Geopolitica
L’Ucraina colpisce un impianto petrolifero nel Donbass
Le forze ucraine hanno lanciato diversi missili contro infrastrutture civili nella città russa di Lugansk, ferendo almeno cinque persone e provocando un grande incendio in un deposito petrolifero, ha detto il capo regionale Leonid Pasechnik.
L’attacco di martedì notte è stato probabilmente effettuato utilizzando i sistemi missilistici tattici dell’esercito superficie-superficie (ATACMS) forniti da Washington, ha aggiunto il capo della Repubblica popolare russa di Lugansk (LPR). Cinque dipendenti della struttura sono stati ricoverati in ospedale con ferite moderate, mentre i servizi di emergenza erano al lavoro sul posto per domare l’incendio.
«L’Ucraina sta compensando le sue sconfitte in prima linea bombardando obiettivi civili», ha detto Pasechnik, aggiungendo che l’attacco ha danneggiato anche un gasdotto ad alta pressione e le linee elettriche, provocando un parziale blackout nella zona.
❗Ukrainian forces launched missiles at civilian infrastructure in Lugansk, injuring five people and causing a large blaze at an oil depot. The attack likely involved US-supplied ATACMS missiles. This follows a recent increase in Ukrainian targeting of Russian oil refineries and… pic.twitter.com/T32RwN0AqC
— Owl Post (@_PalestineFree) May 8, 2024
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Il ministero della Difesa russo deve ancora confermare il tipo di proiettili utilizzati nell’attacco. Secondo Mosca, la scorsa settimana le difese aeree russe hanno intercettato almeno 15 missili ATACMS, mentre negli ultimi mesi Kiev ha preso di mira sempre più raffinerie di petrolio, impianti energetici e altre infrastrutture russe.
Alla fine di aprile, funzionari statunitensi hanno confermato le precedenti notizie dei media secondo cui il Pentagono aveva segretamente spedito un numero imprecisato di missili a lungo raggio in Ucraina come parte di un pacchetto di armi annunciato dal presidente Joe Biden a metà marzo.
L’«obiettivo» di fornire a Kiev l’ATACMS era quello di esercitare maggiore pressione sulla Crimea e consentire alle forze ucraine di prendere di mira la penisola «in modo più efficace», riferiva all’epoca il New York Times, citando un anonimo funzionario del Pentagono.
Mosca ha affermato che la fornitura di missili a lungo raggio comporterebbe solo «più problemi» per Kiev. Il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha insistito sul fatto che l’uso dell’ATACMS non avrà alcun impatto sull’esito del conflitto, né impedirà alla Russia di raggiungere i suoi obiettivi di sicurezza.
Come riportato da Renovatio 21, il ministro degli Esteri ucraino Kuleba ha sostenuto che l’Ucraina potrebbe smettere con gli attacchi agli impianti petroliferi russi – fenomeno che porta in squilibrio il prezzo globale del petrolio e quindi l’economia mondiale – qualora Kiev ricevesse più armi.
«Devi pensare nei tuoi interessi», aveva detto il Kuleba a Rada TV lo scorso mese. «Se i tuoi partner dicono: “Ti stiamo dando sette batterie Patriot, ma abbiamo una richiesta per te, per favore non fare questo e quello”, allora c’è qualcosa di cui parlare».
Il petrolio è particolarmente sensibile alle questioni geopolitiche: nelle ultime ore, quando si erano sparse le voci di un imminente attacco iraniano ad Israele, il prezzo del greggio era schizzato sopra i 90 dollari al barile. La tensione nel Golfo di Aden, con gli Houthi che attaccano perfino le petroliere russe, contribuisce al caos sui mercati, con Goldman Sachs che ritiene che i prezzi potrebbero perfino raddoppiare. Dopo i forti aumenti registrati nel terzo trimestre 2023, Fitch Rating ha comunicato che il petrolio potrebbe toccare i 120 dollari.
Come riportato da Renovatio 21, la spinta al prezzo del petrolio data dagli attacchi dei droni ucraini su raffinerie russe + stata evidente quattro settimane fa, con il costo dell’oro nero salito a 86 dollari dopo un episodio.
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Geopolitica
La Spagna si è rifiutata di attraccare una nave che trasportava armi verso Israele
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Geopolitica
L’operazione israeliana a Rafah si espande. Con conseguenze disastrose
Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha annunciato ieri che l’esercito invierà più truppe per «intensificare» l’invasione. Gallant si è ventato che «stiamo logorando Hamas». Israele sostiene che ci sono sei battaglioni di Hamas ora a Rafah insieme agli ostaggi presi il 7 ottobre, e altri due battaglioni sarebbero nel centro di Gaza.
Nel suo ultimo articolo intitolato «Bibi va a Rafah», il reporter indipendente premio Pulitzer Seymour Hersh riferisce che le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno allagato 5 dei 12 tunnel di Hamas sotto Rafah, e «alcuni battaglioni israeliani agguerriti, i cui ranghi includono molti ingegneri di combattimento esperti in demolizione, si stanno facendo strada nei tunnel bui e pieni di trappole esplosive verso Yahya Sinwar, il leader di Hamas che è l’obiettivo finale di Netanyahu».
Secondo un informato funzionario americano citato da Hersh, Netanyahu ha promesso che «moriranno tutti nei tunnel».
Si stima che circa 730.000 palestinesi siano fuggiti da Rafah. L’Ufficio del Coordinatore degli Affari Umanitari (OCHA) delle Nazioni Unite riferisce che un totale di 285 kmq, ovvero circa il 78% della Striscia di Gaza, sono ora soggetti agli ordini di evacuazione dell’IDF. Viene riferito di continui bombardamenti «dall’aria, dalla terra e dal mare… su gran parte della Striscia di Gaza».
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Nel Nord ci sono state incursioni di terra dell’IDF e pesanti combattimenti nel campo profughi di Jabalia e anche a Deir al Balah, nel centro di Gaza. I carri armati israeliani si sono spinti nel centro stesso di Jabalia, affrontando i razzi anticarro e i colpi di mortaio dei militanti di Hamas. Al Jazeera riferisce che ci sono vittime da entrambe le parti e che i carri armati e gli aerei israeliani hanno spazzato via «quasi tutto» a Jabalia.
Secondo il Times of Israel, l’IDF riferisce di aver ucciso qui 200 uomini armati di Hamas. Anche se Jabalia era stata precedentemente «autorizzata» dall’IDF, a quanto pare non era andata abbastanza in profondità nel campo per trovare i militanti di Hamas che vi avevano sede.
Il valico di Rafah resta chiuso. Israele chiede che l’Egitto si unisca a lui nella supervisione del valico di Rafah, ma l’Egitto rifiuta, insistendo sul fatto che solo i palestinesi dovrebbero farlo.
Il Programma Alimentare Mondiale, nel frattempo, avverte che «sono necessari più punti di ingresso per gli aiuti per invertire sei mesi di condizioni di quasi fame ed evitare una carestia». È necessario un flusso costante di scorte di cibo ogni giorno, ogni settimana, avverte. «La minaccia della carestia a Gaza non è mai stata così grande».
Come riportato da Renovatio 21, il ministro israeliano Itamar Ben Gvir aveva minacciato di far cascare il governo Netanyahu, di cui è membro con il suo partito ultrasionista Otzma Yehudit («Potere ebraico») qualora l’esercito israeliano non fosse entrato a Rafah.
I carrarmati entrati a Rafah, dove hanno distrutto perfino le scritte «I LOVE GAZA», avrebbero la benedizione degli USA. Atroci filmati sono usciti già nelle prime ore dell’invasione di Rafah da parte dei soldati dello Stato degli ebrei.
L’Egitto ha avvertito Israele che l’invasione di Rafah potrebbe porre fine al trattato di pace siglato nel 1979. Il Cairo ha inoltre segnalato di voler partecipare al processo per «genocidio» della Corte Internazionale di Giustizia.
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Geopolitica
Orban collega la sparatoria di Fico ai preparativi di guerra dell’Occidente
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