Produrre non permette più all’Occidente di vivere; per contro la Cina è diventata «l’officina del mondo». Sono soltanto i detentori di capitali a fare soldi, tanti soldi. Il sistema sta per crollare. I grandi capitalisti sono ancora in tempo a mettere in salvo la propria ricchezza?
Economia
Il sistema economico occidentale volge al termine
Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire.
Già nel XVIII secolo, agli albori del capitalismo, gli economisti britannici della scuola di David Ricardo s’interrogavano sulla durata illimitata del sistema. Ciò che all’inizio rende cospicuamente, alla fine rientra nella normalità e cessa di arricchire il proprietario: i consumi non possono motivare in eterno una produzione massiccia. In seguito, i socialisti, discepoli di Karl Marx (1), preconizzarono l’ineluttabile fine del capitalismo.
La domanda è: i super-capitalisti sono ancora in tempo a mettere in salvo la propria ricchezza o ci sarà una redistribuzione aleatoria della ricchezza causata da un conflitto generalizzato?
Un sistema che avrebbe dovuto soccombere nel 1929, ma che con generale sorpresa è sopravvissuto alla crisi. Ci stiamo avvicinando a un momento analogo: la produzione non è più rimunerativa. Ora solo la finanza fa denaro. In Occidente vediamo un generale abbassamento del livello di vita delle masse e il patrimonio di pochi individui raggiungere vette impensate. Il sistema minaccia di crollare e di non riuscire a risollevarsi. La domanda è: i super-capitalisti sono ancora in tempo a mettere in salvo la propria ricchezza o ci sarà una redistribuzione aleatoria della ricchezza causata da un conflitto generalizzato?
La crisi del 1929 e la sopravvivenza del capitalismo
Con la crisi del 1929 negli Stati Uniti tutte le élite occidentali credettero che la gallina dalle uova d’oro fosse morta e sepolta; che occorresse trovare immediatamente un nuovo sistema per non far morire di fame l’intera umanità.
Per cogliere l’angoscia che attanagliava l’Occidente, è particolarmente istruttivo leggere la stampa statunitense ed europea dell’epoca. Immense fortune evaporarono in un solo giorno. Milioni di operai senza lavoro precipitarono nella miseria e sovente soffrirono la fame. Le popolazioni si rivoltavano. Le polizie sparavano proiettili veri su folle incollerite. Nessuno immaginava che il capitalismo potesse emendarsi e rinascere. Si prospettarono così due nuovi modelli: lo stalinismo e il fascismo.
Diversamente dall’idea che a distanza di un secolo ne abbiamo, tutti all’epoca erano consapevoli dei difetti di entrambe le ideologie, ma c’era un problema impellente, di vitale importanza: decidere chi sarebbe riuscito a sfamare meglio il popolo. Destra e sinistra non esistevano più, la parola d’ordine era un generale «si salvi chi può». Benito Mussolini, che alla vigilia della prima guerra mondiale era direttore del più importante giornale socialista italiano, nonché durante la guerra agente dell’MI5 britannico, diventò il leader del fascismo, allora percepito come l’ideologia che avrebbe garantito di che sfamarsi agli operai. Joseph Stalin, che durante la rivoluzione russa era stato bolscevico, liquidò quasi tutti i delegati del partito, rinnovandoli per costruire l’URSS, all’epoca vista come espressione di modernità.
Né Mussolini né Stalin riuscirono a realizzare il proprio modello: alla fine gli economisti devono sempre lasciare posto ai militari. Le armi hanno sempre l’ultima parola
Né Mussolini né Stalin riuscirono a realizzare il proprio modello: alla fine gli economisti devono sempre lasciare posto ai militari. Le armi hanno sempre l’ultima parola. Ed ecco la seconda guerra mondiale, la vittoria dell’URSS e degli anglosassoni da un lato, la caduta del fascismo dall’altro. Soltanto gli Stati Uniti non furono devastati dalla guerra e il presidente Franklin Roosevelt, organizzando il settore bancario, offrì al capitalismo una seconda chance. Gli Stati Uniti ricostruirono l’Europa senza schiacciare la classe operaia, perché temevano potesse volgersi all’Unione Sovietica.
La crisi dopo la scomparsa dell’URSS
Tuttavia, quando a fine 1991 l’URSS crollò, il capitalismo, privo di un rivale, ricadde in preda ai vecchi dèmoni.
Dal momento che le stesse cause provocano i medesimi effetti, in pochi anni la produzione degli Stati Uniti iniziò a decrescere e i posti a essere delocalizzati in Cina. La classe media si avviò verso una lenta decadenza. I detentori di capitali si sentirono minacciati e tentarono approcci successivi per salvare il Paese e sostenere il sistema.
Il primo tentativo fu quello di trasformare l’economia statunitense imperniandola sull’esportazione delle armi, nonché di usare le forze armate per controllare materie prime e fonti di energia possedute dalla parte non-globalizzata del pianeta e metterle a disposizione della parte restante
Il primo tentativo fu quello di trasformare l’economia statunitense imperniandola sull’esportazione delle armi, nonché di usare le forze armate per controllare materie prime e fonti di energia possedute dalla parte non-globalizzata del pianeta e metterle a disposizione della parte restante.
Si tratta del progetto di adattamento al «capitalismo finanziario» (se questo ossimoro ha senso) − la dottrina Rumsfeld/Cebrowski (2) − che indusse lo Stato Profondo USA a organizzare gli attentati dell’11 Settembre e la guerra senza fine nel Medio Oriente Allargato. Una scelta che concesse vent’anni di respiro al capitalismo, ma le cui conseguenze interne furono disastrose per le classi medie.
Il secondo tentativo fu quello di Donald Trump: porre un freno agli scambi internazionali per tornare alla produzione interna. Ma siccome Trump aveva dichiarato guerra agli uomini dell’11 Settembre, non gli fu permesso di tentare il salvataggio degli Stati Uniti.
Il secondo tentativo fu quello di Donald Trump: porre un freno agli scambi internazionali per tornare alla produzione interna. Ma siccome Trump aveva dichiarato guerra agli uomini dell’11 Settembre, non gli fu permesso di tentare il salvataggio degli Stati Uniti
È stata immaginata una terza trasformazione: abbandonare le popolazioni occidentali al loro destino e spostare i pochi multi-miliardari in uno Stato robotizzato da dove poter dirigere gli investimenti. È il progetto Neom, che il principe Mohammed bin Salman ha iniziato a realizzare nel deserto saudita, con la benedizione della NATO. Dopo un periodo d’intensa attività i lavori sono oggi a un punto morto.
La pandemia di COVID-19 è stata occasione per l’ex équipe di Rumsfeld (fra cui i dottori Richard Hatchett (3) e Anthony Fauci (3)) di lanciare una quarta opzione: proseguire e generalizzare negli Stati sviluppati quanto iniziato nel 2001.
L’isolamento massiccio di popolazioni sane ha costretto gli Stati a indebitarsi. Il ricorso al telelavoro ha preparato la delocalizzazione di milioni di impieghi. Il Green Pass ha legalizzato una società di sorveglianza di massa.
Klaus Schwab e la grande reinizzializzazione (Great Reset)
È in questo contesto che il presidente del Forum di Davos, Klaus Schwab, ha pubblicato COVID-19: The Great Reset.
Non è affatto un programma, ma un’analisi della situazione e un’anticipazione delle possibili evoluzioni. Il libro è stato scritto per i membri del Forum di Davos e rende l’idea del loro pietoso livello intellettuale. L’autore snocciola una serie di stereotipi, citando alla rinfusa grandi autori, come pure gli strampalati numeri di Neil Ferguson (Imperial College) (5).
È stata immaginata una terza trasformazione: abbandonare le popolazioni occidentali al loro destino e spostare i pochi multi-miliardari in uno Stato robotizzato da dove poter dirigere gli investimenti. È il progetto Neom, che il principe Mohammed bin Salman ha iniziato a realizzare nel deserto saudita, con la benedizione della NATO
Negli anni Settanta-Ottanta, Klaus Schwab fu uno dei direttori della società Escher-Wyss (assorbita da Sulzer AG), che svolse un importante ruolo nel programma di ricerca atomica del Sudafrica dell’apartheid; una collaborazione a disdegno della risoluzione 418 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Schwab è perciò privo di etica e non teme nulla.
Successivamente creò un circolo di capi d’impresa, diventato poi Forum Economico Mondiale, una nuova denominazione favorita dal Centro per l’Impresa Privata Internazionale (CIPE), ramo padronale della National Endowment for Democracy (NED/CIA). Per questo ragione nel 2016 Schwab fu registrato al Gruppo di Bilderberg (organo d’influenza della NATO) come funzionario internazionale, carica mai ufficialmente attribuitagli.
Nel libro Schwab prepara l’auditorio a una società orwelliana. Prende in esame scenari di ogni tipo, persino il decesso del 40% della popolazione mondiale. Nessuna proposta concreta, nessuna alternativa. Si capisce solo che lui e il suo pubblico non decideranno nulla, ma sono pronti ad accettare tutto pur di conservare i propri privilegi.
Conclusione
Siamo indubbiamente alle soglie di un enorme scombussolamento che spazzerà via tutte le istituzioni occidentali. Un cataclisma che potrebbe essere evitato semplicemente cambiando l’equilibrio della rimunerazione fra lavoro e capitale. Una soluzione tuttavia improbabile perché implicherebbe la fine delle super-ricchezze.
L’isolamento massiccio di popolazioni sane ha costretto gli Stati a indebitarsi. Il ricorso al telelavoro ha preparato la delocalizzazione di milioni di impieghi. Il Green Pass ha legalizzato una società di sorveglianza di massa.
Alla luce di queste considerazioni, la rivalità fra Occidente e Oriente è soltanto di facciata. Non solo perché gli asiatici non ragionano in termini di competizione, ma soprattutto perché vedono l’agonia dell’Occidente.
Ecco perché Russia e Cina stanno lentamente edificando il proprio mondo, senza sperare d’integrarvi l’Occidente: un predatore ferito che non vogliono affrontare, ma rassicurare, prodigandogli cure palliative per accompagnarlo, senza forzature, al suicidio.
NOTE
1) Per la critica dell’economia politica, Karl Marx (1859).
2) «La dottrina Rumsfeld/Cebrowski», di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 25 maggio 2021.
3) «Il COVID-19 e l’Alba Rossa», di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 28 aprile 2020.
4) «COVID-19: la morsa si stringe attorno al dottor Anthony Fauci», Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 8 ottobre 2021.
5) «COVID-19: Neil Ferguson, il Lyssenko liberale», di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 19 aprile 2020.
Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND
Fonte: «Il sistema economico occidentale volge al termine», di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 19 ottobre 2021.
Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
Immagine di World Economic Forum via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-NC-SA 2.0)
Economia
Hollywood al capolinea: Netflix vuole comprare Warner Bros
Netflix avrebbe raggiunto un accordo per acquisire Warner Bros., inclusi i suoi studi cinematografici e televisivi, HBO e HBO Max, attraverso una transazione mista in contanti e azioni che valuta Warner Bros. Discovery a un valore aziendale di 82,7 miliardi di dollari (valore azionario di 72 miliardi di dollari), pari a 27,75 dollari per azione.
L’intesa dovrebbe essere finalizzata nel terzo trimestre del 2026, dopo lo scorporo programmato da parte di WBD della sua divisione Global Networks in una società quotata autonoma («Discovery Global»). Questa operazione giunge a pochi mesi dalla proposta avanzata da Paramount-Skydance per rilevare WBD.
L’accordo tra Netflix e WBD fonderà la piattaforma di streaming con un catalogo secolare e con franchise iconici come i supereroi della DC Comics, Harry Potter, Game of Thrones, I Soprano e The Big Bang Theory.
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In una nota ufficiale, Netflix ha dichiarato che l’operazione espanderà la sua library di contenuti, potenzierà le capacità produttive e favorirà una crescita sostenibile nel lungo periodo: «fornendo agli utenti una gamma più vasta di serie e film di alto livello, Netflix si attende di conquistare e trattenere un maggior numero di abbonati, incrementare l’engagement e generare entrate e profitti operativi aggiuntivi. L’azienda prevede inoltre di conseguire risparmi sui costi per almeno 2-3 miliardi di dollari annui entro il terzo anno e che la fusione avrà un effetto positivo sull’utile per azione GAAP già a partire dal secondo anno».
Secondo i termini dell’accordo, ogni azione WBD sarà convertita in 23,25 dollari in contanti più 4,50 dollari in azioni Netflix. I board di entrambe le società hanno approvato l’operazione all’unanimità.
La chiusura è attesa tra 12 e 18 mesi, subordinata all’esame regolatorio e all’ok degli azionisti di WBD. All’inizio dell’anno, Netflix ha superato le controfferte, tra cui quelle di Paramount-Skydance e Comcast.
Bloomberg ha rilevato che Hollywood non accoglie con entusiasmo questo nuovo connubio tra Netflix e WBD.
Warner Bros. Discovery ha avviato negoziati esclusivi per cedere i suoi studi cinematografici e televisivi insieme a HBO Max a Netflix, stando a fonti interne alla major – un’indicazione che il colosso dello streaming ha avuto la meglio su Paramount-Skydance e Comcast. Un’intesa del genere ridisegnerebbe il settore dell’intrattenimento e rappresenterebbe un turning point strategico per Netflix, già leader per capitalizzazione a Hollywood. Paramount ha bollato il processo di cessione come «contaminato», mentre l’attrice Jane Fonda, due volte premio Oscar, ha descritto il suo potenziale effetto sull’industria con un aggettivo più severo: «catastrofico».
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Nata come servizio di noleggio DVD via posta, Netflix ha prima annientato la catena Blockbuster e ora sta replicando il colpo con Hollywood, snobbando in larga misura le uscite cinematografiche in sala. L’accordo catapulterebbe Netflix al rango di superpotenza negli studi hollywoodiani. Tuttavia, il tutto resta appeso all’approvazione dei regolatori, con il repubblicano californiano Darrell Issa che ha già espresso opposizione a qualsivoglia acquisizione di Warner Bros. da parte di Netflix.
L’industria cinematografica è minacciata dall’avvento dell’IA, che potrebbe presto consentire a chiunque di produrre contenuti di livello cinematografico in un click, disintegrando un’intera filiera di lavoratori che vanno dagli attori ai cineoperatori, agli addetti al casting, agli elettricisti, registi, etc.
Si spiega così la corsa di Netflix verso le IP, cioè le proprietà intellettuali: avere un personaggio conosciuto e diffuso come, ad esempio Harry Potter, anche nell’era del cinema generato dall’AI potrebbe avere un valore strategico ed economico.
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Immagine di Fourbyfourblazer via Flickr pubblicata su licenza CC BY 2.0
Economia
L’ex proprietario di Pornhub vuole acquistare le attività del gigante petrolifero russo
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Economia
La BCE respinge il ladrocinio dei fondi russi congelati proposto dalla Von der Leyen
La Banca Centrale Europea ha declinato di avallare il progetto della presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen per un finanziamento di 140 miliardi di euro a beneficio dell’Ucraina, da assicurare mediante i patrimoni russi immobilizzati. Lo riporta il Financial Times, attingendo a fonti informate sui negoziati.
Il quotidiano britannico ha precisato che la BCE ha ritenuto l’iniziativa della Commissione – che fa leva sugli attivi sovrani russi custoditi presso Euroclear, la società depositaria belga – estranea al proprio ambito di competenza.
Bruxelles ha impiegato mesi a sondare l’utilizzo delle riserve congelate della banca centrale russa per strutturare un «mutuo di indennizzo» da 140 miliardi di euro (equivalenti a 160 miliardi di dollari) in appoggio a Kiev. Il Belgio ha più volte espresso allarmi su potenziali controversie giudiziarie e pericoli finanziari in caso di attuazione del meccanismo.
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In base alla bozza elaborata dalla Commissione, i governi degli Stati membri dell’UE offrirebbero garanzie pubbliche per distribuire il peso del rimborso del prestito ucraino.
Tuttavia, i rappresentanti della Commissione hanno segnalato che i Paesi UE potrebbero non riuscire a reperire celermente risorse in scenari di urgenza, con il pericolo di generare turbolenze sui mercati finanziari.
A quanto risulta, i funzionari UE hanno sollecitato alla BCE se potesse intervenire come prestatore estremo per Euroclear Bank, la branca creditizia dell’ente belga, al fine di scongiurare una carenza di liquidità. Gli esponenti della BCE hanno replicato alla Commissione che tale opzione è impraticabile, ha proseguito il Financial Times, basandosi su interlocutori vicini alle consultazioni.
«Un’ipotesi di tal genere non è oggetto di esame, in quanto verosimilmente contravverrebbe alla normativa dei trattati UE che esclude il finanziamento monetario», ha chiarito la BCE.
Bruxelles starebbe ora esplorando vie alternative per assicurare una provvista temporanea a supporto del mutuo da 140 miliardi di euro.
«Assicurare la liquidità indispensabile per eventuali obblighi di restituzione dei beni alla banca centrale russa costituisce un elemento cruciale di un eventuale mutuo di indennizzo», ha dichiarato FT, citando un portavoce della Commissione.
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La direttrice di Euroclear, Valerie Urbain, ha ammonito la settimana scorsa che l’iniziativa verrebbe percepita a livello mondiale come una «espropriazione delle riserve della banca centrale, che erode il principio di legalità». Mosca ha reiteratamente definito qualsiasi ricorso ai suoi attivi sovrani come un «saccheggio» e ha minacciato ritorsioni.
L’urgenza del piano si inserisce in un frangente in cui l’UE, alle prese con vincoli di bilancio, deve reperire risorse per Kiev nei prossimi due anni, aggravata dalla congiuntura di liquidità critica ucraina, con gli sforzi per attingere ai fondi russi che si acuiscono mentre Washington avanza una nuova proposta per dirimere il conflitto. Gli analisti prevedono che l’Ucraina affronterà un disavanzo di bilancio annuo di circa 53 miliardi di dollari nel quadriennio 2025-2028, al netto degli stanziamenti militari extra.
L’indebitamento pubblico e garantito dal governo del Paese ha raggiunto picchi storici, oltrepassando i 191 miliardi di dollari a settembre, ha comunicato il Ministero delle Finanze. Il mese scorso, il Fondo Monetario Internazionale ha aggiornato al rialzo le stime sul debito ucraino, proiettandolo al 108,6% del PIL.
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Immagine di © European Union, 2025 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
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