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Geopolitica

La Cina ha fornito supporto alla difesa aerea del Pakistan durante lo scontro con l’India

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La Cina ha fornito al Pakistan supporto satellitare e di difesa aerea durante il recente scontro militare con l’India. Lo riporta Bloomberg citando un think tank affiliato al Ministero della Difesa indiano.

 

Secondo il rapporto, Ashok Kumar, direttore generale del Centre for Joint Warfare Studies di Nuova Delhi, ha affermato che la Cina ha aiutato il Pakistan a riorganizzare i suoi sistemi radar e di difesa aerea, consentendo loro di rilevare in modo più efficace lo schieramento di truppe e armamenti indiani.

 

«Ciò li ha aiutati a ridispiegare il loro radar di difesa aerea in modo che tutte le nostre azioni dalla rotta aerea fossero a loro note», ha detto Kumar a Bloomberg.

 

 

Secondo il rapporto, gli aiuti indicano un coinvolgimento più diretto di Pechino rispetto a quanto inizialmente rivelato. Il think tank ha aggiunto che la Cina ha anche fornito assistenza al Pakistan per l’adeguamento della sua copertura satellitare sull’India durante il periodo di 15 giorni tra gli attacchi terroristici del 22 aprile nel Territorio dell’Unione indiana del Jammu e Kashmir e gli attacchi dell’India contro presunte strutture terroristiche nel territorio controllato dal Pakistan il 7 maggio.

 

La Cina, che ha invitato i paesi dell’Asia meridionale a ridurre l’escalation durante il conflitto durato quattro giorni, ha tradizionalmente intrattenuto stretti rapporti di difesa con il Pakistan.

 

Secondo quanto riportato dall’emittente statale Radio Pakistan, lunedì il ministro degli Esteri pakistano Ishaq Dar è partito per una visita ufficiale di tre giorni in Cina su invito del ministro degli Esteri cinese Wang Yi.

 

 

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Dar avvierà colloqui approfonditi con la sua controparte cinese, concentrandosi sulle mutevoli dinamiche regionali nell’Asia meridionale e sul loro potenziale impatto sulla pace e la stabilità, si legge nel rapporto. Inoltre, le due nazioni condurranno un’analisi approfondita delle loro relazioni.

 

Secondo alcune fonti, il Pakistan ha ammesso di aver utilizzato armi cinesi nel recente scontro. Tuttavia, Nuova Delhi non ha commentato pubblicamente il presunto coinvolgimento di Pechino nello scontro, conclusosi con un cessate il fuoco l’11 maggio.

 

La Cina ha condannato l’attacco terroristico di aprile in Kashmir, in cui hanno perso la vita 26 civili, aggiungendo che «si oppone a tutte le forme di terrorismo».

 

Il giorno in cui i vicini dell’Asia meridionale hanno negoziato un cessate il fuoco, Wang ha chiamato il consigliere per la sicurezza nazionale indiano Ajit Doval ed ha espresso la speranza che India e Pakistan «rimanessero calmi e moderati, gestissero adeguatamente le divergenze attraverso il dialogo e la consultazione ed evitassero di aggravare la situazione».

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India e Cina hanno combattuto una guerra nel 1962, nota come la Guerra sino-indiana. Il conflitto, durato circa un mese (20 ottobre – 21 novembre 1962), è stato causato da dispute territoriali lungo il confine himalayano, in particolare nell’area dell’Aksai Chin e dell’Arunachal Pradesh. La Cina ottenne una vittoria militare, ma il conflitto non risolse le dispute di confine, che rimangono irrisolte.

 

Ci sono stati anche scontri minori, come lo scontro di Nathu La e Cho La nel 1967 e tensioni nel 1987 e 2017 (Doklam). Più recentemente, nel 2020, violenti scontri nella valle di Galwan (Ladakh) hanno causato morti su entrambi i lati, senza però sfociare in una guerra vera e propria.

Le relazioni tra i due Paesi rimangono tese a causa delle continue dispute territoriali e della competizione geopolitica.

 

Come riportato da Renovatio 21, è significativo il caso degli iPhone che a causa della politica commerciale dell’amministrazione Trump saranno prodotti da Apple in India e non più in Cina.

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Geopolitica

Maduro ha offerto ampie concessioni economiche agli Stati Uniti

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Il Venezuela ha proposto agli Stati Uniti significative concessioni economiche, inclusa la possibilità per le aziende americane di acquisire una quota rilevante nel settore petrolifero, durante negoziati segreti durati mesi. Lo riporta il New York Times, citando fonti anonime.   Tuttavia, Washington avrebbe rifiutato l’offerta, con il futuro politico del presidente Nicolas Maduro come principale ostacolo.   Nelle ultime settimane, gli Stati Uniti hanno condotto attacchi al largo delle coste venezuelane contro quelle che hanno definito «imbarcazioni della droga», causando oltre venti morti e rafforzando la propria presenza militare nella regione. Funzionari americani hanno accusato Maduro di legami con reti di narcotraffico, accusa che il presidente venezuelano ha respinto.   Caracas ha accusato Washington di perseguire un cambio di regime, un’intenzione smentita dai funzionari statunitensi.

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Secondo fonti anonime di funzionari americani e venezuelani riportate dal NYT, dietro le tensioni pubbliche, Caracas avrebbe presentato un’ampia proposta diplomatica. Questa includeva l’apertura di tutti i progetti petroliferi e auriferi, attuali e futuri, alle aziende americane, l’offerta di contratti preferenziali per le imprese statunitensi, il reindirizzamento delle esportazioni di petrolio dalla Cina agli Stati Uniti e la riduzione degli accordi energetici e minerari con aziende cinesi, iraniane e russe.   I colloqui, condotti per mesi tra i principali collaboratori di Maduro e l’inviato statunitense Richard Grenell, miravano a ridurre le tensioni, secondo l’articolo. Sebbene siano stati fatti progressi in ambito economico, le due parti non sono riuscite a trovare un accordo sul futuro politico di Maduro, si legge nel rapporto.   Secondo il NYT, il Segretario di Stato americano Marco Rubio sarebbe stato il principale sostenitore della linea dura dell’amministrazione Trump per rimuovere Maduro. Si dice che Rubio sia scettico sull’approccio diplomatico di Grenell e abbia spinto per una posizione più rigida contro Caracas.   Un precedente articolo del quotidiano neoeboraceno riportava che Trump avesse ordinato l’interruzione dei colloqui con il Venezuela, «frustrato» dal rifiuto di Maduro di cedere volontariamente il potere. Il giornale suggeriva anche che gli Stati Uniti stessero pianificando una possibile escalation militare.   Nel frattempo, Maduro ha avvertito che il Venezuela entrerebbe in uno stato di «lotta armata» in caso di attacco, aumentando la prontezza militare in tutto il Paese.

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Geopolitica

Haaretz: Israele sarà indifendibile se violeremo questo piano di pace

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L’editoriale principale del quotidiano israeliano Haaretz, pubblicato il 10 e l’11 ottobre, lancia un severo monito agli israeliani attratti dai piani del primo ministro Benjamin Netanyahu e dei suoi sostenitori estremisti per ostacolare gli accordi di pace negoziati.

 

«Se Israele fosse così sprovveduto da liberare gli ostaggi e poi trovare un pretesto banale per riprendere i combattimenti, consolidando la sua nuova immagine di Stato guerrafondaio che viola ripetutamente gli accordi, le proteste che hanno scosso l’Europa per la reazione di Israele alla flottiglia per Gaza si intensificheranno con una forza doppia e saranno inarrestabili».

 

L’editoriale, scritto dall’editorialista Carolina Landsmann, ribadisce: «se Israele riprendesse i combattimenti dopo aver recuperato tutti gli ostaggi, compirebbe un autentico suicidio diplomatico. Difendere il Paese diventerebbe impossibile. Nemmeno Trump potrebbe riuscirci».

 

L’editoriale è stato innescato dalle dichiarazioni del giornalista israeliano Amit Segal, trasmesse sul Canale 12 israeliano, secondo cui «non esiste una fase due, questo è chiaro a tutti, no?». Segal ha escluso qualsiasi soluzione che richiami gli accordi di Oslo, vantandosi che, una volta liberati gli ostaggi, Israele riprenderà a combattere,.

 

La Landsmann ha replicato che questo gioco è finito: «Il mondo ha compreso la realtà meglio di Israele», e persino i sostenitori di Trump «sono stanchi» di vedere i contribuenti americani finanziare le guerre di Israele. L’editorialista ha riportato le parole di Trump a Netanyahu: «Israele non può combattere contro il mondo, Bibi; non può combattere contro il mondo».

 

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Immagine di IDF Spokesperson’s Unit via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported

 

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Geopolitica

Il Cremlino dice di essere pronto per un accordo sull’Ucraina

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Mosca rimane aperta a una risoluzione pacifica del conflitto in Ucraina, ma le ostilità proseguiranno finché Kiev continuerà a ostacolare i negoziati, ha dichiarato il portavoce del Cremlino Demetrio Peskov.   Rispondendo al presidente francese Emmanuel Macron, che di recente ha scritto in un post su X che la Russia «dovrà pagare il prezzo» se si rifiutasse di dimostrare disponibilità a negoziare, Peskov, parlando ai giornalisti lunedì, ha sottolineato che Mosca ha sempre favorito una soluzione diplomatica alla crisi. Tuttavia, ha notato che Kiev, sostenuta dai suoi alleati occidentali, continua a respingere tutte le proposte russe.   «La Russia è pronta per una soluzione pacifica», ha affermato Peskov, evidenziando che la campagna militare di Mosca continua «a causa della mancanza di alternative». Ha aggiunto che la Russia raggiungerà infine i suoi obiettivi dichiarati, salvaguardando i propri interessi di sicurezza nazionale.

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Le sue dichiarazioni arrivano in vista dell’incontro previsto per venerdì a Washington tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj.   Peskov ha espresso apprezzamento per gli sforzi diplomatici di Trump volti a risolvere pacificamente il conflitto, auspicando che «l’influenza degli Stati Uniti e le capacità diplomatiche degli inviati del presidente Trump contribuiscano a incoraggiare la parte ucraina a essere più proattiva e preparata al processo di pace».   La Russia ha ripetutamente ribadito la propria disponibilità a colloqui di pace con l’Ucraina. Le due parti erano vicine a un accordo a Istanbul all’inizio del 2022, ma, secondo Mosca, Kiev si è ritirata dopo che i suoi sostenitori occidentali l’hanno spinta a continuare il conflitto.   Da allora, i funzionari russi hanno sostenuto che né Kiev né i suoi alleati europei sono genuinamente interessati a porre fine alle ostilità, accusandoli di ostacolare i negoziati con condizioni mutevoli e ignorando le proposte russe.  

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