Quest’ideologia improntata al sacro rinvia alla «preghiera dei nazionalisti ucraini», scritta nel 1922 da Josef Mashchak. È insegnata e recitata nei campi giovanili dei banderisti. È al cuore delle cerimonie dell’ordine segreto Centuria, che i banderisti hanno introdotto negli eserciti della NATO.
Storia
L’ideologia dei banderisti
Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Stepan Bandera era un agente della Gestapo che ha lasciato solo memorie di massacri e torture, cui ha personalmente sovrinteso e che taluni valutano positivamente. Dmytro Donstov invece era – ed è tuttora – il teorico di riferimento dei nazionalisti ucraini. Donstov ha inventato il razzialismo ucraino, nonché concepito il fanatismo dei nazionalisti ucraini quale arma.
Nei precedenti articoli ho riassunto la storia del movimento banderista, dal periodo tra le due guerre a oggi. Ora vorrei affrontare il tema dell’ideologia da cui trae ispirazione.
Il pensatore cui fanno riferimento, ieri come oggi, è Dmytro Donstov (1883-1973). Benché morto in Canada e tumulato negli Stati Uniti, le sue opere non sono state tradotte, ma i suoi discepoli ce le hanno fatte conoscere. I suoi libri si trovano solo nelle librerie ucraine, quindi non è conosciuto all’estero. In Ucraina, dopo un lungo periodo di oblio, Donstov è negli ultimi anni diventato uno degli autori più venduti.
Nutrendosi, come i nazisti, della personale interpretazione di Nietzsche, Dmytro Donstov auspicava la nascita di un «uomo nuovo», dotato di «una fede ardente e d’un cuore di pietra», che non teme di distruggere senza pietà i nemici dell’Ucraina. Teorico del «nazionalismo ucraino integrale», ha elaborato una filosofia in cui tutto ciò che è nazionalista deve contrapporsi alla Russia e agli ebrei.
Donstov voleva creare un popolo d’élite, ben distante dall’«egalitarismo degli schiavi» della Rivoluzione d’Ottobre, e dagli «ideali universali» della Rivoluzione francese.
Sosteneva che l’immaginario dei veri ucraini deve «nutrirsi della leggenda della battaglia finale», del «rifiuto di ciò che è» e dell’«affascinante immagine della catastrofe che produrrà innovazioni». I veri ucraini devono servire «un ordine categorico» con «spericolata obbedienza».
Secondo Donstov, il «nazionalismo ucraino» si caratterizza per:
– «L’affermazione della volontà di vivere, di potenza e di espansione». Promuove infatti «il diritto delle razze forti di organizzare popoli e nazioni per rafforzare la cultura e la civiltà esistenti».
– «Il desiderio di combattere e la consapevolezza del suo limite estremo» (tesse le lodi della «volontà creatrice della minoranza capace d’iniziativa»).
Le peculiarità del nazionalismo ucraino sono:
– «il fanatismo»;
– «l’immoralità».
Il fanatismo rinvia al carattere religioso della teoria. Donstov afferma che il fanatismo rende invincibili i guerrieri. Quindi è perfettamente logico che, dopo la seconda guerra mondiale, Stepan Bandera e Yaroslav Stetsko abbiano accettato di lavorare a Monaco con la società segreta dei Fratelli Mussulmani; ed è altrettanto coerente che nel 2007 alcuni loro discepoli abbiano costituito con gli jihadisti ceceni un fronte antirusso.
Il pensiero iniziale di Donstov non s’ispirava al fascismo italiano o al nazionalsocialismo tedesco, sembrava piuttosto caratterizzato da ragionamenti analoghi a quelli degli ustascia croati, della Guardia di Ferro rumena, del Glinka slovacco, dell’Oboz Narodowo-Radykalny polacco.
Entrato in contatto con i nazisti, Donstov cominciò a ispirarsi a una geografia e a una storia mitiche. I «veri ucraini» sarebbero di origine scandinava o protogermanica e discenderebbero dai Variaghi, tribù vichinga della Svezia. I loro antenati avrebbero fondato la città di Novgorod in Russia e sottomesso gli slavi russi.
In questa mitologia i «nazionalisti ucraini» rappresentano il Bene, i «moscoviti» il Male. È perciò assolutamente normale che l’icona del Partito Svoboda (Libertà), la deputata Irina Farion, molto prima dell’intervento militare russo dichiari: «Siamo venuti a questo mondo per distruggere Mosca».
Nel 2015 il presidente Petro Poroshenko e il primo ministro Arseni Yatsenjuk fecero votare un complesso di leggi, che da un lato vietavano i simboli comunisti e nazisti e dall’altro riabilitavano i simboli banderisti. Siccome più nessuno s’ispirava al nazismo, di fatto si sono voluti distruggere i monumenti celebrativi della vittoria dell’Armata Rossa sui nazisti per sostituirli con altri in onore di Stepan Bandera – sebbene responsabile dell’uccisione di 1,6 milioni di compatrioti – e della sua guida intellettuale, Dmytro Donstov.
All’epoca il Consiglio d’Europa criticò queste leggi di «disintossicazione dal comunismo» perché gettano genericamente discredito su dei regimi, di cui però non specificano gli atti da condannare.
Fu grazie a queste leggi che la parola d’ordine dei banderisti, «Gloria all’Ucraina!», entrò nel discorso ufficiale. Ovviamente non ho nulla contro questo slogan in sé, come non ce l’ho con il grido dei mussulmani «Allah Akbar!», al cui significato letterale, «Dio è grande!», non riesco più a pensare dopo averlo sentito cantare dagli jihadisti che volevano sgozzarmi. È il significato che gli attribuiscono gli jihadisti a ossessionarmi.
Ed è altresì logico che l’Ucraina si sia dotata di un dispositivo giuridico che legalizza una certa forma di discriminazione razziale. Il 21 luglio 2021 il presidente Volodymyr Zelensky ha firmato una legge, da egli stesso presentata, sui «popoli autoctoni di Ucraina», che stabilisce che tatari ed ebrei caraiti «godono pienamente di tutti diritti dell’uomo e di tutte le libertà fondamentali» (sic).
Il testo, apparentemente magnanimo, in realtà non lo è affatto perché interpretato per difetto. Completa, infatti, i testi che riconoscono i diritti degli ucraini di origine scandinava e protogermanica. Di fatto è utilizzato nei tribunali per negare i diritti agli ucraini che non rientrano né nella definizione generale né in una di queste minoranze, ossia agli ucraini di origine slava. Questi ultimi non possono far valere davanti a un tribunale il «diritto di godere pienamente di tutti i diritti dell’uomo e di tutte le libertà fondamentali».
Il 20 marzo 2022, in un video diffuso sull’account Telegram, il presidente Volodymyr Zelensky ha dichiarato: «Ogni attività di politici che si adoperano per dividere la società o collaborano con il nemico non avrà successo, otterrà solo una severa risposta». Il presidente ucraino ha infatti messo fuori legge 11 partiti politici (Piattaforma di opposizione-per la Vita, Partito di Charij, Nachi, Blocco d’opposizione, Opposizione di sinistra, Unione delle forze di sinistra, Derzhava, Partito socialista progressista d’Ucraina, Partito socialista d’Ucraina, Socialisti, Blocco di Volodymyr Saldo). La maggior parte di questi partiti non era rappresentato nella camera unica, la Verkhovna Rada, ma la Piattaforma di Opposizione-Per la vita era la seconda formazione del Paese. Nelle ultime elezioni aveva infatti ottenuto il 13% dei voti e conquistato 43 seggi su 450.
Il 20 marzo il presidente Zelensky ha anche firmato decreti che mettono al bando per cinque anni tre reti televisive di opposizione, già «sospese» da diversi mesi. Il presidente ha inoltre fuso le rimanenti reti televisive in un unico network, controllato dal Consiglio di Sicurezza e di Difesa.
Con ogni evidenza in Ucraina non c’è più libertà di espressione, né per politici né per giornalisti. La democrazia ucraina è morta, non già a causa dell’intervento russo, ma per volontà del suo stesso governo.
Il 5 maggio 2022 è stato istituito il Consiglio per lo Sviluppo delle Biblioteche, che segnatamente dovrà pronunciarsi sui libri russi che sovraccaricano gli scaffali. Il ministro della Cultura e della Politica dell’Informazione, il giornalista Oleksandr Tkachenki, ha dichiarato che potrebbero diventare materia prima per stampare libri ucraini su carta riciclata.
Gli autodafé sono un grande classico delle dittature. In questo caso non si bruceranno i libri in pubblico, ma se ne riciclerà la carta. Un autodafé meno spettacolare ma più ecologico.
E ora parliamo di come gli ucraini fanno la guerra. Colpisce una particolarità dell’esercito ucraino: i corpi dei soldati morti in combattimento non vengono ricuperati. Tutti gli eserciti del mondo lo fanno, anche correndo gravi pericoli. Il dare degna sepoltura ai soldati morti è considerato necessario. Non farlo avrebbe conseguenze disastrose sul morale dei soldati. Ma allora perché l’esercito ucraino si comporta diversamente?
Se interpreto bene il pensiero di Dmytro Donstov, si tratta della preparazione del combattimento escatologico tra Bene e Male. Secondo la mitologia scandinava, quando i Variaghi combattevano, le valchirie scendevano sul campo di battaglia cavalcando lupi. Decidevano quali valorosi vichinghi sarebbero morti. Poi portavano le loro anime nel Valhalla a formare l’esercito dell’«ultima battaglia». Le vittime cadute sul campo d’onore non erano più vittime del fato, ma prescelte per un destino glorioso.
La guerra dei «nazionalisti ucraini» contro gli slavi è appena cominciata.
Thierry Meyssan
Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND
Fonte: «L’ideologia dei banderisti», Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 21 giugno 2022.
Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
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Gehlen, la superspia da Hitler alla CIA
«È legittimo usare Belzebù per scacciare Satana». Con questa semplice frase, veniva riassunto dal giornalista del New Republic in un articolo dell’aprile 1972, il particolare rapporto venutosi a creare tra i servizi statunitensi e l’intelligence tedesca dalla fine della guerra in avanti. L’uomo che fece da collante tra i due universi prima e dopo la conferenza di Potsdam fu Reinhard Gehlen (1902-1979) o anche conosciuto come la superspia di Hitler.
Iniziò la sua rapida ascesa nell’esercito tedesco sul fronte polacco del 1939. Successivamente prese parte allo staff del generale Franz Halder (1884-1972), comandante in capo del Comando Supremo dell’Esercito Tedesco e ne divenne in breve uno degli assistenti principali. Ebbe un ruolo importante nell’organizzazione delle operazioni in Grecia, Yugoslavia e Unione Sovietica e nella primavera del 1942 venne incaricato di gestire la FHO, Fremde Heere Ost, una nuova entità nata con lo scopo di ottenere informazioni sull’Armata Rossa e sul fronte orientale in generale.
Si ritrovò a lavorare molto vicino alla Abwehr di Willelhm Canaris (1887-1945), l’Intelligence tedesca nata dopo la fine della Grande Guerra e soppressa durante in seguito alla scoperta di un complotto ordito per assassinare Adolf Hitler (1889-1945). Il lavoro preparatorio svolto dalla Abwehr per l’operazione Barbarossa si rivelò essere approssimativo e concorse al disastro di Stalingrado. La fine dei servizi gestiti da Canaris lasciò la strada spalancata al giovanissimo Gehlen che a soli quarantanni si ritrovo in carico della gestione della nuova intelligence tedesca.
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Gehlen rinforzò immediatamente la struttura dei servizi portando professionisti in grado di studiare i nemici sovietici come mai prima era stato fatto. Prima di lui, la hybris della Abwehr sulla convinzione della superiorità ariana sopra quella slava non aveva mai permesso l’approfondimento perché considerato uno sporcarsi le mani ad un livello non consono. Gehlen, tra gli altri, assunse un antropologo, un esperto in slavistica, un geografo, un avvocato, con l’obiettivo di raccogliere più materiale possibile.
Gehlen si ritrovo ben due volte contro il favore di Hitler. La prima quando stilò un prospetto in cui dichiarava perso il fronte orientale e l’armata Rossa militarmente superiore a quella tedesca. La seconda volta quando il suo studio mostrava persa Berlino e proponeva come unico modo di difesa finale l’attivazione dei Werewolf, gruppi paramilitari nazisti che avrebbero dovuto operare in assetto di guerriglia dietro le linee. Con questo documento, nell’aprile 1945, Hitler lo depose con l’accusa di disfattismo.
Da quel momento in avanti, in anticipo sui tempi e sui suoi colleghi, cominciò la sua preparazione personale per il dopo guerra. Radunò, copiò in microfilm e sotterrò in diversi punti delle Alpi bavaresi oltre cinquanta barili stagni, colmi dell’archivio dell’intelligence tedesca. Si arrese agli americani e portato nel campo di concentramento Camp King, dichiarò che avrebbe potuto fornire informazioni fondamentali sull’Armata Rossa sovietica. Oltre ai documenti avrebbe potuto informare su dove si stesse nascondendo la maggioranza degli ufficiali nazisti in ottica di reclutamento per la causa anti comunista.
Nel mondo post conferenza di Potsdam del 2 agosto 1945, la presenza dell’intelligence dell’Asse nei paesi al di là della cortina di ferro era stata completamente azzerata. Gli unici ad avere ancora delle informazioni rimanevano i membri degli apparati nazisti. Gehlen stesso durante la corsa dell’Armata Rossa verso Berlino aveva impiantato una rete di agenti doppi dentro i futuri Paesi a influenza sovietica. In questa situazione di nebbia totale ma anche di grande sopravvalutazione delle forze sovietiche, venne considerato da Allen Dulles (1893.1969), il modo più veloce per recuperare una forma di presenza nell’Europa del dopoguerra. Bedell-Smith (1895-1961) a capo dell’ufficio di Berna in quel momento e futuro direttore della prima CIA, lo reclutò e lo spedì a Washington dove lavorò per formare quella che venne da quel momento chiamata la Gehlen Organization.
Il gruppo di persone, chiamato in seguito dei «realisti» e che comandò la politica estera statunitense per un quarto di secolo, lo portò subito dalla propria parte offrendogli, negli anni e in forma segreta, duecento milioni di dollari. Allen Dulles stesso, quando Gehlen ottenne di tornare in Germania per formare il BND, Bundesnachrichtendienst, i Servizi Segreti Federali, lo incensò con una buonuscita da duecento cinquantamila marchi come ricompensa per tutto ciò che aveva fatto per la CIA.
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L’organizzazione di Gehlen ottenne la vecchia dimora di Martin Bormann (1900-1945), ufficiale e primo consigliere di Hitler, a Pullach, nella Baviera meridionale, quale edificio da dove operare. Da questa base nascerà la BND, i servizi segreti della Germania Ovest, dentro la quale inserì tutti quegli ex SS e membri della Wermacht di sua preferenza. Uno dei ruoli principali di Gehlen, soprattutto grazie ai doppi agenti attivati nei Paesi dell’Est, fu quello di strutturare la rete Stay Behind o anche detta operazione Gladio, gruppi paramilitari coperti antisovietici, messa in piedi in tutta Europa
Una situazione simile accadde anche in Italia. James Jesus Angleton (1917-1987), a capo dell’ufficio italiano della OSS, organizzò la fuga di Valerio Junio Borghese (1906-1974) da Salò assieme all’archivio della SIM, il Servizio d’Informazione Militare italiano. In questo modo pose le basi, per incorporare nell’Italia del dopoguerra gli apparati dell’Intelligence fascista in funzione anti sovietica. Assieme a questo, il fratello maggiore di Reinhard, Johannes, fisico nucleare, venne messo a capo dell’ODEUM una sussidiaria della organizzazione del fratello. Roma divenne centro di diversi interessi e luogo per eccellenza di miscellaneo incontro di spie internazionali.
Nonostante l’impegno profuso da Allen Dulles per ottenere le informazioni sui sovietici attraverso Gehlen e il suo esercito di nazisti, le montagne di documenti e le migliaia di informazioni che la CIA ottenne e lavorò in quegli anni si rivelarono però quasi completamente inutili. Sempre secondo l’articolo del New Republic, la parte ancora più inquietante non fu tanto l’inutilità finale delle informazioni portate ma scoprire in seguito come la sua organizzazione fosse stata infiltrata fin dall’inizio dai Sovietici. Proprio Gehlen una volta in auge a Washington, indicò tra i migliori prospetti a disposizione proprio Igor Orlov (1923-1982), l’uomo che due decenni dopo venne scoperto essere la famigerata talpa «Sasha».
Lev Bezymenskij (1920-2007), giornalista e storico russo di base a Bonn, pubblicò una recensione del libro di memorie di Gehlen. Il russo racconta come la versione iniziale del libro non avendo molto brio e novità da raccontare a fronte di un anticipo dato a Gehlen di un milione e mezzo di marchi si decise in fase editoriale di arricchirlo. Venne inviato David Irving, un giornalista inglese esperto in materia di Seconda Guerra Mondiale che su aiuto di Gehlen stesso organizzò una serie di interviste nella casa del tedesco sulle rive del lago di Starnberg in Baviera. Quello che ne venne fuori, venne considerato altamente non pubblicabile. La versione americana venne mondata dagli aggiornamenti di Irving, una copia invece non si sa come finì tra i tipi dello Spiegel di Amburgo che non perse un secondo a pubblicarlo.
Oltre alla parte in cui si raccontava il fatto che l’organizzazione mantenesse il controllo anche sui fatti interni tedeschi, cosa assolutamente contro il suo senso formale di esistenza. Interessante era la parte in cui veniva spiegato come all’inizio degli anni Cinquanta, l’organizzazione tedesca avesse inviato diversi ufficiali in Egitto per tentare di infiltrare la polizia e i servizi egiziani senza riuscirci. Dopo questo tentativo decisero di puntare dunque sull’addestrare il Mossad ad inviare agenti doppi negli Emirati Arabi. Proprio Gehlen raccontò successivamente che Dulles e la CIA spinsero perché si prendessero in mano il Medio Oriente. In seguito alla guerra di Suez però, l’organizzazione, racconta sempre Gehlen, si concentrò solamente nell’addestrare il Mossad, l’appena nato, piccolo ma efficientissimo, servizio segreto israeliano, in modo da aiutare l’infiltrazione di spie nei Paesi arabi.
Marco Dolcetta Capuzzo
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Immagine di Bundesarchiv, Bild 183-27237-0001 via Wikimedia pubblicata su licenza CC-BY-SA 3.0; immagine modificata
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La CIA, il KGB e il mistero di Igor Orlov detto Sasha
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Le origini della CIA e la nascita delle operazioni coperte
Nel suo saggio storico Disciples lo scrittore e giornalista Douglas Waller racconta come Richard Helms (1913-2002), agente segreto e futuro direttore della CIA, spiegasse come la lega dei gentleman – come William J. «Wild Bill» Donovan (1883-1959) amava chiamarla – conteneva vari disadattati sociali e diversi annoiati uomini d’affari di Wall Street in cerca d’azione.
Secondo Helms probabilmente il servizio segreto americano OSS aveva avuto un minimo effetto sulla guerra, si sarebbe potuta vincere anche senza di esso ma nonostante questo Donovan aveva dato prova di essere un leader e un visionario. Il generale aveva avuto il merito di far conoscere il Pentagono e gli americani nel difficile mondo della guerra non convenzionale.
Con la fine della seconda guerra mondiale, il presidente Harry S. Truman (1884-1972) sciolse l’OSS. La battaglia per la gestione dell’Intelligence nel mondo tra Donovan e J. Edgar Hoover (1895-1972) si risolse in un pareggio a reti inviolate. Ne trasse vantaggio Allen W. Dulles (1893-1969) che inizialmente formò la parte più clandestina con l’aiuto di Frank Wisner (1909-1965) ed infine ne prese formale controllo diventandone direttore.
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Allen Dulles, assieme anche a suo fratello John Foster Dulles (1888-1959) che ricoprì parallelamente l’incarico di segretario di Stato con Dwight D. Eisenhower (1890-1966), concorse a determinare quasi due decenni di politica estera americana. La sua esperienza come spia però venne plasmata agli ordini di Donovan a capo dell’ufficio svizzero e come molti altri colleghi ebbe un rapporto difficile con Wild Bill nonostante la stima reciproca.
Un editorialista scrisse che Donovan aveva avuto una vita da cavaliere medievale, o forse quello che più poteva avvicinarsi per il mondo americano a quell’ideale romantico di stampo prettamente europeo. Scappato dalla povertà della comunità irlandese di Buffalo, visse gli anni del college come quarterback della squadra di football, si laureò alla Columbia in classe con Franklin Roosevelt (1882-1945), venne insignito della medaglia al valor militare per eroismo durante la Grande guerra e divenne miliardario come avvocato di Wall Street.
All’alba della seconda guerra mondiale Roosevelt gli diede l’incarico di formare i servizi segreti americani, quello che poi venne chiamato OSS. Sotto il suo comando assemblò una macchina da più di 10 mila spie, organizzazioni paramilitari, propagandisti e analisti che combatterono l’Asse ovunque nel mondo.
Donovan considerava Dulles, nell’immediato dopoguerra, la sua migliore spia. Ma allo stesso modo aveva sempre sospettato che Dulles pensasse di poter gestire meglio l’OSS di quanto non stesse facendo lui, e non a torto. Inoltre Donovan aveva sempre sospettato che Dulles pensasse di volergli prendere il posto prima o poi, e anche qui non a torto.
Allo stesso modo di Donovan, Dulles, era convinto che il fine giustificasse i mezzi ed era necessario violare le rigide strutture etiche della società per una giusta causa. Dulles reclutò le menti più brillanti, più idealiste, più avventurose d’America e le spedì in giro per il mondo a combattere il comunismo come Donovan aveva fatto per il nazismo qualche anno prima. Li accomunava lo stesso trasporto per le spericolate missioni clandestine e la stessa insofferenza per quelle che non reputavano interessanti. Nonostante non l’avrebbe mai ammesso, l’esperienza nell’OSS durante la guerra l’aveva formato per la vita.
Successivamente alla resa tedesca, Donovan mandò Dulles a Wiesbaden con l’ordine di gestire Germania, Svizzera, Austria e Cecoslovacchia. L’americano stabilì la sede centrale nella fabbrica della Henkell Trocken Champagne a Wiesbaden che, nonostante bombardata, oltre a mantenere attiva la produzione, aveva ancora le cantine sufficientemente gremite di spumante.
Dulles in Wiesbaden portò vari agenti dei servizi e organizzò un sistema di raccolta informazioni e di reclutamento di nuovi agenti esteri a tempo pieno. L’idea dell’americano era quella di mantenere l’intelligence in vita sotto al suo comando. Per questo si circondò di analisti come Arthur M. Schlesinger Jr. (1917-2007) all’epoca agente dell’OSS, vari agenti del controspionaggio e in più tutta una serie di ufficiali esperti in medicina, comunicazioni e amministrazione. Helms e Ides Van der Gracht gestivano la sezione spionaggio, dopo il rifiuto al ruolo di capo dell’intelligence di William J. Casey (1913-1987) la posizione venne affidata a Frank Wisner (1909-1965).
La conferenza di Potsdam nell’estate del 1945 sancì l’inizio della guerra fredda. La paranoia di Stalin sulla rinascita della Germania e delle elezioni libere nei Paesi dell’Est Europa andava di pari passo con la sua profonda sfiducia verso le mosse americane. Gli States non avrebbero potuto capire quel momento senza mantenere una presenza fissa in Europa. Berlino divenne il centro di gravità permanente dell’intelligence del dopoguerra e così da Wiesbaden l’ufficio venne traslocato nella capitale tedesca.
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Spiare i Russi divenne la priorità per tutta l’agenzia di Dulles a Berlino. Ma venne il giorno in cui Truman avvisò che sarebbe stata creata una nuova agenzia e che l’OSS sarebbe stata soppressa. I fondi a Berlino vennero tagliati e il morale allo stesso modo calò in maniera direttamente proporzionale al passare del tempo finché Dulles per primo non rassegnò le dimissioni e ritornò in America.
Allen Dulles ritornato alla sua carriera da avvocato non riuscì ad abbandonare l’entusiasmo per gli affari internazionali. Crebbe la sua vicinanza con Truman che gli offrì un ruolo da ambasciatore ma venne convinto dal fratello Foster a non accettare seguendo in questo modo la sua aspirazione maggiore. In seguito a un rapporto che scrisse per Truman dove delineò i problemi che stava avendo la CIA nella sua breve nuova vita, gli venne richiesto, in risposta, di gestire le operazioni clandestine.
Il passaggio successivo, dopo un breve periodo, divenne quello di ottenere il ruolo di vice direttore della CIA sotto il generale Walter Bedell Smith (1895-1961). La disciplina marziale richiesta ai suoi subordinati non si accostava al giovane Dulles con il quale nacquero diverse incomprensioni. Nel momento in cui Dwight Eisenhower divenne presidente, nominò sottosegretario il generale Bedell Smith sotto John Foster Dulles che divenne il nuovo segretario di stato.
La potenza di fuoco di John Foster consegnò in mano al fratello il ruolo tanto agognato di direttore della CIA. Bedell Smith, si oppose alla nomina di Dulles considerando la sua passione per le operazioni coperte nociva per l’agenzia e l’intera politica estera americana. Donovan, che si era speso moltissimo con «Ike» Eisenhower per ottenere la carica, allo stesso modo predisse che il suo sottoposto al tempo dell’OSS avrebbe mandato tutto all’aria.
Nonostante le gufate dei suoi ex colleghi, Allen assieme al fratello condussero per un’intera decade la politica estera americana fino all’ascesa politica di John Fitzgerald Kennedy alla presidenza e al disastro della Baia dei Porci del 1962.
Marco Dolcetta Capuzzo
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