuncia. E proprio il giorno in cui viene ordinato un nuovo vescovo, lui, il pastore della diocesi, non può neppure varcare la porta della chiesa. È stato escluso in modo totale, silenzioso, quasi chirurgico, come un’ombra che si vuole cancellare dal tempo. Ma né la storia né la memoria della Chiesa lo dimenticheranno. Egli appare davvero come «l’agnello condotto al macello», silenzioso, mite, obbediente sotto la croce. Se in tutto questo c’è una vittoria mondana, la vittoria del Regno appartiene invece alla testimonianza di mons. Zhang.Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
4. La rabbia cresce: una comunità ferita
Gli effetti di questa vicenda nella Chiesa locale sono profondissimi: – i sacerdoti della comunità sotterranea provano una rabbia senza precedenti, sentendosi ignorati e annullati; – religiose e fedeli vivono come una ferita il sentirsi esclusi dalla propria Chiesa; – molti fedeli comuni non sapevano nulla di un evento così importante; – parecchi seminaristi e sacerdoti si domandano: «Chi siamo noi? Che valore abbiamo nella nostra stessa Chiesa?» Non è un dolore che un semplice comunicato possa guarire.5. Dove andare?
Non siamo chiamati a essere ingenui, ma neppure a cedere alla disperazione. Non è la prima, e non sarà l’ultima volta, che la Chiesa, dentro un sistema di forte controllo, si trova costretta al silenzio, alla umiliazione, alla sofferenza. Tuttavia, continuiamo a credere che: – la Chiesa non si sostiene con il potere, ma con la fede; – un vescovo non è tale per volontà umana, ma per dono dello Spirito; – la vera storia non è scritta nei comunicati, ma nella testimonianza; – i dimenticati, gli esclusi, i silenziati sono spesso i segni più profondi di Dio nella storia. Oggi Xinxiang sembra aprire un nuovo capitolo, ma molte ferite restano aperte e molti interrogativi senza risposta. Forse l’unica via è questa: andare verso la croce, verso la verità, verso Colui che vede ciò che gli uomini ignorano e non cancella mai nessuno dal suo cuore.Iscriviti al canale Telegram ![]()
6. Eppure, nonostante tutto: congratulazioni al nuovo vescovo e una preghiera di speranza
Nonostante le contraddizioni, le sofferenze e le tensioni irrisolte, con cuore filiale diciamo comunque: auguri per l’ordinazione del nuovo vescovo. Ogni vescovo è un dono alla Chiesa. Per questo preghiamo con sincerità: – che mons. Li Jianlin metta al primo posto il bene della Chiesa, al di là delle pressioni esterne o politiche; – che possa davvero assumere il compito di ricostruire l’unità della prefettura, sanando le lacerazioni di tanti anni; – che abbia un cuore di padre verso ogni sacerdote e religiosa, soprattutto verso coloro che oggi si sentono ignorati o esclusi; – che non sia soltanto un vescovo ordinato, ma un vero pastore per questa terra ferita. Il peso che porta non è leggero. La strada davanti a lui non sarà facile. Ma se lo Spirito ha permesso che questo giorno arrivasse, allora possiamo solo sperare che egli sappia trovare una via realmente evangelica nel mezzo di tante tensioni. Che diventi strumento di unità, non di divisione; che porti guarigione, non nuove ferite; che risponda con sincerità, umiltà e coraggio alla voce di questo tempo.Conclusione: Su una terra lacerata, continuare a credere nella Risurrezione
Ciò che Xinxiang vive non è solo una questione religiosa o politica, ma una manifestazione delle tensioni e delle prove del nostro tempo. Eppure crediamo che: – Dio agisce nei silenzi della storia; – si manifesta nei dimenticati; – pianta semi di risurrezione proprio nelle zone più oscure. Che il nuovo vescovo sia custode di questi semi. Che la croce di mons. Zhang diventi luce per la prefettura. Che tutti coloro che sono stati esclusi, silenziati, dimenticati sappiano che per Dio nessuno è un «vuoto». Non sappiamo cosa riservi il futuro, ma sappiamo una cosa: Dio non abbandonerà la Sua Chiesa. Un sacerdote della comunità sotterranea cineseIscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Cina
Cinesi uccisi al confine tra Tagikistan e Afghanistan: Pechino evacua il personale
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Dopo due attacchi che hanno causato cinque morti e cinque feriti, l’ambasciata di Pechino a Dushanbe ha ordinato l’evacuazione dalle zone di frontiera. Il governo del Tagikistan e i talebani hanno affermato che collaboreranno mentre crescono i timori che dietro gli attacchi (non ancora rivendicati) ci siano i combattenti del Partito islamico del Turkestan (TIP). L’instabilità minaccia la cooperazione regionale e i progetti cinesi della Belt and Road Initiative.
L’ambasciata cinese a Dushanbe ha esortato le aziende e il personale cinese ad abbandonare tutte le aree al confine con l’Afghanistan in seguito a due attacchi in cui cinque cinesi sono stati uccisi e altri cinque sono rimasti feriti. Le autorità del Tagikistan hanno riferito che nel primo attacco, avvenuto venerdì scorso, sono morti tre cittadini cinesi. Domenica, in un secondo assalto al confine, ne sono stati uccisi due.
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Le forze di sicurezza sono in stato di massima allerta, mentre i talebani hanno riferito hanno riferito di aver arrestato due sospettati nel distretto di Maimay, nel Badakhshan, la regione al confine con il Tagikistan. Nessun gruppo armato ha finora rivendicato gli attentati. Il ministro degli Esteri talebano, in una telefonata all’omologo tagiko, ha attribuito la colpa a persone «che cercano di creare disordine, instabilità e sfiducia tra i Paesi della regione», aggiungendo che il governo talebano «è pronto alla condivisione di informazioni, alla collaborazione tecnica e alle valutazioni congiunte per identificare i responsabili dell’accaduto».
Il Tagikistan in realtà ha da tempo rapporti diplomatici tesi con l’Afghanistan, nonostante viva nel Paese un’importante minoranza tagika (storicamente contraria al governo dei talebani, che sono perlopiù di etnia pashtun). In passato il presidente Emomali Rahmon, che ha condannato gli attentati e rafforzato la sicurezza lungo le frontiere, aveva già denunciato la presenza di trafficanti di droga e contrabbandieri d’oro lungo la frontiera. Le forze tagike avevano anche condotto una serie di operazioni militari fino ad arrivare a scontrarsi con le forze di frontiera afghane ad agosto.
Forse Pechino immaginava che prima o poi nella regione sarebbero riprese le attività terroristiche: circa una settimana fa il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, aveva incontrato Rahmon a Dushanbe per discutere dei crescenti rischi alla sicurezza provenienti dall’Afghanistan.
La Cina negli ultimi anni è diventata uno dei maggiori investitori dell’ex Repubblica sovietica, dove i lavoratori cinesi sono coinvolti soprattutto in progetti minerari e di costruzione. Tutti i Paesi dell’Asia centrale stanno in realtà cercando di espandere il commercio e la cooperazione con Kabul nonostante le continue sfide alla sicurezza. Si tratta di un processo che va a sua volta inserito in una cornice più ampia: negli ultimi mesi il Pakistan ha più volte attaccato l’Afghanistan a causa del sostegno di Kabul ai talebani pakistani (TTP), che puntano a ricreare uno Stato su modello dell’Emirato islamico anche in Pakistan.
Islamabad sta continuando a espellere rifugiati afghani nel tentativo di esercitare ulteriori pressioni su Kabul mentre i valichi di frontiera sono chiusi da oltre 50 giorni, generando perdite per circa 200 milioni di dollari, secondo le stime. Anche per questo l’Afghanistan sta cercando di approfondire i rapporti commerciali con gli Stati dell’Asia centrale.
Da parte sua, invece, Pechino è da tempo preoccupata dell’ascesa di alcuni gruppi terroristici in Asia centrale dopo la riconquista talebana del 2021, che ha galvanizzato diverse organizzazioni che sfruttano i confini porosi della regione per spostarsi. Proprio per questo a settembre si è tenuta la prima esercitazione congiunta della China-Central Asia Special Police Skills Challenge. Ottanta agenti d’élite provenienti da Cina, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan si sono sfidati in una sorta di competizione che aveva però lo scopo di costruire solide partnership nella lotta al terrorismo e alle attività criminali transfrontaliere. L’esercitazione è svolta a Urumqi, nella regione dello Xinjiang, un’area nota per la repressione che Pechino compie contro la minoranza uigura.
A destare particolare preoccupazione è il Partito islamico del Turkestan (noto internazionalmente con la sigla TIP). Lo scorso anno, il capo del movimento, Abdul Haq Turkistani (di base in Afghanistan), poco prima del rovesciamento in Siria dell’ex dittatore Bashar al-Assad, aveva avvertito: «I miscredenti cinesi riceveranno presto lo stesso trattamento che hanno ricevuto i miscredenti in Siria, se Dio vuole». Il TIP era infatti molto attivo in Siria E non è un caso che nell’ultimo anno Pechino abbia espresso preoccupazione riguardo l’inserimento di migliaia di combattenti uiguri nell’esercito siriano.
Diversi analisti avevano da tempo predetto che il TIP stesse aspettando il momento giusto per ritornare in Xinjiang e rilanciare una campagna separatista. Tuttavia, le strade e le frontiere cinesi che portano alla provincia autonoma restano impenetrabili, per cui è probabile che i diversi miliziani si siano posizionati tra Afghanistan, Uzbekistan e Tagikistan dove si trovano campi di addestramento gestiti dai talebani. Da qui la posizione è ideale per colpire i progetti della Belt and Road Initiative cinese.
Se il TIP dovesse rivendicare l’attacco, Kabul – che, isolata internazionalmente, sta cercando di accaparrarsi parte degli investimenti cinesi – si troverebbe in una situazione complessa rischiando (come avvenuto con il Pakistan) di perdere opportunità di sviluppo economico a causa dei gruppi armati ospiti sul suo territorio e lungo i suoi confini.
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Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
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