Geopolitica
Le priorità del nuovo premier britannico: la Truss chiama prima Zelens’kyj e poi Biden
La prima chiamata fatta dal nuovo primo ministro britannico a un leader straniero, appena dopo essere stato consacrata primo ministro del Regno Unito dalla regina a Balmoral (la sovrana è defunta poco dopo), è stata al presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj.
La chiamata all’attore comico a capo dell’Ucraina, ha detto l’ufficio del Primo Ministro, è stata fatta «per ribadire il fermo sostegno del Regno Unito alla libertà e alla democrazia dell’Ucraina».
La Truss «ha ribadito al leader ucraino che aveva il suo pieno appoggio e l’Ucraina potrebbe dipendere dall’assistenza del Regno Unito a lungo termine».
I due leader «hanno anche discusso della necessità di rafforzare la sicurezza globale e le misure necessarie per tagliare i fondi che alimentano la macchina da guerra di Putin». Detta dal capo del Paese-parcheggio dei miliardi degli oligarchi russi, riciclati o contesi in tribunale, la frase fa un certo effetto.
«I leader hanno deplorato i tentativi di Putin di militarizzare l’energia, e il Primo Ministro ha affermato che è fondamentale che il ricatto della Russia non abbia dissuaso l’Occidente dal garantire che Putin fallisca. Ha anche sottolineato l’importanza di garantire che il Regno Unito e i nostri alleati continuino a costruire l’indipendenza energetica», si legge nella dichiarazione del gabinetto della Trussa, la quale «ha elogiato la lotta degli ucraini per la sovranità e l’autodeterminazione e ha affermato che era essenziale che l’Ucraina avesse successo e la Russia fallisse».
Lo Zelens’kyj, da parte sua, ha scritto su Twitter: «Sono stato il primo tra i leader stranieri ad avere un colloquio con la neoeletta Primo Ministro britannico, Liz Truss. L’ho invitata in Ucraina. Ho ringraziato il popolo britannico per la sua leadership nel supporto militare ed economico dell’Ucraina».
Riattaccata la cornetta con il Churchill del XXI secolo, la seconda telefonata della neoincaricata premier di Albione è stata al presidente degli Stati Uniti Joe Biden, per assicurarsi della «relazione speciale» anglo-americana, in cui gli Stati Uniti continuano ad agire «come un battello da traino sulla scia della nave da guerra britannica».
«Il Primo Ministro non vedeva l’ora di lavorare a stretto contatto con il presidente Biden come leader delle democrazie libere per affrontare le sfide condivise, in particolare gli estremi problemi economici scatenati dalla guerra di Putin».
«Il Primo Ministro e il Presidente Biden hanno riflettuto sulla forza duratura della relazione speciale. Hanno convenuto che il partenariato tra i nostri paesi, rafforzato dai nostri valori condivisi, è stato fondamentale per difendere e promuovere la libertà e la democrazia nel mondo».
I due leader anglo «hanno convenuto di costruire su quei legami, anche promuovendo la nostra profonda alleanza di difesa attraverso la NATO e l’AUKUS. I leader hanno rafforzato il loro impegno a rafforzare la libertà globale, affrontando i rischi posti dalle autocrazie e assicurando che Putin fallisca in Ucraina».
Nel comunicato della Casa Bianca, Biden e Truss «hanno discusso dell’importanza di una stretta cooperazione continua sulle sfide globali, incluso il sostegno all’Ucraina mentre si difende dall’aggressione russa, affrontare le sfide poste dalla Cina, impedire all’Iran di acquisire un’arma nucleare e assicurarsi risorse energetiche sostenibili e convenienti».
Non è inesatto dire che, almeno in apparenza, Londra abbia spinto più di Washington per questa guerra.
È emerso di recente che il premier britannico Johnson avrebbe sabotato un accordo di pace tra Kiev e Mosca raggiunto già ad aprile.
Come riportato da Renovatio 21, i britannici stanno ora armando e adddestrando le forze ucraine all’uso delle armi occidentali «regalate» a Zelens’kyj. Secondo alcuni potrebbero essere britannici i missili che minacceranno obbiettivi russi come il nuovo ponte per la Crimea.
Johnson aveva proposto ai membri del G7 di quadruplicare le armi per gli ucraini, al contempo boicottando il petrolio russo – tutto questo mentre una spaventosa crisi energetico-economica si sta abbattendo sulla popolazione britannica, spingendo le donne alla prostituzione.
Downing Street non ha mai fatto mistero del suo incredibile fervore antirusso, col premier britannico in visita a Kiev e in Svezia e Finladia per allargare la NATO. Già prima dello scoppio della guerra le manovre contro Mosca da parte del Regno Unito erano evidenti a tutti: ne parlarono il presidente croato e l’ex ministro Esteri austriaco.
Johnson è arrivato perfino a dare «ordini» all’Italia: in una recentissima intervista con un quotidiano italiano, il biondiccio rubizzo quasi ex premier ha specificato che anche senza Draghi dovrà continuare la sua politica antirussa.
Come potrebbe sapere il lettore di Renovatio 21, la guerra di Londra contro la Russia risale di secoli, almeno dai tempi del cosiddetto Grande Gioco, la corsa al controllo del Centrasia nel XIX secolo, una guerra segreta fatta di spie ed intrighi che dall’India arrivavano fino in Afghanistan e oltre.
Quanto alla Truss, la rete si è scatenata per il fatto che la regina sia morta poche ore dopo averla incontrata, con frizzi e lazzi di ogni sorta, anche perché sono riemersi vari video di quando era studentessa ed avversava pubblicamente la monarchia, che voleva abolire.
Newly unelected UK Prime Minister Liz Truss about abolishing the British Monarchy. #QueenElizabeth pic.twitter.com/s00RR6RoCN
— Kim Dotcom (@KimDotcom) September 8, 2022
Il fatto che l’anziana aristocratica sia morta poco dopo aver incontrato la Truss, e nello stesso luogo, Balmoral, ha fatto commentare ironicamente qualcuno, storpiando il ritornello di QAnon, «Ha fatto fuori la regina. Truss the plan».
She took out the queen. Truss the plan https://t.co/UtmKq0G7uB
— Ali (@haramcart) September 8, 2022
Immagine di Ministry of Foreign Affairs of Ukraine via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
Geopolitica
Turchia, effigie di Netanyahu appesa a una gru: «pena di morte»
Un’effigie raffigurante il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è stata avvistata appesa a una gru edile nel Nord-Est della Turchia, suscitando forte indignazione in Israele.
Secondo la stampa turca, l’episodio si è verificato sabato in un cantiere nella città di Trebisonda, sul Mar Nero. L’iniziativa sarebbe stata organizzata da Kemal Saglam, docente di comunicazione visiva presso un’università locale. Saglam ha dichiarato ai media turchi che il gesto aveva un intento simbolico, volto a denunciare le violazioni dei diritti umani a Gaza.
Le immagini, diffuse viralmente e riportate anche dal quotidiano turco Yeni Safak, mostrano la figura sospesa alla gru, accompagnata da uno striscione con la scritta: «Pena di morte per Netanyahu».
Il ministero degli Esteri israeliano, tramite un post su X, ha condiviso un video dell’incidente, accusando un accademico turco di aver creato l’effigie «con il fiero sostegno di un’azienda statale». Il ministero ha condannato l’atto, sottolineando che «le autorità turche non hanno denunciato questo comportamento scandaloso».
Turkish academic creates model of hanged 🇮🇱PM Netanyahu, with a “Death Penalty” sign. Proudly aided by a state company.
Turkish authorities have not disavowed this disgraceful behavior.
In Erdoğan’s Turkey, hatred & antisemitism isn’t condemned. It’s celebrated. pic.twitter.com/19MALpzEEW
— Israel Foreign Ministry (@IsraelMFA) October 26, 2025
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Le autorità turche non hanno ancora fornito una risposta ufficiale.
I rapporti diplomatici tra Israele e Turchia sono tesi da anni e si sono ulteriormente deteriorati dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023. Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha accusato Netanyahu di aver commesso un «genocidio» a Gaza.
La Turchia, unendosi agli altri Paesi che hanno portato il caso al tribunale dell’Aia, ha accusato Israele di aver commesso un genocidio a Gaza. Il presidente Recep Tayyip Erdogan in precedenza aveva definito il primo ministro Benjamin Netanyahu «il macellaio di Gaza», suggerendo a un certo punto – in una reductio ad Hitlerum che è andata in crescendo, con contagio internazionale – che la portata dei suoi crimini di guerra superasse quelli commessi dal cancelliere della Germania nazionalsocialista Adolfo Hitlerro.
Nel 2023 la Turchia ha richiamato il suo ambasciatore da Israele e nel 2024 ha interrotto tutti i rapporti diplomatici. Mesi fa Ankara aveva dichiarato che Israele costituisce una «minaccia per la pace in Siria». Erdogan ha più volte chiesto un’alleanza dei Paesi islamici contro Israele.
Come riportato da Renovatio 21, i turchi hanno guidato gli sforzi per far sospendere Israele all’Assemblea generale ONU. L’anno scorso il presidente turco aveva dichiarato che le Nazioni Unite dovrebbero consentire l’uso della forza contro lo Stato degli ebrei.
Un anno fa Erdogan aveva ventilato l’ipotesi che la Turchia potesse invadere Israele.
La Turchia ha avuto un ruolo attivo nei recenti negoziati per il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi, con diversi rapporti che indicano come l’influenza di Ankara su Hamas abbia facilitato il rilascio degli ostaggi nell’ambito del piano in 20 punti del presidente statunitense Donald Trump.
Venerdì, Erdogan ha dichiarato alla stampa che gli Stati Uniti dovrebbero intensificare le pressioni su Israele, anche attraverso sanzioni e divieti sulla vendita di armi, per garantire il rispetto degli impegni presi nel piano di Trump.
Domenica, Netanyahu ha annunciato che Israele deciderà quali forze straniere potranno partecipare alla missione internazionale proposta per Gaza, prevista dal piano di Trump per garantire il cessate il fuoco. La settimana precedente, aveva lasciato intendere che si sarebbe opposto a qualsiasi coinvolgimento delle forze di sicurezza turche a Gaza.
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Immagine screenshot da Twitter; modificata
Droga
Trump punta ad attaccare le «strutture della cocaina» in Venezuela
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Geopolitica
Thailandia e Cambogia firmano alla Casa Bianca un accordo di cessate il fuoco
Cambogia e Thailandia hanno siglato un accordo di cessate il fuoco ampliato per porre fine a un violento conflitto di confine scoppiato a inizio anno. La cerimonia di firma, tenutasi domenica, è stata presieduta dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che aveva mediato la tregua iniziale.
Le tensioni storiche tra i due Paesi del Sud-est asiatico, originate da dispute territoriali di epoca coloniale, sono esplose a luglio con cinque giorni di scontri armati, che hanno spinto centinaia di migliaia di persone a fuggire dalla zona di confine. Un incontro ospitato dalla Malesia aveva portato a una prima tregua, segnando l’inizio della de-escalation.
Trump ha dichiarato di aver sfruttato i negoziati commerciali con entrambi i paesi per favorire una riduzione delle tensioni.
HISTORIC PEACE BETWEEN THAILAND & CAMBODIA.
President Trump and Malaysia’s Prime Minister Anwar Ibrahim hosted the Prime Ministers of Thailand and Cambodia for the signing of the ‘Kuala Lumpur Peace Accords’—a historic peace declaration. pic.twitter.com/BZRJ2b2KLY
— The White House (@WhiteHouse) October 26, 2025
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Durante il 47° vertice dell’ASEAN in Malesia, il primo ministro cambogiano Hun Manet e il primo ministro thailandese Anutin Charnvirakul hanno firmato l’accordo, che amplia la tregua di luglio.
Il documento stabilisce un piano per ridurre le tensioni e assicurare una pace stabile al confine, prevedendo il rilascio di 18 soldati cambogiani prigionieri da parte della Thailandia, il ritiro delle armi pesanti, l’avvio di operazioni di sminamento e il contrasto alle attività illegali transfrontaliere.
Dopo la firma, il primo ministro thailandese ha annunciato l’immediato ritiro delle armi dal confine e il rilascio dei prigionieri di guerra cambogiani, insieme a un’intesa commerciale congiunta. Il primo ministro cambogiano ha lodato l’accordo, impegnandosi a rispettarlo e ringraziando Trump per il suo ruolo, proponendolo come candidato al Premio Nobel per la Pace del prossimo anno.
Trump ha definito l’accordo «monumentale» e «storico», sottolineando il suo contributo e descrivendo la mediazione di pace come «quasi un hobby». Dopo la cerimonia, ha firmato un accordo commerciale con la Cambogia e un importante patto minerario con la Thailandia.
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