Alimentazione
La fine del cibo a basso prezzo
Non ci sono solo le bollette del gas e dell’elettricità ad aumentare mostruosamente nell’ora presente.
Anche il prezzo del carburante più fondamentale, la «benzina biologica», la sostanza che permette agli esseri viventi di produrre energia e di sopravvivere, sta per alzarsi a livelli che mai avevamo veduto.
Il cibo è la vera risorsa senza la quale l’intera civiltà crolla – perché senza di esso la vita, umana e non, non è possibile.
Sono oramai tanti gli indicatori che, come avviene per gas, luce e diesel, anche il cibo passerà dall’essere una materia a basso prezzo, sostanzialmente garantita dagli Stati alla popolazione, all’essere un oggetto caro e magari di difficile reperibilità.
«Abbiamo dimenticato che le città un tempo raccoglievano gran parte del cibo consumato dai residenti entro i confini della città» scrive il blog OfTwoMinds. «Piccoli appezzamenti di terreno, giardini pensili, pollai da cortile, etc. possono aumentare quando sono incoraggiati piuttosto che scoraggiati».
«Cominciamo da quanto la stragrande maggioranza di noi sia disconnessa dalla produzione del cibo economico che diamo per scontato. Molte persone non sanno praticamente nulla di come il cibo viene coltivato, allevato, raccolto/macellato, lavorato e confezionato».
In pratica, l’uomo moderno non ha idea della filiera che sta dietro alla sua stessa alimentazione.
L’agricoltura industriale moderna avviene su lunghe, lunghissime distanze, e richiede energia (il diesel per le macchine agricole), acqua (l’irrigazione diviene impossibile con la siccità), abbondanza di sostanze chimiche complesse (fertilizzanti), talvolta perfino ingegneria genetica (le sementi OGM), più la disponibilità della forza muscolare di ore uomo – che stanno, lo sappiamo, venendo sostituiti anche qui dai robot.
La filiera, quindi, non solo è complessa: è molto fragile.
«La maggior parte delle persone presume che ci sarà sempre un’abbondanza di cereali (riso, grano, mais) senza rendersi conto che la stragrande maggioranza dei cereali proviene da una manciata di luoghi con le giuste condizioni per l’agricoltura industriale. Se qualcuno di questi pochi luoghi dovesse subire un cambiamento climatico irregolare, le esportazioni di cereali si ridurranno drasticamente».
All’uomo moderno forse bisogna spiegare anche che, in assenza di cereali, non può mettersi a mangiare carne, perché «una volta che i cereali a buon mercato sono spariti, anche la carne a buon mercato sparisce, perché la maggior parte della carne dipende dall’alimentazione dei cereali».
Senza mais e soia, coltivati in quantità industriali, non c’è mangime per gli animali. Quindi, niente carne e niente latte.
Il prezzo della carne è dovuto alla sua produzione quantitativa, ottenuta industrialmente.
«L’agricoltura industriale funziona solo a vaste economie e scala e tassi di utilizzo elevati. Il sacco da quattro chili e mezzo di cosce di pollo costa solo 25 dollari perché decine di milioni di polli vengono allevati in condizioni di fabbrica accuratamente progettate e macellati / puliti su scala industriale».
Concetti davvero basilari, a cui però non si pensa mai, convinti che l’«era dell’abbondanza» sarebbe durata per sempre – invece ora abbiamo visto il presidente di una potenza industriale e nucleare dichiararla chiusa per sempre.
Altro pensiero: senza le proteine animali, dobbiamo scordarci la crescita dei nostri figli così come siamo oramai abituati ad aspettarcela. La strana mancanza alle Olimpiadi di atleti indiani, cioè proveniente da un Paese di più di un miliardo di abitanti ma dove in massima parte non si consuma carne, dovrebbe farci pensare.
Alcuni sostengono che l’agricoltura industriale impoverisca il suolo irrimediabilmente, compromettendo pure le falde acquifere. Se ciò fosse vero, l’agricoltura in sé diverrà sempre meno praticabile.
«Man mano che l’agricoltura industriale decade, il cibo diventerà molto più costoso: anche se raddoppia, è comunque economico rispetto a quello che potrebbe costare in futuro» scrive Charles Hugh Smith.
Il cibo ad oggi è un bene di fatto sostenuto, almeno in Occidente, dai governi, che assegnano particolari sgravi fiscali ai coltivatori. Di fatto, è come se gli Stati finanziassero la produzione alimentare, et pour cause: senza di essa, lo Stato non può vivere, perché muoiono, dopo essere divenuti incontrollabilmente violenti, i suoi cittadini.
Tutto questo può cambiare: lo Stato moderno è lo stato della Necrocultura, quindi votato alla morte dei suoi cittadini. Aborto, eutanasia, predazione degli organi sono solo le facce più evidenti.
Una forza con potere globale sta spingendo non più la crescita, ma la contrazione: gli ESG, l’agenda verde, l’economia «sostenibile», che altro non sono che la decrescita pura e semplice, ce lo ricordano.
La contrazione dell’economia è giocoforza contrazione dell’umanità. Come ripetutoci nei decenni, ecco la soluzione alla prospettiva della «bomba demografica», una balla infame che mai si è avverata, ma i suoi propalatori oggi godono di più credito che mai, e vengono pure invitati in Vaticano dal papa della spazzatura differenziata.
È a questo punto ovvio che il prezzo del cibo sarà una delle leve che i Signori della Morte utilizzeranno per farci del Male.
A tutti, a noi stessi in primis, ricordiamo cosa dovremmo cominciare a fare: se possibile, trovarsi un piccolo orto, cominciare ad imparare a come farlo vivere. Anche un piccolo pezzo di terra può dare molto, può permetterci di difenderci dall’angoscia di quando il costo dell’alimentazione diventerà una minaccia diretta alla nostra vita e a quella dei nostri figli.
La crisi alimentare è già sotto i nostri occhi. Lo abbiamo visto in Sri Lanka, Paese che aveva seguito in modo obbediente i diktat di Davos, che ci aveva provato poco prima anche con il colosso indiano.
Come sa il lettore di Renovatio 21, la cabala mondialista da anni lavora per impadronirsi dell’alimentazione umana. Quel che sta accadendo in Ucraina riguarda anche il nostro cibo.
Cibo che, molto casualmente, è un nuovo obiettivo di investimento, dopo essere divenuto il primo proprietario terriero USA, di Bill Gates…
Il Grande Reset alimentare sta arrivando.
Alimentazione
Un leader agricolo messicano assassinato in seguito allo sciopero nazionale
Bernardo Bravo Manríquez, presidente della principale associazione di agrumicoltori di Michoacán e membro del Fronte Nazionale per il Salvataggio della Campagna Messicana (FNRCM), il gruppo agricolo più attivo del Messico, è stato assassinato la mattina del 20 ottobre.
Bravo, alla guida degli Agrumicoltori della Valle di Apatzingán, aveva partecipato allo sciopero nazionale degli agricoltori del 14 ottobre, organizzato con successo dal FNRCM per sollecitare il governo a introdurre politiche a sostegno dell’agricoltura nazionale, minacciata da speculatori finanziari internazionali e dai loro cartelli.
Gli agrumicoltori avevano guadagnato l’attenzione nazionale gettando in strada circa due tonnellate di lime di alta qualità durante lo sciopero, permettendo alla gente di raccoglierli, per evidenziare che il prezzo pagato ai produttori per ogni chilo di lime è nettamente inferiore al costo di produzione.
Secondo Aristegui News, l’associazione di Bravo ha spiegato la partecipazione allo sciopero con la richiesta di istituire una banca per lo sviluppo agricolo con crediti agevolati e tassi bassi, per rilanciare le campagne. I coltivatori di lime hanno anche proposto concessioni idriche, protezione della filiera produttiva e prezzi equi.
Gli agricoltori hanno chiarito ai legislatori di non volere sussidi, ma misure per affrontare «le cause strutturali» della crisi che colpisce il settore, chiedendo «un solido quadro giuridico che ci protegga da speculazioni e abusi». L’articolo ha inoltre riportato che Bravo, come leader del settore, aveva denunciato estorsioni da parte di gruppi criminali organizzati e l’assenza di sicurezza per i coltivatori di lime.
A febbraio, Bravo aveva segnalato di aver ricevuto minacce, annunciando la chiusura degli uffici amministrativi della sua azienda. Nella dichiarazione rilasciata il giorno del suo assassinio, il FNRCM ha chiesto al governo di indagare sull’omicidio, ma ha anche criticato «l’indifferenza» del governo alle richieste di dialogo, che crea «condizioni di vulnerabilità per i produttori». La dichiarazione ha evidenziato l’esclusione, da parte del Segretario dell’Agricoltura Julio Berdegué, di due leader del FNRCM, Baltazar Valdez Armentía di Sinaloa e Yako Rodríguez di Chihuahua, da un incontro del 17 ottobre con i leader agricoli, nonostante l’approvazione del Ministero del Governo.
Il FNRCM ha avvertito che il governo dovrebbe collaborare con il movimento per «costruire un’alleanza con lo Stato per salvare le campagne e l’economia nazionale». Ha inoltre denunciato le pressioni del governo statunitense e delle sue entità, che cercano di «aggravare la polarizzazione sociale e l’ingovernabilità per giustificare interventi». In questo contesto, il governo non dovrebbe adottare «gesti divisivi e discriminatori contro i produttori nazionali», ha concluso il FNRCM.
È noto che i cartelli della droga abbiano anche interessi agricoli, soprattutto nel campo dell’avocado, frutto divenuto particolarmente popolare negli USA con le ultime generazioni per le sue proprietà nutritizie.
Alimentazione
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Alimentazione
Un terzo dei Paesi è afflitto da prezzi alimentari «anormalmente alti»: rischio di disordini sociali
L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) lancia l’allarme: i prezzi dei prodotti alimentari restano eccezionalmente elevati in tutto il mondo, e in molti Paesi sono aumentati fino a cinque volte rispetto ai livelli medi del decennio scorso. Un’escalation che, secondo l’agenzia delle Nazioni Unite, rischia di alimentare nuovi disordini sociali, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo o politicamente instabili.
«Le condizioni attuali ricordano i periodi che hanno preceduto la Primavera Araba e la crisi alimentare del 2007-2008», si legge nel rapporto diffuso in questi giorni. E il messaggio è chiaro: le turbolenze globali, legate alla sicurezza alimentare, «sono tutt’altro che finite».
Un’analisi di BloombergNEF, basata sui dati FAO, evidenzia come il quadro sia il risultato di una combinazione di fattori: eventi meteorologici estremi, tensioni geopolitiche e politiche monetarie espansive. L’aumento dei prezzi di gasolio e benzina – spinti anche dai conflitti in corso e dalle restrizioni commerciali – ha fatto lievitare i costi di produzione e di trasporto dei beni agricoli.
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A questo si aggiunge il fattore monetario: l’eccessiva stampa di denaro da parte di molte economie avanzate ed emergenti durante e dopo la pandemia ha rappresentato, secondo gli analisti, il principale motore dell’inflazione globale.
Secondo la FAO, nel 2023 il 50% dei Paesi del Nord America e dell’Europa ha registrato prezzi alimentari «anormalmente elevati» rispetto alla media del periodo 2015-2019. L’organizzazione definisce «anormale» un livello di prezzo superiore di almeno una deviazione standard rispetto alla media storica per ciascuna merce e regione, spiega Bloomberg.
La tendenza, tuttavia, non riguarda solo l’Occidente: anche in Asia, Africa e America Latina l’impennata dei prezzi sta riducendo l’accesso ai beni di prima necessità, colpendo le fasce più vulnerabili della popolazione.
La FAO richiama nel suo rapporto due momenti emblematici della storia recente che mostrano il legame diretto tra caro-viveri e instabilità politica.
Un esempio è la cosiddetta «Primavera araba» (2010-2011): il forte aumento dei prezzi del grano e del pane, dovuto alla siccità e ai divieti di esportazione imposti dalla Russia, contribuì a scatenare proteste in Tunisia, Egitto, Libia e Siria. L’inflazione alimentare fu un fattore chiave, che si sommò al malcontento politico e sociale.
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Un ulteriore caso è quello della crisi alimentare del 2007-2008: in quel periodo, i picchi dei prezzi globali dei cereali provocarono rivolte in oltre 30 Paesi, tra cui Haiti, Bangladesh, Egitto e Mozambico, dove i beni di prima necessità divennero inaccessibili per ampie fasce della popolazione.
Gli analisti concordano sul fatto che quando «l’inflazione alimentare supera la crescita del reddito», si innesca una spirale pericolosa che può condurre a crisi sociali e politiche.
Con l’aumento dei costi dei beni di base e la perdita di potere d’acquisto, cresce la pressione sui governi, già provati da crisi energetiche, conflitti regionali e tensioni valutarie.
In breve, il mondo potrebbe trovarsi di fronte a «una nuova stagione di rivolte per il pane».
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