Predazione degli organi
Primo trapianto al mondo di un cuore sempre battente: ritorno ai sacrifici umani aztechi?

Ad un uomo di 65 anni è stato trapiantato un cuore sempre battente, ossia che non ha mai smesso di battere.
L’operazione è stata eseguita a fine novembre presso l’azienda ospedaliera di Padova dall’equipe di un noto cardiochirurgo, il quale ha spiegato che «mentre in un consueto trapianto di cuore, l’organo viene prelevato e impiantato da fermo, in questo caso ha sempre battuto e quindi tutto il trapianto è stato eseguito a cuore battente dal momento del prelievo a quello dell’impianto».
Secondo coloro che hanno effettuato l’intervento tale nuova procedura servirà a migliorare i risultati del trapianto cardiaco da donatore a cuore fermo, «evitando l’arresto controllato del cuore, annullando il danno da ischemia e riperfusione sia al prelievo che al trapianto, assicurando una più rapida ripresa della funzione cardiaca, migliorando la performance cardiaca post operatoria» (Avvenire, 11 dicembre 2024).
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Con la tecnica dell’espianto a cuore pulsante l’orrenda pratica dei trapianti di organi vitali tende sempre più ad assomigliare ai riti sacrificali praticati dai popoli precolombiani e in particolare dagli Aztechi, i quali squartavano le vittime con un coltello, estraevano il cuore ancora pulsante e lo offrivano agli dei.
L’idolo della modernità a cui sacrificare l’uomo è lo scientismo, ossia la posizione filosofica e intellettuale che tende a considerare il sapere scientifico come il fondamento di tutta la conoscenza. Secondo tale visione, solo la scienza nei suoi diversi ambiti è rilevante, mentre viene respinta qualsiasi forma di metafisica tradizionale.
Il criterio di accertamento della morte fondato su parametri neurologici è indubbiamente una forma di scientismo dogmatico non sottoponibile a verifica: esso è vero perché lo afferma la scienza (di regime), non perché è stato validato a livello empirico.
Cosicché una persona che presenta tutti i segni della vita e nessun segno della morte può essere considerato un cadavere, quindi dissezionato e depredato dei suoi organi.
Alfredo De Matteo
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Immagine di DrJana Official via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0
Morte cerebrale
Donna «cerebralmente morta» partorisce un bambino

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Morte cerebrale
La Littizzetto all’anagrafe per convincere i cittadini a farsi espiantare gli organi

Abbiamo già avuto modo di raccontare al lettore di Renovatio 21 il costante aumento delle opposizioni agli espianti d’organi vitali, al netto dell’invenzione di nuove tecniche predatorie che tendono ad ampliare la platea dei potenziali donatori.
Non c’è dubbio che tale tendenza preoccupi la macchina dei trapianti, al punto che per cercare di convincere i riottosi è scesa in campo anche la celebre showgirl Luciana Littizzetto, la quale si è addirittura recata all’anagrafe di Torino per intercettare le persone in fila per il rinnovo della carta d’identità.
L’attrice piemontese ha rimarcato quanto sia importante non lasciarsi bloccare da paure immotivate: «e se non sono morto? Beh è impossibile, gli esami, gli accertamenti sono talmente sofisticati che è impossibile (…) O pensano, sono scassato non c’è niente di buono dentro di me che possa essere recuperato: non ti preoccupare ci sono i medici a valutare».
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Il livello delle argomentazioni addotte a favore della donazione è alquanto superficiale, come è possibile constatare, ma è l’unica carta giocabile da chi ha interesse ad incentivare la pratica disumana degli espianti a cuore battente: la comunicazione infatti deve necessariamente tendere ad informare il meno possibile e cercare di essere rassicurante. In altri termini, essa deve agire a livello emotivo-sentimentale piuttosto che a livello razionale.
Il fatto che gli esami e gli accertamenti (per determinare la morte cerebrale) siano sofisticati non significa che siano anche fondati. Anzi, è piuttosto vero il contrario: la morte è un evento naturale che può essere compreso da tutti, anche da chi non ha nessuna preparazione medica. E non è naturale osservare così tanti segni di vita in qualcuno che si suppone sia morto (normale frequenza cardiaca, pressione sanguigna, colorito, temperatura corporea etc).
Prendiamo ad esempio uno dei criteri obbligatori ai fini della dichiarazione di morte cerebrale: il test di apnea, di cui abbiamo più volte documentato la pericolosità.
Tale prova si propone di verificare la capacità del paziente in coma di attivare la respirazione spontanea, scollegandolo più volte dal respiratore per diversi minuti. Nel caso la prova dia esito negativo, si suppone che egli sia morto. Ma è proprio la premessa che sottostà al test di apnea ad essere priva di fondamento: l’atto della respirazione infatti non si esaurisce nell’incamerare aria nei polmoni, ma si perfeziona necessariamente a livello cellulare e biochimico. Un cadavere propriamente detto non è in grado di attivare il processo della respirazione, anche se l’ossigeno gli viene spinto a forza dentro i polmoni. In altri termini, affinché la ventilazione artificiale possa produrre gli effetti sperati è necessario che la persona sia ancora in vita.
Al contrario, per i fautori della morte cerebrale la mancata attivazione del riflesso automatico respiratorio è prova inconfutabile del fatto che il paziente sia deceduto. Ma sulla base di quale principio logico e biologico si fondi tale presunta certezza non è dato sapere. E’ così e basta e come dice la Littizzetto non serve preoccuparsi troppo, tanto ci pensano i medici a valutare …
Del resto, anche volendo supporre che la mancata attivazione del respiro costituisca la prova che le funzioni cerebrali siano definitivamente compromesse, in quanto non più in grado di dirigere e coordinare l’organismo nel suo complesso, non si riesce a capire come possano funzionare correttamente tutte le altre funzioni, le quali richiedono un alto livello di integrazione (pensiamo all’attivazione delle difese immunitarie, ad esempio).
Insomma, il criterio della morte cerebrale fa acqua da tutte le parti e più si approfondisce l’analisi più si scopre che esso si regge su un vero e proprio castello di menzogne, spacciate per scienza.
Pertanto, l’unica carta giocabile dalla propaganda è far leva sulle emozioni e sul desiderio, connaturato all’essere umano, di essere utile a qualcuno: la prospettiva di «donare» i propri organi o quelli di un congiunto per salvare la vita di un malato terminale è seducente, soprattutto per chi vive un trauma improvviso (pensiamo ai genitori di un ragazzo che si trova in rianimazione a causa di un incidente o di un malore improvviso).
C’è anche da sottolineare che viviamo in un’epoca in cui il senso del trascendente si è molto affievolito, anche a livello religioso, per cui le persone sono più sensibili a certi richiami che rimandano a generici ideali di solidarietà e condivisione.
Malgrado ciò le opposizioni non accennano a diminuire ma anzi tendono ad aumentare. Con buona pace dei professionisti dell’informazione, dei VIP televisivi e degli inviti a non riflettere, che difficilmente riusciranno a convincere molti italiani a lasciarsi squartare vivi.
Alfredo De Matteo
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Immagine di Luca Boldrini via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic; immagine modificata nel taglio e nel colore
Predazione degli organi
Aumentano le opposizioni all’espianto degli organi. Gli italiani stanno comprendendo la realtà della predazione?

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