Cina
Morte di Francesco: condoglianze da Pechino, silenzio su siti cattolici ufficiali
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Rispondendo alla domanda di un giornalista il portavoce del ministero degli Esteri ha lodato «i contatti costruttivi e gli scambi utili» tra la Cina e la Santa Sede. Ma in nome della «sinicizzazione» il riferimento è al rapporto tra gli Stati non alla comunità cattolica locale. Il nodo della presenza dei vescovi cinesi ai funerali di Francesco.
«La Cina esprime le proprie condoglianze per la morte di papa Francesco. Negli ultimi anni, la Cina e il Vaticano hanno mantenuto contatti costruttivi e portato avanti scambi utili. La Cina è pronta a collaborare con il Vaticano per promuovere il continuo miglioramento delle relazioni Cina-Vaticano».
Non è andata oltre a questa risposta del portavoce del ministero degli Esteri Guo Jiakun alla domanda formulata questa mattina da un giornalista straniero la reazione di Pechino alla morte di papa Francesco, il pontefice che pure più di ogni altro ha teso la mano alla Repubblica popolare cinese, con la firma nel 2018 dell’Accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi (rinnovato per tre volte, l’ultima nell’ottobre scorso) e i tanti gesti di attenzione alla Cina e al suo popolo.
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Anche questa volta le parole dicono che Pechino – almeno per il momento — non sembra disposta ad andare al di là del piano delle relazioni tra Stati, nell’affrontare il rapporto con la Santa Sede. Nelle scarne dichiarazioni a essere morto appare una personalità di rilievo di uno Stato sovrano, non una figura spirituale che tanti cattolici nella Repubblica popolare cinese sentono come un punto di riferimento.
Su questo non si può non constatare un passo indietro. Quando infatti poco più di due anni fa morì il papa emerito, Benedetto XVI, sul sito chinacatholic.cn – il sito dell’Associazione patriottica, l’organismo ufficiale cattolico controllato dal Partito – fu pubblicata una sua immagine accompagnata dalla didascalia «Affidiamo Benedetto XVI alla misericordia di Dio e chiediamo a Lui di garantirgli l’eterno riposo in paradiso».
Questa volta a ormai più di un giorno dalla morte di Francesco, non è ancora successo. E la stessa cosa vale anche per i siti internet ufficiali delle diocesi: quello della diocesi di Shanghai, per esempio, è stato aggiornato oggi con le indicazioni per l’annuale pellegrinaggio alla Madonna di Sheshan nel mese di maggio. Ma alla morte del pontefice non si fa alcun cenno.
Non che in Cina sia vietato parlarne. E infatti il sito cattolico cinese Xinde continua a rilanciare in cinese le notizie dal Vaticano e i fedeli non mancano di far sentire il loro affetto verso Francesco. Ma in nome della «sinicizzazione» che continua ad affermare l’autonomia della Chiesa in Cina, ai canali ufficiali non è permesso esprimersi pubblicamente sulla morte di quello che è il pastore universale della Chiesa cattolica.
Del resto siamo anche ormai a pochi giorni dall’entrata in vigore il 1 maggio delle nuove regole sulle attività religiose degli stranieri in Cina, che la separazione la postulano fino al punto di vietare la presenza di fedeli cinesi e fedeli stranieri in una stessa celebrazione.
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Alla luce di tutto questo sarà interessante vedere quali saranno le scelte delle autorità di Pechino rispetto ai funerali di papa Francesco in programma a Roma sabato 26. Quando nel 2005 morì Giovanni Paolo II la Cina non inviò nessuna delegazione, non essendovi rapporti diplomatici con la Santa Sede ed essendo presente invece una delegazione di Taiwan
Anche in occasione delle esequie di papa Francesco Taipei – che ha una propria ambasciata in Vaticano – ha annunciato che invierà la propria delegazione ufficiale. È prevedibile, dunque, che anche questa volta il governo cinese non sarà rappresentato. Resta però da vedere che cosa succederà con i vescovi della Repubblica popolare cinese, a cui è stato permesso di partecipare al Sinodo.
Una loro presenza, a questo punto, sarebbe la strada più semplice per mostrare che quello voluto da papa Francesco è il passo di un cammino che anche Pechino vuole davvero continuare.
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Cina
Prima vendita di armi a Taiwan sotto Trump
Il dipartimento della Difesa statunitense ha reso noto di aver autorizzato la prima cessione di armamenti a Taiwan dall’insediamento del presidente Donald Trump a gennaio. Pechino, che rivendica l’isola autonoma come porzione del proprio territorio, ha tacciato l’iniziativa come un attentato alla sua sovranità.
Il contratto in esame prevede che Taipei investa 330 milioni di dollari per acquisire ricambi destinati agli aeromobili di produzione americana in dotazione, come indicato giovedì in un comunicato del Dipartimento della Difesa degli USA.
Tale approvvigionamento dovrebbe consentire a Formosa di «preservare l’operatività della propria squadriglia di F-16, C-130» e altri velivoli, come precisato nel documento.
La portavoce dell’ufficio presidenziale taiwanese, Karen Kuo, ha salutato la decisione con favore, definendola «un pilastro essenziale per la pace e la stabilità nell’area indo-pacifica» e sottolineando il rafforzamento del sodalizio di sicurezza tra Taiwan e Stati Uniti.
Secondo il ministero della Difesa di Taipei, l’erogazione dei componenti aeronautici americani «diverrà operativa» entro trenta giorni.
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Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Lin Jian, ha espresso in un briefing il «profondo rammarico e l’opposizione» di Pechino alle forniture belliche USA a Taiwano, che – a suo dire – contrastano con gli interessi di sicurezza nazionali cinesi e «inviano un messaggio fuorviante alle frange separatiste pro-indipendenza taiwanesi».
La vicenda di Taiwan costituisce «la linea rossa imprescindibile nei rapporti sino-americani», ha ammonito Lin.
Formalmente, Washington aderisce alla politica della «Cina unica», sostenendo che Taiwan – che esercita de facto l’autogoverno dal 1949 senza mai proclamare esplicitamente la separazione da Pechino – rappresenti un’inalienabile componente della nazione.
Ciononostante, gli USA intrattengono scambi con le autorità di Taipei e si sono impegnati a tutelarla militarmente in caso di scontro con la madrepatria.
La Cina ha reiterato che aspira a una «riunificazione pacifica» con Taiwan, ma non ha escluso il ricorso alle armi se l’isola dichiarasse formalmente l’indipendenza.
A settembre, il Washington Post aveva rivelato che Trump aveva bloccato un’intesa sulle armi da 400 milioni di dollari con Taipei in vista del suo colloquio con l’omologo Xi Jinpingo.
Come riportato da Renovatio 21, all’inizio del mese, in un’intervista al programma CBS 60 Minutes, Trump aveva riferito che i dialoghi con Xi, tenutisi a fine ottobre in Corea del Sud, si sono concentrati sul commercio, mentre la questione taiwanese «non è stata toccata».
In settimana la neopremier nipponica Sanae Takaichi aveva suscitato le ire di Pechino parlando di un impegno delle Forze di Autodifesa di Tokyo in caso di invasione di Taiwano.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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