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Indagini su Meta/Facebook: ha tratto profitto dalle vendite di droghe «illecite»?

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Lo scorso marzo un’indagine di pubblici ministeri federali americani ha iniziato ad esaminare se Meta, ex Facebook, abbia tratto profitto dalla vendita di annunci per farmaci regolamentati e dai servizi di telemedicina impropri reclamizzati.

 

Come riporta il Wall Street Journal, l’anno scorso i procuratori statunitensi in Virginia hanno citato in giudizio Meta nell’ambito dell’indagine sulla responsabilità dell’azienda tecnologica per quanto riguarda le farmacie online non regolamentate e gestite illegalmente che pubblicizzano i loro servizi sulle sue piattaforme.

 

Le citazioni in giudizio della giuria penale, mai rese note prima e la cui esistenza è stata trapelata al WSJ da fonti interne anonime, richiedevano documenti relativi a «contenuti illeciti sulla droga sulle piattaforme Meta e/o alla vendita illecita di droga tramite la stessa».

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Con l’ascesa dei servizi di telemedicina nell’era del COVID, c’è stata una serie di aziende del settore che hanno pubblicizzato online di poter ottenere prescrizioni per sostanze catalogate come Adderall (un medicinale per il deficit di attenzione dei bambini, usato però anche da studenti, atleti e adulti in cerca di migliori performance) e oppioidi, cioè i farmaci alla base della grande strage per overdose che ha ucciso in questi anni centinaia di migliaia di cittadini americani.

 

«Più di recente, Meta e i suoi concorrenti hanno anche pubblicato annunci per professionisti virtuali che promettono ai potenziali clienti l’accesso a farmaci per la perdita di peso non regolamentati, poiché la domanda per i popolari Ozempic e Wegovy supera l’offerta» riporta Futurism.

 

Poiché queste aziende hanno pagato per utilizzare i mercati pubblicitari su Facebook e Instagram, come apparentemente sostiene la logica alla base dell’indagine, Meta potrebbe essere ritenuta responsabile delle attività di queste aziende.

 

Fonti interne al giornale neoeboraceno hanno aggiunto che anche la Food and Drug Administration stava collaborando alle indagini, sebbene sia l’ufficio, che i procuratori della Virginia, abbiano rifiutato di rilasciare dichiarazioni ufficiali in merito quando contattati dal WSJ.

 

Anche Meta sembra essere molto riservata riguardo all’inchiesta e Futurism ha contattato l’azienda per cercare di ottenere una conferma ufficiale o una smentita a riguardo.

 

«La vendita di droghe illecite è contraria alle nostre politiche e lavoriamo per trovare e rimuovere questo contenuto dai nostri servizi», ha dichiarato un portavoce di Meta al WSJ. «Meta collabora in modo proattivo con le autorità di polizia per aiutare a combattere la vendita e la distribuzione di droghe illecite».

 

Sebbene nessuno dei due principali soggetti dell’inchiesta abbia rilasciato dichiarazioni ufficiali in merito, il direttore esecutivo dell’Alliance to Counter Crime Online – un’organizzazione che ha condotto le proprie indagini sull’uso delle piattaforme Meta per scopi illeciti – ha confermato al giornale di aver ricevuto delle citazioni in giudizio sulla questione.

 

Poiché negli ultimi anni sono aumentate le preoccupazioni circa i promotori di pillole via telemedicina, Meta ha adottato misure pubbliche e private per contrastare la proliferazione di questo tipo di pubblicità sui suoi social.

 

La società che fa capo a Zuckenberg ha infatti stretto una partnership con LegitScript, un’azienda che monitora i commercianti di prodotti medici online e rilascia certificazioni e valutazioni sulle farmacie online che sono in regola.

 

Il giorno prima che l’articolo del WSJ uscisse, il presidente degli affari globali di Meta, Nick Clegg, ha twittato che l’azienda sta collaborando con il Dipartimento di Stato, le Nazioni Unite e Snapchat anche per una nuova campagna antidroga.

 

«L’epidemia di oppioidi è un importante problema di salute pubblica che richiede l’intervento di tutte le componenti della società statunitense», ha twittato Clegg su X.

 

«Meta tende a regolamentare i suoi servizi pubblicitari solo dopo essere stata in flagranza» conclude Futurism.

 

Come riportato da Renovatio 21, i social sono lambiti da attività potenzialmente criminali: c’è il caso delle caramelle alla cannabis reclamizzate sulle piattaforme, ma anche cose ben peggiori. Un ex capo dell’Intelligence statunitense aveva avvertito che Facebook sta consentendo ai cartelli di pubblicizzare i propri servizi di contrabbando di immigrati clandestini oltre confine.

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Qualche anno fa, è emerso un rapporto collega le piattaforme di social media – la più importante delle quali è Facebook – al reclutamento online nei casi di traffico sessuale attivo.

 

I dati sono stati rivelati nel «Federal Human Trafficking Report» («rapporto federale sulla tratta di esseri umani») del 2020 redatto dall’Istituto sulla tratta di esseri umani.

 

Sempre secondo il WSJ, in un articolo di pochi anni fa, «Facebook INC. sa, nei minimi dettagli, che le sue piattaforme sono piene di difetti che causano danni, spesso in modi che solo l’azienda comprende appieno. Questa è la conclusione centrale (…), basata su una revisione dei documenti interni di Facebook, inclusi rapporti di ricerca, discussioni online dei dipendenti e bozze di presentazioni per il senior management» e le rivelazioni paiono suggerire che l’azienda spesso minimizza ciò che sa su questi problemi.

 

Riassumendo, l’inchiesta del WSJ, avrebbe scoperto che:

 

1) Facebook esenta gli utenti di alto profilo da alcune regole.

2) Una ricerca su Instagram mostra i rischi per la salute mentale degli adolescenti.

3) Facebook sa che il suo algoritmo premia l’indignazione.

4) Facebook è stato lento nell’impedire ai cartelli della droga e ai trafficanti di esseri umani di utilizzare la sua piattaforma.

 

Al contrario possiamo vedere la solerzia con cui il noto social usa la sua mannaja censoria per quanto riguarda tematiche «disallineate al pensiero unico dominante»: censura di dibattiti scientifici, contenuti che non erano allineati con la narrativa COVID, censurata la processione della Via Crucis perché secondo gli algoritmi vi erano «immagini di nudo».

 

E, con ben sa il lettore, Facebook ha anche censurato il nostro sito.

 

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Immagine di Tony Webster via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

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Internet

Incredibili video realizzati con l’IA lanciata da pochi giorni

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Il generatore di video basato sull’Intelligenza Artificiale Sora 2 di OpenAI ha debuttato la scorsa settimana e ha conquistato i social media con clip incredibilmente iperrealistiche che hanno fatto sì che gli spettatori si interrogassero su ciò che vedono online e hanno fatto sbiancare gli studi di Hollywood.   Gli utenti sembrano averci preso gusto a fare video sul defunto fisico tetraplegico Stephen Hopkins, anche crudelmente.      

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Un altro modulo molto popolare è quello di esseri che vengono fermati dalla polizia – il filmato è come da una bodycam delle forze dell’ordine – e scappano via subito: ecco un gatto, Spongebob, Mario, un ammasso di prosciutto a fette.    

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Il CEO di OpenAI Sam Altman viene beccato a rubare in un negozio, tutto visto da una telecamera di sorveglianza. L’uomo poi cucina Pikachu alla griglia.    

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Animali che rubano alimentari nei supermercati.    

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Piace Hitler che fa stand-up comedy con l’altrettanto (teoricamente) defunto Tupac, rapper ammazzato una trentina di anni fa ma che tutti per qualche ragione ricordano.   Lo Hitlerro dimostra di saperci fare con lo skateoboardo, e pure di saper rispondere a muso duro a Michael Jackson in un ambiente che ricorda le trasmissione trash di Jerry Springer.  

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Pare che SoraAI abbia messo un filtro che impedisce di creare episodi di South Park, che gli utenti hanno generato automaticamente a bizzeffe.     Non manca la finta pubblicità degli anni ’90 per un giocattolo basato sull’isola dei pedofili di Jeffrey Epstein, con l’action figure del miliardario e di altri personaggi orrendi – l’aereo privato Lolita Express è incluso.  

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Ecco, infine, il futuro: le fake news, ma nel senso vero. Telegiornali fatti con l’IA. Un motivo in più per non credere nemmeno a quelli veri.     Quindi: non è solo Hollywood che sarà sostituita, disintermediata, distrutto: è tutto quanto. È la realtà stessa che sta per venire divorata da simulacri iperreali eruttati ad ogni minuto dall’IA.

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Cina

Pechino condanna a morte 16 gestori dei centri per le truffe online in Birmania

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Il tribunale di Wenzhou ha giudicato colpevoli 39 imputati della famiglia Ming, originaria dello Stato Shan nel nord del Myanmar. Le accuse comprendono frode e traffico di droga con proventi stimati in oltre 10 miliardi di yuan. Tra i condannati a morte figurano il figlio e la nipote del patriarca Ming Xuechang, morto in circostanze controverse durante l’arresto. L’operazione si inserisce nella più ampia repressione di Pechino contro i gruppi criminali che operano in Myanmar.

 

Un tribunale cinese ha condannato a morte 16 membri della famiglia Ming, potente gruppo criminale della regione Kokang, nello Stato Shan del nord del Myanmar, coinvolto nei commerci illeciti legati ai centri per le truffe online, una questione a cui Pechino da tempo sta rispondendo con una dura repressione.

 

Secondo i media cinesi, il Tribunale intermedio di Wenzhou, nella provincia orientale di Zhejiang, ha riconosciuto colpevoli 39 imputati per 14 reati, tra cui frode, omicidio e lesioni volontarie. Le condanne sono state differenziate: 11 imputati hanno ricevuto la pena capitale immediata, cinque la condanna a morte con sospensione di due anni, 11 l’ergastolo e gli altri pene comprese tra i cinque e i 24 anni di carcere.

 

Per alcuni sono state inoltre disposte anche multe e la confisca dei beni.

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L’accusa ha ricostruito che, a partire dal 2015, la famiglia Ming ha sfruttato la propria influenza nella regione Kokang per costituire una fazione armata e creare diversi «parchi» composti da edifici dediti alle truffe online. I gruppi armati hanno stretto alleanze con altre bande per fornire protezione alle attività illecite del clan: truffe telefoniche, traffico di droga, prostituzione, gestione di casinò e giochi d’azzardo online. I proventi stimati da frodi e gioco d’azzardo superano i 10 miliardi di yuan, circa 1,4 miliardi di dollari, secondo l’accusa.

 

Al centro del processo è finita in particolare la «Crouching Tiger Villa», una base utilizzata per le truffe online di proprietà di Ming Xuechang, patriarca della famiglia. Il 20 ottobre 2023 le guardie del complesso aprirono il fuoco contro lavoratori che cercavano di fuggire: fra le vittime vi furono 14 cittadini cinesi, alcuni dei quali – secondo indiscrezioni non verificate – erano agenti di sicurezza sotto copertura inviati da Pechino.

 

Tra i condannati a morte figurano anche il figlio di Ming Xuechang, Ming Xiaoping (noto anche come Ming Guoping), e la nipote, Ming Zhenzhen. Non compare invece la figlia, Ming Julan, il cui arresto era stato annunciato in un primo momento ma non confermato nella successiva comunicazione ufficiale da parte della giunta birmana.

 

Il patriarca Ming Xuechang, 69 anni, era stato arrestato nel novembre 2023 insieme ad altri membri della famiglia, nel quadro della pressione esercitata da Pechino sul Myanmar per smantellare i sindacati criminali del Kokang.Secondo le autorità di Naypyidaw, Xuechang si sarebbe sparato durante l’arresto ed è morto in seguito per le ferite riportate. In passato era stato membro della Zona a statuto speciale del Kokang e deputato del parlamento statale dello Shan per l’Union Solidarity and Development Party (USDP), partito legato ai militari birmani.

 

Il caso della famiglia Ming si inserisce nella vasta campagna lanciata da Pechino contro le truffe telefoniche transnazionali. Il ministero della Pubblica sicurezza ha dichiarato che, solo nel periodo del 14° Piano quinquennale (2021-25), la polizia cinese ha risolto 1,74 milioni di casi di frode, smantellato oltre 2mila centri di truffe all’estero e arrestato più di 80mila sospetti.

 

In parallelo, anche la milizia legata a Pechino che controlla il Wa State, un’area anch’essa al confine tra Cina e Myanmar, ha di recente intensificato i rimpatri forzati verso la Cina: solo negli ultimi nove mesi sono state deportate 448 persone sospettate di frodi online, in una dozzina di operazioni coordinate con Pechino.

 

Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne.

Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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Immagine da AsiaNews

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Internet

Israele paga gli influencer 7000 dollari a post sui social media USA

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Israele ha finanziato influencer per pubblicare contenuti sui social media al fine di migliorare la propria immagine negli Stati Uniti. Lo riporta la testata online Responsible Statecraft.   Come riportato da Renovatio 21, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha recentemente evidenziato l’importanza dei creatori di contenuti per mantenere il supporto allo Stato Ebraico, incontrando, a margine della sua problematica apparizione all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, gli influencer filosionisti.   Martedì, Responsible Statecraft ha riportato che documenti presentati in conformità al Foreign Agents Registration Act (FARA) degli Stati Uniti hanno svelato i dettagli di una «campagna di influencer» gestita da una società di consulenza con sede a Washington che collabora con il ministero degli Esteri israeliano.   Le fatture inviate ad un gruppo mediatico tedesco, che coordina la campagna, indicano un finanziamento di 900.000 dollari tra giugno e novembre 2025 per un gruppo di 14-18 influencer. I documenti stimano tra 75 e 90 post in quel periodo, con un costo per post tra 6.143 e 7.372 dollari, secondo Responsible Statecraft. Non è stato reso noto quali influencer siano coinvolti.

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La società statunitense avrebbe coinvolto un ex portavoce delle Forze di Difesa Israeliane (IDF) e un ex rappresentante della società israeliana di spyware NSO Group, produttrice del celeberrimo software-spia per smartphone Pegasus.   La settimana scorsa, Netanyahu ha dichiarato in una conferenza stampa che è essenziale rafforzare la «base di sostegno di Israele negli Stati Uniti» attraverso gli influencer, soprattutto su piattaforme come TikTok – di cui si è beato per l’acquisto da parte del miliardario filo-israeliano Larry Ellison – e X, posseduto dall’«amico» Elone Musk.   La campagna d’immagine di Israele si colloca in un contesto di diminuzione del sostegno negli Stati Uniti, in particolare riguardo alla guerra di Gaza. Un recente sondaggio del New York Times ha rivelato che il 60% degli americani ritiene che Israele debba porre fine al conflitto, e più della metà si oppone a ulteriori aiuti economici e militari allo Stato degli ebrei .   Alcuni legislatori, come la deputata repubblicana Marjorie Taylor Greene, hanno definito la situazione a Gaza un «genocidio» e si sono opposti a ulteriori aiuti a Israele.   Come riportato da Renovatio 21, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, pur continuando a sostenere Israele, ha recentemente ammesso che l’influenza della lobby israeliana, che un tempo aveva un «controllo totale» sul Congresso, è diminuita.  

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