Cina
Nella nuova Cina si fanno «riapparire» i morti con l’Intelligenza Artificiale

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
L’iniziativa promossa nella municipalità di Chongqing in occasione della festa che in primavera vede i cinesi recarsi alle tombe. Ma è vietato portare fiori per ricordare Li Keqiang, l’ex premier scomparso improvvisamente nell’ottobre scorso e identificato come un contraltare di Xi Jinping.
In queste ore in Cina si celebra il Qingming, la tradizionale festa di primavera durante la quale si rende omaggio alle tombe degli antenati. Riti antichissimi, che negli ultimi anni hanno visto le autorità locali stigmatizzare come superstizioni l’usanza di bruciare incenso, oggetti di carta o banconote in ricordo dei propri cari, invitando a onorare in altri modi i defunti.
A uno di questi – fortemente proiettato sul mito della «nuova Cina» – dedica oggi un ampio servizio l’agenzia di stampa ufficiale di Pechino Xinhua, esaltando i «prodigi» permessi anche in questo campo dall’intelligenza artificiale.
Nella grande metropoli di Chongqing, nel sud-ovest della Cina, infatti, in un’installazione realizzata in un parco ad alcuni parenti è stato possibile «incontrare virtualmente» i propri defunti, grazie a un sistema tecnologicamente avanzato che ne ricrea l’aspetto e la voce. L’iniziativa è stata promossa dal comitato locale che gestisce le donazioni di organi.
Integrando tra loro big data e le informazioni rilevanti del defunto in base ai desideri e ai ricordi di parenti e amici, è possibile oggi creare una replica digitale del defunto, disponibile solo per i membri della famiglia.
«Questa pratica – sostengono i promotori – può soddisfare il desiderio di alcuni familiari di ‘parlare’ ancora una volta con i propri cari. E potrebbe anche essere ulteriormente sviluppata in una sala commemorativa online personalizzata, per conservare meglio i ricordi comuni del defunto».
[wpcode id=”55157″]Xinhua riferisce anche che l’azienda Fushouyuan ha lanciato dal dicembre scorso questo servizio di commemorazione anche a Shanghai, e nelle province di Jiangsu, Liaoning, Henan e Jiangxi. E promette che – in futuro – quest’immagine digitale del defunto potrebbe essere sviluppata fino al punto di arrivare a «partecipare» alle attività commemorative, interagendo coi presenti.
Nella via cinese impressa alla dimensione trascendente del presidente Xi Jinping, anche la scienza dei dati, dunque, sembra avere il suo spazio in un tema delicatissimo in Oriente come il culto dei morti. Ma la memoria è anche questione politica. E a confermarlo è la notizia fatta filtrare in questi giorni dai netizen cinesi sul divieto assoluto di portare fiori in occasione del Qingming sulla tomba di Li Keqiang, l’ex premier della Repubblica popolare cinese prima sostituito alla guida del governo e poi morto improvvisamente nell’ottobre scorso.
Anche oggi a Zhengzhou – il capoluogo dell’Henan che fu il suo feudo e dove nell’ottobre scorso alla sua morte vi furono manifestazioni pubbliche di cordoglio – un massiccio dispiegamento di agenti di polizia ha presidiato piazza Qianxi per impedire deposizioni di fiori in memoria del politico identificabile come un contraltare di Xi Jinping.
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Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
[wpcode id=”55157″]Immagine di Three huntings via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
Cina
Cina, Bambini presi di mira da politiche antireligiose

L’estate del 2025 ha visto una nuova escalation nella sinizzazione delle religioni in Cina. I bambini sono diventati i bersagli preferiti del regime comunista, che organizza attività di propaganda mirate a scoraggiarli dall’aderire a qualsiasi religione che si discosti dai principi decretati dal Partito Comunista sotto l’onnipotente Xi Jinping.
In una preoccupante dimostrazione di propaganda orchestrata dallo Stato, il governo cinese sta ancora una volta rivolgendo il suo apparato ideologico verso i membri più vulnerabili della società: i bambini.
A Shanghai, più precisamente nel distretto di Baoshan, sono state organizzate attività estive per trasformare i giovani in «piccoli guardiani» della comunità, come rivelato dal sito web di notizie Bitter Winter, che si impegna a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla persecuzione della religione, cristiana o di altro tipo, in Cina.
Scoraggiati dall’essere motivati dalla curiosità o dalla compassione, questi bambini indottrinati sono armati di slogan e narrazioni volte a denigrare i cosiddetti gruppi religiosi «illegali», chiamati xie jiao, spesso tradotti come “sette malvagie”, ma che in realtà si riferiscono a organizzazioni religiose non riconosciute dallo Stato e non affiliate al Partito Comunista Cinese (PCC). A partire dall’inizio dell’estate del 2025, i bambini del distretto di Baoshab sono stati mobilitati per distribuire volantini contro gli xie jiao.
Sotto la maschera di concetti come «servizio alla comunità» o «alfabetizzazione scientifica», queste attività sono puro e semplice condizionamento ideologico. I bambini sono incoraggiati a recitare discorsi ostili agli xie jiao, distribuire opuscoli e mettere in scena sketch che demonizzano le minoranze religiose. L’obiettivo è chiaro: instillare fin dalla tenera età una lealtà incrollabile alla dottrina ufficiale di Xi Jinping e normalizzare la repressione di ogni espressione religiosa.
Ciò che colpisce è il tono celebrativo con cui viene presentata questa manipolazione. I contenuti digitali resi pubblici dall’Associazione Cinese Anti-Xie Jiao esaltano la «purezza» della forza dei bambini nel difendere la loro «patria armoniosa». Uno dei momenti più inquietanti della campagna di propaganda è stata l’organizzazione di un processo simulato in una reale aula di tribunale.
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Sotto la supervisione dei giudici, i bambini hanno assunto i ruoli di «giudici», «pubblici ministeri», «imputati» e «avvocati difensori», rievocando con agghiacciante realismo un caso penale in cui i membri degli xie jiao sono stati condannati a lunghe pene detentive.
Presentata come una lezione di alfabetizzazione giuridica, questa performance aveva uno scopo ben più sinistro: radicare nella mente dei bambini una visione di «moralità» definita dallo Stato ed equiparare il comportamento «illegale» all’espressione religiosa.
Gli xie jiao sono da tempo uno strumento utilizzato dalla Cina per delegittimare e criminalizzare i gruppi religiosi che si discostano dalla dottrina ufficiale del PCC. Dal Falun Gong al culto di Dio Onnipotente, fino alle chiese cristiane clandestine, questa etichetta ha giustificato programmi di sorveglianza, detenzione e rieducazione. Coinvolgendo i bambini in questa crociata, lo Stato non solo perpetua la sua repressione, ma ne garantisce anche la longevità.
Per inciso, è comico vedere uno Stato totalitario comunista ufficialmente ateo conferire un attestato di merito alle buone religioni che accettano di sottomettersi ai suoi criteri. Da quando ha stretto la morsa sull’apparato statale cinese, Xi Jinping ha intrapreso una feroce campagna di «sinizzazione» delle religioni che, con il pretesto di acculturare ogni forma di religiosità allo spirito cinese, in realtà si sforza di rendere le religioni sempre più subordinate al PCC e alla sua dottrina.
È in questo contesto di tensione che si pone il dilemma dell’accordo provvisorio firmato nel 2018 tra la Santa Sede e la Cina: uno sforzo per porre fine allo scisma delle consacrazioni episcopali avvenute senza mandato papale per alcuni, e una capitolazione di fronte alle richieste comuniste per altri.
Una questione scottante che, come molte altre, è ora sulla scrivania di Papa Leone XIV.
Articolo previamente apparso su FSSPX.News
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Cina
COVID, blogger cristiana cinese condannata ad altri quattro anni di carcere

🚨🇨🇳CHINA TO RELEASE JOURNALIST JAILED OVER COVID REPORTING
After spending four years behind bars for her reporting of the Covid outbreak and lockdowns in Wuhan, Zhang Zhan is set to be released today after completing her sentence. pic.twitter.com/3d5EPS4S6D — Kacee Allen (@KaceeRAllen) May 14, 2024
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Cina
Trump blocca l’accordo sulle armi con Taiwano

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha deciso di non approvare un pacchetto di armi destinato a Taiwan. Lo riporta il Washington Post, che cita cinque fonti informate.
Il giornale ha collegato questa scelta ai tentativi di Trump di negoziare un accordo commerciale con Pechino e al possibile incontro con il presidente cinese Xi Jinping, previsto a margine del vertice APEC in Corea del Sud il prossimo mese.
Il pacchetto di armi, valutato oltre 400 milioni di dollari, è stato descritto come «più letale» rispetto alle forniture precedenti. Secondo il WaPo, il team di Trump ritiene che Taiwan dovrebbe procurarsi autonomamente le proprie armi, in linea con l’approccio «transazionale» del presidente in politica estera. Un funzionario della Casa Bianca ha dichiarato al giornale che la decisione non è ancora definitiva.
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Pechino, che considera Taiwan parte integrante del suo territorio, si oppone fermamente a qualsiasi assistenza militare straniera a Taipei. Xi ha ribadito che la Cina punta a una riunificazione pacifica, ma non esclude l’uso della forza.
A dicembre, il ministero degli Esteri della Repubblica Popolare ha ammonito Taipei, avvertendo che «cercare l’indipendenza appoggiandosi agli Stati Uniti o con mezzi militari è una via verso l’autodistruzione».
Il ministero della Difesa di Formosa ha scelto di non commentare il rapporto, ma ha sottolineato che «Taiwan e Stati Uniti mantengono una stretta cooperazione in materia di sicurezza, con tutti i programmi di scambio che procedono regolarmente per rafforzare un sistema di difesa completo».
Negli ultimi anni, Washington ha autorizzato diverse vendite di armi a Taiwan, inclusa la fornitura di sistemi missilistici di difesa aerea NASAMS.
Ancora lo scorso dicembre il presidente della Cina comunista Xi Jinpingo ha dichiarato ancora una volta che la riunificazione con l’isola di Taiwano è un processo inarrestabile.
Come riportato da Renovatio 21, anche nel discorso di fine anno 2023 lo Xi aveva dichiarato che la riunificazione con Taipei è «inevitabile». Un anno fa, tuttavia, Xi non aveva fatto menzione della forza militare. Il mese prima, il governo cinese aveva epperò chiarito che una dichiarazione di indipendenza da parte di Taipei «significa guerra».
Sinora, lo status quo nella questione tra Pechino e Taipei è stato assicurato dal cosiddetto «scudo dei microchip» di cui gode Taiwan, ossia la deterrenza di questa produzione industriale rispetto agli appetiti cinesi, che ancora non hanno capito come replicare le capacità tecnologiche di Taipei.
La Cina, tuttavia, sta da tempo accelerando per arrivare all’autonomia tecnologica sui semiconduttori, così da dissolvere una volta per tutte lo scudo dei microchip taiwanese. La collaborazione tra Taiwan e UE riguardo ai microchip, nonostante la volontà espressa da Bruxelles, non è mai davvero decollata.
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Come riportato da Renovatio 21, il colosso del microchip TSMC ha dichiarato l’anno scorso che la produzione dei microchip si arresterebbe in caso di invasione cinese di Formosa.
I microchip taiwanesi sono un argomento centrale nella attuale tensione tra Washington e Pechino, che qualcuno sta definendo come una vera guerra economica mossa dall’amministrazione Biden contro il Dragone, che riprendono politiche della precedente amministrazione Trump.
Come riportato da Renovatio 21, durante il suo discorso per la celebrazione del centenario del Partito Comunista Cinese nel 2021 lo Xi, mostrandosi in un’inconfondibile camicia à la Mao, parlò della riunificazione con Taipei come fase di un «rinnovamento nazionale» e della prontezza della Cina a «schiacciare la testa» di chi proverà ad intimidirla.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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