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Persecuzioni

India, pentecostali feriti perché non vogliono «tornare» all’induismo

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Sette cristiani ricoverati in ospedale dopo essere stati assaliti da una folla istigata dai nazionalisti indù mentre tornavano a casa dalla chiesa nel villaggio. Minacce e intimidazioni in aumento da quando il BJP è salito al potere anche nel governo locale a Bhubaneswar. Il vescovo Aplinar Senapati ad AsiaNews: «Persone perseguitate per la loro fede».

 

Una folla di sostenitori dell’Hindutva ha attaccato il 21 giugno un gruppo di cristiani protestanti in un villaggio dell’Orissa, per aver resistito alla presunta pressione di convertirsi all’induismo. Sette di loro sono rimasti feriti, hanno dichiarato domenica i leader cristiani locali. I feriti, attaccati mentre tornavano dalla chiesa nel villaggio di Kotamateru, nel distretto di Malkangiri, sono ricoverati nell’ospedale distrettuale, ha detto la polizia.

 

I cristiani locali puntano il dito contro il Bajrang Dal, l’organizzazione nazionalista indù, le cui minacce e intimidazioni sembrano essere aumentate nell’ultimo anno da quando il BJP è salito al potere nel governo locale dell’Orissa. Da parte sua il Bajrang Dal nega ogni coinvolgimento.

 

I cristiani locali ieri hanno tenuto una manifestazione pacifica davanti all’ufficio del sovrintendente di polizia. Secondo Pallab Lima, segretario per l’Orissa del Rashtriya Christian Morcha, «la tensione si è accumulata nella zona negli ultimi mesi. Gli attivisti dell’estrema destra indù continuavano a minacciare le persone affinché cambiassero religione e accettassero l’induismo, ma molti di quelli che sono cristiani di nascita hanno resistito. Sabato mattina, mentre tornavano dalle preghiere, centinaia di persone armate con asce, hanno attaccato i cristiani. L’attacco è durato ore».

 

Lima ha raccontato che una persona è riuscita a contattare il pastore del distretto, che ha subito informato la polizia di Malkangiri, che ha salvato i cristiani e ha portato i feriti in ospedale.

 

Bijoy Pusuru, un altro leader della comunità cristiana, ha detto: «la nostra gente è sotto shock. I feriti che si trovano in ospedale hanno paura di tornare al villaggio».

 

La polizia minimizza la violenza, attribuendola a una rivalità familiare. «L’incidente è stato scatenato da una disputa tra due fratelli, uno cristiano e l’altro indù. Quest’ultimo stava facendo pressioni sul fratello cristiano affinché tornasse nella fede induista», ha detto l’ispettore Rigan Kinda della stazione di polizia di Malkangiri.

 

Il leader distrettuale del Bajrang Dal, Sibapada Mirdha, ha negato le accuse di violenza o di una campagna per convertire i cristiani. Tuttavia, ha aggiunto: «gli induisti hanno alzato la loro voce contro le conversioni forzate da parte dei cristiani. A volte c’è una reazione spontanea a questo».

 

Il vescovo Aplinar Senapati, della diocesi di Rayagada, ha commentato ad AsiaNews: «è un fatto da condannare, questi cristiani pentecostali sono persone molto vulnerabili e subiscono emarginazione a causa della loro fede. Succede nelle zone più interne: questo distretto confina con Chhattisgarh e Andhra Pradesh ed è un’area con presenza di miliziani maoisti. Le accuse di conversione sono fabbricate e infondate contro cristiani innocenti che lottano con le difficoltà quotidiane della vita».

 

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Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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Immagine di Kailash Mohankar via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported 

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Persecuzioni

Anche la cattedrale turca di Ani diventa moschea, come Hagia Sophia e Chora

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.   È l’allarme lanciato dal deputato cristiano del movimento curdo Dem George Aslan. In una interrogazione parlamentare si rivolge al ministro della Cultura sul futuro del secolare luogo di culto, in attesa di restauro. Costruita nel X secolo, è considerata uno degli esempi più significativi dell’architettura armena medievale.   Dopo Hagia Sophia e Chora, le due celebri ex basiliche cristiane di Istanbul trasformate prima in musei e ora in moschee dalla politica nazionalismo e islam impressa dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan, un altro celebre luogo di culto cristiano rischia di subire la stessa sorte.   Il deputato George Aslan, del movimento filo-curdo Peoples’ Equality and Democracy (Dem) Party, ha presentato un’interrogazione parlamentare in riferimento a resoconti secondo cui la storica cattedrale armena di Ani, secolare chiesa di Kars, riaprirà come luogo di culto musulmano. A dare per primi la notizia i media di Stato, i quali hanno parlato della prossima apertura della «moschea» senza fare riferimento alle sue origini.

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Nel suo intervento, Aslan, anch’egli cristiano, ha riferito che la cattedrale di Ani, nota anche come Surp Asdvadzadzin, o Santa Madre di Dio, è una delle centinaia di chiese e monasteri storici della Turchia che si trovano in stato di abbandono. Sottolineando il valore storico, culturale e religioso della cattedrale, il parlamentare ha fatto riferimento a notizie circolate di recente su diversi organi di informazione in base ai quali emergerebbe l’intenzione di cambiare la destinazione di utilizzo dell’edificio stesso.   Rivolgendosi al ministro turco della Cultura e del turismo Nuri Ersoy, egli chiede se «è vero che dopo il restauro della cattedrale di Ani, questa sarà aperta come moschea? Se sì, qual è la motivazione di questa decisione?»   «La decisione di cambiare l’identità religiosa di questa struttura storica e di trasformarla in moschea – aggiunge – non sarebbe in contraddizione con il carattere multi-religioso e multiculturale della Turchia?».   «La decisione di trasformare la cattedrale di Ani in una moschea – prosegue nell’interrogazione – sarà riconsiderata rispetto alla sua identità religiosa e culturale originaria?»   Infine, George Aslan chiede anche «quali chiese o monasteri sono stati trasformati in moschee durante il suo mandato? Quante chiese e monasteri sono stati convertiti in moschee negli ultimi 20 anni?» oltre ai casi emblematici di Chora e Santa Sofia.   Il 3 luglio scorso l’agenzia statale Anadolu ha pubblicato un articolo intitolato «La “moschea della conquista” di Ani, dove si tenne la prima preghiera del venerdì in Anatolia, viene restaurata». Nel raccontare il luogo di culto e la sua storia, l’articolo lo chiama solo come «Moschea di Fethiye (della Conquista)», omettendo la sua identità cristiana originaria e il nome storico di cattedrale di Surp Asdvadzadzin. Viene inoltre presentata la conversione della cattedrale nel contesto della «tradizione della conquista turca», senza riconoscere la sua funzione religiosa originaria. E ancora, non si alcuna menzione specifica sul significato culturale della cattedrale per il popolo armeno o la sua importanza per le relazioni armeno-turche.   La cattedrale di Ani sorge all’interno delle rovine dell’omonima città antica, nella provincia nord-orientale turca di Kars, vicino al confine con l’Armenia. Costruita nel X secolo, è considerata uno degli esempi più significativi dell’architettura armena medievale. La sua costruzione ha preso il via nel 987 sotto il re armeno Smbat II ed è stata completata nel 1001 o nel 1010 dalla regina Katramide, moglie di Gagik I del regno Bagratide. L’architetto era Trdat, noto anche per aver restaurato nello stesso periodo la celebre cupola di Santa Sofia nell’antica Costantinopoli (l’odierna Istanbul).

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Il luogo di culto fungeva da centro religioso di Ani, che era la capitale del regno Bagratide Armeno. Oggi è parte del sito archeologico di Ani, classificato come patrimonio mondiale UNESCO. Secondo l’App mobile di Ani sviluppata da Anadolu Kültür, dopo la conquista dei Selgiuchidi nel 1064, la cattedrale è stata utilizzata per breve tempo come moschea col nome di «Fethiye».   Nel 1199, la dinastia georgiano-armena degli Zakaridi ha ripreso il controllo della città e restituito l’edificio all’uso cristiano. La struttura ha subito gravi danni durante il terremoto del 1319, che ne ha distrutto la cupola, mentre un altro terremoto nel 1988 ha provocato il crollo dell’angolo nord-ovest, lasciando in eredità profonde crepe nei muri.   In Turchia vi è libertà di culto, tuttavia negli ultimi 20 anni si sono registrate violazioni alla pratica religiosa, cambi d’uso di ex basiliche cristiane e fatti di sangue a sfondo confessionale come l’assassinio di don Andrea Santoro nel 2006 e mons. Luigi Padovese nel 2010.   In particolare, la conversione in moschee delle antiche basiliche cristiane – poi musei a inizio ‘900 sotto Ataturk – di Santa Sofia e Chora rientra nella politica nazionalista e islamica impressa da Erdogan per nascondere la crisi economica e mantenere il potere.   A seguito del decreto che ne ha sancito la trasformazione, le autorità musulmane hanno coperto con una tenda bianca le immagini di Gesù, affreschi e icone che testimoniano la radice cristiana di Hagia Sophia, millenaria struttura dedicata alla sapienza di Dio e risalente al sesto secolo.   Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne. Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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  Immagine di Francesco Bini via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
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Geopolitica

Niente armi per Kiev che perseguita la Chiesa ortodossa: parla la deputata USA Luna

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La persecuzione da parte di Kiev della più grande chiesa ucraina è motivo sufficiente perché Washington sospenda gli aiuti militari al Paese, ha affermato la deputata statunitense Anna Paulina Luna, impegnandosi a opporsi a qualsiasi futura spedizione di armi.

 

Venerdì, in un post su X, la repubblicana floridiana ha accusato il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj di aver messo al bando la Chiesa ortodossa, riferendosi alle azioni in corso contro la Chiesa ortodossa ucraina (UOC), la più grande organizzazione religiosa del Paese.

 

«Posso promettervi che non riceverete alcun finanziamento per le armi», ha scritto Luna, membro della Commissione Affari Esteri della Camera. «Non siamo il vostro salvadanaio”, ha aggiunto, esortando lo Zelens’kyj a «negoziare per la pace”».

 

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Kiev ha accusato la Chiesa Ortodossa Ucraina di mantenere legami con Mosca per giustificare la sua repressione, nonostante la chiesa abbia dichiarato l’indipendenza dalla Chiesa Ortodossa Russa nel maggio 2022. Rispondendo alle critiche nei commenti al suo post, Luna ha aggiunto: “I bot ucraini sono furiosi per questa cosa».

 

«All’improvviso, questi fanatici della guerra sono diventati esperti di religione e anche telepatici, perché sono CERTI che nessun cristiano sia andato in quelle chiese per adorare Dio. Immaginate se lo facessimo negli Stati Uniti. Ipocriti», ha detto.

 

Secondo Ukraine Oversight, un portale ufficiale del governo statunitense che monitora l’erogazione degli aiuti, Washington ha stanziato un totale di 182,8 miliardi di dollari in assistenza all’Ucraina dal 2022 alla fine del 2024.

 

A maggio, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha espresso preoccupazione per quello che ha descritto come miliardi di dollari sprecati in aiuti all’Ucraina. Ha affermato che il Congresso era «molto turbato» e che i legislatori chiedevano risposte su come venivano spesi i soldi.

 

All’inizio di questa settimana, il Pentagono avrebbe sospeso le spedizioni di alcune armi e munizioni all’Ucraina, adducendo la necessità di rivedere le scorte rimanenti nell’ambito della politica «America First» di Trump. Il quale, tuttavia, nelle ultime ore ha detto che avrebbe ripreso le forniture a Kiev.

 

Come riportato da Renovatio 21, pochi giorni fa Zelens’kyj ha revocato la cittadinanza al vescovo più anziano della Chiesa Ortodossa Ucraina, l’ottantenne Metropolita Onofrio.

 

Il regime Zelens’kyj a inizio 20233 aveva tolto la cittadinanza a sacerdoti della Chiesa Ortodossa d’Ucraina (UOC). Vi era stato quindi un ordine di cacciata dalla cattedrale della Dormizione dell’Abbazia delle Grotte di Kiev proprio per il Natale ortodosso. Una tregua di Natale sul campo di battaglia proposta da Putin era stata sdegnosamente rifiutata da Kiev.

 

La repressione religiosa, nel corso di questi mesi, si è presentata con nuove misure volte a vietare le istituzioni religiose ritenute avere legami con la Russia nel tentativo di salvaguardare «l’indipendenza spirituale» della nazione.

 

Dall’inizio del conflitto tra Mosca e Kiev, le autorità e gli attivisti ucraini hanno sequestrato i luoghi di culto della Chiesa Ortodossa Ucraina e li hanno consegnati alla «Chiesa ortodossa dell’Ucraina», sostenuta dal governo. L’esempio più doloroso è quello dei monaci della Chiesa ortodossa ucraina sono stati sfrattati dal luogo ortodosso più sacro del Paese, la Lavra di Kiev, teatro dell’eroica resistenza dei fedeli e dei religiosi dell’OCU.

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A fine 2023 il Patriarca di tutte le Russie Kirill aveva inviato un appello a papa Francesco, Tawadros II di Alessandria (leader della Chiesa copta ortodossa), all’arcivescovo di Canterbury Justin Welby (leader della Comunione anglicana), all’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani e ad altri rappresentanti di organizzazioni internazionali, per chiedere il loro aiuto e porre fine alla persecuzione del vicegerente della Lavra, il metropolita Pavel, poi liberato con una cauzione di circa 820 mila euro.

 

Nello stesso periodo il metropolita Gionata della diocesi di Tulchin è stato condannato a cinque anni di carcere e alla confisca dei beni da un tribunale di Vinnitsa (città centro-occidentale del Paese) per vari presunti reati contro lo Stato ucraino.

 

Il sindaco di Kiev Vitalij Klitschko, recentemente postosi come avversario di Zelens’kyj e forse candidato pure a sostituirlo, ha ordinato mesi fa la chiusura di 74 chiese appartenenti alla Chiesa Ortodossa Ucraina canonica.

 

Come riportato da Renovatio 21, il Parlamento ucraino ha approvato una legge che consentirebbe alle autorità di vietare la Chiesa ortodossa ucraina (UOC), che Kiev ha ripetutamente accusato di avere legami con la Russia.

 

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Immagine © European Union, 1998 – 2025 via Wikimedia ripubblicata in basa alla Decisione della Commissione del 12 dicembre 2011 sul riutilizzo dei documenti della Commissione.

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Persecuzioni

Sudan, la vita quotidiana dei cristiani si sta trasformando in un incubo

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In Sudan, l’intensificarsi della guerra civile tra l’esercito regolare delle Forze Armate Sudanesi (SAF) e le milizie paramilitari delle Forze di supporto rapido (RSF) sta colpendo duramente la minoranza cattolica, mentre le Nazioni Unite mettono in guardia contro «un rischio molto elevato di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità».   I cattolici costituiscono una minoranza molto piccola in Sudan, dove circa il 97% della popolazione è musulmana. I cristiani di tutte le confessioni rappresentano circa il 2-3%, ovvero tra 700.000 e 1 milione di persone. Tra questi, i cattolici costituiscono una percentuale significativa, ma il loro numero esatto è difficile da valutare a causa della dispersione e della migrazione forzata. Prima della secessione del Sud Sudan nel 2011, un paese a maggioranza cristiana, il numero di cattolici era più elevato.   La presenza cattolica in Sudan risale alle missioni del XIX secolo, in particolare quelle guidate dal vescovo Daniele Comboni. I cattolici di oggi sono spesso discendenti di copti egiziani, immigrati levantini (greci, libanesi, siriani) o comunità provenienti dal sud rimaste dopo la divisione.   Dall’aprile 2023, e in particolare nei primi sei mesi del 2025, la guerra tra le SAF e le RSF ha aggravato le difficoltà per i cattolici. Le chiese sono state prese di mira, a volte intenzionalmente, e i cristiani sono stati vittime di violenze.   Secondo la testimonianza di un missionario citata da Fides, la vita parrocchiale è quasi paralizzata: scuole e ospedali cattolici hanno cessato l’attività, e molti sacerdoti e religiosi hanno lasciato il Paese. I fedeli a volte si riuniscono la domenica per pregare, ma i bombardamenti rendono pericolosi gli spostamenti.   La guerra ha causato anche una grave crisi umanitaria: il 95% della popolazione vive con meno di un pasto al giorno e più di 9 milioni di persone sono sfollate, molte delle quali cristiane in fuga verso Egitto, Ciad o Sud Sudan.

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Dal colpo diStato dell’ottobre 2021, che ha rovesciato il governo di transizione che prometteva maggiore libertà religiosa, i cristiani, compresi i cattolici, hanno dovuto affrontare una recrudescenza di incitamenti all’odio e arresti arbitrari. La sharia, sebbene teoricamente allentata dopo il 2019, rimane fonte di persecuzione. I cristiani sono particolarmente vulnerabili in regioni come il Darfur, il Nilo Azzurro e il Kordofan Meridionale, dove persistono violenti tentativi di islamizzazione.   La Chiesa cattolica in Sudan è strutturata attorno all’arcidiocesi di Khartoum, che esercita anche il suo potere di governo sul Sud Sudan a livello canonico. Tuttavia, il numero di sacerdoti e leader religiosi è drasticamente diminuito, scendendo a circa 30 in tutto il Paese entro il 2024, rendendo difficile il mantenimento delle attività pastorali.   Il Sudan sembra avviarsi verso una divisione di fatto, segnata dall’intensificarsi del conflitto tra le RSF guidate da Mohamed Hamdan Dagalo, alias Hemetti, e le SAF guidate dal generale Abdel Fattah al-Burhan. La conquista da parte delle RSF del triangolo tra Sudan, Libia ed Egitto, facilitata dal generale libico Khalifa Haftar, rappresenta una svolta strategica.   Questo punto di passaggio chiave consente alle RSF di controllare il traffico, in particolare quello d’oro, e di garantirne l’approvvigionamento attraverso la Libia. Cacciato da Khartoum, Dagalo cerca di consolidare il suo potere a ovest, nel Darfur e nel Kordofan, dove progetta di istituire un’amministrazione autonoma, sfidando così il governo di Burhan.   Il conflitto è alimentato da conflitti etnici e religiosi e da interferenze internazionali. Le RSF sono sostenute dal generale libico Haftar, a sua volta appoggiato dagli Emirati Arabi Uniti. Questo sostegno fa parte di una strategia di opposizione ai Fratelli Musulmani, influenti all’interno delle SAF e odiati dagli Emirati. Da parte sua, le SAF hanno riconquistato Khartoum grazie alla «Hunter Force», un’unità d’élite che include islamisti vicini ai Fratelli Musulmani.   L’influenza straniera offusca ulteriormente l’interpretazione del conflitto: le Forze di Difesa Rivoluzionarie (RSF) utilizzano droni cinesi forniti dagli Emirati, mentre le Forze di Difesa Sudanesi (SAF) beneficiano di droni turchi, con Ankara che sostiene il generale al-Burhan. Questa «guerra dei droni» illustra l’internazionalizzazione del conflitto, con le potenze regionali che competono per affermare la propria influenza.   In mezzo a questo caos, i cristiani, in particolare i cattolici, sono in prima linea e vedono l’orizzonte più sbarrato che mai. Alcuni di loro attendono una possibile divisione del Paese, che ipoteticamente li proteggerebbe dalla persecuzione. Altri hanno già scelto la via dell’esilio nel vicino Stato del Sud Sudan, dove i cristiani possono vivere più pacificamente. Almeno per ora.   Articolo previamente apparso su FSSPX.News

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Immagine di Quidvultdeus via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International    
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