Economia
«Più che un vuoto di potere, il potere del vuoto. Ci offrono da bere con i nostri soldi»
«Più che un vuoto di potere, il potere del vuoto. Finché dura. La situazione è molto grave ma non seria».
È un Giulio Tremonti effervescente quello intervistato ieri dal quotidiano La Verità.
«I ricorsi al Tar, le procure che accendono il loro faro, l’apparizione di figure folcloristiche sui territori sono segnali che indicano la progressiva dissoluzione della Repubblica»
Tremonti prevede, come qui a Renovatio 21, un collasso dello Stato, solo che riesce a vedervi il lato di tragicommedia, di film grottesco.
«Si è attivato un meccanismo anarchico. Ed è strano, perché di solito l’anarchia agisce da fuori contro lo Stato: questa volta è partita da dentro lo Stato. I ricorsi al Tar, le procure che accendono il loro faro, l’apparizione di figure folcloristiche sui territori sono segnali che indicano la progressiva dissoluzione della Repubblica».
L’ex ministro infila una perla di lucidità dopo l’altra, e regala anche momenti di non trascurabile spessore culturale.
Siamo all’homo homini virus, dove la mascherina non è solo un mezzo per proteggersi, ma il simbolo di un mondo alienato»
«La storia insegna che le epidemie rafforzano il potere degli Stati: sul frontespizio del Leviatano di Thomas Hobbes ci sono due dottori della peste con la maschera a becco. Oggi siamo all’opposto (…) siamo all’homo homini virus, dove la mascherina non è solo un mezzo per proteggersi, ma il simbolo di un mondo alienato».
Quando l’ottimo intervistatore gli chiede del formidabile pensiero di Conte sul Natale («il Natale non è solo shopping, ma un momento di raccoglimento spirituale, e farlo con tante persone non va bene») Tremonti continua a volare altissimo:
«Resto impressionato dalla profondità dell’analisi antropologica. Deve aver letto il Babbo Natale giustiziato di Claude Lévi-Strauss, il saggio sull’incrocio fra mondo pagano e mondo cristiano, tra spiritualità e consumismo. Un paternalismo para-laico, diciamo così. che però porta sfortuna».
La democrazia funziona a dominio territoriale chiuso: voti per uno che si dice capace di governare problemi. Funziona se i problemi sono governabili. Non funziona se i problemi vengono da fuori o dall’alto, se originano dalla finanza internazionale, dalla rivoluzione digitale, o dall’opposto ancestrale della paura. Come nel caso del virus»
È scettico sul Recovery Fund, dove alla fine «i miliardi veri sono 40, da spalmare su più anni. Buoni, ma a pensare che sia una manna dal cielo ci facciamo del male», e ritiene che «una patrimoniale non sarebbe mai sufficiente a risolvere il problema del debito e farebbe saltare i ratios delle banche e delle assicurazioni, Gli immobili crollebbero di valore».
Quindi? La patrimoniale, «insomma, è la via maestra da élite irresponsabili per far saltare l’Italia».
La democrazia è in crisi, dice Tremonti, non solo a causa della globalizzazione, «prima trionfante e poi perdente». «La democrazia funziona a dominio territoriale chiuso: voti per uno che si dice capace di governare problemi. Funziona se i problemi sono governabili. Non funziona se i problemi vengono da fuori o dall’alto, se originano dalla finanza internazionale, dalla rivoluzione digitale, o dall’opposto ancestrale della paura. Come nel caso del virus».
Definizione superba del PD in estasi per Biden: «La sinistra italiana è molto brava a vincere le elezioni da remoto. Oggi si direbbe che vincono sempre in smartworking».
«Se fai debito per monopattini e biciclette confondi il dramma con la comica. Nell’insieme è un po’ come quello che va al bar e dice “Da bere per tutti!”. E alla domanda: “chi paga?”, risponde “voi”»
E altrettanto eloquente l’immagine usata per dipingere il nostro governo: «Se fai debito per monopattini e biciclette confondi il dramma con la comica. E non è finita, perché nella bozza della prossima manovra c’è un impressionante collezione di bonus&marchette».
«Nell’insieme è un po’ come quello che va al bar e dice «Da bere per tutti!». E alla domanda: «chi paga?», risponde “voi”».
Immagine di Renovatio 21. Tutti i diritti riservati
Economia
La Bank of America lancia un allarme sul petrolio a 130 dollari
Una guerra totale tra Israele e Iran potrebbe far salire i prezzi del petrolio di 30-40 dollari al barile, hanno detto ai clienti gli esperti della Bank of America in una nota di ricerca vista dall’emittente statunitense CNBC.
Teheran e Gerusalemme Ovest si scambiano minacce da quando l’Iran ha condotto il suo primo attacco militare diretto contro lo Stato Ebraico lo scorso fine settimana, in rappresaglia per un sospetto attacco aereo israeliano sulla missione diplomatica iraniana in Siria all’inizio di questo mese.
Se le ostilità si trasformassero in un conflitto prolungato che colpisse le infrastrutture energetiche e interrompesse le forniture di greggio iraniano, il prezzo del Brent di riferimento globale potrebbe aumentare «sostanzialmente» a 130 dollari nel secondo trimestre di quest’anno, ha affermato martedì una nota di ricerca della Bank of America, secondo cui CNBC, aggiungendo che il petrolio greggio statunitense potrebbe salire a 123 dollari.
Secondo quanto riferito, lo scenario presuppone che la produzione petrolifera iraniana diminuisca fino a 1,5 milioni di barili al giorno (BPD). Secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA), l’Iran, membro fondatore dell’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (OPEC), produce circa 3,2 milioni di barili di petrolio al giorno.
L’anno scorso Teheran si è classificata come la seconda maggiore fonte di crescita dell’offerta al mondo dopo gli Stati Uniti.
Se un conflitto portasse a sconvolgimenti al di fuori dell’Iran, come ad esempio la perdita del mercato di 2 milioni di barili al giorno o più, i prezzi potrebbero aumentare di 50 dollari al barile, secondo la nota. Il Brent alla fine si attesterà intorno ai 100 dollari nel 2025, mentre il benchmark statunitense West Texas Intermediate (WTI) scenderà a 93 dollari, secondo le previsioni.
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Il prezzo del greggio Brent è salito a oltre 91 dollari al barile all’inizio di questo mese dopo che Teheran ha minacciato ritorsioni contro Israele. Tuttavia, come ha sottolineato il team di economia globale della banca, nei giorni successivi allo sciopero di ritorsione i prezzi del petrolio greggio sono crollati a causa «delle limitate vittime e dei danni» che ha causato.
Gli analisti hanno avvertito che la reazione del mercato «potrebbe non riflettere le implicazioni economiche e geopolitiche a medio termine» del primo attacco militare diretto dell’Iran contro Israele.
Se una guerra fosse limitata alle due nazioni, la Bank of America vedrebbe un impatto minimo sulla crescita economica degli Stati Uniti e sulla politica monetaria della Federal Reserve. Una guerra regionale generale, tuttavia, potrebbe avere un impatto sostanziale sugli Stati Uniti, secondo l’istituzione.
I futures del Brent venivano scambiati a 86,6 dollari al barile alle 11:29 GMT sull’Intercontinental Exchange (ICE). I futures WTI venivano scambiati a 82 dollari al barile a New York, scrive RT.
Come riportato da Renovatio 21, i prezzi del petrolio sono stati scossi anche dagli attacchi ucraini alle infrastrutture petrolifere russe, una politica bellica rivendicata dal ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba nella richiesta di fornire ulteriori armi a Kiev. La spinta al prezzo del petrolio data dagli attacchi dei droni ucraini su raffinerie russe è stata evidente quattro settimane fa, con il costo dell’oro nero salito a 86 dollari dopo un episodio.
Il petrolio è particolarmente sensibile alle questioni geopolitiche: nelle ultime ore, quando si erano sparse le voci di un imminente attacco iraniano ad Israele, il prezzo del greggio era schizzato sopra i 90 dollari al barile. La tensione nel Golfo di Aden, con gli Houthi che attaccano perfino le petroliere russe, contribuisce al caos sui mercati, con Goldman Sachs che ritiene che i prezzi potrebbero perfino raddoppiare. Dopo i forti aumenti registrati nel terzo trimestre 2023, Fitch Rating ha comunicato che il petrolio potrebbe toccare i 120 dollari.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Economia
Il prezzo dell’oro tocca il massimo storico
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Economia
La Turchia lancia una guerra commerciale contro Israele
Il governo turco ha imposto restrizioni alle esportazioni verso Israele per 54 categorie di prodotti, in risposta alla guerra di Gaza, ha annunciato martedì il Ministero del Commercio.
Ankara è stata una delle critiche più accanite nei confronti di Israele da quando è scoppiato il conflitto con Hamas in ottobre. Negli ultimi giorni a Istanbul si sono svolte proteste per chiedere un divieto commerciale. La decisione di Ankara fa seguito anche al rifiuto del governo israeliano di consentire l’arrivo degli aiuti turchi a Gaza.
Secondo il ministero del Commercio turco, gli articoli sulla lista di embargo sulle esportazioni – che ha effetto immediato – includono alluminio, rame, acciaio, materiali da costruzione, macchinari e vari prodotti chimici. La Turchia ha già smesso di inviare a Israele beni che potrebbero essere utilizzati per scopi militari, ha osservato il ministero.
Le restrizioni rimarranno in vigore finché Israele non dichiarerà un cessate il fuoco a Gaza e consentirà «il flusso senza ostacoli di sufficienti aiuti umanitari» nell’area, aggiunge il documento. Israele è stato accusato dalle Nazioni Unite e da gruppi per i diritti umani di ostacolare la fornitura di aiuti a Gaza.
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In risposta alle restrizioni, il ministero degli Esteri israeliano ha accusato la Turchia di violare «unilateralmente» gli accordi commerciali bilaterali.
Martedì, in un post su X, il ministro degli Esteri Israel Katz ha minacciato Ankara con «misure parallele» che «danneggeranno» l’economia turca. Israele preparerà un elenco dei prodotti che intende smettere di acquistare dalla Turchia, ha detto. Katz ha anche invitato gli Stati Uniti a sospendere gli investimenti nel Paese e a imporre sanzioni ad Ankara.
La disputa commerciale segue una disputa diplomatica tra i leader delle due nazioni.
Come riportato da Renovatio 21 il leader turco ha effettuato in questi mesi molteplici attacchi con «reductio ad Hitlerum» dei vertici israeliani, paragonando più volte il primo ministro Beniamino Netanyahu ad Adolfo Hitler e ha condannato l’operazione militare a Gaza, arrivando a dichiarare che Israele è uno «Stato terrorista» che sta commettendo un «genocidio» a Gaza, apostrofando il Netanyahu come «il macellaio di Gaza».
Il presidente lo scorso novembre aveva accusato lo Stato Ebraico di «crimini di guerra» per poi attaccare l’intero mondo Occidentale (di cui Erdogan sarebbe di fatto parte, essendo la Turchia aderente alla NATO e aspirante alla UE) a Gaza «ha fallito ancora una volta la prova dell’umanità».
Un ulteriore nodo arrivato al pettine di Erdogan è quello relativo alle bombe atomiche dello Stato Ebraico. Parlando ai giornalisti durante il suo volo di ritorno dalla Germania, il vertice dello Stato turco ha osservato che Israele è tra i pochi Paesi che non hanno aderito al Trattato di non proliferazione delle armi nucleari del 1968.
«Andare avanti in questo senso è molto importante in termini di bilanciamento degli interessi strategici nella regione. Continueremo a fare pressione», aveva dichiarato l’Erdogano. «Le armi nucleari di Israele devono essere ispezionate al di là di ogni dubbio prima che sia troppo tardi. Lo seguiremo fino in fondo. Invito anche la comunità internazionale a non lasciar perdere
Come riportato da Renovatio 21, Erdogan ha dichiarato che a Gaza «il mondo occidentale ha fallito ancora una volta la prova dell’umanità».
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Immagine di Haim Zach / Government Press Office of Israel via Wikimedia pubblicata su licenzae Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
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