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La Cina ordina il nuovo vescovo di Shanghai. Silenzio del Vaticano

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Renovatio 21 pubblica la somma di due due articoli  su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

 

Mons. Shen Bin è il nuovo vescovo di Shanghai. Come anticipato da AsiaNews, la cerimonia d’insediamento è avvenuta oggi. La lettera di nomina è del Consiglio dei vescovi cinesi, di cui mons. Shen è il capo. L’organismo non è riconosciuto dalla Santa Sede ed è strettamente sottomesso al Partito comunista cinese (PCC).

 

Dall’origine dell’investitura emerge che l’Associazione patriottica (ufficiale) cinese non abbia concordato la scelta con il Vaticano.

 

Fonti vaticane hanno riferito ad AsiaNews che la nomina è «unilaterale», non avendo l’approvazione papale. Una conferma indiretta arriva anche dai fedeli cattolici in Cina, che hanno espresso tristezza per l’investitura, arrivata a loro dire senza il mandato del papa: un motivo di grande turbamento per la comunità cattolica di Shanghai.

 

In base all’accordo sino-vaticano del 2018, rinnovato poi nell’ottobre 2020 e 2022, la scelta dei nuovi vescovi cinesi dovrebbe essere condivisa da Santa Sede e autorità di Pechino.

 

A novembre il Vaticano aveva denunciato la violazione dell’intesa da parte delle autorità cinesi con la nomina di mons. Giovanni Peng Weizhao come vescovo ausiliare della diocesi di Jiangxi. Ora si apre anche la questione della diocesi di Haimen (Jiangsu), di cui mons. Shen era il pastore – una ordinazione arrivata con riconoscimento papale nel 2010.

 

Come circolato sul sito cinese di messaggistica WeChat, mons. Shen ha dichiarato oggi che continuerà a portare avanti la tradizione di «patriottismo e amore» per la Chiesa a Shanghai. In un forte richiamo ai dettami del Partito, egli ha sottolineato che aderirà al principio di indipendenza e auto-amministrazione, e si atterrà agli sforzi di «sinicizzazione» del cattolicesimo in Cina.

 

Fedeli cinesi hanno affermato che mons. Shen non è amato a Shanghai. Alcuni lo accusano di aver chiesto una grossa donazione in denaro quando ha ordinato dei sacerdoti nella diocesi. Il fatto risale al giugno 2021: gli ordinandi erano cinque, ma il governo ne aveva bocciato uno (un diacono).

 

Nei fatti la sede vescovile di Shanghai era vacante da 10 anni. Il vescovo riconosciuto da Vaticano e governo, mons. Ma Daqin, è agli arresti domiciliari nel seminario di Sheshan per aver osato dimettersi dall’Associazione patriottica subito dopo l’ordinazione episcopale. Sebbene in seguito egli sia ritornato nell’organismo dipendente dal Pcc, il governo non lo ha voluto riconoscere come vescovo della diocesi.

 

L’Accordo tra Cina e Vaticano non solo non ha fermato la persecuzione nei confronti degli esponenti cattolici, soprattutto di quelli non ufficiali (sotterranei), ma non sembra dare neanche garanzie sul fronte della scelta dei vescovi.

 

Secondo alcuni analisti, il Vaticano avrebbe voluto mons. Giuseppe Xing Wenzhi alla guida della diocesi di Shanghai. Prima della nomina di mons. Ma, egli era vescovo ausiliare, ma nel 2012 ha dato le dimissioni per ragioni ancora da chiarire.

 

La Santa Sede era stata informata pochi giorni fa della decisione delle autorità cinesi di trasferire mons. Shen Bin, vescovo di Haimen, nella diocesi Shanghai e ha appreso dai media dell’avvenuto insediamento di questa mattina. Interpellato da AsiaNews, il direttore della Sala stampa vaticana Matteo Bruni ha risposto così oggi alla richiesta di chiarimenti in merito alla vicenda, spiegando che al momento non vi sono dichiarazioni riguardo alla valutazione dell’accaduto.

 

La scelta unilaterale di oggi – che segue di pochi mesi la crisi sulla nomina di mons. Giovanni Peng Weizhao come vescovo ausiliare della diocesi di Jiangxi – colpisce per il peso del passo compiuto da Pechino a pochi giorni dalla Pasqua.

 

La sede episcopale di Shanghai, infatti, non è solo la Chiesa locale di una delle più grandi metropoli della Cina, ma anche un luogo fondamentale per la storia e per la vita presente della comunità cattolica cinese. È una comunità vitale, che conta circa 150mila fedeli, una quarantina di parrocchie, tante attività promosse dai cattolici locali.

 

Le sue origini risalgono direttamente a Paolo Xu Guangqi, mandarino della corte dei Ming e discepolo di Matteo Ricci, considerato il primo cristiano della città. Fu lui nel 1608 ad invitare a predicare il gesuita Lazzaro Cattaneo, che si fermò due anni. E la prima chiesa sorse su terreni della sua famiglia nel quartiere che si chiama Xujiahui proprio in suo nome e dove sorge la stessa cattedrale di Sant’Ignazio dove è avvenuto questa mattina l’insediamento.

 

Shanghai fu anche la sede dell’evento più importante della storia del cattolicesimo cinese del primo Novecento: il Concilio plenario della Chiesa cinese convocato nel 1924 dall’allora delegato apostolico, mons. Celso Costantini. Un momento cruciale per la riflessione della Chiesa sull’inculturazione del cristianesimo in Cina.

 

Poi venne la tempesta della Rivoluzione comunista e Shanghai fu il luogo delle catene per mons. Ignazio Kung Pin-mei, il primo arcivescovo cinese su questa cattedra, che fu arrestato dalle autorità comuniste l’8 settembre 1955 per essere poi rilasciato solo dopo oltre 30 anni di carcere, prima dell’esilio negli Stati Uniti dove è morto nel 2000. Già durante la sua prigionia, nel suo primo concistoro del 1979, Giovanni Paolo II lo aveva creato cardinale «in pectore» come segno di vicinanza alla Chiesa in Cina e rendendo nota poi la sua nomina solo nel 1991.

 

Nel frattempo a Shanghai – passata anche la Rivoluzione culturale – gli organismi «ufficiali» cattolici fedeli al partito avevano nominato autonomamente vescovo il gesuita p. Aloysius Jin Luxian, che solo nel 2005 sarebbe poi tornato in comunione con il papa.

 

Scomparso nel 2013 a 97 anni, per dieci anni questa fondamentale sede episcopale è rimasta vacante per via del clamoroso gesto del successore designato, mons. Taddeo Ma Daqin, che nel 2012 – all’ordinazione episcopale avvenuta con il mandato del papa – aveva annunciato la sua intenzione di non aderire all’Associazione patriottica.

 

Prima di lui nel 2011 anche l’altro vescovo ausiliare «ufficiale» – mons. Giuseppe Wenzhi Xing oggi sessantenne – era stato fatto dimettere per ragioni mai chiarite.

 

Dal 2012 mons. Ma Daqin si trova di fatto recluso nel seminario attiguo al santuario mariano di Nostra Signora di Sheshan, il cuore della devozione dei cattolici di Shanghai e di tutta la Cina.

 

Quello stesso santuario a cui Benedetto XVI nel 2007 nella sua Lettera ai cattolici cinesi invitava i cattolici di tutto il mondo a guardare con l’istituzione della Giornata mondiale di preghiera per la Chiesa in Cina, che si celebra ogni anno il 24 maggio.

 

 

 

 

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Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

 

 

Immagine da AsiaNews.

 

 

 

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Cina

La Casa Bianca annuncia l’incontro Trump-Xi

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump incontrerà il presidente cinese Xi Jinping la prossima settimana durante un viaggio in Asia, ha dichiarato giovedì la portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt.

 

Trump si recherà in Malesia e Corea del Sud, dove incontrerà Xi Jinping giovedì prossimo a margine del Vertice di Cooperazione Economica Asia-Pacifico (APEC). Leavitt non ha fornito ulteriori dettagli sull’incontro.

 

L’annuncio giunge in un contesto di crescenti tensioni commerciali tra i due Paesi. La settimana scorsa, Trump ha minacciato di introdurre un ulteriore dazio del 100% sui prodotti cinesi a partire da novembre.

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Questa escalation segue la decisione di Pechino di imporre restrizioni più severe sulle esportazioni di terre rare, nonostante avesse precedentemente definito «insostenibili» le tariffe elevate. La nuova politica cinese non colpisce direttamente gli Stati Uniti, ma le aziende tecnologiche americane dipendono fortemente dalle forniture cinesi di terre rare.

 

Sebbene Trump avesse annunciato settimane fa l’intenzione di incontrare Xi al vertice APEC, non aveva specificato la data. Tuttavia, aveva anche accennato alla possibilità di cancellare l’incontro, a causa del disappunto per le restrizioni cinesi sull’export di minerali di terre rare.

 

Mercoledì, il presidente statunitense ha dichiarato che i due leader avrebbero discusso di temi che spaziano dal commercio all’energia nucleare, aggiungendo che intende affrontare anche la questione degli acquisti di petrolio russo da parte della Cina.

 

L’incontro in Corea del Sud sarà il primo faccia a faccia tra i due leader da quando Trump è tornato al potere a gennaio. I due si sono parlati almeno tre volte quest’anno, ma l’ultimo incontro di persona risale al 2019, durante il primo mandato di Trump.

 

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

 

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Cina

La Cina accusa gli Stati Uniti di un grave attacco informatico

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La Cina ha accusato la National Security Agency (NSA) degli Stati Uniti di aver condotto un «significativo» attacco informatico protrattosi per anni contro l’ente cinese incaricato di gestire l’orario nazionale ufficiale.   In un comunicato diffuso domenica sul suo account social ufficiale, il Ministero della Sicurezza dello Stato (MSS) ha dichiarato di aver acquisito «prove inconfutabili» dell’infiltrazione della NSA nel National Time Service Center. L’operazione segreta sarebbe iniziata nel marzo 2022, con l’obiettivo di sottrarre segreti di Stato e compiere atti di sabotaggio informatico.   Il centro rappresenta l’autorità ufficiale cinese per l’orario, fornendo e trasmettendo l’ora di Pechino a settori cruciali come finanza, energia, trasporti e difesa. Secondo l’MSS, un’interruzione di questa infrastruttura fondamentale avrebbe potuto provocare «instabilità diffusa» nei mercati finanziari, nella logistica e nell’approvvigionamento energetico.

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L’MSS ha riferito che la NSA avrebbe inizialmente sfruttato una vulnerabilità (exploit) nei telefoni cellulari di fabbricazione straniera utilizzati da alcuni membri del personale del centro, accedendo così a dati sensibili.   Nell’aprile 2023, l’agenzia avrebbe iniziato a utilizzare password rubate per penetrare nei sistemi informatici della struttura, un’operazione che avrebbe raggiunto il culmine tra agosto 2023 e giugno 2024.   Il ministero ha dichiarato che gli intrusi hanno impiegato 42 diversi strumenti informatici nella loro operazione segreta, utilizzando server privati virtuali con sede negli Stati Uniti, in Europa e in Asia per nascondere la loro provenienza.   L’MSS ha accusato gli Stati Uniti di «perseguire in modo aggressivo l’egemonia informatica» e di «violare ripetutamente le norme internazionali che regolano il cyberspazio».   Le agenzie di intelligence americane «hanno agito in modo sconsiderato, conducendo incessantemente attacchi informatici contro la Cina, il Sud-est asiatico, l’Europa e il Sud America», ha aggiunto il ministero.   Negli ultimi anni, Pechino e Washington si sono scambiate accuse reciproche di violazioni e operazioni di hacking segrete. Queste tensioni si inseriscono in un più ampio contesto di scontro tra le due potenze, che include anche una guerra commerciale.   All’inizio di gennaio, il Washington Post aveva riportato che, il mese precedente, hacker cinesi avrebbero preso di mira l’Office of Foreign Assets Control (OFAC) del dipartimento del Tesoro statunitense. All’epoca, Mao Ning, portavoce del ministero degli Esteri cinese, aveva definito tali accuse «infondate».   Come riportato, ad inizio anno le agenzie federali USA accusarono hacker del Dragone di aver colpito almeno 70 Paesi. Due anni fa era stata la Nuova Zelanda ad accusare hackerri di Pechino di aver penetrato il sistema informatico del Parlamento di Wellington.

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Le attività dell’hacking internazionale da parte di gruppi cinesi hanno negli ultimi anni raggiunto le cronache varie volte. A maggio 2021 si è saputo che la Cina ha spiato per anni i progetti di un jet militare USA, grazie a operazioni informatiche mirate.   Come riportato da Renovatio 21, a ottobre 2023 si è scoperto che hackers cinesi hanno rubato dati da un’azienda biotech americana, colpendo il settore della ricerca.   A febbraio 2022, allo scoppio del conflitto ucraino, Microsoft ha rilevato un malware «wiper» diretto a Kiev, con sospetti di coinvolgimento cinese.   Come riportato da Renovatio 21, a gennaio 2023 un attacco cibernetico cinese ha colpito università sudcoreane. Due anni fa vi fu inoltre un attacco cibernetico a Guam, isola del Pacifico che ospita una grande base USA. Analisti dissero che poteva essere un test per il vero obbiettivo, cioè lo scontro con Taiwan.

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Cina

La Cina espelle 9 generali di alto rango, tra cui due dirigenti del Partito Comunista, in una purga radicale

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In una delle più significative operazioni di epurazione degli ultimi decenni, il presidente cinese Xi Jinping ha avviato una nuova ondata di licenziamenti ai vertici delle forze armate. Il Partito Comunista Cinese (PCC) ha infatti espulso nove generali di alto rango, in quella che gli analisti definiscono una mossa dettata non solo da motivazioni disciplinari, ma anche da logiche di lealtà politica.

 

Secondo una dichiarazione del ministero della Difesa pechinese, i nove ufficiali sarebbero sotto inchiesta per «grave illecito finanziario». A rendere il caso ancora più insolito è il fatto che la maggior parte di loro erano generali a tre stelle e membri del potente Comitato Centrale del Partito.

 

Non si è trattato di semplici retrocessioni: la maggior parte dei militari è stata completamente espulsa dalle forze armate. Nella nota ufficiale, il ministero ha accusato i generali di aver «gravemente violato la disciplina di partito» e di essere «sospettati di gravi reati connessi al servizio, che coinvolgevano una quantità di denaro estremamente elevata, di natura estremamente grave e con conseguenze estremamente dannose».

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Le autorità cinesi hanno sottolineato che gli ufficiali «saranno puniti legalmente e militarmente» a seguito dell’indagine, definita «un risultato significativo nella campagna anticorruzione del partito e dell’esercito».

 

La figura più illustre tra gli epurati è il generale He Weidong, fino a poco tempo fa vicepresidente della Commissione Militare Centrale (CMC) e membro del Politburo, l’élite di 24 dirigenti che guidano il Paese. He era considerato il secondo uomo più potente dell’apparato militare dopo Xi Jinping stesso, che presiede la CMC.

 

Negli ultimi mesi si erano diffuse voci secondo cui il generale He si fosse scontrato con Xi e con la leadership del Partito. Da marzo, infatti, non era più apparso in pubblico, circostanza che aveva alimentato le speculazioni su una possibile inchiesta interna.

 

Secondo il Wall Street Journal «il generale He è l’ufficiale militare in servizio attivo più anziano che Xi abbia mai epurato, e il primo vicepresidente in carica della Commissione Militare Centrale a essere estromesso in quasi quarant’anni». Il quotidiano statunitense ricorda inoltre che il 68enne He è «il primo membro in carica del Politburo a essere indagato dal 2017».

 

L’ultima volta che la Cina aveva assistito a un’epurazione di vertici militari di simile livello risale a circa un decennio fa, quando furono espulsi due vicepresidenti in pensione della CMC per corruzione, durante il primo mandato di Xi Jinping.

 

Segnali di una possibile purga erano già emersi a luglio, quando la Commissione Militare Centrale aveva emanato nuove linee guida che invitavano a eliminare «l’influenza tossica» nelle forze armate e a seguire «regole ferree» per gli ufficiali di alto grado.

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I nove ufficiali epurati sono He Weidong (vicepresidente della Commissione Militare Centrale, CMC); Miao Hua (direttore del dipartimento di Lavoro Politico del CMCM), He Hongjun (vicedirettore esecutivo del Dipartimento di Lavoro Politico del CMC); Wang Xiubin (vicedirettore esecutivo del Centro di Comando delle Operazioni Congiunte del CMC; Lin Xiangyang (comandante del Teatro Orientale); Qin Shutong (commissario politico dell’Esercito); Yuan Huazhi (commissario politico della Marina); Wang Houbin (Comandante delle Forze Missilistiche); Wang Chunning (comandante della Forza di Polizia Armata).

 

Secondo osservatori interni, potrebbero esserci ulteriori epurazioni nelle prossime settimane. I licenziamenti, infatti, sono stati annunciati alla vigilia del conclave annuale a porte chiuse del Comitato Centrale del Partito Comunista, in programma dal 20 al 23 ottobre a Pechino, durante il quale si discuterà il prossimo piano quinquennale.

 

Wen-Ti Sung, analista del Global China Hub dell’Atlantic Council, ha commentato la notizia ai media statunitensi affermando: «Xi sta sicuramente facendo pulizia. La rimozione formale di He e Miao significa che potrà nominare nuovi membri della Commissione Militare Centrale, che è rimasta praticamente mezza vuota da marzo, durante il Plenum».

 

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Immagine di China News Service via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported

 

 

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