Economia
Il governo tedesco vicino all’insolvenza
L’intero bilancio fiscale della Repubblica Federale Tedesca è in bilico, con solo poche eccezioni.
Sulla scia della sentenza della Corte Costituzionale del 15 novembre contro i trucchi fiscali del governo per raccogliere fondi per l’agenda di protezione del clima, la Corte dei conti lancia ora un avvertimento che il bilancio previsto per l’anno fiscale 2024 non deve essere approvato, perché a seguito della sentenza sono necessari numerosi chiarimenti.
Di fatto, la Corte dei conti ha dichiarato che la sentenza non riguarda solo il fondo per il clima, ma «influenza il finanziamento di tutti i fondi speciali» del governo federale. Ora tutti rientrano nelle regole del freno all’indebitamento.
L’unica eccezione è il fondo speciale di 100 miliardi di euro per l’equipaggiamento delle forze armate tedesche. Come noto Berlino, pur con problemi di reclutamento, si sta rimilitarizzando investendo almeno 22 miliardi di dollari in munizioni entro il 2030. Come riportato da Renovatio 21, un anno fa i deputati tedeschi hanno cambiato la Grundgesetz – la Costituzione tedesca – per aumentare il tetto della spesa militare.
Ad ogni modo, secondo la Corte dei conti, il Fondo di Stabilizzazione Economica (FSM), che ammonta a 200 miliardi di euro ripartiti su diversi anni, destinato a superare la crisi energetica che ha investito il primo Paese europeo, ne risentirà sicuramente.
Ora questi fondi dovrebbero essere assunti anche come debito ufficiale del governo federale. Si può presumere che ciò «supererà significativamente i limiti massimi della regola del debito per l’indebitamento netto ammissibile con un impatto sul flusso di cassa» per il 2023 e il 2024, avvertono i revisori dei conti.
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Secondo i calcoli dei revisori, quest’anno il tetto del debito verrà superato di 138,8 miliardi di euro e nel bilancio 2024 di altri 48,5 miliardi di euro, per un totale di 187,3 miliardi di euro entro la fine del 2024, per rispettare il tetto del debito.
L’unica via d’uscita sarebbe l’abolizione del tetto del debito, cosa che, come previsto dalla Costituzione, richiederebbe una maggioranza di due terzi dei voti in Parlamento. Finora tale maggioranza non esiste.
In una decisione presa dal panico, che sfiora la dichiarazione di insolvenza del governo – una situazione che ricorda i recenti problemi al Congresso degli Stati Uniti – il ministro delle Finanze tedesco Christian Lindner ha decretato ieri pomeriggio che tutte le autorizzazioni di spesa previste per il 2024 rimangono sospese, senza che nessuna spesa sia consentita se non ha ricevuto l’approvazione esplicita di emergenza.
Alcuni esperti dubitano addirittura che l’attuale spesa per il bilancio dell’anno fiscale 2023 possa sfuggire a un congelamento. Il ministro Lindner, del partito liberaldemocratico FDP, è un convinto difensore del tetto del debito; gli altri due partner della coalizione, socialdemocratici e verdi, vogliono sospenderlo.
È presumibile che cercare di mantenere il tetto, o di sospenderlo senza una profonda ristrutturazione dell’intera politica fiscale, porterà la coalizione a un punto di rottura.
Il Fondo Monetario Internazionale ha previsto il mese scorso che la Germania sarà l’unica economia del G7 a subire una contrazione quest’anno, mentre lotta con le ricadute della crisi energetica. Solo pochi mesi fa la Germania ancora parlava di razionamento dell’energia, mentre si spengono gli ultimi reattori nucleari.
In Germania la produzione è diminuita per la prima volta da gennaio, guidata da un forte calo della produzione industriale.
Come riportato da Renovatio 21, l’industria chimica tedesca, per fare un esempio, è letteralmente in caduta libera. Lo stesso dicasi per il settore automotive, un tempo fiore all’occhiello dell’industria del continente.
«L’unica vera via d’uscita sarebbe una nuova politica fiscale che sostenga gli investimenti dell’economia reale, con prestiti a lungo termine e a basso interesse» scrive EIRN. Tuttavia la realtà è che la politica economica della Germania è finita in una spirale munchauseniana di continui aiuti multimiliardari all’Ucraina e asservimento alla piovra verde degli ecologisti e dei miliardari dietro di loro.
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Immagine di Dirk Vorderstraße via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
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Economia
Picco del prezzo del petrolio dopo le sanzioni statunitensi alla Russia
I prezzi del petrolio sono aumentati notevolmente in seguito all’annuncio da parte degli Stati Uniti di sanzioni contro i colossi russi Rosneft e Lukoil.
I future sul greggio Brent, benchmark globale, sono saliti di oltre il 5% a 65,99 dollari al barile, mentre il West Texas Intermediate (WTI) statunitense è salito del 5,6% a 61,79 dollari giovedì.
Nonostante i prezzi siano leggermente scesi nelle prime contrattazioni di venerdì, entrambi i benchmark sono rimasti sulla buona strada per un aumento settimanale del 7%, il più grande dall’inizio di giugno.
La Casa Bianca ha descritto le ultime sanzioni come un passo per «incoraggiare Mosca ad accettare un cessate il fuoco». La Russia afferma di rimanere aperta alla diplomazia, ma insiste sul fatto che qualsiasi accordo di pace debba affrontare le cause profonde del conflitto. Ha accusato Kiev e i suoi sostenitori occidentali di rifiutarsi di negoziare in buona fede e di minare gli sforzi di pace attraverso le sanzioni.
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Secondo quanto riportato dai media, che citano fonti commerciali, le sanzioni hanno spinto le principali compagnie petrolifere statali cinesi a sospendere gli acquisti di greggio russo via mare a breve termine. Fonti del settore hanno inoltre avvertito che le raffinerie in India, il maggiore acquirente di petrolio russo via mare, e in Turchia, il terzo, potrebbero ridurre le importazioni nelle prossime settimane.
«I flussi verso l’India sono a rischio in particolare… le sfide per le raffinerie cinesi sarebbero più contenute, considerando la diversificazione delle fonti di greggio e la disponibilità delle scorte», ha detto a Reuters Janiv Shah, vicepresidente dell’analisi dei mercati petroliferi presso Rystad Energy.
Si prevede che le misure avranno ripercussioni sul mercato, poiché gli acquirenti di greggio russo cercheranno alternative finché non ci sarà chiarezza sull’applicazione delle misure, ha dichiarato al Wall Street Journal Richard Bronze, responsabile geopolitica di Energy Aspects. Bronze prevede che il Brent potrebbe avvicinarsi ai 70 dollari al barile nei prossimi giorni. «Solo la decisione di fare questo annuncio provocherà un’onda d’urto notevole sul mercato», ha affermato.
La Russia ha da tempo avvertito che le sanzioni sono illegali e si ritorcono contro chi le impone. Commentando le nuove restrizioni giovedì, il presidente Vladimir Putin le ha definite una «mossa ostile», ma ha affermato che non avrebbero avuto un impatto significativo sull’economia russa. Ha aggiunto che le sanzioni rappresentano un altro tentativo di Washington di fare pressione su Mosca, sottolineando che «nessun Paese che si rispetti agisce mai sotto pressione».
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Economia
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