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Geopolitica

Kennedy e le liste nere ucraine

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Robert F. Kennedy, Jr., ha rotto il silenzio tra i candidati alla presidenza degli Stati Uniti sulla lista nera del Center for Countering Disinformation (CCD), il sito ucraino che agisce come vera lista nera dei supposti «nemici» di Kiev – accusati di essere tali non per azioni militari, ma per le loro opinioni.

 

Il  14 maggio Kennedy ha condiviso il link ad un articolo  di Mintpress, un sito di sinistra che si occupa di giornalismo d’inchiesta.

 

Nella lista, scrive il giornalista David Miller (coinvolto in prima persona) sono inclusi i nomi di «Manuel Pineda e Clare Daly, entrambi membri di sinistra del Parlamento europeo (MEP); Sono contate anche persone di destra, come Doug Bandow del Cato Institute, neocon ed ex ufficiale dell’IDF Edward Luttwak, una sfilza di eurodeputati di destra; l’ex ufficiale della CIA, Ray McGovern; ex figure militari e dell’Intelligence come Scott Ritter e Douglas McGregor, così come accademici come John Mearsheimer e Jeffrey Sachs. I giornalisti nella lista includevano Glenn Greenwald, Tucker Carlson ed Eva Bartlett, Roger Waters dei Pink Floyd e persino l’attore Steven Seagal».

 

Nella lista CCD, reperibile sul sito archive.org, notiamo anche il nome dell’eurodeputata Francesca Donato e quella del generale Leonardo Tricarico. E poi il senatore USA Rand Paul, il colonnello in pensione Douglas McGregor, l’ex candidata alla Casa Bianca Tulsi Gabbard, il blogger Brian Berletic, l’ex premier slovacco Robert Tiso, il politico giapponese Muneo Suzuki, Marine Le Pen, Kim Dotcom.

 

Tutti «oratori che promuovono narrazioni consonanti con la propaganda russa», secondo la definizione del CCD.

 

«Scott Ritter e molti altri americani sono in questa lista di uccisioni. Pensateci: il governo degli Stati Uniti sta pagando i servizi segreti ucraini per uccidere gli americani. Questo per quanto riguarda la libertà di parola protetta costituzionalmente» ha commentato Kennedy nel suo tweet. Il candidato presidenziale, ricordiamo, ha un figlio che ha fatto un giro in Ucraina per combattere le milizie di Kiev.

 

 

Nel frattempo, il deputato del Bundestag Andrej Hunko, del partito di sinistra Die Linke (che, a differenza dei Verdi, si è dimostrato non allineato ai diktat NATO), la scorsa settimana ha sfidato il cancelliere Olaf Scholz a sollevare la questione della ulteriore famigerata lista dei «nemici dell’Ucraina» di Myrotvorets quando parlerà con il presidente Zelens’kyj – cui il governo tedesco ha appena assegnato 2,7 miliardi di euro in armamenti.

 

Lo stesso Hunko è stato preso di mira dalla lista nera Myrotvorets («pacificatore»), un ulteriore elenco di figure contrarie agli interessi ucraini.

 

Nella lista, la scorsa estate, era comparso pure Elon Musk, reo di non voler continuare a regalare i suoi servizi satellitari a Kiev. Giorni dopo il suo nome sarebbe stato tolto da quella che è definita una «kill list».

 

 

Il CCD ha poco fa segnato, ancora una volta, il nome Helga Zepp-LaRouche, fondatrice dell’Istituto Schiller e vedova dell’economista e attivista Lyndon Larouche, questa volta per aver interferito nella formazione militare dell’Ucraina.

 

Ieri, la Zepp-LaRouche aveva twittato la foto di Zelens’kyj e il premier londinese Rishi Sunak traendola dal Telegraph di Londra, con il commento: «La strategia imperiale britannica e la geopolitica spingono l’Ucraina a innescare una resa dei conti nucleare con la Russia».

 

 

Come riportato da Renovatio 21, quando fu trovato Oleksij Kovaljov – parlamentare di opposizione alla Verkhovna Rada (il Parlamento di Kiev) –  assassinato nella sua casa, la sua voce nel sito Myrotvorets ha apposto sulla foto segnaletica il bollino «likvidovan», ossia «liquidato».

 

La lista dei «pacificatori» comprendeva anche Darja Dugina, detta Darja Platonova, e Vladen Tatarskij, giornalisti russi uccisi da bombe mentre si trovavano a Mosca e San Pietroburgo. Nella lista anche il nome di Zakhar Prilepin, ferito da un attentato pochi giorni fa, e Konstantin Malofeev, un editore sfuggito da un’autobomba trovata in tempo dalle forza di sicurezza russe.

 

La lista nera ucraina di recente ha incluso anche Henry Kissinger (che pure ha cambiato idea sull’appoggio all’Ucraina) e lo stratega del Pentagono noto al pubblico TV italiano Edward Luttwak, nonché il Pink Floydo Roger Waters.

 

In passato erano finiti nella black list anche Albano Carrisi detto «Al Bano» (con l’inspiegabile spazio in mezzo) nonché Toto Cutugno.

 

Di recente è emerso che Pupo, popolarissimo nei Paesi russofoni, avrebbe rinunziato a fare il giurato ad un festival a Mosca. «È successo l’imprevedibile, l’impossibile, intorno alla mia eventuale partecipazione al festival Road to Yalta (…) dipende da un fatto che vi spiegherò più avanti, perché la mia abitudine è sempre di essere molto chiaro e leale con tutti, a prescindere da chi sono gli interlocutori» ha detto il cantante di «Gelato al cioccolato».

 

La pratica di uccidere coloro che sono ritenuti traditori non è inedita nell’Ucraina della storia recente: ricordiamo che hanno ammazzato in strada perfino Denis Kireev, ad uno dei negoziatori che nei primi giorni parlavano con la controparte russa in incontri ufficiali al confine con la Bielorussia.

 

Ad inizio conflitto, di Vladimir Struk, sindaco della piccola cittadina di Kreminna (18 mila abitanti) rapito e ucciso, con un colpo d’arma da fuoco al cuore. La sua città, nell’oblast’ di Lugansk, era a maggioranza etnica russa.

 

Ma si può andare indietro nel tempo ai primi mesi del dopo Maidan, e trovare che nell’aprile 2015, il sito aveva pubblicato gli indirizzi di casa dello scrittore ucraino Oles’ Buzyna e dell’ex parlamentare Oleh Kalashnikov: pochi giorni dopo sono stati assassinati.

 

Un’altra figura segnata nella lista Myrotvorets, il videoblogger cileno-statunitense ma residente nella città ucraina di Kharkov Gonzalo Lira, è stato arrestato giorni fa dai servizi interni ucraini. Di lui non sappiamo più nulla.

 

Come riportato da Renovatio 21, il portavoce del Cremlino Peskov ha dichiarato che oramai l’Ucraina è divenuta de facto «uno Stato sponsor del terrorismo». Le sue parole fanno seguito a quelle del capo dei servizi di Intelligence ucraini del GUR, Kirill Budanov, che ha detto senza mezzi termini «continueremo a uccidere russi ovunque sulla faccia di questo mondo fino alla completa vittoria dell’Ucraina».

 

Ma a essere considerati nemici, come evidente, non sono solo i russi.

 

 

 

Immagine pubblico dominio CC0 via Flickr

 

 

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«Li prenderemo la prossima volta» Israele non esclude un altro attacco al Qatar

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Israele è determinato a uccidere i leader di Hamas ovunque risiedano e continuerà i suoi sforzi finché non saranno tutti morti, ha dichiarato martedì a Fox News l’ambasciatore israeliano negli Stati Uniti Yechiel Leiter.

 

In precedenza, attacchi aerei israeliani hanno colpito un edificio residenziale a Doha, in Qatar, prendendo di mira alti esponenti dell’ala politica di Hamas. Il gruppo ha affermato che i suoi funzionari sono sopravvissuti, mentre l’attacco è stato criticato dalla Casa Bianca e condannato dal Qatar.

 

«Se non li abbiamo presi questa volta, li prenderemo la prossima volta», ha detto il Leiter.

 

L’ambasciatore ha descritto Hamas come «nemico della civiltà occidentale» e ha sostenuto che le azioni di Israele stavano rimodellando il Medio Oriente in modi che gli Stati «moderati» comprendevano e apprezzavano. «In questo momento, potremmo essere oggetto di qualche critica. Se ne faranno una ragione», ha detto riferendosi ai Paesi arabi.

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha affermato che, sebbene smantellare Hamas sia un obiettivo legittimo, colpire un alleato degli Stati Uniti mina gli interessi sia americani che israeliani.

 

Leiter ha osservato che Israele «non ha mai avuto un amico migliore alla Casa Bianca» e che Washington e lo Stato Ebraico sono rimaste unite nel perseguire la distruzione del gruppo militante.

 

Il Qatar, che ospita funzionari di Hamas nell’ambito del suo ruolo di mediatore, ha dichiarato che tra le sei persone uccise nell’attacco israeliano c’era anche un agente di sicurezza del Qatar.

 

L’emiro del Qatar, lo sceicco Tamim bin Hamad al-Thani, ha denunciato l’attacco come un «crimine atroce» e un «atto di aggressione», mentre il ministero degli Esteri di Doha ha accusato Israele di «terrorismo di Stato».

 

Israele ha promesso di dare la caccia ai leader di Hamas, ritenuti responsabili del mortale attacco dell’ottobre 2023, lanciato da Gaza verso il sud di Israele. L’ambasciatore ha giurato che i responsabili «non sopravviveranno», ovunque si trovino.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

 

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Attacco israeliano in Qatar. La condanna di Trump

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Israele ha condotto un «attacco di precisione» contro «i vertici di Hamas», hanno annunciato martedì le Forze di difesa israeliane (IDF), poco dopo che numerose esplosioni hanno scosso il quartier generale del gruppo militante palestinese a Doha, in Qatar.   Da parte delle forze dello Stato Ebraico, si tratta di una violazione territoriale inedita, perché – a differenza di casi analoghi in Libano e Iran – condotta in uno Stato «alleato» di Washington e dell’Occidente, cui fornisce capitale e gas. L’attacco pare essere stato diretto ai negoziatori di Hamas, i quali avevano ricevuto dal presidente americano Trump un invito al tavolo della pace poco prima.   L’esercito israeliano ha dichiarato di aver condotto l’operazione in coordinamento con l’agenzia di sicurezza Shin Bet (ISA). Le IDF non hanno indicato il luogo esatto preso di mira dall’attacco.   «L’IDF e l’ISA hanno condotto un attacco mirato contro i vertici dell’organizzazione terroristica Hamas», ha dichiarato l’IDF in una nota. «Prima dell’attacco, sono state adottate misure per mitigare i danni ai civili, tra cui l’uso di munizioni di precisione e di intelligence aggiuntiva».   L’annuncio è arrivato dopo che almeno dieci esplosioni avrebbero scosso il quartier generale di Hamas a Doha. I filmati che circolano online mostrano che l’edificio è stato gravemente danneggiato. Secondo diversi resoconti dei media che citano fonti di Hamas, l’attacco ha preso di mira il team negoziale del gruppo, che stava discutendo l’ultima proposta statunitense sulla cessazione delle ostilità con Israele.   Il Qatar ha condannato il «vile attacco israeliano», descrivendo il luogo interessato dall’attacco come «edifici residenziali che ospitano diversi membri dell’ufficio politico del movimento Hamas».    

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  L’attacco israeliano a Doha è stato un «momento cruciale» per l’intera regione, ha affermato il primo ministro del Qatar, lo sceicco Mohammed bin Abdulrahman al-Thani, condannando l’attacco come «terrorismo di Stato».   L’attacco a sorpresa non sarà «ignorato» e il Qatar «si riserva il diritto di rispondere a questo attacco palese», ha dichiarato il primo ministro in una conferenza stampa. «Oggi abbiamo raggiunto un punto di svolta affinché l’intera regione dia una risposta a una condotta così barbara».  

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Al-Thani ha attaccato duramente il suo omologo israeliano, Benjamin Netanyahu, accusandolo di compromettere la stabilità regionale in nome di «deliri narcisistici» e interessi personali. Il Qatar continuerà il suo impegno di mediazione per risolvere le persistenti ostilità con Hamas, ha affermato.   Il primo ministro quatarino ha ammesso che lo spazio per la diplomazia è ormai diventato molto ristretto e che l’attacco ha probabilmente fatto deragliare il ciclo di negoziati dedicato all’ultima proposta avanzata dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump.   «Per quanto riguarda i colloqui in corso, non credo che ci sia nulla di valido dopo aver assistito a un attacco del genere», ha affermato.   L’attacco israeliano è avvenuto due giorni dopo che il presidente degli Stati Uniti aveva lanciato un altro «ultimo avvertimento» ad Hamas, sostenendo che Israele aveva già accettato termini non specificati di un accordo da lui proposto e chiedendo al gruppo di rilasciare gli ostaggi israeliani ancora detenuti a Gaza. Poco dopo, anche il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha dato al gruppo un “ultimo avvertimento”, minacciando Hamas di annientamento e intimando ai militanti di deporre le armi. In seguito alle minacce, Hamas aveva dichiarato di essere pronta a «sedersi immediatamente al tavolo delle trattative» dopo aver ascoltato quelle che ha descritto come «alcune idee da parte americana volte a raggiungere un accordo di cessate il fuoco».   Tuttavia nelle ultime ore è emersa la condanna del presidente statunitense contro l’attacco israeliano. In una dichiarazione pubblicata martedì su Truth Social, Trump ha criticato l’attacco aereo di Israele contro un complesso di Hamas a Doha, sottolineando che la decisione di portare a termine l’operazione all’interno del Qatar è stata presa unilateralmente dal primo ministro Benjamin Netanyahu e non da Washington.   Nel suo post Trump ha affermato che il bombardamento israeliano all’interno di «una nazione sovrana e stretto alleato degli Stati Uniti» non ha «favorito gli obiettivi di Israele o dell’America».   «Considero il Qatar un forte alleato e amico degli Stati Uniti e mi dispiace molto per il luogo dell’attacco», ha scritto, sottolineando che l’attacco è stato «una decisione presa dal primo ministro Netanyahu, non una decisione presa da me».   Trump ha affermato che, non appena informato dell’operazione, ha incaricato l’inviato speciale statunitense Steve Witkoff di avvertire i funzionari del Qatar, ma ha osservato che l’allerta è arrivata «troppo tardi per fermare l’attacco». Il presidente ha affermato che eliminare Hamas era un «obiettivo degno», ma ha espresso la speranza che «questo sfortunato incidente possa servire come un’opportunità per la PACE».   Da allora Trump ha parlato con Netanyahu, che gli ha detto di voler fare la pace, e con i leader del Qatar, che ha ringraziato per il loro sostegno e ha assicurato che «una cosa del genere non accadrà più sul loro territorio».   La Casa Bianca ha definito l’attacco un incidente «sfortunato». Trump ha dichiarato di aver incaricato il Segretario di Stato Marco Rubio di finalizzare un accordo di cooperazione per la difesa con il Qatar, designato come «importante alleato non NATO».  

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  Nell’operazione circa 15 aerei da guerra israeliani hanno sparato almeno dieci munizioni durante l’operazione di martedì, uccidendo diversi membri di Hamas, tra cui il figlio dell’alto funzionario Khalil al-Hayya. Hamas ha affermato che i suoi vertici sono sopravvissuti all’attacco, descritto come un tentativo di assassinare i negoziatori impegnati a raggiungere un possibile accordo. L’ufficio del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha insistito sul fatto che l’attacco ad Hamas in Qatar è stato un’azione unilaterale e che nessun altro paese è stato coinvolto nell’operazione.   «L’azione odierna contro i principali capi terroristi di Hamas è stata un’operazione israeliana del tutto indipendente. Israele l’ha avviata, Israele l’ha condotta e Israele si assume la piena responsabilità», si legge in una nota.   Il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha condannato l’attacco israeliano definendolo una «flagrante violazione della sovranità e dell’integrità territoriale del Qatar». «Tutte le parti devono impegnarsi per raggiungere un cessate il fuoco permanente, non per distruggerlo», ha detto ai giornalisti.  

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Geopolitica

Lavrov: la Russia non ha voglia di vendetta

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La Russia non ha intenzione di vendicarsi dei paesi occidentali che hanno interrotto i rapporti e fatto pressioni su Mosca a causa del conflitto in Ucraina, ha affermato il ministro degli Esteri Sergej Lavrov.

 

Intervenendo lunedì all’Istituto statale di relazioni internazionali di Mosca, Lavrov ha sottolineato che la Russia non intende «vendicarsi o sfogare la propria rabbia» sulle aziende che hanno deciso di sostenere i governi occidentali nel loro tentativo di sostenere Kiev e imporre sanzioni economiche a Mosca, aggiungendo che l’ostilità è generalmente «una cattiva consigliera».

 

«Quando i nostri ex partner occidentali torneranno in sé… non li respingeremo. Ma… terremo conto che, essendo fuggiti su ordine dei loro leader politici, si sono dimostrati inaffidabili», ha affermato il ministro.

 

Secondo Lavrov, qualsiasi futuro accesso al mercato dipenderà anche dalla possibilità che le aziende rappresentino un rischio per i settori vitali per l’economia e la sicurezza della Russia.

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Il ministro ha sottolineato che la Russia è aperta alla cooperazione e non ha alcuna intenzione di isolarsi. «Viviamo su un piccolo pianeta. Costruire i muri di Berlino è stato in stile occidentale… Non vogliamo costruire alcun muro», ha affermato, riferendosi al simbolo della Guerra Fredda che ha diviso la capitale tedesca dal 1961 al 1989.

 

«Vogliamo lavorare onestamente e se i nostri partner sono pronti a fare lo stesso sulla base dell’uguaglianza e del rispetto reciproco, siamo aperti al dialogo con tutti», ha affermato, indicando il vertice in Alaska tra il presidente russo Vladimir Putin e il suo omologo statunitense, Donald Trump, come esempio di impegno costruttivo.

 

Il portavoce del Cremlino Demetrio Peskov ha dichiarato sabato che le aziende occidentali sarebbero state benvenute se non avessero sostenuto l’esercito ucraino e avessero rispettato gli obblighi nei confronti dello Stato e del personale russo, tra cui il pagamento degli stipendi dovuti.

 

Questo mese Putin ha anche respinto l’isolazionismo, sottolineando che la Russia vorrebbe evitare di chiudersi in un «guscio nazionale», poiché ciò danneggerebbe la competitività. «Non abbiamo mai respinto o espulso nessuno. Chi vuole rientrare è il benvenuto», ha aggiunto.

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