Geopolitica
Manipur, i separatisti etnici depongono le armi

Il più antico gruppo militante che opera nella regione della valle dello stato di Manipur, nel nord-est dell’India, ha firmato un accordo di pace con il governo federale sullo sfondo di un conflitto etnico mortale che dura da maggio e ha provocato lo sfollamento di milioni di persone.
Mercoledì il governo indiano ha annunciato che il Fronte Unito di Liberazione Nazionale (UNLF) ha firmato una tregua sia con Nuova Delhi che con il governo dello stato di Manipur.
Lo sviluppo è stato annunciato dal ministro dell’Interno indiano Amit Shah, che lo ha salutato come una «pietra miliare storica» su Twitter: «Do il benvenuto [all’UNLF] nei processi democratici e auguro loro tutto il meglio nel loro viaggio sulla via della pace e del progresso», ha aggiunto nello stesso post.
A historic milestone achieved!!!
Modi govt’s relentless efforts to establish permanent peace in the Northeast have added a new chapter of fulfilment as the United National Liberation Front (UNLF) signed a peace agreement, today in New Delhi.
UNLF, the oldest valley-based armed… pic.twitter.com/AiAHCRIavy
— Amit Shah (@AmitShah) November 29, 2023
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La vicenda assume un significato speciale, poiché è la prima volta che un gruppo armato con sede nella valle del Manipur accetta di cercare la riconciliazione «abiurando la violenza e accettando di onorare la Costituzione dell’India».
L’UNLF appartiene al gruppo etnico Meitei, uno dei due che combattevano il governo nazionale nella regione.
La mossa arriva pochi giorni dopo che il governo ha prorogato di cinque anni il divieto nei confronti dell’UNLF e di diverse altre organizzazioni che operano nello stato, designandole «associazioni illegali» ai sensi della legge sulla prevenzione delle attività illegali (UAPA).
Costituito nel 1964 per creare un «Manipur indipendente e sovrano», l’UNLF conduce da decenni una guerriglia contro le forze federali e statali. Il gruppo ha cercato di formare un’alleanza con la Cina e anche di rivendicare la valle di Kabow in Birmania, che confina con l’India. Aveva le sue basi negli Stati birmani del Chin e del Rakhine, nonché in alcune parti del Bangladesh.
Come riportato da Renovatio 21, due mesi fa emerse che l’India vendeva armi al regime militare di Rangoon, mentre il Manipur minacciava di bloccare l’arrivo di rifugiati.
Secondo i media, l’UNLF conta solo circa 400-500 membri e un numero simile di armi da fuoco.
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Lo sviluppo avviene nel contesto di un violento conflitto etnico che colpisce i due maggiori gruppi etnici locali del Manipur: il popolo Meitei, che vive nella valle di Imphal, e la comunità tribale Kuki delle colline circostanti. La violenza è scoppiata per la prima volta in seguito a una «marcia di solidarietà tribale» guidata da Kuki il 3 maggio, organizzata per protestare contro le richieste di Meitei di uno status speciale ai sensi della costituzione indiana.
Secondo un articolo di The Print, i gruppi dell’UNLF erano tornati nello stato dalle basi del gruppo fuori Manipur e erano diventati «attivi» nel conflitto locale. Nel frattempo, anche altri gruppi militanti sembrano disposti a prendere parte alle discussioni di pace, scrive la testata.
Ben 25 gruppi ribelli guidati dei Kuki con sede nelle zone collinari del Manipur sono soggetti a un accordo di cessate il fuoco tripartito con il governo dell’India e del Manipur, firmato nel 2008.
Come riportato da Renovatio 21, a inizio novembre erano scattate proteste da parte dei cristiani indiani contro il lassismo del governo del premier della destra induista Narendra Modi nei confronti dei Meitei, considerati a lui vicini. L’arcidiocesi siro-malabarese di Thrissur, nel vicino Kerala, aveva denunciato il silenzio e la collusione della politica del partito al potere con la comunità M4itei.
Le cause della piccola guerra etnica sono varie. Descritto come un conflitto interreligioso – i Kuki sono prevalentemente cristiani e i Meitei prevalentemente indù – si tratta in realtà di uno scontro in cui si intrecciano diversi elementi: identità etnica, disponibilità di armi, afflusso di profughi dal la Birmania, traffico di droga e il ruolo importante giocato dalle donne negli scontri, svelato dopo la messa in onda di un video del 4 maggio.
Il tema polarizza e radicalizza l’opinione pubblica indiana, specie nell’asse delle tensioni tra la maggioranza induista (che ha da anni ritrovato il potere a Nuova Delhi con l’elezione di Modi, un proponente dell’hindutva, ossia della primazia politica induista) e la minoranza cristiana. È da ricordare il caso tragico di padre Anil Francis, 40 anni, è stato trovato impiccato a un albero: in una nota la diocesi di Sagar – pur senza sbilanciarsi sul movente e offrendo piena disponibilità alla collaborazione nelle indagini – racconta che era stato denunciato per un suo post sui social network contro le violenze nel Manipur. Don Anil era il direttore di una scuola cattolica in uno Stato indiano al centro da mesi di intimidazioni contro i cristiani da parte dei fondamentalisti indù.
Di fatto, in Manipur la situazione è quella di una zona di persecuzione anticristiana: secondo il conteggio reso pubblico il 15 giugno 2023 dalla Chiesa cattolica, dal 3 maggio, in sole 36 ore, sono state distrutte 249 chiese.
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Immagine da Twitter
Geopolitica
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Geopolitica
Charlie Kirk una volta si era chiesto se se l’Ucraina avrebbe cercato di ucciderlo

L’attivista conservatore Charlie Kirk, ucciso in un attentato, aveva dichiarato di essere minacciato di morte ogni giorno per le sue posizioni critiche, in particolare contro il sostegno finanziario degli Stati Uniti al conflitto ucraino. Si dice che almeno una minaccia di omicidio, attribuita a un portavoce ucraino, potrebbe essere stata diretta personalmente a lui.
Nel 2023, il Centro per il contrasto alla disinformazione di Kiev ha accusato Kirk di promuovere la «propaganda russa». Nel 2024, un sito ucraino aveva incluso Kirk e la sua organizzazione, Turning Point USA, in una lista nera comprendente 386 individui e 76 gruppi americani contrari al finanziamento dell’Ucraina.
Il transessuale americano Sarah Ashton-Cirillo, già responsabile della comunicazione in lingua inglese per le Forze di Difesa Territoriali ucraine, aveva dichiarato di voler «dare la caccia» a quelli che aveva definito «propagandisti del Cremlino», annunciando un imminente attacco contro una figura vicina al presidente russo Vladimir Putin.
Aveva in seguito minacciato anche giornalisti americani, e dichiarato che «i russi non sono esseri umani».
.@charliekirk11 on Volodymyr Zelenskyy: “The gangster is coming back to extort more American politicians to try to get us further into a no-win war.” pic.twitter.com/AF53AP67rB
— Human Events (@HumanEvents) September 15, 2023
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«Proveranno a uccidere Steve Bannon, Tucker Carlson o forse me?» si era chiesto Kirk, citando altre note figure conservatrici dei media americani.
«Noi non siamo burattini di Putin né propagandisti russi, eppure il New York Times ci etichetta così, Twitter ci etichetta così», aveva affermato Kirk nel suo programma. «E quella persona, finanziata dal Tesoro degli Stati Uniti, dichiara: vi troveremo e vi uccideremo».
La questione se il governo degli Stati Uniti stesse finanziando Ashton-Cirillo è diventata oggetto di dibattito pubblico dopo che la sua dichiarazione è diventata virale, interessando anche l’allora senatore dell’Ohio JD Vance, oggi vicepresidente USA. Il transessuale statunitense fu quindi prontamente rimosso dalle forze armate ucraine.
Kirk è stato un critico costante dello Zelens’kyj, descrivendolo come «un bambino ingrato e capriccioso», un «go-go dancer» che non merita nemmeno un dollaro delle tasse americane e «un burattino della CIA che ha guidato il suo popolo verso un massacro inutile».
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Immagine di Gage Skidmore via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
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