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Psicofarmaci

Omicidio in famiglia a Milano. C’è lo psicofarmaco, ma nessuno ci bada

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La scorsa settimana un ennesimo omicidio in famiglia è stato lanciato nelle cronache nazionali.

 

A Milano è stata trovata morta nel suo salotto la 73 enne Fiorenza Rancilio. Secondo quanto scrive il Corriere della Sera, il cadavere era «avvolto in un piumone bianco e in alcuni asciugamani. Una grande ferita, profonda, violentissima all’altezza della fronte. Un colpo, o forse più d’uno, sferrato con un oggetto pesante, preso dalla casa. Forse un attrezzo da palestra».

 

Il giornale di via Solferino scrive che la signora «probabilmente è stata stordita con qualche sostanza prima di essere uccisa».

 

«Lei negli ultimi tempi aveva confidato di avere paura del figlio Guido, delle sue crisi psichiatriche, di quando “impazziva e spaccava tutto”» continua il Corriere.

 

«Il 35enne Guido Augusto Gervaso Gastone Pozzolini Gobbi Rancilio è ora accusato di omicidio volontario aggravato e piantonato dai carabinieri al Policlinico. Era in cura da anni per una forma di schizofrenia. Ricoveri ripetuti, terapie psichiatriche che a volte sembravano funzionare, ma poi arrivava l’ennesima ricaduta. Lo hanno trovato in un’altra stanza, seduto. Immobile e silenzioso. Intontito dalle benzodiazepine».

 

Rara avis: leggiamo il nome di uno psicofarmaco in un caso di cronaca nera, di violenza consumatasi in casa. Come è possibile che il giornalista sappia che l’uomo era «intontito dalle benzodiazepine»? O ancora: come mai parla proprio di quelle?

 

Forse perché nel contesto specifico è difficile evitare di parlarne? Le benzodiazepine, scrive sempre il primo quotidiano nazionale, sarebbero «seminate un po’ ovunque tra l’ottavo e il nono piano al civico 6 di via Crocefisso, tra corso Italia e le Colonne di San Lorenzo». Poi l’articolo però prende tutta un’altra direzione, vuole parlarci del casato dei Rancilio, già al centro di una tragedia quando presero il fratello della vittima nel 1978 fu rapito dalla ‘Ndrangheta e ucciso in Aspromonte.

 

A noi, invece, interesserebbe più capire questa storia dell’«intontito dalle benzodiazepine», un’espressione precisa che non sembra buttata là. Le benzodiazepine: chi non le conosce, chissà in quanti armadietti del vostro condominio ci sono confezioni di Alprazolam (Xanax), Diazepam (Valium, Tranquirit), Clonazepam (Klonopin, Rivotril), Clordiazepossido (Librium), Lorazepam (Tavor, Control), Triazolam (Halcion). Gli «ansiolitici», quelli che avrebbe chiesto in carcere anche Filippo Turetta, presunto assassino patriarcale dell’anno, e non si sa se ne prendesse anche prima, quando la sua fidanzava lo spingeva ad andare dagli psicologi.

 

Fateci capire: l’articolo vuole dire che potrebbe essere che l’uomo, ora in stato di fermo, potrebbe aver ucciso sotto il loro effetto? L’accusato avrebbe ucciso da «intontito»? Oppure, quello che si vuole suggerire è che prima sarebbe avvenuta la violenza, e solo in seguito la consumazione degli psicofarmaci, con conseguente «intontimento»?

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Non è che gli altri giornali aiutino a capire meglio. «Quando gli investigatori dell’Arma sono arrivati sul posto, allertati da alcuni dipendenti dell’imprenditrice, il 35enne era seduto in un’altra stanza fermo e zitto sotto l’effetto di farmaci» scrive Il Fatto Quotidiano. Che però aggiunge che «l’uomo ha dichiarato di aver preso benzodiazepine».

 

Su Il Giorno leggiamo il verbale del medico intervenuto nell’attico: «notavo il ragazzo disteso a letto, soporoso ma risvegliabile (…) notavo altresì degli psicofarmaci sul comodino, del tipo benzodiazepine e clozapina. Tentavo di stabilire un contatto con il ragazzo che tuttavia mi rispondeva solo dicendo “viva la libertà”, sul corpo dello stesso non notavo alcun segno di lotta né macchie di sangue sui suoi indumenti».

 

L’ANSA scrive che «anche lo zio della 73enne, entrato nell’appartamento quel mattino, ha descritto così la scena: “Nel salone era presente il figlio Guido, che girava intorno al corpo riferendo parole incomprensibili, farfugliando”».

 

Quindi, gli elementi parrebbero essere due: 1) il soggetto è un caso psichiatrico; 2) il soggetto assumeva droghe psichiatriche.

 

L’ANSA riferisce che secondo il PM il movente, «con elevata probabilità razionale, è da individuare nei rapporti esistenti tra madre e figlio, rovinati dalla patologia sofferta dall’indagato». L’articolo titola proprio «il movente è nella patologia del figlio».

 

L’idea che a rendere violento il soggetto accusato siano le psicodroghe che avrebbe consumato pare non venire in mente a nessuno, né ai giornalisti, né ai medici né alle autorità.

 

Siamo alle solite, dirà il lettore di Renovatio 21. Sì, proprio così: e questa volta sono coinvolte sostanze psichiatriche già note per creare stati di dipendenza tali che esistono in Italia centri specializzati solo nel curare la cosiddetta BZD dependence, che è pure contenuta nella manuale diagnostico DSM-IV.

 

Alcuni sintomi di astinenza che possono comparire includono ansia, umore depresso, depersonalizzazione, derealizzazione, disturbi del sonno, ipersensibilità al tatto e al dolore, tremore, tremore, dolori muscolari, dolori, contrazioni e mal di testa. «La dipendenza e l’astinenza da benzodiazepine sono state associate a suicidio e comportamenti autolesionistici, soprattutto nei giovani, scrive un documento britannico del 2009 contenente le linee guida per l’uso delle sostanze.

 

Anche qui, come già con gli psicofarmaci SSRI, dove l’ideazione suicidiaria come effetto collaterale è segnata in evidenza nel bugiardino, non si capisce come sia possibile che nessuno si chieda se, oltre a progettare di distruggere se stessi, tali sostanze non portino a programmare anche la distruzione di altri, magari proprio coloro che sono più vicini al proprio sé – famigliari, fidanzati, coniugi, amici, compagni.

 

Non che il fenomeno non si stato discusso negli anni

 

In un discorso ad una conferenza del 2000, il professor Heather Ashton, autore dello studio «Benzodiazepines: The Still Unfinished Story» (British Medical Journal, vol 288, 14 aprile 1984) sosteneva che «come l’alcol, le benzodiazepine possono occasionalmente causare una stimolazione apparentemente paradossale con aumento di aggressività, rabbia, violenza e comportamento antisociale. Le benzodiazepine sono state collegate al “picchiare i bambini’, “picchiare la moglie” e “picchiare la nonna”. In modo meno drammatico, aumenta l’irritabilità e l’atteggiamento polemico è spesso sottolineato dai pazienti che assumono benzodiazepine a lungo termine e dalle loro famiglie. Si ritiene che questi effetti derivino dalla disinibizione del comportamento solitamente controllato».

 

L’edizione 2001 del British National Formulary, il testo farmaceutico di riferimento del Regno Unito, scriveva che «n aumento paradossale dell’ostilità e dell’aggressività può essere riportato dai pazienti che assumono benzodiazepine. Gli effetti vanno dalla loquacità ed eccitazione ad atti aggressivi e antisociali». «Il comportamento aggressivo verso se stessi e gli altri può essere accelerato» scriveva una scheda tecnica di una farmaceutica relativa al Diazepam nel 1991.

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Vi è, ovviamente, una strage scolastica americana basata su benzodiazepine: «James Wilson aveva preso Xanax prima di entrare alla Oakland Elementary School di Greenwood, Carolina del Sud, il 26 settembre 1988. Sparò e uccise due bambine di otto anni e ferì altri sette bambini e due insegnanti» scrive USA Today Magazine del 1° maggio 1994.

 

Di più: c’è un caso di importanza colossale che sembra aver avuto dietro di se le benzo. Il 30 marzo 1981 John Hinckley, Jr., tentò di assassinare il presidente Ronald Reagan: alcuni ipotizzarono si trattasse di rabbia indotta dal Valium, dice lo stesso vecchio articolo di USA Today, che all’epoca si permetteva di andare a briglia sciolta: «Nel 1970, un libro di testo sugli effetti collaterali degli psicofarmaci aveva già sottolineato il loro potenziale di violenza. “In effetti, anche atti di violenza come l’omicidio e il suicidio sono stati attribuiti alle reazioni di rabbia indotte dal clordiazepossido e dal diazepam».

 

«Secondo uno studio del 1984, “Rabbia estrema e comportamento ostile sono emersi in otto dei primi 80 pazienti trattati con alprazolam [Xanax]. Le risposte consistevano in aggressioni fisiche da parte di due pazienti, comportamenti potenzialmente pericolosi per gli altri da parte di altri due, e aggressioni verbali e scoppi d’ira dei restanti quattro”. Una donna che non aveva precedenti di violenza prima di prendere lo Xanax “è scoppiata in urla al quarto giorno di trattamento con alprazolam e ha tenuto un coltello da bistecca alla gola di sua madre per alcuni minuti”».

 

«Il team canadese che ha studiato la connessione tra aggressività e psicofarmaci nella popolazione carceraria ha affermato che, tra tutte le classi, gli ansiolitici sembravano essere i più implicati, con un numero di atti di aggressione 3,6 volte superiore a quelli verificatisi quando i detenuti assumevano questi farmaci. ‘”Considerando che certamente non tutte le personalità aggressive sono in carcere, che anche le frustrazioni abbondano nella società e che il diazepam [Valium] è il farmaco più prescritto negli Stati Uniti insieme al clordiazepossido [Librium] il terzo, le implicazioni della combinazione di anti- gli agenti di ansia e l’aggressività sono sorprendenti”» continua il giornale statunitense.

 

Forse si trattava di un’altra epoca: sono passati trent’anni, nei quali Big Pharma ha fatturato centinaia di miliardi, forse trilioni di dollari, e ha stretto la sua morsa su qualsiasi cosa – giornali, politici, classe medica, regolatori – a suon di bigliettoni. Studi degli anni 2010 su benzodiazepine e violenza concludono che la relazione è tenue, o è da indagare ulteriormente, o proprio non c’è. Insomma: nessuna correlazione. On connait la chanson...

 

I miliardi farmaceutici hanno prodotto, e distribuito, il farmaco più potente: l’oblio.

 

Quelle che erano evidenze scientifiche e di cronaca ora non vengono più tenute in considerazione, neanche in flagranza di delitto.

 

Fate un piccolo esperimento: se avessero trovato cocaina, nel lussuoso appartamento, cosa si sarebbe pensato? Quali sarebbero stati i titoli del giornale?

 

La differenza, davvero, dove sta? La cocaina, come le benzodiazepine, è una sostanza psicotropa – è uno psicofarmaco. Però la cocaina non te la prescrive (almeno, non ancora) il medico, e dietro non ha cartelli ultrapotenti con lobbyisti e avvocati: sappiamo che i cartelli della droga messicani e colombiani hanno probabilmente fatto meno morti in USA del cartello degli oppioidi legali di Big Pharma.

 

Finché nessuno riuscirà ad abbattere questo muro, siamo condannati a vedere storie come questa: nessuno che ipotizza un ruolo della psicodroga nell’esplosione di violenza, anche quando il sangue è ancora fresco, lì accanto a fialette e blister.

 

E a vergognarci dell’intero sistema, incapace di porsi le domande più basilari, domande che forse possono salvare la vita di tanti innocenti.

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Gravidanza

Gli antidepressivi in gravidanza aumentano il rischio di difetti alla nascita

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Renovatio 21 traduce questo articolo per gentile concessione di Children’s Health Defense. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.   Lunedì i medici hanno dichiarato all’agenzia che la FDA deve impegnarsi di più nell’avvertire le donne incinte che l’assunzione di SSRI, una classe di antidepressivi, potrebbe danneggiare loro e il loro bambino in via di sviluppo.   La Food and Drug Administration (FDA) degli Stati Uniti deve impegnarsi di più nell’avvertire le donne incinte che l’assunzione di SSRI, un tipo di antidepressivo, può danneggiare loro e il loro bambino in via di sviluppo, hanno dichiarato lunedì i medici all’agenzia.   La FDA ha ospitato un gruppo di esperti composto da biologi dello sviluppo, psichiatri, epidemiologi, ostetrici ed esperti di salute mentale, che hanno discusso di inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) e gravidanza. L’agenzia ha trasmesso in diretta streaming la discussione, durata due ore, su YouTube e X.   «Diversi studi hanno dimostrato che gli SSRI sono implicati nell’emorragia post-partum, nell’ipertensione polmonare e negli effetti cognitivi a valle sul neonato, nonché nei difetti cardiaci congeniti», ha affermato il commissario della FDA Marty Makary, che ha aperto l’evento.   Circa 1 donna di mezza età su 4 e fino al 5% delle donne incinte assumono antidepressivi, ha affermato Makary.

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«Gli antidepressivi come gli SSRI possono essere un trattamento efficace per la depressione, ma dobbiamo fermarci e guardare anche al quadro generale», ha affermato. «Più antidepressivi prescriviamo, più depressione c’è… Dobbiamo iniziare a parlare delle cause profonde».   In particolare, gli SSRI meritano di essere esaminati attentamente poiché la serotonina «potrebbe svolgere un ruolo cruciale nello sviluppo degli organi del bambino nell’utero», ha affermato.   Sebbene le opinioni siano divergenti, la maggior parte dei membri del panel concorda sul fatto che le donne a cui vengono prescritti gli SSRI raramente ricevono un adeguato consenso informato sui rischi per loro stesse o per la loro futura prole.   «Molte delle persone con cui parlo non hanno mai ricevuto il consenso informato», ha affermato Roger McFillin, psicologo clinico e direttore esecutivo del Center for Integrated Behavioral Health. «Ed è troppo tardi» se l’informazione viene fornita quando una donna incinta si reca dal medico.   «A quel punto, il bambino in via di sviluppo sarà stato esposto a un SSRI», ha aggiunto McFillin.   Michael Levin, Ph.D., professore di biologia alla Tufts University e direttore dell’Allen Discovery Center dell’università, ha condiviso i risultati di studi condotti da lui e dai suoi colleghi nei quali gli SSRI hanno compromesso la capacità degli embrioni di pulcini e rane di distinguere la sinistra dalla destra, il che ha avuto effetti negativi sullo sviluppo dei loro organi.   «È molto probabile che gli SSRI causino certi tipi di difetti», ha detto Levin. «Alcuni potrebbero essere risolti dal processo rigenerativo di un embrione… altri non saranno in grado di ripararsi».   Un altro membro del panel ha citato una ricerca che dimostra che i figli di donne che assumevano SSRI durante la gravidanza avevano maggiori probabilità di soffrire di depressione una volta raggiunta l’adolescenza.

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Le etichette della FDA non menzionano i rischi identificati dalle recenti ricerche

Tracy Beth Høeg, MD, Ph.D., consulente senior per le scienze cliniche presso la FDA e moderatrice del panel di lunedì, ha affermato in un video sull’evento che l’attuale etichetta di avvertenza della FDA per «almeno un SSRI» non menziona i rischi identificati in studi recenti, tra cui «tassi più elevati di aborto spontaneo, parto prematuro ed effetti negativi sullo sviluppo neurocognitivo del bambino».   Secondo la Mayo Clinic, gli SSRI sono una classe di farmaci che bloccano la ricaptazione della serotonina da parte delle cellule cerebrali e sono gli antidepressivi più comunemente prescritti.   Gli SSRI attraversano la barriera placentare e ematoencefalica e passano nel latte materno, potendo così influire sullo sviluppo cerebrale del feto.   Il dottor Adam Urato, primario di medicina materna e fetale presso il MetroWest Medical Center di Framingham, nel Massachusetts, ha affermato di ritenere che la FDA debba rafforzare le avvertenze.   «Mai prima nella storia umana avevamo alterato chimicamente lo sviluppo dei bambini in questo modo, in particolare lo sviluppo del cervello fetale, e questo sta accadendo senza alcun reale preavviso pubblico, e questo deve finire», ha affermato Urato.   Le autorità di regolamentazione devono essere creative nel modo in cui informare le donne sui possibili rischi degli SSRI, ha affermato il dottor Josef Witt-Doerring, psichiatra specializzato nell’identificazione e nel trattamento delle reazioni avverse ai farmaci in ambito psichiatrico ed ex responsabile medico della FDA.   Avere un codice QR«proprio sui tappi delle bottiglie con la scritta “guardami”» e link a «video di facile lettura per i pazienti che parlano dei rischi più importanti… potrebbe fare miracoli», ha affermato Witt-Doerring.

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Urato ha suggerito un boxed warning, precedentemente chiamato black box warning, «affinché le persone si rendano conto dell’impatto» che gli SSRI possono avere sulla gravidanza e sullo sviluppo del feto. Anche una lettera della FDA ai medici potrebbe essere utile, ha affermato.   Nel 2004, la FDA ha pubblicato un avviso nel riquadro nero per l’uso di antidepressivi nei giovani, citando prove che i farmaci erano collegati a un rischio maggiore di pensieri, sentimenti e comportamenti suicidi nei giovani.   La dottoressa Kay Roussos-Ross, esperta di salute post-partum presso l’Università della Florida, ha replicato, esprimendo preoccupazione per l’azione della FDA che potrebbe scoraggiare o impedire l’accesso delle donne agli SSRI.   «I farmaci devono essere a portata di mano, quindi li mettiamo a disposizione delle donne che ne hanno bisogno», ha detto Roussos-Ross. «Non tutte le donne avranno bisogno di un antidepressivo, ma per quelle che ne hanno bisogno, questo cambia la vita e la salva».   La FDA non ha ancora annunciato se aggiornerà le attuali indicazioni terapeutiche sugli SSRI o se pubblicherà nuove linee guida. Tuttavia, l’agenzia ha indicato che prenderà in considerazione il parere del panel nel valutare possibili azioni.  

Gli SSRI sono efficaci?

Alcuni relatori hanno criticato la teoria secondo cui gli SSRI sarebbero efficaci nel trattamento della depressione e hanno condiviso le prove della loro inefficacia.   La dottoressa Joanna Moncrieff ha mostrato al panel una diapositiva che mostrava i risultati di uno studio, da cui emergeva che la differenza negli effetti tra i soggetti a cui era stato somministrato un antidepressivo e quelli a cui era stato somministrato un placebo era «assolutamente minuscola».   Moncrieff è professore di psichiatria critica e sociale presso l’University College di Londra e autore di Chemically Imbalanced: The Making and Unmaking of the Serotonin Myth.   La NBC News, sotto il titolo «Un comitato della FDA promuove la disinformazione sugli antidepressivi durante la gravidanza, affermano gli psichiatri», ha citato i medici che hanno contestato l’attacco all’efficacia degli SSRI.   Il dottor Joseph Goldberg, professore di psichiatria clinica presso la Icahn School of Medicine del Mount Sinai di New York ed ex presidente dell’American Society of Clinical Psychopharmacology, ha dichiarato alla NBC: «si può dire che lo sbarco sulla Luna sia stato un inganno. Le teorie del complotto abbondano nel nostro mondo. Ma non c’è dubbio sull’efficacia degli SSRI».   Goldberg è un ex consulente dell’industria farmaceutica. Nel 2018, ha ricevuto oltre 140.000 dollari dalle aziende farmaceutiche, secondo i dati ottenuti da ProPublica.   Goldberg ha dichiarato alla NBC che la FDA lo aveva invitato a partecipare al dibattito, ma lui ha rifiutato perché, stando al tenore dell’invito, riteneva che l’evento “non sarebbe stato un dibattito equo”, secondo quanto riportato dalla NBC.

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Non è facile smettere di prendere gli SSRI

I relatori hanno anche citato ricerche che dimostrano quanto sia difficile per alcune persone sospendere gradualmente l’assunzione degli SSRI una volta iniziato il trattamento.   «Abbiamo condotto uno studio che ha dimostrato che, tra le persone che avevano assunto antidepressivi per due anni, l’80% non riusciva a smettere di prenderli nonostante i tentativi», ha affermato Moncrieff.   Il rapporto «Make America Healthy Again» ha criticato la «sovramedicalizzazione» dei giovani statunitensi con farmaci, inclusi gli SSRI. Il rapporto citava una ricerca che dimostrava che alcune persone che interrompono l’assunzione di SSRI manifestano sintomi di astinenza dovuti alla dipendenza fisica.   Uno studio pubblicato all’inizio di questo mese su JAMA Psychiatry ha riferito che i pazienti che avevano smesso di assumere antidepressivi, compresi gli SSRI, avevano manifestato sintomi una settimana dopo l’interruzione del farmaco, ma che tali sintomi erano «al di sotto della soglia per un’astinenza clinicamente significativa».   Tuttavia, critici come James Davies, Ph.D., professore associato di psicologia all’Università di Roehampton in Inghilterra, hanno affermato che la maggior parte degli studi esaminati dagli autori dello studio JAMA ha seguito solo pazienti che avevano assunto antidepressivi per otto settimane.   Davies, la cui ricerca del 2019 ha rilevato alti tassi di sintomi di astinenza, quasi la metà dei quali classificati come «gravi», ha dichiarato al New York Times: «se si osservano persone che assumono la cocaina da otto settimane, non si noterà l’astinenza. È come dire che la cocaina non crea dipendenza perché abbiamo condotto uno studio su persone che la assumevano solo da otto settimane».   Davies ha affermato che lo studio del JAMA, «se letto in modo acritico», potrebbe «causare danni considerevoli minimizzando significativamente gli effetti dell’uso reale di antidepressivi».   Suzanne Burdick Ph.D.   © 22 luglio 2025, Children’s Health Defense, Inc. Questo articolo è riprodotto e distribuito con il permesso di Children’s Health Defense, Inc. Vuoi saperne di più dalla Difesa della salute dei bambini? Iscriviti per ricevere gratuitamente notizie e aggiornamenti da Robert F. Kennedy, Jr. e la Difesa della salute dei bambini. La tua donazione ci aiuterà a supportare gli sforzi di CHD.   Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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Psicofarmaci

Antipsicotici e psicofarmaci SSRI prescritti ai bambini autistici

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Renovatio 21 traduce questo articolo per gentile concessione di Children’s Health Defense. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

La FDA ha approvato solo due farmaci, entrambi antipsicotici, per il trattamento dei bambini autistici. Entrambi sono approvati specificamente per il trattamento dell’«irritabilità associata all’autismo». Tuttavia, i medici spesso prescrivono anche altri farmaci, off-label, inclusi stimolanti e antidepressivi, senza il supporto di studi sulle possibili interazioni tra più farmaci.

 

Dieci anni fa, un’inchiesta dell’Huffington Post rivelò che la Johnson & Johnson aveva promosso illegalmente il Risperdal, un farmaco antipsicotico associato a gravi effetti collaterali, tra bambini e anziani.

 

Oggi, il farmaco rimane uno dei soli due farmaci approvati dalla Food and Drug Administration (FDA) statunitense per il trattamento dell’autismo. L’altro è l’aripiprazolo, anch’esso un antipsicotico, commercializzato con il nome di Abilify e venduto da Bristol Myers Squibb.

 

Secondo il rapporto investigativo in 15 parti dell’Huffington Post, la FDA aveva proibito ai venditori della Johnson & Johnson di «provare a promuovere il Risperdal ai medici per curare i bambini a causa dei suoi temuti effetti collaterali, tra cui disturbi ormonali».

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Tuttavia, la società «ha organizzato unità di vendita speciali che prendevano di mira illegalmente i medici che curavano anziani e bambini», nonostante siano stati segnalati effetti avversi, tra cui la ginecomastia, che causa l’ingrossamento del tessuto mammario nei maschi, in alcuni bambini che assumevano il farmaco.

 

I resoconti hanno dato origine a migliaia di cause legali, con risarcimenti complessivi che hanno raggiunto diversi miliardi di dollari.

 

La FDA ha approvato per la prima volta il Risperdal (risperidone) per il trattamento della schizofrenia nel 1993. Nel 2006, la FDA ha approvato il farmaco per il trattamento dei sintomi di «irritabilità», tra cui aggressività e «capricci», associati all’autismo.

 

Il ricercatore scientifico e autore James Lyons-Weiler, Ph.D, ha affermato che la distinzione tra l’approvazione dei farmaci per il trattamento dell’autismo e il trattamento dell’«irritabilità associata all’autismo» è fondamentale.

 

Sebbene i tassi di autismo tra i bambini degli Stati Uniti siano aumentati notevolmente (da 1 su 10.000 negli anni Settanta a 1 su 31 nel 2022), Risperdal e aripiprazolo restano gli unici farmaci del loro genere approvati dalla FDA per le persone affette da autismo.

 

Secondo Autism Speaks, i due farmaci approvati dalla FDA non affrontano le caratteristiche principali dell’autismo: difficoltà nella comunicazione reciproca, problemi di integrazione sensoriale, modelli ripetitivi di comportamento e profili di apprendimento atipici, che l’organizzazione definisce «un’ampia area di bisogni insoddisfatti».

 

«I tratti fondamentali dell’autismo rimangono farmacologicamente intatti», ha affermato Lyons-Weiler. «Stiamo applicando trattamenti progettati per il disturbo depressivo maggiore, la schizofrenia, l’epilessia e il disturbo d’ansia generalizzato a bambini in via di sviluppo con un’eziologia e una neurobiologia completamente diverse».

 

Diversi altri tipi di farmaci vengono comunemente prescritti «off-label» [fuori indicazione, ndt] ai pazienti affetti da autismo, il che significa che i farmaci hanno l’approvazione della FDA, ma non sono approvati per il trattamento dei sintomi dell’autismo.

 

La pediatra dottoressa Michelle Perro ha affermato che questi farmaci includono «antipsicotici, stimolanti, inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) e melatonina». I farmaci vengono prescritti per «gestire sintomi associati come irritabilità, aggressività, iperattività, ansia e disturbi del sonno».

 

Lyons-Weiler ha affermato che «la prescrizione off-label è la regola, non l’eccezione, nella cura dell’autismo”, ma ha osservato che viene praticata “in assenza di dati sulla sicurezza a lungo termine».

 

Studi hanno dimostrato che i bambini con autismo sono più suscettibili agli eventi avversi. Esistono pochi studi su come questi farmaci interagiscono quando assunti contemporaneamente, sebbene la pratica di prescrivere più farmaci, nota come politerapia , sia anch’essa associata a un aumento del rischio di eventi avversi.

 

«L’attuale modello farmacologico per l’autismo non è un paradigma di trattamento, bensì una sedazione comportamentale applicata in modo selettivo», ha affermato Lyons-Weiler.

 

Nel 2022, il Risperdal era il 183° farmaco più comunemente prescritto negli Stati Uniti, sebbene il suo utilizzo sia diminuito di oltre la metà rispetto al picco del 2014.

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I farmaci off-label per i sintomi dell’autismo non sono ancora stati testati clinicamente

Sia i farmaci approvati dalla FDA che quelli prescritti off-label per i sintomi correlati all’autismo sono tutti associati a gravi eventi avversi.

 

I farmaci antipsicotici, tra cui AbilifyRisperdal e Zyprexa, vengono comunemente prescritti per l’aggressività, l’irritabilità e i comportamenti ripetitivi.

 

Gli effetti collaterali comuni associati agli antipsicotici vanno da sonnolenza, vertigini e aumento di peso a convulsioni, ipotensione e problemi sessuali. Questi farmaci sono anche associati a iperglicemia, ictus e pensieri suicidi o autolesionismo.

 

Questa categoria di farmaci «altera ampiamente l’attività dei neurotrasmettitori ed è collegata alla sindrome metabolica, all’aumento della prolattina, alla ginecomastia e al profondo aumento di peso», ha affermato Lyons-Weiler.

 

Perro ha affermato che i farmaci possono anche portare a «un’esacerbazione di problemi motori sottostanti».

 

Gli antidepressivi, o inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), migliorano i livelli di serotonina, un ormone e neurotrasmettitore che regola l’umore. Questi farmaci, tra cui CelexaProzac e Zoloft, vengono prescritti ai bambini con autismo per ridurre l’ansia, la depressione e la frequenza o l’intensità dei comportamenti ripetitivi.

 

Ma secondo Lyons-Weiler, «gli SSRI sono spesso inefficaci e possono indurre agitazione, appiattimento emotivo o persino ideazione suicidaria, soprattutto nella popolazione pediatrica».

 

Autism Speaks riconosce che «ampi studi clinici devono ancora dimostrare» l’efficacia degli SSRI nel trattamento dei sintomi dell’autismo.

 

Sebbene gli effetti collaterali più comuni degli SSRI siano diarrea, affaticamento, nausea e aumento di peso, questi farmaci sono anche associati a gravi effetti avversi, tra cui alterazioni del ritmo cardiaco, sanguinamento e pensieri suicidi o autolesionistici.

 

«Gli SSRI possono aiutare a combattere i comportamenti ripetitivi, ma possono anche aumentare l’isolamento sociale e causare ulteriore intorpidimento emotivo», ha affermato Perro.

 

Anche gli stimolanti, che contrastano l’iperattività e la mancanza di attenzione e concentrazione, vengono comunemente somministrati ai bambini autistici. Tra questi, AdderallRitalin e Vyvanse.

 

Gli stimolanti aumentano i livelli di dopamina e noradrenalina , ormoni e neurotrasmettitori coinvolti in funzioni corporee fondamentali e nella regolazione delle emozioni.

 

Gli effetti collaterali più comuni degli stimolanti sono: diminuzione dell’appetito, mal di testa, disturbi del sonno e mal di stomaco.

 

Gli stimolanti sono inoltre associati a eventi avversi più gravi, tra cui alterazioni del ritmo cardiaco, aumento della pressione sanguigna, convulsioni, ictus e fenomeno di Raynaud, una patologia che si verifica quando il sangue non fluisce correttamente alle dita delle mani e dei piedi.

 

E secondo Lyons-Weiler, «gli stimolanti possono aumentare l’ansia, l’aggressività o i tic, soprattutto nei bambini con disturbi del sistema immunitario o dell’asse intestino-cervello».

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«Un deserto farmacologico inesplorato»

Sebbene il profilo degli eventi avversi di farmaci specifici sia ben noto e riportato nei foglietti illustrativi di ciascun farmaco, si conoscono molte meno informazioni sugli eventi avversi potenzialmente dannosi che possono derivare dalle interazioni tra più farmaci assunti contemporaneamente per trattare i sintomi correlati all’autismo.

 

Secondo un articolo pubblicato il mese scorso su The Conversation, negli ultimi anni la politerapia «è diventata un problema sempre più frequente per le persone autistiche».

 

«La politerapia aggrava questi rischi, eppure rimane sottoregolamentata», ha affermato Lyons-Weiler. «I bambini assumono spesso tre, quattro, cinque o più psicofarmaci contemporaneamente, senza un singolo studio clinico randomizzato controllato che guidi queste combinazioni. Se usati singolarmente, questi farmaci comportano già gravi effetti collaterali. Se combinati, entriamo in un mondo farmacologico inesplorato».

 

Secondo Lyons-Weiler, gli eventi avversi gravi associati alla politerapia per il trattamento dei sintomi dell’autismo includono:

 

  • Stagnazione cognitiva, inclusa una ridotta capacità di elaborazione
  • Disturbi endocrini, tra cui pubertà ritardata e testosterone soppresso
  • Effetti metabolici, tra cui resistenza all’insulina, cambiamenti del colesterolo e rapido aumento di peso
  • Effetti collaterali neurologici, tra cui disturbi del movimento e sedazione
  • Comportamento peggiorato

 

«Questi esiti vengono troppo spesso trattati come comorbilità non correlate, quando in realtà potrebbero essere iatrogeni», ha affermato Lyons-Weiler. «Ecco perché la politerapia senza una comprensione sistemica della disintossicazione, del metabolismo e della neuroinfiammazione è pericolosa. Tratta i sintomi come entità isolate, non come espressioni di un sistema più ampio e compromesso».

 

Lyons-Weiler ha affermato che esistono solo pochi studi che esaminano gli effetti della politerapia sui bambini autistici.

 

Uno studio pubblicato sulla rivista Research in Autism Spectrum Disorders nel 2020 ha scoperto che i giovani autistici in Nuova Zelanda avevano maggiori probabilità di manifestare effetti collaterali rispetto ai giovani non autistici, in parte perché questi giovani «subiscono un carico significativo di farmaci», con oltre la metà dei giovani studiati che assumeva tre o più farmaci contemporaneamente.

 

Uno studio successivo, pubblicato sulla stessa rivista nel 2022, ha rilevato che «i bambini con autismo e ADHD sperimentano un notevole carico farmacologico e interazioni potenzialmente avverse tra farmaci psicotropi e farmaci per il sonno, sollevando importanti interrogativi sulla loro assistenza clinica».

 

Secondo una revisione sistematica e una meta-analisi del 2019 pubblicate sulla rivista Pediatric Drugs, l’aumentata sensibilità sensoriale e del sistema nervoso nei pazienti autistici potrebbe spiegare la maggiore prevalenza di effetti collaterali.

 

Uno studio pubblicato l’anno scorso sulla rivista Autism ha scoperto che le persone affette da autismo avevano un rischio di mortalità più del doppio rispetto alla popolazione generale.

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L’industria farmaceutica trae grandi profitti dai trattamenti farmacologici per l’autismo

Secondo Lyons-Weiler, mentre gli attuali percorsi di cura farmacologica per i pazienti autistici si sono rivelati problematici, i trattamenti più efficaci vengono trascurati perché «non sono “prescrivibili” e quindi non sono rimborsabili, e quindi non sono “mainstream”».

 

«Gli interventi farmaceutici sono facili da prescrivere, rimborsare e codificare in protocolli», ha affermato. «Ciò che viene trascurato sono le terapie che trattano il bambino come un sistema biologico, non come un problema comportamentale».

 

Secondo Perro, «Queste terapie possono includere cambiamenti nella dieta, prodotti omeopatici, probiotici, protocolli di disintossicazione e integratori mirati, insieme a terapie che si concentrano sulla riduzione dell’infiammazione e sulla promozione della salute intestinale, contribuendo a migliorare i risultati sia comportamentali che fisici nei bambini con disturbi dello spettro autistico».

 

Lyons-Weiler ha ipotizzato che ridurre l’esposizione a noti interferenti del sistema immunitario presenti nell’ambiente possa essere d’aiuto anche ai pazienti autistici.

 

«Tuttavia, questi interventi non si adattano perfettamente al modello di fatturazione CPT [ terminologia procedurale corrente ] o al quadro degli studi clinici randomizzati e controllati con placebo in doppio cieco, quindi restano nell’ombra», ha affermato Lyons-Weiler.

 

Ha auspicato una «ricerca pratica, applicata e a livello di sistema» che operi al di fuori dell’influenza degli interessi farmaceutici, con una totale trasparenza dei dati e incentivi alla replicazione integrati nel progetto di ricerca.

 

Secondo Perro, «un’area fondamentale della ricerca, che non è stata ancora esplorata a sufficienza, riguarda l’identificazione di vari biomarcatori… che potrebbero prevedere le risposte al trattamento o gli effetti collaterali».

 

Ha inoltre chiesto più studi sulla sicurezza a lungo termine, studi longitudinali , prove comparative e studi che esplorino trattamenti non farmacologici.

 

Ad aprile, il National Institutes of Health (NIH) ha annunciato il lancio di un nuovo programma di ricerca per studiare le cause dell’autismo e l’ aumento delle diagnosi.

 

Il mese scorso, l’NIH e i Centers for Medicare & Medicaid Services hanno annunciato una «partnership storica» ​​che consentirà ai ricercatori dell’NIH di analizzare le cartelle cliniche di bambini e adulti iscritti a Medicare o Medicaid con diagnosi di autismo.

 

Lyons-Weiler ha affermato che sono necessari più che semplici ulteriori studi scientifici e clinici.

 

«Questo non si potrà ottenere solo con i farmaci. È necessario ascoltare le famiglie, integrare le evidenze del mondo reale e rispettare la complessità della biologia, anziché ignorarla», ha affermato Lyons-Weiler.

 

Lo dobbiamo ai bambini che non hanno mai scoperto chi avrebbero potuto essere. Lo dobbiamo ai genitori che non chiedono miracoli, ma una scienza onesta, coraggiosa e completa.

 

Michael Nevradakis

Ph.D.

 

© 27 maggio 2025, Children’s Health Defense, Inc. Questo articolo è riprodotto e distribuito con il permesso di Children’s Health Defense, Inc. Vuoi saperne di più dalla Difesa della salute dei bambini? Iscriviti per ricevere gratuitamente notizie e aggiornamenti da Robert F. Kennedy, Jr. e la Difesa della salute dei bambini. La tua donazione ci aiuterà a supportare gli sforzi di CHD.

 

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Psicofarmaci

Il problema dell’astinenza da antidepressivi sotto i riflettori. Quando parleremo di morti e stragi?

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Awais Aftab, uno psichiatra americano, ha scritto un editoriale sul New York Times, spiegando i problemi degli psicofarmaci e chiedendo soluzioni per i danni che cagionano. Già nel titolo che sa di grottesco, viene detto anche che non bisogna «lasciare questa conversazione a Kennedy», intendendo Robert F. Kennedy jr., l’attuale segretario della Salute dell’amministrazione Trump.   Kennedy nelle scorse settimane aveva detto che membri della sua famiglia hanno fatto più fatica ad uscire dagli antidepressivi che dall’eroina. L’affermazione aveva generato indignazione nella psichiatria dell’establishment. L’American Psychiatric Association e altre cinque organizzazioni psichiatriche hanno dichiarato in risposta che paragonare gli antidepressivi a droghe come l’eroina, è «fuorviante» e hanno sottolineato che gli antidepressivi sono «sicuri ed efficaci» (un’espressione che il lettore forse ha già sentito riguardo ai vaccini).   «Come ogni psichiatra, ho pazienti per i quali gli antidepressivi sono trasformativi, persino salvavita. Ma vedo anche un lato più complesso e meno pubblicizzato di questi farmaci» scrive contraddittoriamente lo psichiatra sul NYT. «Ci sono pazienti con effetti collaterali sessuali che non sapevano potessero essere causati dagli antidepressivi perché i medici precedenti non li avevano mai avvertiti. Ho avuto pazienti che hanno sperimentato episodi maniacali o pensieri suicidi con specifici antidepressivi e pazienti che non hanno più bisogno di assumere i farmaci ma soffrono di gravi sintomi di astinenza quando cercano di ridurne gradualmente la dose».

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Aftab ammette che alcuni pazienti hanno sentito i commenti del Kennedy come il momento in cui qualcuno in una posizione di potere stava finalmente parlando a loro nome: «sui forum online dedicati ad aiutare le persone a smettere di assumere antidepressivi, come Surviving Antidepressants, i pazienti descrivono di essersi “distrutti” e di aver attraversato un “vero inferno” nel tentativo di smettere di assumere i farmaci».   «Gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, o SSRI (la forma di antidepressivo più comunemente prescritta), sono stati originariamente studiati per un uso a breve termine e sono stati approvati sulla base di sperimentazioni durate solo pochi mesi» dice lo psichiatra «ma le persone hanno iniziato rapidamente ad assumere i farmaci per periodi prolungati. Ora è probabile che i pazienti continuino a prendere antidepressivi per anni, persino decenni».   «Tra coloro che cercano di smettere, stime prudenti suggeriscono che circa uno su sei soffra di astinenza da antidepressivi, mentre circa uno su 35 presenta sintomi più gravi» ammette il medico. «Si stima che l’astinenza prolungata e invalidante sia molto meno comune. Tuttavia, in un Paese in cui oltre 30 milioni di persone assumono antidepressivi, anche complicazioni relativamente rare possono colpire migliaia di persone».   «Ecco perché è un peccato che, a quasi quarant’anni dall’approvazione del Prozac, non esista un singolo studio clinico randomizzato controllato di alta qualità che possa guidare i medici nella riduzione sicura della dose di antidepressivi per i pazienti» confessa il medico, incurante del fatto che ha appena detto di essere uno che prescrive gli psicofarmaci ai suoi pazienti. Ci si chiede non solo dove sia Ippocrate, ma anche la logica più comune: non c’è nessuna ricerca in merito, e tu lo dai comunque alla gente? La similitudine con la questione vaccinale diventa sempre più evidente.   «La mancanza di ricerca significa anche che le linee guida ufficiali statunitensi al riguardo sono scarse. Non sorprende che i pazienti si siano riversati nelle comunità online per elaborare strategie autonome, a volte tagliando le pillole in frazioni sempre più piccole per ridurre gradualmente la dose nel corso di mesi e anni» dice ancora, per poi scoprire l’uovo di Colombo: «è improbabile che le aziende farmaceutiche svolgano queste ricerche: non hanno alcun obbligo normativo di studiare questi aspetti, tali studi sono costosi da condurre e risultati sfavorevoli possono danneggiare la reputazione di un farmaco».   Attenzione, ulteriore uovo di Colombo in arrivo sul principale quotidiano mondiale: «i pazienti che interrompono l’assunzione di antidepressivi tendono ad avere maggiori probabilità di ricadere nei sintomi della depressione rispetto ai pazienti che continuano ad assumerli». Ancora: «uno degli studi più autorevoli ha rilevato che il 39% delle persone che hanno continuato ad assumere antidepressivi ha sperimentato un peggioramento della depressione nell’arco di un anno, rispetto al 56% di coloro che hanno interrotto l’assunzione».   Dottore, ci faccia capire: uno sta meglio se non prende psicofarmaci? Uno sta peggio se li prende? Ippocrate, logica, buonsenso… dove siete?   Infine, un appello: «il pubblico merita un consiglio sui farmaci psichiatrici che non oscilli tra torpore e allarmismo. Gli antidepressivi, come tutti gli interventi medici, presentano vantaggi e svantaggi. Se la psichiatria si rifiuta di affrontare seriamente le preoccupazioni dei pazienti, se il mantra “sicuro ed efficace” è tutto ciò che è disposta a ripetere pubblicamente, perderà credibilità. Non possiamo ignorare coloro le cui vite sono state rovinate dai farmaci psichiatrici».   Già: «sicuro ed efficace», e poi milioni di vite distrutte – con le loro famiglie.   Ora, vediamo come il New York Times, in questo timido passettino avanti verso la verità e verso la realtà, si sia completamente dimenticato di un altro effetto paradosso del quale vengono sospettati gli psicofarmaci: le stragi di massa.   Kennedy in passato ha ammiccato a quest’idea, sottolineando come da giovane lui potesse portare armi a scuola con i suoi compagni per farle vedere, senza che vi fossero massacri improvvisi ed immotivati. Cosa è cambiato?   È cambiata la popolazione, che sin da giovanissima viene drogata psichiatricamente con medicinali di cui non si sa nulla, e che sembrano rovesciare l’animo delle persone.   Una quantità imbarazzante di active shooters, stragisti delle scuole, dei supermercati, delle banche, etc. era sotto psicofarmaci, i cui bugiardini riportano il possibile effetto collaterale dell’«ideazione suicidaria», senza minimamente considerare come tale impeto di violenza possa riversarsi anche sugli altri, magari pure i più cari – ecco una possibile spiegazione delle stragi in famiglia che finiscono nelle cronache. Vi dicono «femminicidio», magari la causa invece di essere «il maschio», è la droga alterante che gli mettono nel cervello.   Come riportato da Renovatio 21, c’è caso che anche alcuni piloti di aereo di linea suicidi – quelli che tirano con loro nella morte centinaia di passeggeri – possano essere sotto l’influsso di psicomedicinali come la sertralina, la cui assunzione è stata ritenuta «sicura» per i piloti dalle autorità dell’aviazione, ma che era pure stata prescritta al pilota stragista del volo Germanwings 9525, schiantatosi su una montagna nelle Alpi francesi a nord-ovest di Nizza.   Speculazioni possono essere fatte anche su incidenti ferroviari e di automobile. Sapendo tutto questo, mandereste i vostri figli sullo scuolabus di una persona sotto psicodroghe legali?   Quanto ancora dovremo tollerare non solo questa oscena ingiustizia, ma questo grande pericolo che grava su di noi?   Roberto Dal Bosco

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