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Mons. Viganò: «Santa Madre Chiesa sfigurata e umiliata dai suoi Pastori»

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Renovatio 21 pubblica l’omelia per la festa di San Carlo Borromeo dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò.

 

 

Humilitas

Omelia nella festa di San Carlo Borromeo

 

Distrutto il fondamento, crolla e rovina tutto ciò che sopra ci venne innalzato.
San Carlo Borromeo

 

 

In queste ultime settimane le vicende che hanno interessato il corpo ecclesiale ci hanno colmato di grande dolore, perché ciò che temevamo sin dai primissimi interventi di Leone ha preso corpo ben oltre ogni peggiore previsione.

 

Abbiamo assistito al «pellegrinaggio giubilare» di attivisti LGBTQ, promosso dal loro cappellano, il gesuita James Martin e celebrato dal Vicepresidente della CEI Francesco Savino.

 

Abbiamo visto Prevost benedire un blocco di ghiaccio e predicare la conversione ecologica per ratificare e propagandare la fantomatica emergenza climatica.

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Abbiamo visto il capo della chiesa d’Inghilterra ricevuto in Vaticano con tutti gli onori – e con la di lui «moglie» concubinaria – per dare nuovo impulso all’impegno per gli obiettivi sostenibili dell’Agenda globalista. Durante quella visita, la Cappella Sistina e la Basilica di San Paolo fuori le Mura sono state profanate dalla communicatio in sacris con pseudo-ministri di una setta scismatica, eretica e priva di Successione Apostolica.

 

Abbiamo assistito al pontificale tridentino di Summorum Pontificum con i cardinali Zuppi e Burke acclamati dai conservatori e pseudo-tradizionalisti, mentre la CEI pubblicava un documento per la promozione delle persone LGBTQ e la normalizzazione della sodomia.

 

Abbiamo udito Leone tenere un’omelia per il pellegrinaggio giubilare delle «équipe sinodali e degli organi di partecipazione» (si noti il lessico da komintern) nella quale egli afferma che «nessuno possiede la verità tutta intera», di fatto sconfessando il Papato Romano e la Chiesa Cattolica.

 

E ancora: sempre sulla scia del mai abbastanza deprecato ecumenismo conciliare, lo scorso 28 ottobre Leone ha preso parte aMeeting Internazionale per la Pace organizzato dalla Comunità Sant’Egidio nello «spirito di Assisi» dinanzi all’Arco di Costantino, proprio nel giorno in cui nell’anno 312 dell’era cristiana l’Imperatore ottenne la vittoria di Ponte Milvio sui pagani, dopo aver posto sui labari la croce di Cristo.

 

Nel pomeriggio dello stesso giorno Leone ha presenziato nell’Aula Paolo VI all’evento di commemorazione della Dichiarazione Conciliare Nostra Ætate: più di due ore di abominevoli spettacoli pagani, esoterici e cabalistici.

 

Infine, quasi a suggellare con l’inconfondibile marchio dell’Avversario questa serie di sistematici attacchi alla Santa Chiesa, Leone Tucho Fernàndez (…) hanno promulgato proprio oggi un documento, nel quale si definisce «inappropriato» il titolo di Corredentrice attribuito alla Vergine Madre di Dio.

 

Tucho e Prevost non fanno che confermare la propria coerenza con gli eversori del Vaticano II, i quali impedirono che il dogma della Corredenzione venisse proclamato durante la solenne assise, nonostante la vasta richiesta dell’Episcopato mondiale. E qui vediamo come gli eretici rivelano la propria indole antimariana, non a caso legata all’indole anticattolicaperché Maria Santissima è Madre e Regina della Chiesa proprio in virtù della co-Passione e della co-Redenzione. E Satana sa benissimo che la propria definitiva sconfitta verrà sancita da Colei che gli schiaccerà  virgineo calcaneo  il suo capo ribelle.

 

Tutto questo ha trapassato il cuore dei Cattolici quanto la lama acuminata di un pugnale; perché vedere la nostra Santa Madre Chiesa sfigurata e umiliata dai suoi Pastori è uno spettacolo straziante cui non avremmo mai voluto assistere, e che molti si illudevano fosse concluso dopo la fine della lunga parentesi bergogliana. L’evidenza dei fatti ci riporta coi piedi per terra e ci mostra il Papato Romano tramutato in ruolo di presidenza di un parlamento sinodale, sul modello delle democrazie postrivoluzionarie, e il Papa in leader della Religione Universale massonica.

 

La sinodalizzazione della Chiesa – come ho avuto modo di dire in più occasioni – è strumentale alla sua distruzione e serve a far confluire la Chiesa Cattolica nell’unico bacino della Religione dell’Umanità, esattamente come la parlamentarizzazione delle Nazioni fu strumentale alla loro destabilizzazione, le cui conseguenze disastrose abbiamo sotto gli occhi. Per questo motivo, e per la continuità della linea di governo di Prevost rispetto a Bergoglio, non è possibile illudersi che le decisioni assunte e le dichiarazioni pubblicate siano frutto di inesperienza o di ingenuità. Esse costituiscono una dichiarazione d’intenti eversiva che non può essere ignorata.

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Celebrare San Carlo Borromeo in questo contesto può sembrare quasi contraddittorio. Le virtù del grande Cardinale e Arcivescovo di Milano sono infatti l’esatto contrario delle deviazioni della Gerarchia conciliare e sinodale, tanto nella vita privata dei Vescovi quanto nell’esercizio del loro Ministero episcopale. Ma è proprio per via di questo stridente contrasto tra un Vescovo cattolico elevato alla gloria degli altari e i funzionari sinodali di oggi, che possiamo trarre un importante insegnamento dalla sua vita al servizio della Santa Chiesa.

 

Se i vescovi del postconcilio sono un esempio di come non devessere un buon Pastore, San Carlo è viceversa l’esempio di come deve essere un Vescovo, ed è a lui che guardiamo in questa fase di gravissima apostasia della Gerarchia.

 

Humilitas: questo era il motto di San Carlo Borromeo. Non l’umiltà simulata di chi si fa seguire dai fotoreporter mentre va in giro in bicicletta in abiti borghesi (come capita di vedere a Bologna), ma la vera umiltà di chi, elevato per dignità in ragione dell’Ordine Sacro, si rende invisibile per far apparire Cristo, di cui egli è Ministro. L’umiltà – la santa umiltà – di chi si riconosce inserito in un ordine divino, essenzialmente gerarchico, in cui tutti sono sottoposti alla Signoria di Gesù Cristo, Re e Pontefice; in cui i Superiori obbediscono tutti a Dio, e solo per questo sono a loro volta obbediti dai sudditi. L’umiltà di chi abbraccia la Verità – che è attributo consustanziale di Dio – con la semplicità di chi si lascia illuminare e riscaldare dalla luce di Cristo, senza cambiarla, senza oscurarla, senza mutare le tenebre in luce e la luce in tenebre (Is 5, 20).

 

L’umiltà è il marchio della Santità, ed è indissolubilmente legata all’obbedienza verso l’Autorità, poiché per obbedire al Superiore e per farsi obbedire dai sottoposti, occorre riconoscersi tutti sottomessi alla Signoria di Cristo: sottomessi non solo a parole – Non chi dice Signore, Signore (Mt 5, 21) – ma anche con le opere – chi fa la volontà del Padre mio.

 

Sottomessi non solo nell’obbedire ai Superiori, ma anche nel farsi obbedire dagli inferiori. Umiltà significa compiere la volontà di Dio: sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra, ossia conformando ai Comandamenti di Dio la nostra vita quotidiana, la nostra società e le sue leggi, le nostre famiglie. Come in cielo così in terraè infatti la perfezione del Cielo ad essere modello per noi mortali, e non la nostra miseria e incoerenza ad essere parametro delle Verità eterne.

 

Nei giorni scorsi abbiamo sentito affermare che nella chiesa sinodale «nessuno è chiamato a comandare», «nessuno deve imporre le proprie idee», «nessuno è escluso», «nessuno possiede la verità tutta intera».

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Avremmo dunque una «chiesa» non gerarchica, non magisteriale, inclusiva e in ascolto: l’esatto contrario della Santa Chiesa Cattolica Apostolica Romana, che Nostro Signore Gesù Cristo ha voluto dotata di un Papato monarchico e di una Gerarchia; una Chiesa nella quale non vi sono «idee» ma la divina Rivelazione, che si impone da sé per l’autorità di Dio rivelante; una Chiesa Mater et Magistra che sull’esempio evangelico e conformemente alla prassi apostolica deve necessariamente porre dei confini dottrinali e morali invalicabili, superati i quali si viene necessariamente esclusi dal corpo ecclesiale; una Chiesa che – lei sì – possiede la Verità tutta intera (Gv 16, 13) essendo fondata dal Verbo Eterno del Padre che è Parola di Verità, e che ha ricevuto il mandato di predicare questa Verità a tutte le creature fino agli estremi confini della terra.

 

La Verità esige di essere ascoltata e riconosciuta: non ha bisogno di «porsi in atteggiamento di ascolto» verso l’errore.

 

La Chiesa di San Carlo Borromeo fu la Chiesa della Riforma Cattolica, in risposta all’eresia luterana e alla peste del Protestantesimo. I decreti del Concilio di Trento diedero un nuovo impulso alla vita cristiana ribadendo le Verità cattoliche, combattendo gli errori degli eretici, riformando i costumi del Clero e dei fedeli, dando solida formazione ai chierici e ai religiosi, promuovendo la predicazione e le missioni al popolo, incoraggiando la nascita di nuovi Ordini religiosi e nuove fondazioni caritative.

 

La chiesa di Roncalli, di Montini, di Luciani, di Wojtyla, di Ratzinger, di Bergoglio e di Prevost è la chiesa del dialogo con il mondo. I decreti del Concilio Vaticano II attuarono il programma di questa chiesa in uscita compiendo «riforme» di segno opposto, tacendo le Verità cattoliche e incoraggiando gli errori degli eretici, favorendo la corruzione dei costumi del Clero e dei fedeli, distruggendo la formazione dei Seminari e degli Atenei cattolici, sostituendo la predicazione con la propaganda delle ideologie moderne, cancellando le missioni al popolo, disperdendo gli Ordini religiosi e usando come fonte di lucro le istituzioni caritative, quasi tutte ormai destinate a gestire il business dell’«accoglienza».

 

Se avessimo chiesto a San Carlo di definire la Chiesa a cui apparteneva, non lo avremmo sentito parlare di «chiesa conciliare», ma di Chiesa Cattolica tout court. Il grande Arcivescovo di Milano non avrebbe mai parlato di una «chiesa preconciliare», né avrebbe umiliato i suoi predecessori accusandoli di aver tenuto i fedeli nell’ignoranza, o di aver discriminato le donne, di aver sminuito il ruolo dei laici, di aver perseguitato i dissidenti, di aver eretto muri anziché ponti.

 

La Chiesa di San Carlo Borromeo non fu infatti una creazione umana nata dai piani eversivi di una consorteria di eretici corrotti, ma la continuazione della Chiesa di sempre, immutabile nella sua Dottrina, coerente col mandato di Cristo e fedele alla testimonianza degli Apostoli.

 

Cosa direbbe San Carlo dinanzi allo sfascio della Gerarchia conciliare e sinodale e al tradimento dei suoi massimi vertici?

 

E come reagirebbe, nel vedere assurti ai posti più importanti personaggi che ai suoi tempi sarebbero stati condannati?

 

Come giudicherebbe il comportamento di un papa che afferma che tutte le religioni portano a Dioche nessuno possiede la verità, e che occorre promuovere la superstizione sanitaria e la conversione green mediante le politiche genocide del Great Reset?

 

Quale sarebbe la reazione di San Carlo al vedere un gruppo di sodomiti entrare nella Basilica di San Pietro per celebrarvi il pellegrinaggio giubilare col plauso del Vaticano, o a leggere le risoluzioni della CEI per combattere la cosiddetta discriminazione LGBTQ e, di fatto, normalizzare ogni genere di perversione sessuale? o nel vedere la statua di Lutero e l’idolo della Pachamama portati trionfalmente all’ombra della cupola di San Pietro

 

Lascio a voi dare una risposta, che penso sia facile formulare.

Ma se l’atteggiamento di San Carlo Borromeo dinnanzi al tradimento della Gerarchia attuale sarebbe certamente coerente con la Fede che egli professava, gli “inclusivi sinodali” dimostrerebbero di essere i primi a non praticare i principi ce propagandano, e smentirebbero se stessi nel modo più plateale.

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Così, nonostante la chiesa postbergogliana ci tenga a ribadire che «nessuno è chiamato a comandare», ordinerebbe a San Carlo di uniformarsi al nuovo corso, di celebrare il Novus Ordo, di farsi promotore della sinodalità e della sua agenda woke. Nonostante quel «nessuno deve imporre le proprie idee», imporrebbe le proprie a San Carlo. Nonostante il «nessuno è escluso», lo scomunicherebbe. E nonostante quel blasfemo «nessuno possiede la verità tutta intera», pretenderebbe dal Borromeo l’accettazione delle proprie imposture, delle proprie frodi, delle proprie menzogne.

 

Ma la Verità, cari fedeli, ci è stata rivelata nella sua interezza da Nostro Signore Gesù CristoNon è qualcosa che dobbiamo «cercare insieme».

 

La Verità è stata consegnata da Nostro Signore alla Santa Chiesa perché la custodisca, la predichi e la tramandi intatta ai posteri. La Verità non «si pone in ascolto» dell’errore, ma va invece ascoltata, poiché la Verità è Cristo stesso, Verbo eterno del Padre, Parola di Dio. Chi ci dice che la Chiesa non possiede la Verità ci inganna, ben sapendo che la Verità intralcia i suoi pianicosì la stravolge come menzogna.

 

San Carlo oggi non sarebbe Santo, ma scomunicato e scismatico. Vivrebbe come noi, vestirebbe in nigris e sarebbe scacciato dalle chiese come un rigido e un indietrista. E forse verrebbe a bussare alla porta del nostro Eremo per aiutare chi non si piega all’apostasia imposta dai vertici. Continuerebbe a credere ciò che credette, a praticare le virtù in cui eccelse in vita, ad adempiere al proprio Ministero con fedeltà e con umiltà.

 

Humilitas. Così dobbiamo fare anche noi, fratelli carissimi, che la Provvidenza ha voluto in questo luogo e in questo tempo per un compito ben preciso: la nostra e l’altrui santificazione mediante la croce che il Signore ci ha assegnato.

 

Nell’umiltà, nella vera obbedienza, nella quotidiana santificazione.

 

E così sia.

 

 

+ Carlo Maria Viganò

Arcivescovo

 

4 Novembre MMXXV
S.cti Caroli Borromæi Episc. Mediolanensis

 

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Immagine: San Carlo Borromeo nella vetrata nella Basilica di San Nicola, Saint-Nicolas-de-Port, Meurthe-et-Moselle, Lorena, XIX secolo.

Immagine di pubblico dominio CCO via Wikimedia

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Tradizioni cattoliche in famiglia, una piccola inchiesta personale

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Le tradizioni cattoliche che hanno da sempre contrassegnato e scandito la vita dei fedeli, sembrano perse nella notte dei tempi senza possibilità di recupero o di memoria per i più, tanto che lo stesso Concilio Vaticano II pare abbia voluto passare un colpo di spugna sopra molti di questi concetti cancellandoli definitivamente o in taluni casi sostituendoli con delle nuove preghiere.   L’eredità che abbiamo raccolto dai nostri avi è un piccolo tesoro spirituale da preservare, proteggere e far rimanere vivo in noi, nelle nostre famiglie e con le persone che ci circondano.   Padre Giuseppe Ave, sacerdote della bellissima chiesa di San Filippo Neri di Perugia, ci ricorda dei concetti fondamentali.

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«Io inizierei sottolineando la differenza tra Tradizione e tradizioni (Tradizione con la “T” maiuscola e tradizioni con la “t” minuscola). La Tradizione è l’insieme delle verità che la Chiesa ha trasmesso nel corso del tempo. Questo discorso della Tradizione e delle tradizioni parte dal Concilio di Trento [metà del Millecinquecento, ndr]. Il Concilio dice che la Verità per i cattolici è formata da due fiumi che vanno nello stesso mare che è la Verità. Come posso io sapere cosa è giusto e cosa è sbagliato e cosa è vero e cosa è falso? Un fiume è la Parola di Dio e un fiume è la Tradizione e cioè l’insieme delle verità trasmesse dalla Chiesa nel corso dei secoli».   «Fanno parte della Tradizione i Sacramenti» dice il padre. «Non trovo tutti i sacramenti nella Bibbia, ma li trovo nella Tradizione della Chiesa. L’insieme delle verità ce le hanno trasmesse i concili, ed ecco perché abbiamo un grosso problema con il Concilio Vaticano II, perché è un concilio pastorale. Quest’ultima parola inventata proprio in quell’occasione o recuperata in maniera storta, fa sì che questo concilio facciamo fatica a recepirlo nella Tradizione, perché la Tradizione deve essere qualcosa di normato. Il Concilio di Trento dice “Questa è la Verità e chi non ci crede sia fuori dalla Chiesa». Quelle sono le Verità senza le quali non si è cattolici. I Sacramenti, i Santi, ad esempio.    Cosa sono le tradizioni? Le tradizioni sono l’insieme delle modalità con le quali il popolo di Dio si è espresso nel corso del tempo per esprimere la propria Fede, una forma di preghiera. Noi abbiamo delle tradizioni secolari e delle tradizioni più recenti, delle tradizioni universali e delle tradizioni più locali.   Le tradizioni universali hanno un peso diverso, quali il Rosario, la Via Crucis o le preghiere del mattino e della sera, che fanno parte delle tradizioni del popolo di Dio. Molte di queste preghiere le abbiamo totalmente perse. Le tradizioni cattoliche invece sostengono il popolo di Dio, perché ci legano con il nostro passato con i nostri genitori, i nostri nonni e i nostri antenati».   Ricordo sempre mia nonna che fino al suo ultimo giorno di vita si ricordava delle tradizioni cattoliche che hanno fatto da sempre parte del suo vivere. Rammento quando mi diceva delle Quarantore nella Settimana Santa, che sono una pratica devozionale consistente nell’adorazione per quaranta ore continue del Santissimo Sacramento. Il Rosario quotidiano che tutti i giorni alle 18:00 ha sempre recitato.    Sono tante le nostre care tradizioni ed è bene ricordarle affinché non ci si dimentichi.    La Via Crucis nei venerdì di Quaresima. La Quaresima stessa, nella quale ogni cattolico dovrebbe fare digiuno di qualcosa. Pratica anche questa estremamente depotenziata. Ci sarebbe il digiuno dalle carni il mercoledì delle Ceneri, i giorni di vigilia e tutti i venerdì dell’anno, tanto che per molti anni in casa mia ogni venerdì si mangiava il pesce e non la carne.   L’usanza di accendere le candele benedette quando una persona sta morendo, per la nascita di un figlio e per il parto delle donne, o durante le tempeste, oppure semplicemente per pregare.    Sia l’olio che il sale si possono far benedire per esorcizzare e per chiedere la guarigione degli ammalati. Custodire l’acqua benedetta in una piccola acquasantiera vicino al letto per segnarsi prima di coricarsi, al mattino quando ci si sveglia o prima di pregare.   Accendere le quattro candele dell’Avvento nelle chiese, ma anche nella tavola di casa per aspettare il Santo Natale.    Il presepe è un’altra tradizione imprescindibile che ultimamente è vilipeso e deriso da una società dall’animo sempre più sordido e meschino.   Il crocifisso nelle aule pubbliche che viene tolto per non turbare la sensibilità di chi non è cattolico. Nella scuola dove insegno nelle aule non vi è più traccia. Una richiesta che arriva da un mondo sempre più laicizzato e da una Chiesa che non sa più tenere il punto in una controversia come questa, rimanendo silente e facendo spallucce così da accondiscendere ai vizi perversi del mondo moderno.   La messa quotidiana per un cattolico un tempo era una pratica molto rispettata che fa parte delle tradizioni, mentre le messe domenicali e di precetto fanno parte della Tradizione. Prima di andare al lavoro o di andare a scuola, è cosa buona andare a messa. Ricordo che sia alle scuole elementari, che alle scuole medie, il mio parroco don Giuseppe Gioia – da poco scomparso – insisteva molto per farci partecipare all’Eucarestia. Pratica totalmente scomparsa o quasi.   Mia zia Lina, pia donna morta in grazia di Dio, tutte le mattine alle sei e mezzo andava a messa prima di iniziare il suo servizio lavorativo fino a che Dio le ha consentito di poter essere indipendente e poter uscire di casa. Quando la salute non glielo permise più, ha sempre pregato quotidianamente fino all’ultimo dei suoi giorni quando – parole sue in punto morte – è stata portata in cielo dagli Angeli con la presenza della Vergine Maria. Un esempio profondo di cristianità che cerco impietosamente e umilmente di imitare. 

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La Santa Messa è la preghiera più importante che esiste, perché c’è la transustanziazione e non è esattamente la stessa cosa che accendere una candelina in casa. Non possiamo dimenticare i «predicatori laici televisivi» che in era pandemica, pontificando nei salotti televisivi, visto il diktat di non celebrare le messe e chiudere le chiese, ci dicevano di pregare in casa che tanto era la stessa cosa. Il Burioni fu il capofila di questa «nuova dottrina scristianizzata», ma soprassediamo.   Un’altra tradizione è la benedizione nelle case durante il periodo di Quaresima o nel tempo di Pasqua e la benedizione dei cibi pasquali.   La benedizione degli animali nel giorno di Sant’Antonio che ancora nel mio quartiere è sentita e praticata che Don Antonio Paoletti porta ancora avanti con fede.    Il Corpus Domini quale tradizione legata alla solennità cristiana universale che fu istituita ad Orvieto da papa Urbano IV nell’agosto 1264. Qua in Umbria viene celebrata in ispecie a Spello dove in quel santo giorno vi è la famosa infiorata.   Per la festività di San Pietro e Paolo c’è la tradizione della barca che consiste nel porre, nella notte fra il 28 e il 29 giugno, un contenitore di vetro riempito d’acqua all’esterno della casa, e nel far colare nell’acqua un albume d’uovo. Il contenitore deve essere lasciato per tutta la notte all’aria aperta, per assorbire la rugiada. Il mattino seguente si dovrebbero trovare nell’acqua delle strutture, formate dall’albume, che ricordano le vele di una barca a vela o un veliero. Secondo la vulgata sarebbero prodotte da san Pietro, che soffiando nel contenitore di vetro fa assumere all’albume la giusta conformazione. Una cosa simile si fa anche per la ricorrenza di San Giovanni Battista.    Ogni città, ogni paese, ogni frazione in Italia ha tanti santi da ricordare ognuno con le sue usanze e con le sue devozioni.    Inoltre padre Giuseppe Ave ci ricorda che «le processioni sono importantissime. In uno dei miei libri ho scritto che a Perugia, all’inizio del Milleseicento, quando arrivarono i padri di San Filippo, c’erano ventiquattro processioni ordinarie, almeno due al mese. Senza contare poi quelle straordinarie».   La processione del Cristo morto la sera del venerdì Santo. Le Rogazioni nei periodi prima del raccolto che altro non erano che processioni propiziatorie sulla buona riuscita delle seminagioni. Mio nonno quando seminava qualcosa nell’orticello dietro casa, metteva nel terreno una croce di legno come segno di ringraziamento per il raccolto che verrà. Le Quattro tempora – quattro distinti gruppi di tre giorni presenti nel rito romano della Chiesa cattolica – originariamente legati alla santificazione del tempo nelle quattro stagioni con tanto di messe e di preghiere, oggi sono scomparse.   In un tempo preconciliare nel Celebret – documento di autorizzazione da parte della Chiesa cattolica che indica il permesso di celebrare la messa ed amministrare i sacramenti – nel retro vi era scritto «si fa divieto al prete di andare al cinema, entrare nei bar, eccetera…». Oggi ci suonano strane queste parole, ma erano un monito di distinzione e rispetto dei ruoli. Adesso nemmeno lo si chiede più questo documento a chi celebra, figuriamoci se vi sono riportati e rispettati questi «divieti».   Il clero che si è adattato al mondo forse ha mancato quell’obiettivo di attrarre a sé più fedeli, anzi, sembra quasi che sia stato controproducente. E se certe tradizioni secolari le dimenticano anche i sacerdoti, figuriamoci i fedeli che sempre di più fanno fatica a entrare in una sfera cattolica semplice, ma tradizionale.    Non a caso molti di coloro che si convertono e si avvicinano per la prima volta al cattolicesimo, abbracciano la Fede più tradizionale, quella anteriore al Concilio Vaticano II, con le sue millenarie, suggestive e profonde ritualità. Forse i porporati dovrebbero chiedersi più di un perché.   Sarebbe molto bello se un cristiano a tutt’oggi avesse le giornate scandite da una ritualità di preghiere e tradizioni cattoliche. È rimasto ben poco di tutto ciò, ma noi qua cerchiamo, per quanto possibile, di mantenere viva una memoria che fa sempre più fatica a rimanere in vita.   Come ci ricorda impeccabilmente Don Mauro Tranquillo: «La presenza della Chiesa e la Chiesa stessa è in grande crisi. Vediamo che il clero sta scomparendo. Se dall’alto viene questo tipo di impostazione non è che poi si può pretendere chissà cosa dai fedeli. Certamente c’è stata la secolarizzazione, il cambiamento dei costumi, della popolazione, ma soprattutto manca la predicazione della fede cattolica da parte del clero dall’alto in basso».

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Queste tradizioni aiutavano molto il credente a sentirsi a casa nella Chiesa e nel momento in cui sono state gettate nel dimenticatoio, la gente si è trovata spiazzata e si è creata nel corso del tempo le «proprie tradizioni» recitando una serie di preghiere in maniera quasi scaramantica, tramutate in una vacua routine, come se ognuno di noi si cucisse in dosso una sua fede cristiana dettata dalle sue abitudini e non da quelle della Chiesa. La Tradizione della Chiesa aiutava il fedele a orientarsi in ogni giorno dell’anno con le sue preghiere, i suoi riti ricorrenti atti a celebrare quel momento o quei santi in calendario.    È nostro dovere mantenere viva la Fede e non ci si può esimere dal fare il nostro dovere fino all’ultimo. Il nostro è un dovere soprannaturale e basare il tutto sulle forze terrene e sostenere che non possiamo fare nulla non ha senso. La nostra è una battaglia spirituale   Riprendiamoci queste tradizioni, senza inventarne di nuove, perché rappresentano la nostra storia, la nostra Fede e la nostra preghiera verso Nostro Signore.   Francesco Rondolini  

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Immagine «Dülmen, St.-Viktor-Kirche, Innenansicht, Krippe» di Dietmar Rabich via Wikimedia pubblicata su licenza Attribution-ShareAlike 4.0 International
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Questioni liturgiche e sinodalità al centro del Concistoro convocato da Leone XIV

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Papa Leone XIV ha inviato un biglietto di auguri natalizi al Collegio Cardinalizio delineando l’ordine del giorno del Concistoro straordinario che si terrà il 7 e 8 gennaio 2026, secondo quanto riportato dal giornalista italiano Nico Spuntoni su Il Giornale. Liturgia, sinodalità e governo della chiesa saranno al centro di questo incontro.

 

Una convocazione senza precedenti

I cardinali hanno ricevuto la convocazione il 7 novembre dal Decano Giovanni Battista Re e sono convocati dal papa per il pomeriggio del primo mercoledì dell’anno, nonché la mattina seguente per la concelebrazione all’Altare della Cattedra nella Basilica di San Pietro.

 

La convocazione di un Concistoro straordinario avviene «quando lo richiedono particolari necessità della Chiesa o la gravità delle questioni da trattare; tutti i cardinali sono convocati». Ma l’assenza di una motivazione dichiarata sembra piuttosto curiosa.

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Ripristino del ruolo del Collegio Cardinalizio

Secondo Sputoni, Leone XIV avrebbe scritto ai cardinali con l’intenzione di ripristinare il loro ruolo originario di principali collaboratori nel governo della Chiesa universale, un ruolo che è stato considerevolmente ridimensionato durante gli anni del pontificato di Francesco.

 

L’ultimo di questi incontri si è svolto il 29 e 30 agosto 2022, sotto Francesco, e si è concentrato sulla riforma della Curia Romana e sull’attuazione della costituzione apostolica Praedicate evangelium. In questo concistoro, ai cardinali non è stato permesso di parlare liberamente. Gli alti prelati avevano l’impressione che fossero lì semplicemente per ascoltare.

 

Francesco non consultò il Collegio Cardinalizio durante il suo pontificato, preferendo affidarsi al C9, che in seguito divenne il C6. La partecipazione limitata del Sacro Collegio è stato uno degli aspetti più criticati dell’eredità di Francesco durante le congregazioni pre-conclave. Nel suo primo incontro con i cardinali, il nuovo papa ha espresso l’intenzione di incontrarli regolarmente.

 

I temi centrali del concistoro

Ora che il pontificato ha superato i suoi primi sei mesi, Leone XIV, continua Spuntoni, ha deciso di mantenere questa promessa e ha chiesto ai cardinali di prepararsi all’incontro del 7 e 8 gennaio 2026 rileggendo due testi di Francesco: Evangelii gaudium e Praedicate evangelium, invitandoli a riflettere sulla prospettiva della Chiesa e a riportare in primo piano la questione del rapporto tra la Curia romana e l’esercizio del potere.

 

Nella sua lettera, Leone XIV menziona anche la sinodalità, che per molti aspetti è servita da manifesto per il pontificato di Francesco.

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La questione liturgica come punto centrale

Questa stessa prospettiva inquadra anche il tema finale delineato nella lettera che stabilisce l’ordine del giorno del prossimo concistoro: la questione liturgica. La liturgia è diventata, soprattutto dopo la promulgazione di Traditionis custodes nel 2021, il principale campo di scontro tra diverse sensibilità ecclesiali.

 

Il concistoro di gennaio potrebbe quindi offrire ai cardinali l’opportunità di discutere tra loro la posizione da adottare nei confronti dei fedeli legati al rito tradizionale. È in questa luce che va letto l’ultimo tema della lettera. La questione liturgica emerge come una delle complesse sfide che papa Leone XIV dovrà affrontare nel suo dialogo con il Collegio Cardinalizio.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.News

 

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Immagine di Centro Televisivo Vaticano via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported; immagine tagliata

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Diaconato femminile

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Roma si trova in imbarazzo per la pressione delle richieste di ordinazione delle donne al diaconato.   L’ordinazione delle donne al diaconato è un tema ricorrente nella Chiesa fin dall’istituzione dei diaconi permanenti in linea con il Concilio (1). Di fronte alle crescenti richieste di ordinazione delle donne al sacerdozio o all’episcopato, Roma ha pubblicato dei documenti2 che risolvono definitivamente la questione per questi due gradi superiori del sacramento dell’Ordine, ma senza affrontare il diaconato.   La Commissione Teologica Internazionale ha affrontato il tema del diaconato in un documento pubblicato nel 2002.   Nel frattempo, Paolo VI aveva riformato gli ordini minori, trasformandoli in «ministeri» conferiti a uomini laici (lettorato e accolito). Papa Francesco, citando le richieste avanzate durante i Sinodi dei Vescovi e il fatto che le funzioni inerenti a questi ministeri derivassero dal «sacerdozio battesimale», ha concesso, nella Lettera Apostolica Spiritus Domini (10 gennaio 2021), la possibilità di conferirli alle donne; non sorprende che i documenti preparatori del Sinodo sulla sinodalità menzionino pressanti richieste per il diaconato. Il documento finale afferma semplicemente che la questione è aperta e che «il discernimento su questa materia deve proseguire» (n. 60).   I vescovi stanno aprendo nuove strade affidando funzioni clericali alle donne (delegati episcopali che svolgono il ruolo di vicari episcopali, nella parte germanofona del Canton Friburgo in Svizzera nel 2020 e nel Brabante Vallone nel 2024), ma papa Francesco ha compiuto un ulteriore passo avanti nominando una suora prefetto del Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica. In tutti questi casi, la persona è accompagnata da un sacerdote (o da un cardinale) per controfirmare gli atti giurisdizionali.

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Come possiamo vedere, la tendenza è quella di affidare alle donne il maggior numero possibile di funzioni normalmente maschili, pur esitando di fronte alle barriere dei poteri clericali e giurisdizionali.   Nel 2016, papa Francesco ha affidato lo studio del diaconato femminile a una prima commissione, e poi a una seconda nel 2020. Quest’ultima ha presentato la sua relazione al papa, datata 7 febbraio 2025, e una sintesi è stata pubblicata dalla Sala Stampa Vaticana il 4 dicembre, insieme alla ripartizione dei voti dei membri.   La risposta è un «no», un’affermazione esitante che, data la divergenza di opinioni, non osa essere definitiva. Il tono delle conclusioni è notevole: «mantenere un approccio cauto», la necessità di «indagini su scala mondiale», di una «saggezza lungimirante» per «esplorare questi orizzonti ecclesiali», un’enfasi sulla «diakonia della verità», sulla «parresia evangelica» – in breve, una cauta circospezione.   L’unico punto di consenso è l’espansione dei ministeri assegnati alle donne e la promozione della «diakonia battesimale». In breve, si cerca di accontentare tutti perché il terreno è irto di difficoltà.   Infatti, il testo rileva che i gruppi che insistono sul diaconato femminile all’interno del Sinodo non sono rappresentativi, sono in conflitto con la tradizione (è chiaro che non vogliono limitarsi al diaconato) e le loro motivazioni non sono convincenti (un senso di diritto, di chiamata, un bisogno di riconoscimento all’interno della Chiesa, etc.).   In breve, un gruppo di attivisti che calpesta gli insegnamenti definitivi della Chiesa e vuole abbattere una dopo l’altra le barriere della Tradizione.   Tutto questo per un ministero la cui urgenza non è ancora compresa, a 60 anni dalla sua istituzione: «Va notato che in molte diocesi del mondo il ministero del diaconato non esiste e che in interi continenti questa istituzione sacramentale è quasi del tutto assente». Laddove è in vigore, le attività dei diaconi spesso coincidono con i ruoli dei ministeri laici o dei ministri della liturgia, sollevando interrogativi nel popolo di Dio sul significato specifico della loro ordinazione. In altre parole, «il diaconato sta ancora cercando la sua strada».   Questa è la storia della Chiesa dopo il Concilio: lasciarsi intimidire da una minoranza attivista e imporre a tutti i cattolici i capricci di pochi progressisti eterodossi.   Don Nicolas Cadiet FSSPX   NOTE 1) Costituzione Lumen Gentium, n. 29; Paolo VI, Lettera Apostolica in forma di motu proprio Sacrum diaconatus ordinem (18 giugno 1967), Lettera Apostolica in forma di motu proprio Ad pascendum (18 agosto 1972). 2) Dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede Inter insigniores, 15 ottobre 1976, e Lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis, 22 maggio 1994.   Articolo previamente apparso su FSSPX.News

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Immagine di Jebulon via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
 
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