Nucleare
Ministro israeliano: nuclearizzare Gaza è fra le possibilità
Il ministro israeliano del patrimonio culturale Amichai Eliyahu ha suggerito che il suo paese potrebbe lanciare un attacco nucleare su Gaza. Le dichiarazioni hanno causato indignazione in tutto il governo israeliano, con il primo ministro Benjamin Netanyahu che ha sospeso Eliyahu a tempo indeterminato.
In un’intervista domenicale con Radio Kol Berama, alla domanda se Israele potrebbe sganciare una bomba atomica sull’enclave palestinese, il ministro, membro del partito di estrema destra Otzma Yehudit, ha risposto che «questa è una delle possibilità».
Eliyahu si è anche espresso contro l’aiuto agli abitanti dell’enclave palestinese, che è sotto assedio israeliano ormai da diverse settimane, sostenendo che «non forniremmo aiuti umanitari ai nazisti» e che «non esistono civili non coinvolti a Gaza».
Gli abitanti di Gaza «possono andare in Irlanda o nei deserti, i mostri di Gaza dovrebbero trovare una soluzione da soli», ha aggiunto Eliyahu. Come riportato da Renovatio 21, in questi giorni a Dublino il partito Sinn Fein, erede dell’IRA, ha domandato l’espulsione dell’ambasciatrice israeliana.
Alla domanda sui rischi che l’intensa campagna di bombardamenti di Israele comporta per gli oltre 240 ostaggi tenuti da Hamas, il ministro ha detto che mentre sperava in un loro ritorno sano e salvo, «in guerra si paga un prezzo».
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Poco dopo le controverse dichiarazioni, Netanyahu ha annunciato che il ministro era stato sospeso da tutte le riunioni del governo. Scrivendo su Twitter, il suo ufficio lo ha citato dicendo che «le dichiarazioni di Eliyahu non sono basate sulla realtà», aggiungendo che Israele «sta operando in conformità con i più alti standard del diritto internazionale per evitare di danneggiare gli innocenti».
Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha condannato quelle che ha definito le «parole infondate e irresponsabili» di Eliyahu, aggiungendo isempre su Twitter che «è positivo che queste non siano le persone responsabili della sicurezza di Israele».
A queste osservazioni ha fatto eco il leader dell’opposizione Yair Lapid, che ha definito Eliyahu un «estremista» e ha sottolineato che la sua dichiarazione «ha causato danni alle famiglie degli ostaggi, alla società israeliana e alla nostra posizione internazionale», esortando Netanyahu a licenziare il ministro.
Le osservazioni del ministro non sono passate inosservate anche ad Hamas, che il mese scorso ha lanciato un attacco a sorpresa contro Israele. Si afferma che i commenti sono «un’espressione del nazismo degli occupanti e delle pratiche di genocidio», avvenute dopo il «fallimento militare di Israele di fronte alla resistenza» palestinese.
Nel frattempo, Eliyahu ha tentato di controllare il danno, insistendo sul fatto che «è chiaro a chiunque abbia un cervello che l’osservazione sull’atomo era metaforica», sostenendo, purtuttavia, che Israele «deve dare una risposta forte e sproporzionata al terrorismo», aggiungendo che questo approccio mostrerà «ai nazisti e ai loro sostenitori che il terrorismo non vale la pena».
Israele non ha mai confermato o negato pubblicamente di possedere armi nucleari. Tuttavia, è opinione diffusa che possedesse tali armi dalla fine degli anni ’60. Secondo una stima dello Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), Lo Stato Ebraico dispone di un totale di 90 testate.
Come riportato da Renovatio 21, due anni fa era emerso che Israele stava edificando nuovi impianti (circa 140 per 50 metri) all’interno della centrale nucleare militare di Dimona, il Centro per la ricerca nucleare nel deserto del Negev. Dimona è da sempre sospettata di essere luogo di importanza del programma nucleare israeliano. I lavori per i nuovi impianti sarebbero cominciati a inizio 2019.
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I commenti di Eliyahu non rappresentano la prima volta che funzionari israeliani evocano distruzioni di massa sulla scia dell’escalation della crisi israelo-palestinese del mese scorso.
Questa settimana, funzionari anonimi hanno riferito al New York Times che le loro controparti israeliane avevano fatto riferimento in privato ai bombardamenti della Germania e del Giappone durante la Seconda Guerra Mondiale e ai bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki, per giustificare potenziali vittime civili su larga scala a Gaza.
Pubblicamente, funzionari e legislatori israeliani hanno minacciato di trasformare Gaza in «Dresda» la città tedesca rasa al suolo dai bombardamenti angloamericani negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale, mentre il primo ministro Netanyahu ha ripetutamente citato il bombardamento della Royal Air Force del 1944 sul quartier generale della Gestapo a Copenhagen, in Danimarca, che mancò il suo obiettivo e colpì una scuola, uccidendo decine di bambini.
Il partito sionista Otzma Yehudit, detto anche Otzma LeYsraele, è considerato erede del partito Kach, poi dissolto da leggi anti-terroriste varate dal governo Rabin nel 1994, fondato dal rabbino americano Mehir Kahane. Kach è nella lista ufficiale delle organizzazioni terroristiche di USA, Canada e, fino al 20210, su quella del Consiglio dell’Unione Europea. Il Kahane fu assassinato in un vicolo di Nuova York nel 1990, tuttavia le sue idee permangono nel sionismo politico, in primis l’idea di per cui tutti gli arabi devono lasciare Eretz Israel, la Terra di Israele.
Appartiene al partito Otzma Yehudit il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir, che era associato al movimento di Kahane, che l’anno scorso ha vietato le bandiere palestinesi, mentre quest’anno un altro membro del partito ha minimizzato riguardo gli sputi degli ebrei contro i pellegrini cristiani (un’«antica tradizione ebraica»), mentre sul territorio si moltiplicano gli attacchi e le profanazioni ai danni dei cristiani e dei loro luoghi in Terra Santa.
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Nucleare
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Nucleare
Tokyo, via libera al riavvio della più grande centrale nucleare al mondo
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Il governatore della prefettura di Niigata ha approvato la riaccensione parziale dell’impianto di Kashiwazaki-Kariwa, segnando una svolta nella strategia energetica del Giappone, voluta dal governo di Sanae Takaichi. La premier sta valutando anche una revisione dei tre storici principi non nucleari, indignando i sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki.
Il governatore della prefettura di Niigata, Hideyo Hanazumi, ha approvato oggi la riattivazione parziale della centrale nucleare di Kashiwazaki-Kariwa, la più grande del mondo per capacità installata. Il Giappone da tempo cerca di rilanciare il settore dell’energia atomica per ridurre la dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili, aumentate in modo significativo dopo il disastro di Fukushima del 2011.
L’approvazione rimuove l’ultimo ostacolo politico al piano della Tokyo Electric Power Company (TEPCO), che potrà ora procedere con la riaccensione dei due più potenti reattori dell’impianto che insieme generano 2.710 megawatt, circa un terzo della capacità complessiva. Solo il reattore n. 6, ha spiegato il ministro dell’Industria, Ryosei Akazawa, permetterebbe di migliorare del 2% l’equilibrio tra domanda e offerta di energia nell’area metropolitana di Tokyo.
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Hanazumi ha dichiarato che la decisione dovrà comunque essere sottoposta al voto di fiducia dell’assemblea prefetturale nella sessione che si aprirà il 2 dicembre. «Non sarebbe razionale bloccare qualcosa che ha superato gli standard di sicurezza nazionali», ha affermato, sottolineando però che le preoccupazioni dei residenti, le misure di emergenza e il monitoraggio continuo della sicurezza restano priorità da affrontare.
Se confermato, il riavvio segnerebbe una svolta per TEPCO: dal marzo 2011, quando lo tsunami devastò la centrale di Fukushima Daiichi causando il peggiore incidente nucleare dopo Chernobyl, l’azienda non ha più potuto riattivare alcun reattore. In ottobre TEPCO aveva concluso le verifiche tecniche sul reattore n. 6, confermando il corretto funzionamento dei sistemi.
Dopo Fukushima, il Giappone aveva spento tutti i 54 reattori attivi all’epoca. Ad oggi ne sono stati riavviati 14 sui 33 ancora idonei all’uso. Il governo della premier Sanae Takaichi, sostiene la riapertura dei reattori per rafforzare la sicurezza energetica e ridurre i costi delle importazioni: nel 2024 il Giappone ha speso 10,7 trilioni di yen (circa 68 miliardi di dollari) solo per importare gas naturale liquefatto e carbone, un decimo del totale delle importazioni nazionali. Il governo insiste inoltre sul fatto che il ritorno al nucleare è essenziale per contenere i prezzi dell’elettricità e aumentare la quota di energia riducendo allo stesso tempo le emissioni.
La riattivazione dell’impianto avviene in un clima politico teso perché la premier Sanae Takaichi è a favore anche della possibilità di rivedere i principi del Giappone anche in fatto di armi atomiche. Una prospettiva che ha suscitato una dura reazione da parte degli hibakusha, i sopravvissuti ai bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki.
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La Nihon Hidankyo, principale organizzazione nazionale dei sopravvissuti e vincitrice del Premio Nobel per la pace lo scorso anno, ieri 20 novembre ha diffuso una nota di forte condanna, affermando che «non è possibile tollerare l’introduzione di armi nucleari in Giappone né permettere che il Paese diventi una base per la guerra nucleare o un bersaglio di attacchi atomici».
L’organizzazione ha chiesto al governo di rispettare e rafforzare i tre principi (che vietano di possedere, produrre o ospitare armi atomiche), inserendoli addirittura nella legislazione nazionale, denunciando come un pericoloso arretramento l’idea stessa di metterli in discussione.
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Immagine di Triglav via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
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