Nucleare
Quando le bombe atomiche cancellano la memoria

Alcuni si chiedono, da un po’ di tempo a questa parte, perché mai tanti altri non paiano mostrare una preoccupazione adeguata alla enormità del pericolo che pure incombe sulle nostre esistenze. Perché, di fronte alla svolta bellicista nostrana, irragionevole e grossolana quanto irresponsabile, non prenda forma una rivolta spontanea, forte e diffusa, non si accenda una discussione pubblica intorno a decisioni avventate, foss’anche imposte, capaci di produrre conseguenze devastanti e irreparabili. E tanto più prende forma lo spettro di queste, tanto più stridente appare una distrazione che sembra generalizzata.
Tutto questo dopo i tanti anni passati a fare i conti non soltanto con le ferite inguaribili di due guerre mostruose che hanno distrutto moralmente e fisicamente l’Europa, cambiandone l’anima e l’aspetto, inghiottito intere generazioni e cancellato enormi spazi di storia. Perché in realtà nel volgere di un secolo è cambiato, insieme a tanto altro, il volto stesso della guerra, che da tragico si è fatto osceno, in virtù di quella tecnica incontrollata ormai capace di divorare ovunque il significato delle cose umane, secondo una follia che ha indossato oggi in ogni campo una veste pornografica.
Dopo il secondo conflitto mondiale abbiamo dovuto imparare a convivere anche con l’idea nuova che il destino della intera specie umana possa essere tenuto nella mano di pochi individui. Idea nuova e sconvolgente, capace di minare il senso della vita e della storia. Ma tuttavia ancora bilanciata dalla fiducia nell’istinto di conservazione proprio degli esseri viventi e nell’affidamento alla speranza cristiana.
Invece ora che anche quella fiducia e quella speranza sembrano essersi sfocate e dissolte in una asfittica ed effimera visione dell’esistenza e nella incapacità di pensare la realtà e la verità, in un mondo diventato onirico, anche l’idea di una minaccia apocalittica sembra quasi priva di sostanza e di interesse.
Le ragioni di questo allontanamento dalla oggettività del reale e dalla sua comprensione possono essere molteplici e articolate. Si può parlare di cambiamento antropologico e sociologico, di stacco generazionale e di trasformazione culturale sotto la dittatura mediatica e comunicativa, con conseguente incapacità del pensiero di cogliere l’intreccio e le implicazioni di una inedita complessità.
Tuttavia, la posta in gioco è così grande che questa sorta di indifferenza, di straniamento, quale almeno si presenta all’apparenza, risulta comunque sconcertante, e le sue ragioni vanno forse ricondotte a un fattore onnicomprensivo più profondo e radicale, che in fondo può spiegare tutti gli altri nella forma di un distacco dalla realtà delle cose speculare ad un distacco dalla memoria.
La cancellazione della memoria, indotta o procurata, artificiosa o spontanea, programmata o inconsapevole, è infatti il fenomeno che sembra dominare ogni aspetto e ogni ambito della contemporaneità, compresa la nuova pornografia bellica.
È questa la chiave di lettura che, a distanza di sessant’anni, ci viene offerta dal carteggio tra Gunther Anders e Claude Eatherly, tra il filosofo che aveva già descritto tutta la tragicità dell’uomo disarmato di fronte alle proprie perverse creazioni tecniche, e il pilota metereologo che, al comando della missione di Enola Gay, dopo avere ordinato lo sganciamento di Little Boy sul centro di Hiroshima, perché il cielo era sereno, aveva cercato disperatamente di espiare, unico nel suo ambiente, una colpa più grande di lui, prendendo su di sé il peso di una infamia di cui si era scoperto strumento inavvertito.
Va qui notato, per inciso, come l’inganno contenuto in quell’uso fraudolento dei nomi gentili dati a strumenti apocalittici, al pari del famoso «arbeit macht frei», copra oggi, attualissimo e incontrastato, ogni rappresentazione deviata della realtà, politica, antropologica, sessuale, pedagogica, scientifica e via discorrendo. Perché la manipolazione del linguaggio è anch’essa qualcosa che ha a che fare anzitutto con la manipolazione della memoria.
Il maggiore Eatherly, si era reso conto degli effetti della «missione» subito dopo averla compiuta, e da allora, rifiutata ogni onorificenza, aveva iniziato una sorta di peregrinazione esistenziale tra l’esigenza di una qualche purificazione propria e la volontà di svegliare la coscienza dei compatrioti sulla follia atomica. Tra il peso di quella colpa che chiedeva di essere espiata e la consapevolezza del significato morale che ora l’arma atomica assumeva per l’intera umanità. Aveva guardato in faccia il mostro e ne era rimasto quasi incenerito. Dopo un travaglio durato quindici anni, durante i quali aveva anche commesso piccoli reati in cerca di una qualunque punizione, e dopo due tentativi di suicidio, era approdato volontariamente all’ospedale psichiatrico di Waco riservato ai militari affetti da malattie nervose, nella speranza che i medici lo aiutassero a rielaborare il proprio dramma e a ritrovare un po’ di pace.
Ma qui era cominciato un altro calvario, quello della lotta contro i poteri costituiti, perché il ricovero da volontario verrà trasformato in un vero e proprio internamento sancito addirittura dal verdetto di una giuria popolare chiamata a giudicare in via processuale le sue condizioni di salute mentale. Infatti, il suo impegno instancabile contro la guerra e soprattutto contro la produzione delle armi nucleari era diventato scomodo, e dunque intollerabile. Lo stesso resoconto giornalistico del processo fornirà di proposito ai lettori l’idea che egli fosse solo un povero deficiente.
Quell’impegno contrastava con il canone interpretativo imposto all’opinione pubblica, e tuttora ancora duro a morire, secondo il quale le atomiche sul Giappone avevano provvidenzialmente posto fine ad una guerra devastante destinata altrimenti a durare. Una guerra che invece era già finita come lo era quella con la Germania quando fu ordinata la polverizzazione meramente punitiva di Dresda. Mentre le due atomiche, delle tre di cui disponeva l’apparato militare americano, che furono lanciate sulle inermi città giapponesi a distanza di qualche giorno l’una dall’altra servivano solo a sperimentarne funzionamento ed effetti.
Gunther Anders viene a conoscenza della vicenda umana di Eatherly quando è già da tempo concentrato sullo scenario del «mondo senza uomo» che i nuovi mezzi di distruzione totale stanno allestendo e dei quali gli impresari sembrano solo compiacersi. Dopo L’uomo è antiquato, ha pubblicato il Diario di Hiroshima e Nagasaki.
Scrive che «la bomba sta ad indicare l’essenza ultima dell’irrazionalismo morale di un sistema totalitario sulla deresponsabilizzazione degli individui» perché «la morte a distanza non solleva problemi morali». Anche perché, osserva, se la morte di un uomo ci commuove per una sorta di immedesimazione, la morte di centomila uomini è già soltanto una espressione numerica.
D’altra parte, la guerra aerea aveva già spalancato la porta sull’abisso, senza una adeguata coscienza comune delle sue implicazioni morali. Essa aveva cambiato il volto della guerra cambiandone anche regole e ruoli, perché aveva assunto vilmente come obiettivo i civili disarmati e indifesi. La guerra che distrugge gli inermi e cancella l’identità storica di un popolo con la distruzione delle sue memorie aveva già indossato la più mostruosa delle maschere realizzate per essa dalla modernità. L’Europa ha conosciuto bene e per prima tutta questa nuova oscenità.
Ma adesso, con riguardo all’atomica, si stava già insinuando l’idea che il never again valesse per Auschwitz, ma poteva non valere per Hiroshima. Perché un nuovo nemico doveva comunque essere individuato alle porte, e quel mezzo era da considerare ancora come il più efficace per chiudere definitivamente i conflitti, senza troppo spreco.
I sovietici erano quel nemico da tenere a bada affinché il contagio ideologico non dilagasse nell’occidente evoluto e democratico per definizione. Allora come ora. Nel febbraio del ‘49 viene istituita la NATO, quando la Russia non ha ancora finito di contare i suoi milioni di morti e non ha ancora testato «l’ordigno fine di mondo» già sperimentato con tanto successo sotto la bandiera della democrazia e della libertà.
Dunque, l’incubo atomico si rafforzava in modo inversamente proporzionale al senso di responsabilità del potere che l’aveva generato, e alla coscienza comune. Questo spiega perché Eatherly combattesse ormai la propria battaglia nella ostilità del suo ambiente e persino della sua famiglia. Il fratello si prodiga affinché non venga liberato.
Eppure, tutto il male che gli viene ora inflitto in forma sterilizzata non fiacca minimamente la sua indole generosa e la consapevolezza piena della follia che divora il mondo. Di quell’hybris ammonita dai greci e dal racconto biblico che ha preso la forma di una tecnica che l’uomo maneggia in modo sempre più autodistruttivo.
Eatherly ha toccato con mano il mostro, lo ha guardato in faccia correndo il rischio di esserne incenerito e combatte forte di una esperienza personale, diretta e sconvolgente, mentre il filosofo ha elaborato il fenomeno in via speculativa. Ma sono diventati compagni di viaggio legati da una amicizia profonda e dalla missione di muovere le masse contro la nuova incommensurabile follia. Eatherly si sente rincuorato da quella vicinanza diventata amicizia, anche se non ha mai abbandonato la propria lotta nemmeno nei momenti di massima solitudine. Collabora con gruppi pacifisti per la sospensione del riarmo atomico, ma scrive «non sono desiderato nelle nostre scuole e nelle nostre università», mentre il generale capo di stato maggiore dell’aviazione «cerca di impedire che si faccia pubblicità al mio caso e al mio problema».
Anders aveva già compilato per il Frankfurter Allgemeine Zeitung del 13 luglio 1957 anche i Comandamenti dell’era atomica dove ammoniva: «ora non abbiamo più a che fare con quella caducità da sempre comune a tutti gli uomini, ma con la stessa cancellazione del tempo. Con essa viene uccisa non solo l’umanità presente, ma anche quella passata e quella futura, tra il nulla di ciò che è stato perché nessuno può ricordarlo e il nulla di ciò che non potrà mai essere».
«Occorre tornare ad acquistare il senso del male prodotto che paradossalmente, più si amplia quantitativamente, meno viene percepito. Bisogna capire che l’apocalisse è opera nostra, ma anche che è impossibile non avere il potere di impedirla. E per questa impresa irrinunciabile occorre avere il coraggio di avere paura».
Una paura, appunto, che dovrebbe essere adeguata alla enormità del pericolo e della catastrofe, e dalla quale il tracotante ma infiacchito uomo contemporaneo, tende a non volere essere disturbato, perché refrattario all’angoscia e portato ad assistere passivamente all’evolvere degli eventi. La corrispondenza si protrae fino al luglio del 1961 e segue tutte le alterne vicende dell’internamento non più volontario di Eatherly nell’ospedale psichiatrico dove per gli apparati politici e militari egli è solo un soggetto da neutralizzare.
Da quella prigione non verrà più liberato e lì morirà nel 1979. Ma dalla sua vicenda si irradia una luce sinistra che ci coinvolge tutti, ci riguarda da vicino e appare come il segno distintivo della contemporaneità. Anders riferisce che il direttore dell’ospedale psichiatrico militare aveva congedato il corrispondente di France Soir inviato per raccogliere informazioni sul caso, invitandolo a dimenticare tutta la faccenda e a lasciare «che quegli uomini dimentichino il loro passato».
Quelle parole confermavano in Anders il «sospetto che i medici avessero cercato di produrre in lui una condizione mentale affatto priva di memoria e di esperienza. La distruzione di un uomo attraverso la distruzione della memoria».
Come dicevamo all’inizio, questa appare la vera chiave di lettura per decifrare la indifferenza più o meno diffusa oggi di fronte al pericolo concreto e sempre più incombente di un conflitto universalmente distruttivo. Del resto, la regola dei medici di Waco, a ben vedere, è esattamente la stessa che viene applicata con ogni mezzo dal potere in ogni ambito della vita comunitaria. Come la vera e più efficacia arma di dominio.
La distruzione delle identità con ogni mezzo, e quindi dell’essere stesso dei singoli e delle comunità, è lo strumento capace di assicurare un asservimento sicuro e indisturbato. La lotta contro ogni identità storica, sessuale, religiosa, etnica e culturale, contro ogni tradizione etica e contro ogni stabilità socio-economica, contro ogni realtà di senso, ovvero contro la verità delle cose, è espressione di una volontà di potenza che alimenta ossessivamente se stessa. E che trova la propria arma formidabile proprio nell’annientamento di quella memoria che dà agli individui e ai popoli la possibilità di attingere al patrimonio dell’esperienza come al terreno su cui seminare sempre di nuovo e da cui trarre sempre nuovi insegnamenti nel corso del tempo.
La distruzione della memoria individuale corrisponde alla distruzione della storia attraverso la guerra aerea. Alla distruzione della famiglia attraverso il dissolvimento dei ruoli e di quella compagine solidale di cui rimane impresso il ricordo, la lezione di vita. Anche la incinerazione dei corpi mira forse ad accelerare simbolicamente la distruzione della memoria. Come il sale sparso sulle rovine della città conquistata doveva spezzare la catena di una storia e di una identità di popolo.
Persino lo scempio architettonico dovuto alla incapacità di soddisfare una qualunque esigenza estetica ha a che fare con il rifiuto della storia e della memoria del bello espresso e acquisito. Persino le fanciulle in fiore con i jeans strappati in fabbrica da macchine apposite sono la rappresentazione vivente di questa regressione verso una dimenticanza del sé.
Ogni aspetto della nostra vita denuncia un oblio senza speranza. Oblio di ogni criterio di convivenza civile, oblio di principi giuridici che sembravano irrinunciabili e delle regole fondamentali del buon governo che parevano acquisite. Quando di tutta una esperienza e di una sapienza maturate nel tempo va perduta la memoria, non si va verso un grado superiore di umanità, ma verso un ritorno fatale ai primordi, e oltre.
E forse è stata proprio questa cancellazione progressiva della memoria, indotta anche dalla violenza nuova di guerre micidiali pensate come opportunità di potere e di guadagno, a trovarci sprovvisti di un’etica adeguata all’incontrollato e debordante strapotere della tecnica come era stato avvertito ben prima della impennata ormai vertiginosa con cui dobbiamo fare ora i conti.
La cancellazione della memoria sul passato impedisce la visione e la speranza del futuro. Rimane una sterile terra di mezzo effimera quanto desolata. In questa terra di mezzo si affannano individui senza orientamento, senza il coraggio di avere paura, senza temere la distruzione del tempo, e lo sgomento del nulla.
Patrizia Fermani
Articolo previamente apparso su Ricognizioni.
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Nucleare
Parlamentare tedesco democristiano gay chiede l’accesso alle armi nucleari di Francia e Gran Bretagna

La Germania dovrebbe avere accesso alle armi nucleari francesi e britanniche, ha affermato il parlamentare democristiano Jens Spahn. In cambio, Berlino potrebbe collaborare con Parigi e Londra per modernizzare i propri arsenali, ha dichiarato al quotidiano Frankfurter Allgemeine Zeitung.
Lo Spahn, un gay dichiarato, che guida il gruppo parlamentare congiunto CDU/CSU e si ricorda per il pugno di ferro contro i non vaccinati durante la pandemia, si è distinto come un convinto sostenitore di un sistema di armi nucleari a livello UE.
«Noi… abbiamo bisogno di una capacità di deterrenza a livello europeo… insieme a francesi e britannici», ha affermato in un’intervista pubblicata sabato, sostenendo che le armi nucleari statunitensi in Europa non sono più sufficienti.
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Il parlamentare, ex ministro federale della Salute, ha affermato che il dibattito sulla questione «avrà luogo solo se la Germania lo porterà avanti». Ha suggerito che Londra e Parigi potrebbero mantenere il controllo maggiore sui loro arsenali nucleari, mentre Berlino potrebbe partecipare a un programma di modernizzazione.
A luglio, lo Spahn aveva parlato della necessità di «discutere dell’accesso tedesco o europeo agli arsenali nucleari di Francia e Gran Bretagna» alla luce di quella che ha definito la «minaccia» proveniente dalla Russia. Le nazioni prive di deterrenza nucleare «diventeranno pedine nella politica globale», ha sostenuto.
Il capo del blocco democristiano CDU/CSU al Bundestag, aveva inoltre sostenuto che le armi nucleari statunitensi basate in Germania non sono più sufficienti a scoraggiare la presunta minaccia russa.
Il direttore generale dell’AIEA, Rafael Grossi, ha avvertito che Berlino potrebbe sviluppare la propria bomba nucleare nel giro di pochi mesi, se lo desiderasse.
Le dichiarazioni di Spahn giungono in un momento in cui Berlino ha assunto una posizione più dura nei confronti della Russia sotto la guida del cancelliere Friedrich Merz, che ha promesso ulteriori 5 miliardi di euro in aiuti militari all’Ucraina dopo il suo insediamento a maggio.
Il mese scorso ha affermato il cancelliere democristiano che la Germania era «già in conflitto» con la Russia e ha accusato il presidente Vladimir Putin di «destabilizzare gran parte del nostro Paese».
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Come riportato da Renovatio 21, il Merz ha promesso, appena eletto, di escludere le armi atomiche, ma non è facile credergli. Credere ad un cancelliere tedesco, in una Germania che ripudia le centrali atomiche ma invoca le bombe atomiche, potrebbe essere difficilissimo.
A luglio il direttore generale dell’ente atomico ONU AIEA, Rafael Grossi, in un’intervista al quotidiano polacco Reczpospolita aveva dichiarato che la Germania potrebbe sviluppare le proprie armi nucleari entro pochi mesi.
Come riportato da Renovatio 21, l’eurodeputata SPD Katarina Barley aveva ipotizzato mesi fa il riarmo atomico dell’Europa – e quindi per una Germania rimilitarizzata, un concetto che si dice fosse uno dei motivi della creazione della NATO («Tenere l’Europa dentro, i russi fuori, i tedeschi sotto») e un vero incubo per lo statista italiano Giulio Andreotti («la Germania mi piace così tanto che ne voglio due»).
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Immagine di Olaf Kosinsky via Wikimedia pubblicata su licenza CC BY-SA 3.0-de
Cina
«Inarrestabile»: Xi svela la triade nucleare in una parata militare che sfida l’Occidente. A suo fianco Putin e Kim

I must say, the Chinese parade really lacks diversity! pic.twitter.com/lO47to5i7L
— The_Real_Fly (@The_Real_Fly) September 3, 2025
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⚡️BREAKING
China unveils its full Nuclear Capability for the first time Some missiles have a range of 15000 km pic.twitter.com/izKfMTuOdP — Iran Observer (@IranObserver0) September 3, 2025
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Quite a hot mic moment on CCTV in Beijing today as Putin and Xi, both 72 years old, are caught casually talking about living to 150 and maybe forever thanks to organ transplants. (As picked up by Bloomberg.) pic.twitter.com/kC4VTRaobq
— Yaroslav Trofimov (@yarotrof) September 3, 2025
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China’s hypersonic anti-ship missiles, including YingJi-19, YingJi-17 and YingJi-20, passed through Tian’anmen Square in Wednesday’s V-Day parade. The formation also included YingJi-15 missile. pic.twitter.com/oyZKJQD47t
— China Xinhua News (@XHNews) September 3, 2025
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Trump ha anche sottolineato la sconfitta americana del Giappone durante la Seconda Guerra Mondiale, che alla fine ha garantito una pace duratura alla Cina. No, Xi non ha elogiato gli Stati Uniti per questo, ma si è schierato orgogliosamente al fianco dei suoi alleati sanzionati dagli Stati Uniti…What a line up! Xi has made a come back that no one could have predicted 5 years ago.
pic.twitter.com/yJynTn5yYb — Smita Prakash (@smitaprakash) September 3, 2025
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Nucleare
Taiwan alle urne sul nucleare (e la sua sicurezza energetica)

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Nel referendum del 23 agosto voluto dall’opposizione si chiede la riattivazione del reattore di Maanshan, l’ultimo del Paese spento a maggio dopo 40 anni di attività. Dopo Fukushima il fronte ambientalista ha ottenuto il progressivo azzeramento. Ma i timori di un blocco di Pechino all’approvvigionamento di gas naturale oggi stanno riaprendo la questione. Mentre la Cina ha ben 33 impianti in costruzione.
I cittadini di Taiwan si apprestano ad essere chiamati alle urne sabato 23 agosto per un referendum sul tema molto caldo dell’energia nucleare. Dal maggio scorso – allo scadere dei quarant’anni di attività – sull’isola è stato fermato anche l’ultimo reattore nucleare attivo, quello della centrale di Maanshan, realizzando così quella che da anni è stata una promessa del Democratic Progressive Party (DPP), il partito del presidente Lai Ching-te.
Proprio ad annullare questa scelta – prolungando di altri 20 anni la vita della centrale di Maanshan – mira la consultazione, che è stata promossa dal Taiwan People’s Party con il sostegno del Kuomintang, la principale forza di opposizione che oggi è anche quella politicamente più vicina a Pechino.
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Secondo la legge di Taiwan ogni proposta referendaria è da ritenere approvata solo se i «sì» vinceranno sui «no» raccogliendo almeno un quarto dei consensi degli avanti diritto al voto. In pratica occorrono almeno 5 milioni di voti favorevoli, un traguardo non impossibile considerando i voti raccolti dal Kuomintang e dal Taiwan People’s Party nelle elezioni del gennaio 2024.
Da quando imboccò la strada del nucleare negli anni Settanta, sono stati complessivamente tre le centrali operative a Taiwan: quella di Chinshan, situata nel distretto di Shimen a New Taipei, quella di Kuosheng, situata nel distretto di Wanli a New Taipei e – appunto – quella di Maanshan che si trova a Hengchun, nella contea di Pingtung. Nel 1985, quando tutti e tre gli impianti erano in funzione a pieno regime, l’energia nucleare rappresentava addirittura il 52,4% della produzione di elettricità dell’isola.
Col tempo – però – questa quota è diminuita, a causa della crescente opposizione al nucleare e di un cambio nella politica energetica a favore delle importazioni di gas naturale, oggi la maggiore fonte dell’isola. Già nel 2002, durante l’amministrazione del presidente Chen Shui-bian del DPP, era stato fissato l’obiettivo di creare una «patria senza nucleare». La spinta era poi ulteriormente cresciuta dopo il disastro del 2011 nella centrale giapponese di Fukushima: per questo nel 2014 – dopo massicce proteste da parte degli ambientalisti – fu abbandonato il progetto della costruzione di una quarta centrale, che sarebbe dovuta sorgere nel distretto di Gongliao.
Negli ultimi anni, poi, allo scadere dei quarant’anni dal loro avvio, tutte e tre le centrali di Taiwan hanno cessato l’attività: quella di Chinshan nel 2019, quella di Kuosheng nel 2022 e quella di Maanshan nel maggio scorso. Attualmente, dunque, nessuna quota di energia viene più prodotta sull’isola attraverso il nucleare.
Al di là del profilo ambientale – che vede ovunque nel mondo fronteggiarsi oggi quanti sottolineano i pericoli delle centrali con quanti ritengono sia la forma più «pulita» ed efficiente di produzione dell’energia – a Taiwan la questione nucleare ha anche una dimensione geopolitica. Anche nel fronte più ostile a Pechino sono in molti, infatti, a sottolineare che l’aumento della dipendenza dal gas naturale è un elemento di debolezza di Taipei, perché espone la sicurezza energetica dell’isola a gravi rischi nel caso di un blocco navale da parte delle forze armate cinesi.
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Per questo motivo lo stesso presidente Lai Ching-te – pur invitando a votare «no» al referendum sulla centrale di Maanshan – non esclude più a priori il ricorso all’energia atomica per uso civile, aprendo alla possibilità di costruire nuovi impianti più piccoli di nuova generazione. Eventualità questa fortemente contestata – invece – dal fronte ambientalista, tradizionalmente molto forte sull’isola e che invita a puntare maggiormente sulle energie rinnovabili, che attualmente generano solo l’11,6% dell’energia.
Va aggiunto anche che un reiterato «no» di Taiwan al nucleare rappresenterebbe un’ulteriore divaricazione rispetto alle scelte di Pechino: la Repubblica Popolare Cinese ha attualmente 58 reattori in attività che producono circa il 5% del suo fabbisogno energetico. Ma è il Paese che nel mondo sta costruendo il maggior numero di nuove centrali nucleari: sono ben 33 gli impianti in costruzione per un potenziale complessivo di ulteriori 35.355 Megawatt elettrici di capacità produttiva, che la porterebbero a un livello molto vicino a quello degli Stati Uniti.
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Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
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Immagine di Sgroey via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
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