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Pronipote di Paolo VI si «sposa» con un uomo. Vecchie infamanti accuse contro il papa tornano alla memoria

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Lo scorso due giugno a Capriano, in provincia di Brescia, un pronipote di papa Paolo VI si sarebbe unito civilmente con un altro uomo in una cerimonia celebrata dal sindaco. Lo riporta il Corriere della Sera.

 

«Nessuna pubblicazione sull’albo pretorio, una cerchia al massimo di 250 persone per condividere quello che, molto probabilmente, può essere definito il momento più bello della vita dei due ragazzi» scrive il quotidiano milanese, che parla di una certa «discrezione del caso».

 

C’è da notare come nell’articolo del Corriere, riportato subito da Dagospia, si scriva del pronipote papale «sposato» con il suo compagno, alla faccia di quanti – soprattutto cattolici conservatori – insistano sul fatto che tra un «matrimonio» e l’unione civile ottenuta dagli omosessuali italiani negli anni scorsi vi sia una qualche differenza.

 

«I due, davanti ai familiari e agli ospiti emozionati, hanno pronunciato il fatidico “sì” (…) lavorano entrambi a Brescia anche se in settori diversi, vivranno insieme proprio a Capriano del Colle» continuano le cronache di via Solferino, che sembrano sparare in aria chicchi di rose, fiori d’arancio, di pesco, coriandoli vari.

 

«Adesso, con l’unione civile che ha visto trionfare l’amore alla luce del sole (…) è iniziata un’altra era per la storica famiglia bresciana. E il filo rosso che unisce il passato al presente e dunque al futuro è sempre lo stesso: ovvero “l’amore”».

 

La «storica famiglia bresciana», è un nobile casato rurale di cui si ha notizia sin dal 1416, il cui grande albero genealogico, compilato nel XVIII secolo, è conservato nel castello di Sarezzo, dimora dei Montini (che in origine si chiamavano Benedetti o De Benedictis, e furono poi soprannominati secondo la loro origine montana) assieme a vari ritratti di famiglia.

 

La famiglia Montini è legata ad altre famiglia delle Brescia cattolica e poi democristiana, in particolare i Bazoli. Giorgio Montini (1860-1943), già deputato del Regno d’Italia dal 1919 al 1926 e padre del futuro Paolo VI, fondò la casa editrice La Scuola con il collega deputato Luigi Bazoli (1866-1937), collega deputato e padre e nonno di una ridda di deputati, assessori e sindaci bresciani.

 

Il più noto dei discendenti di Luigi Bazoli è tuttavia il nipote e Giovanni Battista Bazoli, presidente emerito di Intesa San Paolo, tra i primi gruppi bancari in Italia nato dalla fusione della «laica» Banca Commerciale Italiana con istituti di credito di matrice cattolica come il Banco Ambrosiano Veneto, che a sua volta – dopo gli scandali e le trame che portarono all’impiccagione di Calvi sotto il ponte dei frati neri a Londra – era nato da un merger in era democristiana tra il Banco Ambrosiano e la Banca Cattolica del Veneto.

 

La figlia di Giovanni Battista Bazoli (omonimo, si noterà, dell’amico di famiglia che diverrà pontefice), Chiara, è attualmente convivente del manager Giuseppe Sala detto Beppe, sindaco bocconiano dal calzino LGBT della città di Milano.

 

Il fratello maggiore di Paolo VI Lodovico Montini (1896-1990) nel 1925 lavorava nello studio di avvocati di Luigi Bazoli, e in seguito, come deputato della Democrazia Cristiana (per la quale fu eletto per le prime tre legislature della Repubblica, mentre per la quarta fu senatore) fu membro dell’Assemblea Costituente, collaboratore stretto di Alcide De Gasperi e tra i fondatori delle ACLI, nonché tra coloro che organizzarono nei primissimi anni Cinquanta il primo progetto dell’Unione Europea.

 

La storia presente ad alcuni ha fatto ricordare un increscioso episodio capitato a papa Montini duranti gli anni del suo turbolento pontificato.

 

Roger Peyrefitte (1907-2000), un diplomatico francese che si dichiarava apertamente omosessuale – cosa piuttosto rara all’epoca – affermò in un articolo uscito su Il Tempo il 4 aprile 1976 che Paolo VI fosse omosessuale. Il corrispondente romano del New York Times, riprendendo le dichiarazioni di Peyrefitte, indicò nell’attore Paolo Carlini (1922-1979) il suo amante quando ricopriva l’incarico di arcivescovo di Milano, lasciando certuni ad immaginare che il nome pontificale di Montini fosse un omaggio al Carlini.

 

Il Peyrefitte non è una fonte considerata affidabile, con una vita sempre alla ricerca dello scandalo, con pamphlet pieni di supposte rivelazioni di carattere sessuale ed economico. Furono obiettivi dei libri di Peyrefitte il Vaticano (nel libro Le chiavi di San Pietro), il mondo della diplomazia (Ambasciate), e pure la massoneria (Il Grande Oriente), gli stessi suoi connazionali (I francesi) e financo i giudei (Gli ebrei).

 

Il suo testo più noto, tuttavia, è il romanzo semi-autobiografico Le amicizie particolari (1943), dove parla di una relazione tra un quindicenne e un dodicenne in un Collegio religioso. Letto il libro, un dodicenne di nobile famiglia si presenterà a Peyrefitte, e ne diverrà in seguito l’amante e il segretario particolare, un rapporto che verrà poi raccontato in diversi altri romanzi: si tratta di Alain-Philippe Malagnac, poi marito di Amanda Lear, morto poi in un brutale incendio nell’anno 2000. Peyrefitte morirà poche settimane dopo.

 

Dinanzi a simili infamanti accuse, da una simile figura, sarebbe forse stato preferibile il silenzio, nonostante le provocazioni dei gruppi omosessuali organizzati come il FUORI! (Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano) che – scrive il libro Quando eravamo froci. Gli omosessuali nell’Italia di una volta (Il Saggiatore, 2011, p. 132) – si presentò in piazza San Pietro scandendo lo slogan «Paolo, combattiamo anche per te».

 

Invece papa Montini, i cui collaboratori forse non erano al corrente del dogma degli uffici stampa per cui «una smentita è una notizia data due volte», decise di rispondere alle atroci illazioni durante la domenica delle Palme del 1976: «le cose calunniose e orribili che sono state dette sulla mia santa persona…» attaccò il pontefice.

 

Di fatto la smentita non interruppe la circolazione dell’orribile voce, «citata in televisione da Pippo Baudo ancora nel 2003, nella puntata del 27 marzo della sua trasmissione Novecento», scrive La Repubblica, che ricorda come la teologa Adriana Zarri propose poco dopo sul Manifesto  di proclamare Paolo VI «protettore degli omosessuali».

 

Peyrefitte, che in seguito nel libro Scene di caccia avrebbe accusato pure Pio XII (si tratta di una tradizione di infamie usa tra i protestanti, che punta il dito su quantità di papi da Bernardo IX, Paolo II, Sisto IV, Giulio II, Alessandro VI, etc. etc.), era rimasto contrariato dal documento della Congregazione per la Dottrina della Fede Persona Humana, dove Montini dichiarava opposte alla fede l’omosessualità e altre pratiche sessuali.

 

«Ai nostri giorni, contro l’insegnamento costante del magistero e il senso morale del popolo cristiano, alcuni, fondandosi su osservazioni di ordine psicologico, hanno cominciato a giudicare con indulgenza, anzi a scusare del tutto, le relazioni omosessuali presso certi soggetti» scrive il documento uscito il 29 dicembre 1975 e sottotitolato come «Alcune questioni di etica sessuale».

 

Il testo già prevedeva, e negava, la possibilità dei matrimoni omofili:  riguardo agli «omosessuali che sono definitivamente tali per una specie di istinto innato o di costituzione patologica, giudicata incurabile» scrive Persona Humana, «alcuni concludono che la loro tendenza è a tal punto naturale da dover ritenere che essa giustifichi, in loro, relazioni omosessuali in una sincera comunione di vita e di amore, analoga al matrimonio, in quanto essi si sentono incapaci di sopportare una vita solitaria».

 

«Certo, nell’azione pastorale, questi omosessuali devono essere accolti con comprensione e sostenuti nella speranza di superare le loro difficoltà personali e il loro disadattamento sociale» ammetteva il testo vaticano. «La loro colpevolezza sarà giudicata con prudenza; ma non può essere usato nessun metodo pastorale che, ritenendo questi atti conformi alla condizione di quelle persone, accordi loro una giustificazione morale».

 

«Secondo l’ordine morale oggettivo, le relazioni omosessuali sono atti privi della loro regola essenziale e indispensabile. Esse sono condannate nella sacra Scrittura come gravi depravazioni e presentate, anzi, come la funesta conseguenza di un rifiuto di Dio», conclude il documento.

 

«Questo giudizio della Scrittura non permette di concludere che tutti coloro, i quali soffrono di questa anomalia, ne siano personalmente responsabili, ma esso attesta che gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati e che, in nessun caso, possono ricevere una qualche approvazione».

 

I tempi, come riconosce implicitamente o esplicitamente anche l’ambasciata USA presso la Santa Sede, parrebbero che siano molto cambiati.

 

 

 

 

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Religioso canadese arrestato per essersi rifiutato di scrivere delle scuse al bibliotecario della «Drag Queen Story Hour»

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Un pastore protestante canadese è stato arrestato per essersi rifiutato di scusarsi con una bibliotecaria che aveva organizzato un’ora di racconti drag queen per bambini. Lo riporta LifeSite.

 

Nel pomeriggio del 3 dicembre, la polizia di Calgary ha arrestato il pastore cristiano Derek Reimer per essersi rifiutato di ottemperare a un’ordinanza del tribunale che gli imponeva di scrivere delle scuse formali al direttore della biblioteca pubblica di Calgary, da lui criticato per aver promosso un’ora di racconti drag queen per bambini nel 2023.

 

«Sapete perché lo state arrestando? Non si pentirà delle sue convinzioni», ha chiesto alla polizia un giornalista canadese indipendente con lo pseudonimo di Dacey Media durante l’arresto.

 

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All’arresto erano presenti il ​​pastore Artur Pawlowski – già noto per le sue azioni di disobbedienza in pandemia – e il figlio di Reimer. I video dell’arresto sono rapidamente circolati sui social media, con molti attivisti canadesi che lo hanno condannato, in quanto considerato un attacco ai valori cristiani e pro-famiglia.

 

Al momento dell’arresto, Reimer stava scontando un anno di arresti domiciliari, contro i quali aveva già presentato ricorso e si è presentato in tribunale per discutere le condizioni della sua condanna. Nel 2023, l’avvocato di Reimer, Andrew MacKenzie, della Mission 7 Ministries, ha presentato ricorso contro la condanna a un anno di arresti domiciliari e due anni di libertà vigilata inflitta al pastore prima di Natale per aver protestato contro un evento «drag queen story hour» rivolto ai bambini presso la Saddletown Library di Calgary nella primavera del 2023. Gli avvocati del governo avevano cercato di condannare Reimer al carcere per la sua protesta contro il piano di indottrinamento omotransessualista.

 

Reimer aveva chiesto a Shannon Slater, la direttrice della biblioteca, perché la biblioteca stesse organizzando un evento del genere. Non avendo ricevuto risposta, Slater disse a Reimer di andarsene.

 

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Tuttavia, Reimer aveva pubblicato la sua interazione con Slater sui social media. Gli era stato ordinato di scrivere una lettera di scuse a Slater, che doveva essere consegnata entro la fine della settimana scorsa. Reimer ha dichiarato ai media locali che non avrebbe consegnato la lettera, poiché per «dispiacere» bisogna «ammettere la colpa», ovvero «aver sbagliato», sottolineando come questo equivalga ad ammettere di aver commesso un «errore» e che questo è ciò che significa «chiedere scusa».

 

Reimer ha anche sottolineato di aver detto alla corte di aver «fatto leva sulla mia libertà di coscienza, su uno studio approfondito e sulla mia comprensione di essa, unita alla libertà di espressione e di religione», e che «ciò ha spiegato e stabilito che devi esprimere alla corte le tue profonde opinioni religiose sul perché questa è una violazione della tua coscienza e perché non puoi farlo».

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Le femministe britanniche espungono i membri transgender (nel senso, agli affiliati transessuali)

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Due tra le più importanti organizzazioni britanniche riservate a donne e ragazze, il Girlguiding (l’equivalente delle Girl Scout) e il Women’s Institute, hanno deciso di chiudere le porte ai membri transgender, nel senso degli affiliati transessuali.   Martedì il Girlguiding ha reso noto che «le ragazze e le giovani donne trans non potranno più iscriversi» come nuove socie. Il giorno successivo, mercoledì, il Women’s Institute, fondato oltre 110 anni fa, ha annunciato che «l’iscrizione sarà riservata esclusivamente alle persone di sesso femminile alla nascita».   Entrambe le associazioni hanno sottolineato che la scelta non era quella auspicata, ma è diventata inevitabile per evitare possibili contenziosi legali dopo la sentenza emessa ad aprile dalla Corte Suprema del Regno Unito. I giudici hanno stabilito che, ai sensi dell’Equality Act 2010, i termini «donna» e «sesso» si riferiscono esclusivamente al sesso biologico e non all’identità di genere.

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La pronuncia era arrivata al termine di un ricorso presentato da For Women Scotland contro una norma del governo scozzese che includeva i transgenderri (munite di certificato di riconoscimento del genere) nel calcolo delle quote femminili nei consigli di amministrazione pubblici.   Un sondaggio realizzato subito dopo la sentenza ha mostrato che il 59% dei britannici concorda sul fatto che una persona transgender non sia legalmente una donna (dati Electoral Calculus). Tra chi ha accolto favorevolmente la decisione c’è anche J.K. Rowling, da tempo sostenitrice di For Women Scotland.   Sempre quest’anno, la Federazione calcistica inglese (FA) e British Rowing (l’ente per il canottaggio) hanno adottato politiche analoghe: dal 1º giugno 2025 i transgender non potranno più competere nelle categorie femminili del calcio in Inghilterra, mentre nel canottaggio britannico l’accesso alla gara femminile è limitato a chi è «assegnato di sesso femminile alla nascita»; per tutti gli altri resta aperta la categoria Open.   Secondo le ultime indiscrezioni, anche il Comitato Olimpico Internazionale starebbe valutando di escludere i transessuali dalle competizioni femminili olimpiche.

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La battaglia tra femministe e transessuali va avanti oramai da un pezzo, al punto che il mondo transessualista ha trovato un acronimo per definire le femministe che non accettano il dogma transgenderro imposto ora all’intera società occidentale: le chiamano TERF, trans-exclusionary radical feminists ossia femministe radicalo trans-escludenti.   Il caso più celebre di persona definita TERF per aver espresso dubbi sul fatto che maschi biologici possano essere definiti «donne» è stata la scrittrice di Harry Potter JK Rowling, che è peraltro la donna più ricca del Regno Unito.   In Europa si era avuto il caso della norvegese Christina Ellingsen, dell’organizzazione femminista globale Women’s Declaration International (WDI), è sotto indagine della polizia per aver fatto la denuncia in un tweet in cui ha criticato il gruppo di attivismo trans FRI. «Perché insegna ai giovani che i maschi possono essere lesbiche? Non è una terapia di conversione?» avrebbe twittato la Ellingsen.   Il caso si replicò in Norvegia con l’attrice e cineasta Tonje Gjevjon, una lesbica nota nella cultura popolare del Paese, che osò scrivere su Facebook che «è semplicemente impossibile per gli uomini diventare lesbiche quanto lo è per gli uomini rimanere incinti. Gli uomini sono uomini indipendentemente dai loro feticci sessuali». L’attrice fu quindi informata di essere sotto indagine e di rischiare tre anni di carcere per l’espressione delle sue opinioni.   Come riportato da Renovatio 21, a fine 2020 la Norvegia ha adottato una nuova legge penale che punisce le persone per aver detto qualcosa di considerabile come incitamento all’odio nei confronti di persone transgender anche nel contesto della propria casa o conversazioni private.   Più recente il caso dell’attivista brasiliana per i diritti delle donne Isabella Cepa, la quale ha ottenuto lo status di rifugiata in un Paese europeo non specificato, dopo essere stata accusata di reati penali in Brasile per aver definito un politico transgender da uomo a donna come un uomo.  

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Immagine: The Girl Guides Association in Britain 1914-1918; un gruppo di Guide posa per una fotografia nel Regno Unito durante la Prima Guerra Mondiale. Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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La donna più forte del mondo in realtà era un uomo

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Jammie Booker, vincitrice del torneo «La donna più forte del mondo» 2025, è stata privata del titolo dopo che gli organizzatori hanno accertato che l’atleta di Philadelphia era nata maschio. La squalifica, l’ultima di una serie crescente di polemiche sui maschi biologici che gareggiano nelle categorie femminili, è arrivata a pochi giorni dalla competizione.

 

Il caso è esploso durante i Cerberus Strength Official Strongman Games in Texas lo scorso fine settimana, dove Booker ha dominato la categoria Women’s Open. Gli organizzatori hanno precisato di non essere stati informati in anticipo del background biologico dell’atleta e, a seguito di un’indagine urgente, l’hanno esclusa dalla classifica. «Abbiamo la responsabilità di garantire equità, assegnando gli atleti alle divisioni maschile o femminile in base al sesso alla nascita», si legge in un comunicato diffuso sui social da Official Strongman, che ha aggiornato i punteggi e incoronato la britannica Andrea Thompson come nuova campionessa.

 

La partecipazione di atlete transgender a competizioni sportive continua a generare dibattiti accesi. A luglio, il Comitato Olimpico e Paralimpico degli Stati Uniti (USOPC) ha vietato alle donne transgender di gareggiare nelle categorie femminili alle Olimpiadi, in linea con un ordine esecutivo del presidente Donald Trump che esclude le trans dalle squadre femminili e minaccia di tagliare i fondi alle istituzioni che lo violano.

 

Casi emblematici come quello della nuotatrice statunitense Lia Thomas e della sollevatrice neozelandese Laurel Hubbard hanno riacceso il confronto su eventuali vantaggi fisici persistenti per le atlete transgender rispetto alle donne biologiche, nonostante il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) abbia affermato nel 2021 che non si debba presumere un «vantaggio automatico» e abbia demandato le regole di idoneità alle singole federazioni sportive.

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La questione è tornata d’attualità alle Olimpiadi di Parigi 2024, quando la pugile algerina Imane Khelif – squalificata l’anno prima ai Mondiali per presunti motivi di genere – ha conquistato l’oro, spingendo l’ex presidente del CIO Thomas Bach a negare l’esistenza di un «sistema scientificamente solido» per distinguere uomini e donne nello sport.

 

Ora il CIO è orientato a escludere le donne transgender dalle categorie femminili alle prossime Olimpiadi, sulla base di una nuova politica di ammissibilità prevista per il 2026, come riportato dal Times all’inizio di novembre citando fonti interne. La revisione si fonda su una valutazione scientifica che conferma come i vantaggi acquisiti durante la pubertà maschile possano perdurare anche dopo trattamenti farmacologici per ridurre i livelli di testosterone.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’ex presidente del CIO Thomas Bach sosteneva all’epoca che non esisteva «un sistema scientificamente solido» per distinguere tra uomini e donne nello sport.

 

Come riportato da Renovatio 21, il sollevamento pesi, come ogni altra disciplina (il nuoto, la maratona, il ciclismo, la BMX, l’hockey, il sollevamento pesi, il basket, il ju jitsu, etc.), era già stato colpito dal transessualismo sportivo. Lo è stato persino il biliardo in un’episodio noto, Alexandra Cunha, 49 anni, capitano della squadra nazionale femminile portoghese, si è ritirata dal torneo International Rules Pool Tour, incolpando i recenti cambiamenti alle regole da parte dell’autorità governativa dello sport, la World Eightball Pool Federation.

 

Come riportato da Renovatio 21, alle Olimpiadi di Tokyo vi fu il caso del sollevatore di pesi supermassimi transessuale Laurel Hubbard, 43 anni, che rappresentò la Nuova Zelanda a Giochi e riuscì, incredibilmente, a non vincere.

 

Due anni fa il pesista transessuale «Anne» Andres aveva stabilito il record nazionale durante un campionato durante il Campionato del Canada Occidentale 2023.

 

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