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Piove, Pentagono ladro!

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L’espressione «Piove, governo ladro» sarebbe nata come presa per i fondelli di Mazzini e dei suoi sgherri, che avevano programmato nel 1861 una grande manifestazione a Torino: siccome veniva giù che Dio (al quale non credevano) la mandava, il grande evento saltò. Una rivista satirica pubblicò una vignetta in cui i mazziniani fradici producevano l’esclamazione meteocleptocratica, che per altri è da far risalire al Granduca di Toscana che, tassato il sale, faceva la pesa nei giorni piovosi, così che il sale inumidito aumentava le cifre e conseguentemente il balzello.

 

Tuttavia, in un mondo in cui progetti di geoingegneria estrema sono declamati sulle colonne del New York Times, diventerà sempre più difficile non correlare la pioggia al governo – e più ancora, il tempo all’oligarcato che vuole dominarlo. (Citofonare Bill Gates, ma anche Soros).

 

È di cose più concrete, stringenti, attuali, che vorremmo qui parlare.

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La città di Vicenza sta subendo in queste ore un’altra alluvione. Le scuole sono chiuse, come lo sono tante strade. La zona industriale è in parte allagata. Tante persone si sono trovate con la cantina, il garage, o direttamente la casa invasa dall’acqua. Sopra la testa, elicotteri volano come vi fosse una guerra. Chi scrive può testimoniare di una campagna sommersa. Stamattina presto, a vederla dalla collina, si notava solo l’A4 che sbucava dall’acqua – e per fortuna che l’A4 non è stata interrotta (è un’arteria fondamentale del Paese e di questa parte dell’Europa) mentre la ferrovia, invece, è stata fermata: la tratta Milano-Venezia è saltata, con treni alta velocità deviati via Bologna…

 

 

Simbolicamente, è finito sott’acqua anche il Romeo Menti, lo stadio del Vicenza Calcio che fu il tempio di Paolo Rossi. Dicono che il campo sia salvo, non lo stesso, forse, per l’impianto elettrico.

 

 

 

Chiusa la tangenziale. Vigili e protezione civile ovunque. Quartieri interi sommersi, campi cancellati dall’acqua. Sui giornali online finisce il caso di un hotel il cui padrone ha portato via i clienti in spalla: le immagini della struttura sommersa sono impressionanti.

 


Nei primi di novembre 2010 fu una catastrofe, con il centro della cittadina veneta d’entroterra trasformatosi, d’un bleu, in una veduta veneziana: le strade divenute canali, le piazze distese d’acqua, i campi inghiottiti. Il disastro toccò gran parte della popolosa provincia, e alle fine mezzo milione di persone furono coinvolte, 4500 furono sfollate, due perirono.

 

Il governatore veneto Luca Zaia (quello dell’eutanasia) dichiara che Vicenza è stata «salvata dai bacini di laminazione» costruiti dalla sua Regione in questi anni. Chi si è trovato l’acqua nella propria abitazione può pensare che senza Zaia e i suoi bacini la città potrebbe aver fatto la fine di Atlantide, e considerando la quantità di colonne neoclassiche ed architettura pregiata varia già ci sarebbe da pensare di impiantare future attività turistiche di snorkeling palladiano.

 

Insomma, apocalisse alluvionale, e pure già vista.

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C’è chi ricorda che qualcosa del genere potrebbe esservi stato nel ’29, c’è chi dice che anche nel ’66… Sono testimonianze che riguardano tuttavia una quantità esigue di persone: le alluvioni si sono succedute con il ritmo di una ogni generazione, pare. Purtuttavia, la maggior parte della popolazione ora può dire di aver veduto con i suoi occhi ben due vere alluvioni – più qualche momento di tensione sparso qua e là nelle giornate piovose successive al 2010 – nel corso di pochi anni.

 

Ci facciamo anche qui la domanda che poniamo riguardo al supposto mistero dei malori, delle morte improvvise, dell’aumento dei decessi: c’è nella linea del tempo, un qualche fatto che potrebbe spiegare il fenomeno?

 

Se sì, deve trattarsi di qualcosa si gigantesco, di massivo: un evento tale da cambiare la natura dei fiumi nel territorio. Si fa presto a trovarlo.

 

Romano Prodi due anni fa ha scritto un libro intitolato Strana vita la mia, in cui rievoca quando, il 17 gennaio 2017, da premier diede semaforo verde per la costruzione di una nuova base dell’esercito USA a Vicenza. Laddove c’era un aeroporto (il Dal Molin), sarebbe sorto un avamposto del Pentagono. Prodi prese questa decisione, che riguardava centinaia di migliaia se non milioni di persone, mentre si trovava in visita a Bucarest: «e da lì decisi per l’ampliamento della base americana di Vicenza – scrive il bolognese nella sua autobiografia aiutata da un cronista del Corriere – Era un modesto problema urbanistico, ma fu trasformato in un dramma politico».

 

Il «modesto problema urbanistico» comportava la costruzione di 28 edifici (enormi, visibili anche dalla collina di Monte Berico) in un’area di 58 ettari che prima era coperta d’erba, una struttura militare immane, piantata, scrisse il Corriere Veneto, accanto a un fiume, il Bacchiglione, che proprio mentre era in corso il maxi-cantiere, nel 2010, esondò provocando un’alluvione devastante».

 

L’idea si era sparsa immediatamente, specialmente fra i gruppi di sinistra (e non solo quelli) che avevano avversato la costruzione della base. Sul blog di Beppe Grillo – allora frequentatissimo e considerato autorevole fonte di «controinformazione» – comparve una lettera che parlava del fiume «deviato dagli americani per la base militare», con tanto di analisi video linkata. Voci incontrollate ipotizzavano tratti di fiume «murati», oppure di palazzi militari cementati per metri e metri sottoterra di modo da resistere ad eventuali aerei stile 11 settembre, poi ancora di migliaia di pali alti 25 metri conficcati nel terreno.

 

Voci, non verificate, che si muovono sfrenatamente. Ma che attecchiscono. «Noi l’alluvione. Loro la base» fu uno striscione che gli antagonisti cosiddetti «No Dal Molin» (nome cambiato dall’allora ministro della Difesa Ignazio Larussa in «Dal Din») regalarono pubblicamente al sindaco.

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Il giornale locale sotto la pressione delle chiacchiere che rimbalzavano in città in quei giorni di pioggia e fango, cominciò a far uscire qualche articolo. «Boiate», disse un popolare assessore. Ecco le interviste agli esperti, che dicono che i lavori fatti dagli americani non possono aver intaccato i lavori di drenaggio fatti per l’aeroporto ottanta anni prima.

 

Poi nel 2013 sarebbero saltate fuori delle ricerche, impugnate dall’allora sindaco Achille Variati e inviate a Prefetto, Consiglio dei Ministri e pure il Console generale degli Stati Uniti a Milano, secondo cui «la costruzione della nuova base militare USA a Vicenza, ormai ultimata nell’area dell’ex aeroporto Dal Molin, potrebbe aver danneggiato un’importante rete di drenaggio delle acque piovane, lunga circa 7 chilometri, che anche dagli ultimi accertamenti risulta essere stata interrotta in diversi punti».

 

Ora, che sono passati anni, dite che è il caso di far chiarezza sulla questione?

 

Difficile: il Pentagono, cioè il committente di quella base, ci ordina perfino di spogliarci dei sistemi antimissili per mandarli a Kiev, dopo aver mandato, certo, chissà quante armi. L’attuale primo ministro italiano Giorgia Meloni poche ore fa era a Kiev, per il solo fatto che Zelens’kyj è il pupazzo che Washington non vuole mollare, e quindi il maggiordomo romano lo deve servire e riverire, anche se questo costa agli italiani una crisi energetica ed economica immane – un altro regalo che ci arriva dritto dallo Zio Sam, che con probabilità ha deciso di strangolare definitivamente l’Europa.

 

E quindi, non è che stavolta possiamo davvero dirlo?

 

Piove, Pentagono ladro…?

 

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Immagine del 2010 di US Army Africa via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

 

 

 

 

 

 

 

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Studi sui metodi per testare le sostanze chimiche della pillola abortiva nelle riserve idriche

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I funzionari governativi USA stanno valutando se sia possibile sviluppare metodi per rilevare le sostanze chimiche contenute nella pillola abortiva nelle riserve idriche degli Stati Uniti, in seguito all’iniziativa del gruppo Students for Life. Lo riporta LifeSite.   Quest’estate, i funzionari dell’Agenzia per la Protezione Ambientale americana (EPA) hanno incaricato gli scienziati di determinare se fosse possibile sviluppare metodi per rilevare tracce di pillole abortive nelle acque reflue. Sebbene al momento non esistano metodi approvati dall’EPA, è possibile svilupparne di nuovi, hanno recentemente dichiarato al New York Times due fonti anonime.   La divulgazione fa seguito alla richiesta di 25 membri repubblicani del Congresso USA che hanno chiesto all’EPA di indagare sulla questione.   «Esistono metodi approvati dall’EPA per rilevare il mifepristone e i suoi metaboliti attivi nelle riserve idriche?», chiedevano i deputati in una lettera del 18 giugno. «In caso contrario, quali risorse sono necessarie per sviluppare questi metodi di analisi?»

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I legislatori hanno osservato che il mifepristone è un «potente bloccante del progesterone» che altera l’equilibrio ormonale e potrebbe «potenzialmente interferire con la fertilità di una persona, indipendentemente dal sesso».   Dopo l’annullamento della sentenza Roe v. Wade, Students for Life aveva rilanciato una campagna per indagare sulle tracce di pillole abortive e sui resti fetali nelle acque reflue. Il gruppo ha affermato che il mifepristone e i resti fetali potrebbero potenzialmente danneggiare gli esseri umani, gli animali e l’ambiente.   Nel novembre 2022, i dipendenti di Students for Life si sono lamentati del fatto che le agenzie governative non controllassero le acque reflue per individuare eventuali sostanze chimiche contenute nelle pillole abortive e hanno deciso di assumere i propri «studenti investigatori» per analizzare l’acqua.   La campagna era fallita sotto l’amministrazione Biden. Nella primavera del 2024, undici membri del Congresso, tra cui il senatore Marco Rubio della Florida, attuale Segretario di Stato, scrissero all’EPA chiedendo in che modo il crescente uso di pillole abortive potesse influire sull’approvvigionamento idrico.   Secondo due funzionari, l’EPA ha scoperto di non aver condotto alcuna ricerca precedente sull’argomento, ma non ha avviato alcuna nuova indagine correlata.   Kristan Hawkins, presidente di Students for Life, ha annunciato venerdì: «tre presidenti democratici hanno promosso in modo sconsiderato l’uso della pillola abortiva chimica. Ora l’EPA sta finalmente indagando sull’inquinamento causato dalla pillola abortiva».   «Ogni anno oltre 50 tonnellate di sangue e tessuti contaminati chimicamente finiscono nei nostri corsi d’acqua», ha continuato su X. «Spetta al presidente Trump e al suo team ripulire questo disastro».   A giugno un rapporto pubblicato da Liberty Counsel Action indicava che più di 40 tonnellate di resti di feti abortiti e sottoprodotti della pillola abortiva sono infiltrati nelle riserve idriche americane.   «Come altri farmaci noti per causare effetti avversi sul nostro ecosistema, il mifepristone forma metaboliti attivi», spiega il rapporto di 86 pagine. «Questi metaboliti possono mantenere gli effetti terapeutici del mifepristone anche dopo essere stati escreti dagli esseri umani e contaminati dagli impianti di trattamento delle acque reflue (WWTP), la maggior parte dei quali non è progettata per rimuoverli».  
Non si tratta della prima volta che vengono lanciati gli allarmi sull’inquinamento dei fiumi da parte della pillola abortiva RU486, detta anche «pesticida umano».
Come riportato da Renovatio 21, le acque di tutto il mondo sono inquinate da fortemente dalla pillola anticoncenzionale, un potente steroide usato dalle donne per rendersi sterili, che viene escreto con l’orina con effetto devastante sui fiumi e sulla fauna ittica. In particolare, vi è l’idea che la pillola starebbe facendo diventare i pesci transessuali.   Danni non dissimili sono stati rilevati per gli psicofarmaci, con studi sui pesci di fiume resi «codardi e nervosi».

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Nonostante i ripetuti allarmi sul danno ambientale dalla pillola, le amministrazioni di tutto il mondo – votate, in teoria, all’ecologia e alla Dea Gaia – continuano con programmi devastatori, come quello approvato lo scorso anno a Nuova York di distribuire ai topi della metropoli sostanze anticoncezionali. A ben guardare, non si trova un solo ambientalista a parlare di questa sconvolgente forma di inquinamento, ben più tremenda di quello delle auto a combustibile fossile.   Ad ogni modo, come Renovatio 21 ripeterà sempre, l’inquinamento più spiritualmente e materialmente distruttore è quello dei feti che con l’aborto chimico vengono espulsi nel water e spediti via sciacquone direttamente nelle fogne, dove verranno divorati da topi, pesci, insetti, anfibi e altri animali del sottosuolo.   Su questo non solo non si trovano ambientalisti a protestare: mancano, completamente, anche i cattolici.   Come riportato da Renovatio 21, l’OMS poche settimane fa ha aggiunto la pillola figlicida alla lista dei «medicinali essenziali». Il segretario della Salute USA Robert Kennedy jr. aveva promesso una «revisione completa» del farmaco di morte (gli sarebbe stato chiesto dallo stesso Trump) ma negli scorsi giorni esso è stato approvato dall’ente regolatore FDA.

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Donna afferma che il datacenter AI di Zuckerberg le ha inquinato l’acqua del rubinetto

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Una pensionata della Georgia rurale ha accusato il nuovo centro dati AI di Meta, situato a circa 360 metri da casa sua, di inquinarle l’acqua. Lo riporta la BBC.

 

La cittadina Beverly Morris ritiene che la costruzione del data center del gigante della tecnologia abbia danneggiato il suo pozzo d’acqua privato, causando un accumulo di sedimenti. «Ho paura di bere quell’acqua, ma la uso comunque per cucinare e per lavarmi i denti», ha detto Morris. «Se mi preoccupa? Sì».

 

Meta ha negato queste accuse, dichiarando alla BBC che «essere un buon vicino è una priorità». L’azienda ha commissionato uno studio sulle falde acquifere, scoprendo che il suo data center «non ha influito negativamente sulle condizioni delle falde acquifere nella zona».

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L’incidente evidenzia come un’imponente spinta alla costruzione di infrastrutture per supportare modelli di Intelligenza Artificiale incredibilmente dispendiosi in termini di energia, stia sconvolgendo i vari ecosistemi che vedono il nascere di questi data center. Stiamo solo iniziando a comprendere l’enorme impatto ambientale della tecnologia di intelligenza artificiale, dall’enorme consumo di acqua all’enorme impronta di carbonio dovuta alle emissioni in aumento.

 

La situazione non fa che peggiorare, con aziende come OpenAI, Google e Meta che continuano a investire decine di miliardi di dollari nella costruzione di migliaia di data center in tutto il mondo. Recentemente i ricercatori hanno stimato che la domanda globale di intelligenza artificiale potrebbe arrivare a consumare fino a 1,7 trilioni di galloni d’acqua all’anno entro il 2027, più di quattro volte il prelievo idrico totale di uno stato come la Danimarca.

 

Da allora gli attivisti hanno segnalato il rischio di pericolosi deflussi di sedimenti derivanti dai lavori di costruzione, che potrebbero riversarsi nei sistemi idrici, come potrebbe accadere al pozzo della signora Morris.

 

Resta da vedere quanto l’industria dell’Intelligenza Artificiale si impegnerà per la cosiddetta sostenibilità. Dopo aver dato grande risalto ai propri sforzi per ridurre le emissioni all’inizio del decennio, l’aumento di interesse per l’intelligenza artificiale ha cambiato radicalmente il dibattito.

 

E man mano che i modelli di intelligenza artificiale diventano più sofisticati, necessitano di energia esponenzialmente maggiore, e questa situazione non potrebbe che aggravarsi.

 

Come riportato da Renovatio 21, il CEO di Meta Mark Zuckerberg, nel suo tentativo sempre più disperato di tenere il passo nella corsa all’IA, sta espandendo l’infrastruttura dei data center il più velocemente possibile, con Meta che sta «prioritizzando la velocità sopra ogni altra cosa» allestendo delle «tende» per aggiungere ulteriore capacità e spazio ai suoi campus dei data center. I moduli prefabbricati sono progettati per ottenere la potenza di calcolo online il più velocemente possibile, sottolineando la furiosa corsa di Meta per costruire la capacità di modelli di intelligenza artificiale sempre più richiedenti energia.

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Un nuovo rapporto del Berkeley Lab – che analizza la domanda di elettricità dei data center – prevede che questa stia esplodendo da un già elevato 4,4% di tutto il consumo di elettricità in ambito statunitense, a un possibile 12% di consumo di elettricità in poco più di tre anni, entro il 2028. 

 

Il fenomeno è globale: in Irlanda, i data center consumano già il 18% della produzione totale di elettricità. Secondo il rapporto, il consumo di energia dei data center è stato stabile con una crescita minima dal 2010 al 2016, ma ciò sembra essere cambiato dal 2017 in poi, con l’uso dei data center e dei «server accelerati» per alimentare applicazioni di Intelligenza Artificiale per il complesso militare-industriale e prodotti e servizi di consumo.

 

Vista l’enormità di energia richiesta da questi Centri di elaborazione dati, vi è una corsa verso l’AI atomica e anche Google alimenterà i data center con sette piccoli reattori nucleari nel prossimo futuro.

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Cringe vaticano ai limiti: papa benedice un pezzo di ghiaccio tra Schwarzenegger e hawaiani a caso

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In un momento di grottesco vaticano spinto, papa Leone XIV ha benedetto un blocco di ghiaccio durante una conferenza sui «cambiamenti climatici» ospitata dalla Santa Sede. Uno spettacolo che di gatto tocca vette di cringe conciliare mai viste.   La conferenza tenutasi in questi giorni a Castel Gandolfo ha nome «Raising Hope for Climate Justice» – in inglese nel testo anche italiano diffuso dal Sacro Palazzo. In effetti, l’intera conferenza, tenutasi in Italia, è stata svolta nella lingua globalista per antonomasia, il latino del mondo neoliberale, cioè la lingua inglese.   L’evento, trasmesso in diretta streaminga, è stato caratterizzato da una «Benedizione delle Acque», iniziata con papa Leone che ha posato silenziosamente la mano su un blocco di ghiaccio. È stato detto che il blocco di ghiaccio sia venuto dalla Groenlandia, ma non è noto quanta energia a combustibile fossile sia stata impiegata, inquinando il mondo, per far giungere il pezzone sino a Roma senza che si sciogliesse.      

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Durante un evento stampa prima della conferenza, è apparso d’improvviso l’ex culturista cinque volte Mister Olympia, superdivo hollywoodiano d governatore della California Arnoldo Schwarzenegger, il quale ha invitato tutti i cattolici del mondo a «diventare crociati per l’ambiente». Lo Schwarzenegger si era convertito ai temi climatici ai tempi della campagna elettorale per restare in sella come governatore della California – Stato largamente a tendenza democratica – e lui stesso afferma nel suo documentario autobiografico su Netflix che a dargli una mano in questo senso fu Robert F. Kennedy jr., suo parente, visto il matrimonio che Arnoldo ha contratto con Maria Shriver (un altro ramo del casato, ma assolutamente centrale per quella che è la supposta famiglia reale USA, dove ha appeso il cappello un’altra cosa che ad Arnoldo è riuscita nella vita).    

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Oltre a Terminator, accanto al papa ad una certa sono apparsi anche degli hawaiani a caso, che si sono prodotti in un momento musicale pachamamesco. Presentato come i «Pacific Artist for Climate Justice», i figuri, in pantalocini, camicia hawaiana, collanone e ukulele d’ordinanza, hanno avuto l’onore di introdurre musicalmente l’ingresso del papa.   Una schiera di cardinali presenti in prima fila si sono prestati al gioco, dandosi da fare con coreografici teli e cose bellissime così.   Tutto questo mentre un altro americano, il presidente USA Donaldo Trump, va all’ONU è parla della «truffa del Cambiamento climatico», e beccandosi da certuni i giustissimi, sacri 92 minuti di applausi.   Lo spettacolo offerto dall’ostinazione della chiesa climatista è persino più imbarazzante di quelli, blasfemi e occultistici, a cui ci aveva abituato Bergoglio. È innegabile come Leone stia aggiungendo, per quanto possa sembrare impossibile, una quota ulteriore di cringio post-conciliare al disastro dell’ultima papato.

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  Immagine screenshot da YouTube  
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