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Storia

Nazisti in Ucraina: la guerra, la propaganda, la cecità

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Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

 

La propaganda rende ottusi. Sappiamo che i nazionalisti integralisti hanno commesso massacri abominevoli, in particolare durante la seconda guerra mondiale. Però ignoriamo quello che da trent’anni fanno alle nostre porte, in particolare la guerra civile che alimentano da otto anni. La nostra stupidità ci permette di tollerare le grida battagliere dei nostri responsabili politici schierati con questi criminali.

 

 

Quando sopraggiunge la guerra, sempre i governi ritengono necessario supportare il morale della popolazione inondandola di propaganda

 

La posta in gioco – la vita e la morte – è talmente elevata che il dibattito s’inasprisce e le posizioni estremiste mietono consensi. È esattamente ciò cui assistiamo in questo momento, o meglio è come stiamo cambiando. In questa partita le idee difese dagli uni e dagli altri non hanno alcun rapporto con i loro presupposti ideologici, ma con la contiguità al potere.

 

In senso etimologico la propaganda è l’arte di convincere, di diffondere delle idee. Nell’epoca moderna invece è un’arte che ricostruisce la realtà al fine di denigrare l’avversario ed esaltare le proprie schiere.

 

In Occidente si crede siano stati i nazisti o i sovietici a inventarla. Non è così: l’hanno inventata i britannici e gli statunitensi durante la prima guerra mondiale. (1)

 

Oggi le operazioni dal Centro di comunicazione strategica di Riga (Lettonia) (2) sono coordinate dalla nato , che individua i punti su cui agire e organizza programmi internazionali per condurre in porto i progetti.

 

Un esempio: la NATO ha individuato Israele come punto vulnerabile. L’ex primo ministro Benjamin Netanyahu era amico personale del presidente ucraino Volodymyr Zelensky; il successore Naftali Bennett riconosce invece la fondatezza della politica della Russia. Ha persino consigliato agli ucraini di restituire Crimea e Donbass alla Russia e, soprattutto, di denazificare il Paese. L’attuale primo ministro, Yair Lapid, è più irresoluto: non vuole sostenere i nazionalisti integralisti, che durante la seconda guerra mondiale massacrarono un milione di ebrei, ma al tempo stesso vuole mantenere buoni rapporti con l’Occidente.

 

Per riportarlo sulla buona strada, la NATO cerca di convincere Israele che, se i russi vincessero, Tel Aviv perderebbe la propria posizione in Medio Oriente (3). A questo scopo diffonde il più estesamente possibile la menzogna che l’Iran sarebbe un alleato militare della Russia. La stampa internazionale continua a sostenere che i droni usati in Ucraina dai russi sono iraniani, e presto lo sarebbero anche i missili a media gittata. Eppure Mosca è in grado di fabbricare da sé queste armi e non le ha mai chieste all’Iran. Iran e Russia continuano a smentire le false affermazioni degli Occidentali, ma questi, appoggiandosi alla stampa invece che alla semplice riflessione, già hanno adottato sanzioni contro i commercianti di armi iraniani. Presto Yair Lapid, figlio del presidente del Memoriale Yad Vashem, sarà assediato e costretto a schierarsi con i criminali.

 

I britannici dal canto loro primeggiano tradizionalmente nella mobilitazione di media in rete e nel reclutamento di artisti. L’MI6 si appoggia a 150 agenzie di stampa che operano all’interno del PR Network (4). I britannici riescono così a convincere tutte queste agenzie a diffondere le proprie accuse e i propri slogan.

 

Sono i britannici ad aver convinto tutti dapprima che il presidente Vladimir Putin era moribondo, poi in preda alla follia, infine messo al muro da una forte opposizione interna che presto lo avrebbe rovesciato con un colpo di Stato.

 

Oggi l’attività prosegue con interviste incrociate di soldati in Ucraina. Si ascoltano soldati ucraini affermare di essere nazionalisti e soldati russi dire di aver paura ma di dover difendere la Russia. Si sente affermare che gli ucraini non sono nazisti e che i russi sono conculcati da una dittatura e costretti a combattere. I soldati ucraini non sono maggioritariamente nazionalisti, nel senso di difensori della patria: sono nazionalisti integralisti, nel senso attribuito al termine dai due poeti Charles Maurras e Dmytro Dontsov (6). Non è affatto la stessa cosa.

 

Fu solo nel 1925 che papa Pio XI condannò il nazionalismo integralista. All’epoca Dontsov aveva già scritto Націоналізм (Nazionalismo) (1921). Maurras e Dontsov definiscono la nazione come tradizione e concepiscono il proprio nazionalismo in contrapposizione ad altri (Maurras contro i tedeschi, Dontsov contro i russi). Entrambi detestano la Rivoluzione francese e i principi di Libertà, Uguaglianza e Fratellanza e denunciano instancabilmente ebrei e massoni. Ritengono la religione utile alla società, ma personalmente sembrano agnostici. Posizioni che portarono Maurras a diventare sostenitore di Pétain e Dontsov di Hitler. Quest’ultimo sprofonderà in un delirio mistico variago (variaghi, vichinghi svedesi). Il papa successivo, Pio XII, abrogherà la condanna del predecessore appena prima dello scoppio della seconda guerra mondiale. Alla Liberazione, Maurras sarà condannato per complicità con i nemici (proprio lui che era germanofobo); Dontsov invece sarà recuperato dagli anglosassoni e mandato in esilio prima in Canada, poi negli Stati Uniti.

 

Quanto ai soldati russi che vediamo intervistati ai telegiornali, non ci stanno dicendo di essere obbligati a combattere, ma che, a differenza dei nazionalisti integralisti, non sono fanatici. La guerra per loro è sempre un orrore, anche quando difendono i compatrioti. Ne travisiamo il senso perché ci ripetono in modo martellante che la Russia è una dittatura. Non accettiamo che la Russia sia una democrazia perché siamo convinti che un regime autoritario non possa essere una democrazia. Eppure, per citare un esempio, la Seconda Repubblica francese (1848-1852) fu una democrazia e al tempo stesso un regime autoritario.

 

Ci lasciamo facilmente convincere perché non conosciamo la cultura e la storia ucraine. Al più sappiamo che la Novorossia fu governata da un aristocratico francese, Armand-Emmanuel du Plessis de Richelieu, amico personale dello zar Alessandro I, che amministrò nel solco del principe Grigori Potemkin, che voleva foggiare questa regione sul modello di Atene e Roma. Una vicenda storica che spiega perché ancora oggi la Novorossia è di cultura russa (non ucraina) senza tuttavia aver mai conosciuto la servitù della gleba.

 

Ignoriamo le atrocità commesse in Ucraina nel periodo fra le due guerre e durante la seconda guerra mondiale e abbiamo una vaga idea delle violenze dell’Unione Sovietica.

 

Ignoriamo che il teorico Dontsov e il discepolo Bandera non esitarono a massacrare chi non rispondeva ai canoni del loro nazionalismo integralista, innanzitutto, in questo Paese khazaro, gli ebrei, poi i russi e i comunisti, gli anarchici di Nestor Makhno e molti altri ancora. I nazionalisti integralisti, diventati ammiratori del Führer e profondamente razzisti, sono saliti sul proscenio con il crollo dell’URSS. (6)

 

Il 6 maggio 1995 il presidente Leonid Kuchma andò a Monaco, nei locali della CIA, per incontrare la donna a capo dei nazionalisti integralisti, Slava Stetsko, vedova del primo ministro nazista Yaroslav Stetsko. Eletta alla Verkhovna Rada (parlamento), senza poter sedervi perché decaduta dalla nazionalità ucraina. Un mese dopo l’Ucraina adottò la Costituzione ancora oggi in vigore, che all’art. 6 dispone che «è responsabilità dello Stato preservare il patrimonio genetico del popolo ucraino» (sic).

 

In seguito Slava Stetsko aprì per due volte la sessione della Rada, concludendo i suoi interventi al grido di guerra dei nazionalisti integralisti: «Gloria all’Ucraina!».

 

L’Ucraina moderna ha pazientemente costruito il proprio regime nazista. Dopo aver proclamato nella Costituzione la difesa del «patrimonio genetico del popolo ucraino», sono state promulgate diverse leggi analoghe.

 

La prima accorda la tutela dei Diritti dell’Uomo solo agli ucraini, escludendo ogni straniero. La seconda definisce cosa è la maggioranza degli ucraini; la terza, promulgata dal presidente Zelensky, decide chi sono le minoranze. La furbizia consiste nel fatto che queste leggi non menzionano i russofoni, quindi, per difetto, i tribunali non riconoscono loro il beneficio dei diritti dell’uomo.

 

Dal 2014 una guerra civile oppone i nazionalisti integralisti alle popolazioni russofone, principalmente quelle della Crimea e del Donbass. Dopo 20 mila morti, la Federazione di Russia, applicando la propria «responsabilità di proteggere», ha lanciato un’operazione militare speciale per attuare la risoluzione 2202 del Consiglio di Sicurezza (Accordi di Minsk) e mettere fine al martirio dei russofoni.

 

La propaganda della NATO  ci inonda con le reali sofferenze degli ucraini, ma ignora i precedenti otto anni di torture, uccisioni e massacri. Ci parla «dei valori che abbiamo in comune con l’Ucraina», ma che valori possiamo condividere con nazionalisti integralisti? E dov’è la democrazia in Ucraina?

 

Non siamo chiamati a scegliere gli uni o gli altri, solo a difendere la pace, quindi gli Accordi di Minsk e la risoluzione 2202.

 

La guerra ci fa perdere la testa. Così avviene un rovesciamento di valori e trionfano i più estremisti. Alcuni nostri ministri parlano di «asfissiare la Russia» (sic). Non ci accorgiamo di sostenere le idee contro le quali siamo convinti di combattere.

 

 

Thierry Meyssan

 

 

NOTE

1) «Le tecniche della propaganda militare moderna», di Thierry Meyssan, Traduzione Matzu Yagi, Megachip-Globalist (Italia), Rete Voltaire, 18 maggio 2016.

2) «La campagna della NATO contro la libertà di espressione», di Thierry Meyssan, Traduzione Matzu Yagi, Megachip-Globalist (Italia), Rete Voltaire, 7 dicembre 2016.

3) «Iran, Israele e la Russia», Voltaire attualità internazionale, n° 11, 21 ottobre 2022.

4) «La rete di propaganda di guerra anti-Russia», Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 26 marzo 2022.

4) «L’ideologia dei banderisti», di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 21 giugno 2022.

6) «Ucraina: la seconda guerra mondiale non è finita», di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 26 aprile 2022.

 

 

 

Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND

 

 

 

 

 

Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

 

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Pensiero

Mosca bataclanizzata: qual è il messaggio?

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Al momento in cui scrivo la conta dei morti del massacro di Mosca è di 60 morti e 140 feriti.

 

Abbiamo raccolto e mostrato qualche immagine agghiacciante: sì, un commando è entrato in un centro commerciale (su qualche canale ebete di Telegram avete letto che era un municipio: il traduttore automatico dei geni ha tradotto «Crocus City Hall» in «Municipio di Crocus», come se Crocus fosse un quartiere della capitale russa; gli ignoranti che seguite sui social fanno anche questo) con fucili automatici e hanno iniziato a sparare all’impazzata. Sono stati colpiti anche dei bambini, e due dodicenni sarebbero gravi.

 

È interessante notare quanto siano restii i nostri media a pronunziare, davanti allo schema perfettamente ripetuto, la parola che aveva inondato il discorso pubblico sul terrorismo quasi dieci anni fa: Bataclan.

 

Il disegno tecnico è il medesimo: colpire la popolazione comune, falciandola con armi a ripetizione e magari qualche bomba suicida o meno, nel momento di massimo svago e massima vulnerabilità – quando va a vedere un concerto. Sparare sulla gente quando è concentrata in un unico punto ed indifesa. Massacrare in maniera massiva per compiere il lavoro del terrorismo, e portare il suo messaggio.

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Mosca è stata bataclanizzata. I grandi media non vogliono dirvelo – perché significherebbe elevare il popolo russo a vittima, dopo due anni di campagna martellante per convincerci che la Russia è carnefice. E poi, soprattutto, nessuno ha voglia davvero di guardarci dentro: se il disegno è lo stesso del Bataclan, gli autori sono gli stessi? I mandanti pure?

 

Alla rivendicazione dell’ISIS, buttata subito in stampa da tante testate internazionali, non possiamo credere. Curioso, tuttavia, che l’ISIS possa voler colpire la Russia proprio ora, quando l’intervento in Siria è finito da anni…

 

L’Ucraina, per bocca di un ciarliero e molto visibile tizio consigliere di Zelens’kyj, Mikhailo Podolyak (quello che aveva insultato il papa e il cristianesimo) ha detto non siamo stati noi, mentre altri ucraini hanno ovviamente tirato fuori l’hastatoputin. Chiaramente, ci vogliono far credere, è un false-flag del Cremlino per scatenarsi, anzi, guarda, è la festa personale di Putin per aver vinto l’elezione con quasi il 90% dei voti. Come no. (in rete circolano meme divertenti con il passaporto di un terrorista miracolosamente, come al solito, ritrovato sul luogo del delitto: la foto è quella di un Putin barbuto)

 

Si tratta della più grande strage terrorista dai primi anni 2000. Qualcuno ricorderà i 130 morti (più quaranta terroristi) e i 700 meriti della crisi del Teatro Dubrovka, quando vennero sequestrati 850 civili da un gruppo di islamisti separatisti ceceni.

 

Dobbiamo capire che la vittoria sulla questione cecena – e sul terrorismo correlato – è stata la scala d’ingresso di Putin verso il Cremlino. La Cecenia era un disastro che poteva trascinare giù tutta la Russia: un alveare terrorista nel cuore del Paese, e allo stesso tempo un fattore di demoralizzazione devastante per la popolazione. Erano i primissimi tempi di internet, ma già circolavano i video, poi perfezionati da ISIS e compagni, di sgozzamenti di soldati e civili russi.

 

Putin fu colui che mise fine al pericolo. Da primo ministro ha vinto la Seconda Guerra Cecena, di fatto sottomettendo una fazione in lotta, quella di Kadyrov, il cui figlio ora al potere a Grozny manda i suoi soldati a combattere in Ucraina con adunate oceaniche negli stadi dove si grida «Allahu Akbar» e subito dopo «viva il presidente Putin».

 

La strage di Dubrovka non è stata la sola. Poco dopo, ci fu il massacro di Beslan, ancora più intollerabile nella volontà terrorista di colpire gli indifesi: il 1 settembre 2004 un gruppo di 32 fondamentalisti separatisti ceceni entrò in una scuola elementare e sequestrò 1200 persone, per maggior parte bimbi. Ricordate quell’immagine: una bomba pronta ad esplodere piazzata dentro il canestro della palestra, e i bambini sotto. Il conto, dopo che gli Spetsnats (le forze speciali russe) liberarono la scuola, fu di oltre trecento morti, di cui 186 bambini, e 700 feriti. Quasi tutta la scuola è stata ferita dal terrorismo.

 

Si tratta di traumi che i russi pensavano passati. Sono seguiti gli anni putiniani dove stipendi e pensioni sono saliti di 7, 15 volte. Dove il popolo russo, che dopo il 1991 aveva cominciato a perdere un milione di persone l’anno (alcol, disperazione) ha ritrovato la dignità, e, parola chiave per capire Putin e la Russia odierno, rispetto.

 

Il terrorismo, essenzialmente, è un linguaggio. Ogni atto terroristico ha un messaggio da portare al mondo – questo è quello che ci dicono, almeno. Sappiamo che il messaggio è, in genere, più di uno. C’è un messaggio di superficie, quello dei perpetratori: vogliamo l’indipendenza, vogliamo vendetta, vogliamo la shar’ia, vogliamo la fine dell’occupazione, cose così.

 

Poi c’è il messaggio profondo, quello dei veri mandanti, di cui non si può discutere, perché non si può saperne nulla.

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Le stragi dei primi 2000 avevano, come messaggio di superficie, la Cecenia: la terra dove Putin aveva riportato l’ordine, promettendo di inseguire i terroristi anche al cesso ed ucciderli lì, disse in una famosa dichiarazione.

 

Il messaggio profondo possiamo immaginare fosse un altro: lasciaci continuare a depredare la Russia. Il desiderio, profondo ed irrevocabile, dei veri mandanti, che non necessariamente stavano in russo.

 

I terroristi takfiri ceceni, si è detto, potevano aver legami con oligarchi nemici di Putin riparati all’estero. Era chiaro cosa volevano gli oligarchi ribelli: proseguire, anche per conto dei loro soci occidentali, la razzia resasi possibile con il crollo dell’Unione Sovietica nel decennio di Eltsin, come visibile, ad esempio, nel caso magnate del petrolio Mikhail Khodorkovskij, quello che Pierferdi Casini difendeva al Parlamento italiano, prima di essere imprigionato da Putin si diceva avesse trasferito le sue quote a Lord Nathaniel Jacob Rothschild, quello dei quadri satanici con Marina Abramovic spirato pochi giorni fa. Liberato dalla clemenza di Putin prima delle Olimpiadi 2014 (l’Occidente ringraziò organizzando poco dopo i Giochi di Sochi Piazza Maidan a Kiev), il Khodorkhovskijj ora è tornato a galla per la questione ucraine, i giornali lo definiscono «oppositore di Putin».

 

Vi sono tuttavia casi più evidenti. Rapporti tra terroristi ed oligarchi furono discussi per uno dei nemici più acerrimi di Putin, l’oligarca riparato a Londra Boris Berezovskij. Una trascrizione di una conversazione telefonica tra Berezovsky e il fondamentalista Movladi Udugov – attualmente uno degli ideologi e il principale propagandista del cosiddetto Emirato del Caucaso, un movimento militante panislamico che rifiuta l’idea di uno stato ceceno meramente indipendente a favore di uno stato islamico che comprenda la maggior parte del Caucaso settentrionale russo e si basi su principi islamici e sulla legge della shar’ia – fu trapelata su uno dei tabloid di Mosca il 10 settembre 1999. Udugov propose di iniziare la guerra del Daghestan per provocare la risposta russa, rovesciare il presidente ceceno Aslan Maskhadov e fondare la nuova repubblica islamica di che sarebbe stata amica della Russia pre-putiniana.

 

Dopo la Seconda Guerra Cecena, Berezovskij aveva mantenuto i rapporti con i signori della guerra islamisti. Nel 1997, nell’ambito di supposte attività di ricostruzione della Cecenia, fece una donazione di 1 milione di dollari (alcune fonti menzionano 2 milioni di dollari) per una fabbrica di cemento a Grozny. Per tale pagamento fu negli anni accusato di finanziare i terroristi ceceni.

 

Il 23 marzo 2013 Berezovskij, che bazzicava il World Economic Forum di Davos e aveva avuto un ruolo attivo nella rielezione di Eltsin nel 1996, fu trovato morto nel bagno nella sua villa nel Berkshire, vicino ad Ascot, luogo caro alla nobiltà britannica. Dissero dapprima che era depresso, perché aveva perso una causa con Roman Abramovic (ex patron del Chelsea, anche lui oligarca ebreo ultramiliardario che però si era sottomesso a Putin) e quindi aveva debiti; la polizia inglese invece disse che era una morte senza spiegazioni e volle lanciare un’inchiesta, ma non arrivò a nulla. Si dice prendesse farmaci antidepressivi, e un giorno prima di morire avrebbe detto ad un giornalista londinese che non aveva più niente per cui vivere.

 

Parlo della morte di Berezovskij perché all’epoca notai come potesse essere correlata ad una strage terrorista dall’altra parte del mondo: il 15 aprile dello stesso anno due bombe esplodono alla Maratona di Boston ammazzando tre persone e ferendone 250. Vengono accusati due fratelli ceceni, Dzhokar e Tamerlan Tsarnaev. Emerse che loro zio, che i giornali dissero subito si era dissociato dalla deriva islamista dei nipoti, era stato sposato con la figlia di un agente CIA, con cui avrebbe pure convissuto.

 

Difficile capirci qualcosa: tuttavia, la domanda che mi feci, all’epoca, era: il messaggio profondo della strage bostoniana è che, morto Berezovskij, qualcuno stava chiedendo il riequilibrio di questa rete antirussa occulta che attraversa il mondo.

 

La mia era solo una supposizione. Di certezze sulle connessioni tra gli americani e gli islamisti ceceni, invece, ne ha Vladimir Putin.

 

In una sequenza di tensione rivelatrice del documentario che Oliver Stone ha dedicato a Putin – un’intervista di ore e ore tra il 2015 e il 2016 – il presidente russo dà una notizia piuttosto gigantesca: racconta che gli USA, trovati ad aver contatti con i terroristi ceceni, hanno risposto alle rimostranze del Cremlino dicendo che essi erano autorizzati diplomaticamente a parlare con chi volevano.

 

Putin era visibilmente scosso: la Cecenia, per lui che l’aveva vinta come prima missione della sua carriera ai vertici, significava tanto: il dolore di tanti morti, il rischio di far finire la Russia, ancora una volta, in una spirale di razzia e violenza, in pratica di farla sparire dalla storia.

 

Discorsi simili sono stati fatti poche settimane fa nell’intervista che Putin ha concesso a Tucker Carlson. Il presidente russo lo aveva ripetuto ai giornalisti anche l’anno scorso: «nel Caucaso l’Occidente sosteneva Al-Qaeda». Washington appoggia il terrorismo antirusso, in sintesi. Per gli italiani che si ricordano quando – al tempo non c’era la parola «complottista» – si parlava della Strategia della Tensione, non è una storia tanto campata in aria.

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E quindi, qual è il messaggio della strage terrorista al Crocus di ieri sera?

 

È lo stesso, crediamo, di quello di quando l’anno scorso hanno bombardato a Mosca Darja Dugina o a San Pietroburgo il blogger Vladen Tatarskij: vogliono ri-cecenizzare la Russia.

 

Vogliono riportare le lancette indietro a quegli anni, quando Mosca era debole, il popolo incerto ed impaurito, e le risorse del bicontinente libere per i rapaci internazionali. Quando c’era il terrorismo islamico, usato come solvente da un potere superiore per distruggere definitivamente ogni potere indipendente per la Russia e piegare nella paura la psiche del popolo russo.

 

Tutto questo è durato fino a Putin. I mandanti non hanno mai accettato di aver perso. E quindi, nell’ora del trionfo politico e popolare di Putin, ripetono il messaggio. Puoi anche vincere le elezioni, puoi anche avere l’affetto del tuo popolo: noi te lo possiamo portar via a suon di mitragliate terrorista. Puoi vincere la guerra ucraina, noi massacreremo le famiglie ai concerti a Mosca. Lo faremo con i ceceni, con gli ucraini, con i daghestani, con i nazisti russi, con chiunque potremo manovrare.

 

Ora, da temere, più che il messaggio, che è chiaro, è la risposta che darà Putin.

 

Perché, come è evidente, potrebbe essere l’innesco della Terza Guerra, che di fatto l’élite occidentale, brama affannosamente.

 

Roberto Dal Bosco

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Spirito

La beatificazione Isabella la Cattolica, che espulse gli ebrei che non si convertivano, bloccata per la guerra in Palestina?

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Mentre l’arcidiocesi di Valladolid ha rilanciato lo scorso anno la causa di beatificazione di Isabella la Cattolica, il Dicastero per le Cause dei Santi ha appena annunciato che, dato il contesto attuale, è “quasi impossibile” portare a termine il processo.   La monarca spagnola potrebbe essere l’ultima vittima collaterale del sanguinoso conflitto scoppiato tra Israele e l’organizzazione terroristica islamica Hamas il 7 ottobre 2023.   Mentre il cardinale Marcello Semeraro – prefetto del Dicastero per le Cause dei Santi – non aveva escluso «futuri passi avanti» riguardo alla beatificazione di Isabella la Cattolica, diverse fonti interne al Dicastero suggeriscono che questa sarebbe in corso e resa «quasi impossibile nel breve periodo».   A Roma «siederebbe» la strategia comunicativa messa in atto dai sostenitori della beatificazione della monarca spagnola: in occasione del 520° anniversario della sua chiamata a Dio, una folta delegazione – circa ottanta persone – ha visitato il Vaticano durante l’ultima settimana di febbraio 2024, al fine di portare avanti il ​​dossier.   Il gruppo era guidato dal direttore della Commissione per la Beatificazione di Isabella la Cattolica, José Luis Rubio Willen, e dal gran maestro e presidente del capitolo dei nobili cavalieri e dame della regina Isabella la Cattolica, José María Gomez. Insieme all’arcivescovo di Valladolid – una delle diocesi spagnole più prestigiose – mons. Luis Argüello Garcia.   Momento clou del pellegrinaggio: l’udienza del 28 febbraio con il sovrano pontefice che ha ricevuto dalle mani dell’alto prelato spagnolo gli atti del convegno sul tema Isabella la Cattolica e l’evangelizzazione dell’America.

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La diocesi di Valladolid tenta di mettere in luce la dimensione spirituale e sociale della defunta regina, nonché il suo ruolo di primo piano nella difesa e nella protezione dei popoli nativi americani dopo la scoperta del Nuovo Mondo.   Non basta, secondo la Santa Sede, dimenticare il decreto adottato da Isabella nel 1492, con il quale ordinava agli ebrei che non volevano convertirsi al cattolicesimo di Stato di lasciare il regno. E se a ciò aggiungiamo il contesto di deterioramento delle relazioni diplomatiche tra Israele e Vaticano dopo l’offensiva dell’IDF su Gaza, immaginiamo che la Segreteria di Stato abbia fatto di tutto per congelare un dossier di beatificazione esplosivo.   Lo conferma a malincuore una fonte del Dicastero delle Cause dei Santi: «Se prima del viaggio a Roma alcuni sospettavano che sarebbero cambiate poche cose, ora è una certezza per tutti».   Una certezza confermata dal laconico comunicato stampa della diocesi di Valladolid, diffuso dopo l’udienza del 28 febbraio: «Il sovrano pontefice ha incoraggiato il nostro vescovo a continuare a vivere il suo ministero e a seguire i diversi progetti nella sua arcidiocesi». Un modo per seppellire nuovamente il dossier della beatificazione di Isabella la Cattolica: un dossier che risale al 1972.   Quando morì nel 1504, il monarca spagnolo lasciò in eredità ai suoi successori uno stato centralizzato e unificato. La Spagna conquistatrice, di cui stimolò l’espansione, cessò di essere un Paese ai margini del cristianesimo e sembrò pronta ad occupare una posizione di primo piano in Europa.   Ma la sua politica dovrà aspettare ancora qualche anno per dare veramente i suoi frutti nella persona dell’imperatore Carlo V e di suo figlio Filippo II, che seppero raccogliere e sfruttare tutte le possibilità dell’eredità di Isabella, all’alba del «secolo d’oro» della Spagna alla quale ha largamente partecipato.   Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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Spirito

Scavi a Gerusalemme: la presenza cristiana sul Monte del Tempio è attestata

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Monete di epoca bizantina, scoperte di recente tra i detriti del santuario di Gerusalemme, venivano usate nelle chiese del VI secolo.

 

Nel gennaio 2024 sono stati scoperti due pesi che venivano usati come monete in epoca bizantina e testimoniano la presenza cristiana sul Monte del Tempio prima della conquista musulmana di Gerusalemme, e potrebbero addirittura essere un segno della presenza di una chiesa primitiva.

 

Questi pesi sono stati scoperti come parte di un progetto per vagliare tonnellate di detriti scavati dal Monte del Tempio dall’Autorità musulmana Waqf durante un progetto di costruzione nel 1999. Questi piccoli oggetti, uno in vetro e l’altro in ottone, pesano solo 0,6 grammi. Si tratta probabilmente di pesi imperiali ufficiali del tipo richiesto dalla legge bizantina del VI secolo nelle grandi chiese.

 

Questo progetto archeologico ha permesso di scoprire «numerosi reperti risalenti probabilmente all’epoca bizantina», tra cui oggetti legati al culto, che, «con questi pesi recentemente scoperti, suggeriscono la presenza di una chiesa bizantina sul Monte del Tempio», indica il quotidiano.

 

L’articolo, intitolato «Due notevoli pesi bizantini dal Monte del Tempio di Gerusalemme», è stato pubblicato sulla rivista Israel Numismatic Research e scritto da Haim Shaham, Zachi Devira e Gabriel Barkay, gli ultimi due alla guida del progetto di setacciamento dal Monte del Tempio.

 

Il Monte del Tempio era il luogo in cui si trovavano il primo e il secondo tempio biblico. Questo luogo, considerato dai musulmani il terzo santuario dell’Islam dopo La Mecca e Medina, ospita la Cupola della Roccia e la Moschea di Al-Aqsa.

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La presenza cristiana sul Monte del Tempio è stata minimizzata

La presenza cristiana al Monte del Tempio è stata spesso minimizzata dalle autorità. Lo spoglio ha permesso di «rinvenire un gran numero di piastrelle pavimentali decorate di epoca bizantina, evocative di edifici monumentali, pezzi di tramezzi, elementi architettonici delle primissime chiese, e un buon numero di mosaici di epoca bizantina, un segnalano una cura particolare per il rivestimento del pavimento», spiega Shaham, dottorando in archeologia presso l’Università di Bar-Ilan.

 

I pesi scoperti sarebbero associati ad una chiesa. «Tutto questo materiale bizantino ci mostra che qualcosa accadde, ma fino a dieci anni fa era opinione comune che durante il periodo bizantino il Monte del Tempio fosse stato abbandonato. Ma in realtà sono successe molte cose in epoca bizantina e, da quello che abbiamo scoperto, potrebbe esserci stata una chiesa».

 

La presenza di una chiesa pre-musulmana non è provata, ma «bisogna valutare la probabilità di quella che è la spiegazione più semplice della presenza di questi pesi. E ciò che è più semplice è spesso la migliore spiegazione», spiega Shaham. Dei pesi simili sono stati ritrovati in una chiesa bizantina, a Sussita, sull’altopiano del Golan. «L’idea di pesi ufficiali all’interno di una chiesa bizantina era già stata stabiliti in Oriente», aggiunge.

 

Il peso in vetro è decorato da «un busto imperiale aureolato, che sovrasta un monogramma a forma di croce fiancheggiato da due busti più piccoli», e misura 17 mm di diametro e 2 mm di spessore. Reca un monogramma con la scritta «Euthalios», evidentemente «un alto funzionario bizantino sotto la cui autorità furono realizzati i pesi. Questi pesi furono probabilmente prodotti da un’officina ufficiale centrale a Costantinopoli, tra il 550 e il 650 d.C.»

 

Il secondo peso, in lega di ottone, di forma quadrata, misura 13 mm di lato e 1,6 mm di spessore. È rivestito con un delicato intarsio d’argento con le lettere greche kappa e delta, che gli archeologi interpretano per indicare il peso, 4 cheratina o carati. Questo tipo di peso quadrato è tipico del V e VI secolo d.C.

 

Secondo gli autori, le dimensioni ridotte e il peso esatto dei due manufatti li rendono reperti estremamente rari.

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Una storia manipolata?

Fu nel 638 d.C. che il nuovo impero islamico conquistò Gerusalemme dai bizantini cristiani, noto anche come Impero Romano d’Oriente. I documenti musulmani dell’epoca sottolineano che il Monte del Tempio veniva utilizzato come discarica prima che lì iniziassero a costruire la Cupola della Roccia.

 

«È su questa base che gli storici hanno ipotizzato che il Monte del Tempio fosse una discarica», ma questo potrebbe essere un caso in cui la storia è stata riscritta dai vincitori, spiega Shaham.

 

Un’altra spiegazione per la presenza di questi manufatti, dice, è l’esistenza di un edificio bizantino sul Monte del Tempio, distrutto dall’impero persiano sasanide, il cui breve controllo su Gerusalemme, tra il 614 e il 630 d.C., portò il caos nella città.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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Immagine di AVRAM GRAICER via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported

 

 

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