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Spirito

«Il dolore non è un nonsense da cancellare, ma uno strumento di Grazia». Discorso di mons. Viganò

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Monsignor Carlo Maria Viganò, già Nunzio Apostolico negli USA, ha inviato un messaggio ai partecipanti del Congresso medico sulla cura del dolore «Roma Pain Days», che si è tenuto in questi giorni presso la capitale italiana.

 

Viganò, nel suo discorso, ha sottolineato la componente spirituale della scienza medica.

 

«Il tema trattato da questo Congresso – Roma Pain Days – è certamente un ambito proprio alla ricerca scientifica, ed ancor più alla cura del dolore da parte dei medici. Ma i progressi a cui la scienza e l’arte medica possono condurre non devono mai prescindere da quella componente spirituale che, assieme al corpo fisico, ci rende uomini con un’anima immortale: questa visione, che appartiene alla civiltà occidentale ed è stata trattata da Aristotele, non riguarda il solo paziente, ma anche il medico» ha detto il monsignore. 

 

«Da un lato, infatti, le cure amministrate al malato – e le terapie per il sollievo del dolore, di cui vi occupate – devono tener conto che la loro efficacia sul corpo è legata alle cure da amministrare allo spirito. Sapete bene, per esperienza diretta, quanto lo stato d’animo del paziente sia determinante nell’affrontare tante malattie; e viceversa, avete visto voi stessi quali gravissimi danni siano derivati a tante persone ricoverate durante la cosiddetta pandemia e lasciate sole, senza la possibilità di vedere i parenti, private addirittura del conforto di un sacerdote» ha continuato l’arcivescovo. 

 

«Dall’altro lato, anche il medico è fatto di corpo e anima, e come tale è giusto e lodevole che egli possa esercitare questo ministero di Carità non “in corpore vili”, ma vedendo nel paziente, con sguardo soprannaturale, quel prossimo curato dal samaritano della parabola. Vedendo in esso Nostro Signore sofferente, che nel giorno del giudizio vi ricorderà il bene che avete fatto a Lui, ogni volta che lo avete fatto ai vostri fratelli, ai vostri pazienti».

 

Nostro Signore, che è Medico dell’anima, non vi chiede di pensare soltanto al paziente, ma anche a voi stessi; non vuole da voi solo un impegno per la sua salute e una parola di conforto o di ammonimento che possa toccargli il cuore. Egli vuole che assieme al malato voi curiate e saniate anche voi stessi, perché Dio ama il medico non meno del malato, ed entrambi vuole salvare e avere con Sé nell’eternità beata. 

 

Monsignor Viganò ha quindi attaccato la mutazione della Salute in business.

 

«Il cinismo del mondo contemporaneo è giunto a trasformare anche la Sanità pubblica in un’occasione di profitto, e riducendo di conseguenza i medici a grigi esecutori di protocolli e compilatori di moduli e statistiche. Ma per giungere a questo scopo, ha prima imposto una visione materialista del malato, da trattare come «utente» di un servizio, da considerare come un numero, una voce di bilancio.» 

 

Monsignore ha quindi parlato del ruolo del dolore nel percorso dell’anima

 

«Nella cura del dolore, solitamente associata a gravi patologie, potrà avvenire che le persone a voi affidate si avvicinino alla morte. Esse si trovano nel momento più cruciale e tremendo della loro esistenza, sull’orlo dell’eternità. Ed è in questo momento che un malato ha maggiore bisogno di assistenza spirituale: essere visitato da un sacerdote, che lo aiuti a confessarsi bene, che gli amministri il Santo Viatico, che gli dia l’Unzione con cui affrontare l’agone, il combattimento in punto di morte».

 

«Ebbene, sta a voi – e di questo è onerata la vostra coscienza – far sì che, pur nel sollievo dal dolore, sia nondimeno data al vostro paziente la possibilità di avere una pausa di lucidità per prepararsi a incontrare il Signore. Non private nessuno di questa occasione, lasciandolo nell’incoscienza indotta dai farmaci al solo scopo di non farlo soffrire: pensate che altre sofferenze, eterne e ben maggiori, potrebbero attendere un’anima che muore in peccato mortale». 

 

«Comprendo possa sembrare quasi una provocazione ricordarlo in questo consesso, ma vi sono persone per le quali il dolore non è un nonsense da cancellare, ma uno strumento di Grazia, se viene offerto a Dio in unione alla Passione redentrice di Nostro Signore» ha detto l’arcivescovo.

 

«Per il Cristiano, infatti, la morte, la malattia, il travaglio del parto costituiscono la punizione per il peccato originale, ma possono trasformarsi in occasione per riparare le colpe proprie e altrui. Il dolore, che tanto ripugna alla mentalità dell’uomo contemporaneo, ci riporta prepotentemente dinanzi alla realtà trascendente della Croce, dando la possibilità anche a chi è costretto in un letto in terapia intensiva di cooperare spiritualmente al bene comune».

 

«Pensate alle parole di San Paolo: Completo nel mio corpo quello che manca ai patimenti di Cristo, per il bene del suo corpo che è la Chiesa (Col 1, 24). La vita di tanti Santi, assieme all’assistenza dei malati e di chi soffre, ci mostra esempi eroici di questa immolazione, dinanzi alla quale l’orgoglio materialista del mondo moderno si volge altrove, perché incapace di comprendere» dice Viganò, sottolineando la concezione cristiana della sofferenza.

 

«Eppure, vissuto con sguardo trascendente, il dolore può diventare una potente preghiera che sale a Dio; proprio nel momento in cui esso è accettato per amore di Nostro Signore e del prossimo, risulta meno gravoso e logorante sopportarlo. Per queste ragioni il sollievo della sofferenza – moralmente lecito finché non priva permanentemente l’individuo delle proprie facoltà – deve tener conto e rispettare la decisione di chi sceglie di offrire questo dolore, anche solo in parte». 

 

Monsignore non si tira indietro rispetto ad un’analisi del quadro generale.

 

«È vero: siete medici. Voi sapete che la vostra è una missione, una vocazione, anche se l’OMS, le multinazionali, il World Economic Forum e tutta la miriade di enti internazionali cercano di irregimentarvi sotto rigidi controlli che stravolgono e corrompono l’autonomia e la libertà che rendono unica e insostituibile la figura del medico. Ma proprio perché oggi state assistendo a cambiamenti radicali che fino a tre anni fa avreste giudicato impensabili e irragionevoli; proprio perché la malattia è un lucroso business che difficilmente le multinazionali del farmaco hanno interesse a ridurre, è indispensabile che vi siano medici capaci di difendere la propria identità e dignità da questa pericolosa deviazione».

 

Il prelato ha quindi toccato anche il tema dei pericoli dell’Intelligenza Artificiale che si potrebbe introdurre nella Sanità, ammonendo i medici:

 

«Non dimenticate che anche voi potreste un giorno ammalarvi, e trovarvi nella medesima situazione di chi oggi siete voi a curare. Pregate di trovare medici coscienziosi e che onorano il Giuramento di Ippocrate, perché in loro assenza non sia un algoritmo o una presunta «Intelligenza Artificiale” a decidere di condurvi all’exitus – come si dice nella neolingua – in quanto non remunerativi per la struttura ospedaliera o di peso per il Sistema sanitario».

 

«Dio vi guardi da tali personaggi cinici e senza morale, che mentre state per esalare l’ultimo respiro fissano la vostra scheda sull’iPad senza degnarvi di uno sguardo.  L’orrore di tanta disumanità – credetemi – si comprende quando ci si trova dall’altra parte, e troppo tardi ci si pente di un sorriso mancato, di un contatto che trasmetta umanità, di quella luce divina che ancora da qualche parte si mostra in questo mondo decadente e apostata» dice monsignor Viganò, sottolineando che «mancherei al mio dovere di Pastore se non vi ricordassi che i precetti della Morale naturale e cristiana rimangono validi ovunque e in qualunque tempo: essi devono essere alla base dei principi fondamentali della deontologia medica».

 

«Fate dunque in modo che chi si affida alle vostre cure possa farlo con serenità, e nella consapevolezza di non vedere in voi degli esecutori di protocolli o dei piazzisti di farmaci, ma delle persone animate dalla volontà di santificarsi – sì: santificarsi, perché questo è ciò che il Signore chiede a ciascuno di noi, e per cui ha versato il Suo Sangue sulla Croce – comportandosi come Gesù stesso farebbe, e vedendo Gesù nei propri pazienti» conclude l’arcivescovo, impartendo la sua benedizione sui partecipanti del Convegno.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Gender

Papa Francesco dice alla suora pro-LGBT che i transessuali «devono essere integrati nella società»

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Papa Francesco ha detto alla suor Jeannine Gramick, eterodossa e censurata dal Vaticano, che «le persone transgender devono essere accettate e integrate nella società». Lo riporta LifeSiteNews.

 

I commenti del romano pontefice sono arrivati ​​in risposta a una lettera inviata da suor Gramick, in cui la religiosa pro-LGBT esprimeva la sua «tristezza e il mio disappunto per l’uso del concetto di “ideologia di genere”» nel documento recentemente pubblicato Dignitas infinita.

 

Pubblicata l’8 aprile, la dichiarazione vaticana Dignitas infinita critica la «teoria del gender». Citando la controversa enciclica Amoris Laetitia, l’autore della dichiarazione, il cardinale argentino Victor Manuel Fernandez – noto alle cronache, oltre che per encicliche contestate come la omosessualista Fiducia Supplicans, anche per libri di carattere erotico-spirituale come quelli sul bacio e sull’orgasmo – ha scritto che l’ideologia di genere «prospetta una società senza differenze di sesso, e svuota la base antropologica della famiglia».

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«La teoria del gender è che essa vuole negare la più grande possibile tra le differenze esistenti tra gli esseri viventi: quella sessuale», scrive la dichiarazione, aggiungendo che sono «da respingere tutti quei tentativi che oscurano il riferimento all’ineliminabile differenza sessuale fra uomo e donna».

 

Significativamente, tuttavia, il documento non fa menzione dell’omosessualità.

 

Rivelando i dettagli della comunicazione del Papa con lei, suor Gramick ha sottolineato di aver scritto al pontefice per la prima volta dopo la pubblicazione di Dignitas Infinita. Affermando di essere stata «molto triste» fin dalla sua pubblicazione, Gramick ha affermato che la «sezione del documento sulla teoria del genere, che condanna “l’ideologia di genere”, sta danneggiando» le persone con confusione di genere.

 

La suora filo-omotransessualista ha rivelato quindi di aver scritto a Francis «per raccontargli la mia tristezza e la mia delusione per l’uso del concetto di «ideologia di genere».

 

«Ho scritto di nuovo al nostro amato papa, dicendogli che, sfortunatamente negli Stati Uniti (e in altre parti del mondo), “ideologia di genere” ha un significato diverso» scrive la religiosa. «Non significa annullare o non rispettare le differenze. È vero il contrario: chi usa quel termine non considera né rispetta la storia e l’esperienza di genere di una persona. Credo che le persone che usano il termine “ideologia di genere” molto probabilmente non hanno mai accompagnato persone transgender».

 

Secondo suor Gramick, cofondatrice del gruppo catto-LGBT «New Ways Ministry», il papa avrebbe risposto che «l’ideologia di genere è qualcosa di diverso dalle persone omosessuali o transessuali. L’ideologia di genere rende tutti uguali senza rispetto per la storia personale. Capisco la preoccupazione per quel paragrafo di Dignitas Infinita, ma non si riferisce alle persone transgender ma all’ideologia di genere, che annulla le differenze. Le persone transgender devono essere accettate e integrate nella società».

 

Suor Gramick ha portato avanti la tesi, ritenuta da alcuni blasfema, secondo la quale Dio crea le persone con una differenza fondamentale nella loro identità fisica e in quella della loro anima, sostenendo che una persona confusa dal genere «si rende conto che il suo corpo non corrisponde alla sua anima».

 

«Le persone transgender non cancellano né negano le differenze sessuali o di genere. È proprio perché una persona transgender sa che esistono differenze di genere che si rende conto che il suo corpo non corrisponde alla sua anima».

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Suor Gramick, scrive LifeSite, «ha una lunga storia di dissenso dall’insegnamento cattolico sull’omosessualità e l’aborto ed è stato ufficialmente censurata da papa Giovanni Paolo II e dal cardinale Joseph Ratzinger nel 1999 ma ha ignorato l’ordine». Recentemente la suora «ha sostenuto che la Chiesa dovrebbe aiutare ad affermare gli individui che si identificano come transgender nella le loro identità sbagliate, suggerendo che Dio “intende” che tali persone abbraccino le loro tendenze disordinate e si presentino falsamente come il sesso opposto», secondo il sito prolife canadese.

 

«La Chiesa dovrebbe aiutare a rimuovere il dolore in modo che la persona possa diventare una cosa sola nella mente e nel corpo come Dio intende», ha detto la suora, accusando la Chiesa di imporre un «serio fardello» alle persone che hanno confusione riguardo al proprio sesso affermando la realtà della loro natura sessuata.

 

Nonostante la sua lunga storia di eterodossia e di sostegno a posizioni che contravvengono all’insegnamento cattolico, Gramick ha trovato negli ultimi anni il favore di Papa Francesco, ricevendo numerose lettere da lui a sostegno del suo gruppo pro-LGBT e del suo attivismo personale.

 

Durante l’incontro del Sinodo sulla sinodalità del 2023, è stata ricevuta dal Papa in un’udienza privata concessa a lei e ai suoi colleghi della New Ways Ministry, il gruppo che ha co-fondato nel 1977 con il sacerdote dissidente Robert Nugent. L’udienza papale è stata descritta come l’occasione per evidenziare una «nuova apertura» al lavoro della Gramick.

 

Nel 1999 il Prefetto della Congregazione della Fede cardinale Joseph Ratzinger, futuro papa Benedetto XVI, firmava la notifica sul caso di suor Gramick e di padre Nugent.

 

«La diffusione di errori ed ambiguità non è coerente con un atteggiamento cristiano di vero rispetto e compassione: le persone che stanno combattendo con l’omosessualità hanno, non meno di altre, il diritto di ricevere l’autentico insegnamento della Chiesa da coloro che li seguono pastoralmente», scriveva il documento co-firmato dall’allore Segretario della CDF Tarcisio Bertone.

 

«Le ambiguità e gli errori della posizione di padre Nugent e di suor Gramick hanno causato confusione fra i Cattolici ed hanno danneggiato la comunità della Chiesa. Per questi motivi a Suor Jeannine Gramick, SSND, ed a Padre Robert Nugent, SDS, è permanentemente vietata ogni attività pastorale in favore delle persone omosessuali ed essi non sono eleggibili, per un periodo indeterminato, ad alcun ufficio nei loro rispettivi Istituti religiosi.

 

«Penso che nel lungo termine… Papa Francesco stia gettando le basi per un cambiamento nella sessualità», aveva detto Gramick lo scorso autunno, in risposta a una domanda sulla possibilità di «un cambiamento sostanziale nell’insegnamento della Chiesa sull’omosessualità».

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I segni del favore di Bergoglio nei confronti dei transessuali si sono moltiplicati negli anni del suo enigmatico papato.

 

Come riportato da Renovatio 21, nel 2015 il Dicastero aveva risposto negativamente alla stessa richiesta.

 

I segni di avvicinamento al transgenderismo, in effetti, si sono moltiplicati lungo tutto il papato bergogliano.

 

A fine gennaio 2015, un «uomo transgender» – nato in Ispagna come donna – dichiarò di aver avuto un’udienza privata con il papa, dove, secondo alcuni articoli di giornale, Bergoglio avrebbe «abbracciato» il 48enne transessuale.

 

A Napoli, sempre nel 2015, il romano pontefice, fu riportato dai media globali mangiò con «carcerati gay e transessuali».

 

Come riportato da Renovatio 21, l’anno scorso il pontefice ha incontrato dei trans in «pellegrinaggio» in Vaticano. «Gli ho baciato la mano, lui ha baciato la mia» avrebbe detto il trans paraguagio Laura. Nel 2020 invece aveva devoluto un obolo una tantum a dei trans sudamericani del litorale romano che a causa del lockdown si erano dovuto rivolgere in parrocchia. Arrivò l’elemosiniere, il polacco cardinale Krajewski, già noto per aver ridato la corrente ad un centro sociale, per saldare bollette e affitti e procurare generi di prima necessità. Nel 2015 papa Francesco aveva invece ricevuto in Vaticano un transessuale spagnuolo.

 

Come riportato da Renovatio 21l’ambasciata USA presso la Santa Sede sei mesi fa ha celebrato il «Transgender Day of Remembrance», il «giorno del ricordo transgender che offre un omaggio «a quelli della comunità transgender che sono stati assassinati a causa dell’odio». Durante il mese di giugno, l’ambasciata statunitense issò una grande bandiera omotransessualista – e immaginiamo abbiano fatto lo stesso anche all’ambasciata di Riyadh o di Islamabad. Ad ogni modo, non è noto se la Santa Sede abbia protestato.

 

Lo scorso novembre, in un segno ulteriore e sempre più definitivo, papa Francesco ha presieduto un pasto in Aula Paolo VI dove erano presenti anche «quarantaquattro individui transgender e quattro volontari» provenienti dalla parrocchia di Torvajanica (Roma), che da alcuni anni si dedica all’accoglienza e all’instaurazione di amicizia con queste persone.

 

 

L’agenzia Associated Press ha pubblicato un video dell’evento che seguiva i trans sin da quando sono saliti in pulmino. Il filmato si chiude con un’immagine della Basilica di San Pietro vista da via della Conciliazione e la scritta «Papa Francesco ha fatto dell’apertura alla comunità LGBTQ+ uno dei segni principali del suo papato».

 

Come riportato da Renovatio 21, il cardinale Fernandez aveva fatto un’ulteriore «apertura» magisteriale nei confronti dell’omotransessualismo firmando per Dicastero della Dottrina della Fede, assieme al pontefice un documento in cui apriva per i transgender la possibilità di fare da padrini (madrine, o quello che è) ai battesimi.

 

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Spirito

Il Vaticano riforma il suo sistema giudiziario

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Attraverso un nuovo motu proprio reso pubblico il 19 aprile 2024, il Sommo Pontefice ha modificato molte leggi che regolano l’ordinamento giudiziario della Santa Sede, armonizzandolo con il vicino ordinamento italiano. È questo un modo per trarre insegnamento da numerose questioni nate all’indomani del «processo del secolo», la cui onda d’urto continua a scuotere le mura del recinto leonino.   69 è il numero delle Lettere apostoliche in forma di motu proprio promulgate sotto l’attuale pontificato.   Questo atto giuridico è un motu proprio che, in sei articoli, modifica le norme giudiziarie dello Stato Pontificio. Il documento riguarda in parte l’attività dei magistrati ordinari fino ai 75 anni, e fino agli 80 anni per i giudici cardinali. Resta inoltre aperta la possibilità da parte del Sommo Pontefice di prolungare caso per caso il mandato dei magistrati, fissando modalità di remunerazione, di fine rapporto e di pensioni.   Altri provvedimenti hanno suscitato una reazione più forte da parte dei giuristi italiani, come quelli riguardanti la responsabilità civile dei magistrati o il potere conferito al Papa di intervenire nel corso di un processo nominando un vicepresidente o cessando dal servizio di un magistrato il quale, «per comprovata incapacità», non sarebbe più in grado di esercitare le sue funzioni.   D’ora in poi chi ritiene di aver subito un danno potrà avviare un procedimento giudiziario contro lo Stato della Città del Vaticano, che potrà a sua volta rivolgersi a un magistrato se sarà dimostrato che ha causato un danno.   Questo è un modo per allineare il sistema del microStato a quanto avviene in Italia, dove la responsabilità del magistrato è indiretta, per far sì che un cittadino non possa agire direttamente contro un giudice che gli ha fatto torto nel corso di un processo. Si tratta di una misura intesa a garantire la libertà, l’indipendenza e la tutela dei magistrati contro eventuali pressioni esterne.

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Per motivare questa evoluzione, Francesco evoca «gli anni di esperienza che hanno fatto sentire la necessità di una serie di cambiamenti». È difficile non vedere in ciò una scossa di terremoto provocata dal processo del secolo conclusosi provvisoriamente nel dicembre 2023. Provvisoriamente, perché, oltre alla Segreteria di Stato e all’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (APSA), tutti gli altri attori, imputati e parti civili, hanno impugnato la decisione dei giudici.   Molti giuristi italiani sottolineano che l’attuale pontificato ha riscritto le regole quattro volte durante la fase istruttoria del recente grande processo, sia come modo per colmare un vuoto normativo per alcuni, sia come modo per il Romano Pontefice di mantenere il controllo sullo svolgimento del processo.   Inoltre, il Tribunale vaticano – che è stato teatro di diverse riforme negli ultimi anni – resta composto prevalentemente da avvocati e pubblici ministeri che hanno ricoperto o ricoprono incarichi in Italia e che, di conseguenza, non sempre hanno una perfetta conoscenza della normativa usi e consuetudini della Santa Sede, né del diritto della Chiesa.   In un contributo scritto dopo la sentenza, uno dei legali degli imputati nel processo del secolo, Cataldo Intrieri, ha denunciato le «contraddizioni» del sistema giudiziario vaticano e gli «esorbitanti poteri» concessi ai pubblici ministeri che, a suo dire, aveva portato ad una procedura giudiziaria «molto lontana dai criteri adottati in uno Stato di diritto».   È una critica che il nuovo motu proprio tenta forse di disarmare, anche se non è realistico pretendere dal papato – che resta nella sua essenza monarchico – una separazione assoluta dei poteri.   Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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Capitano della squadra campione di pallavolo entra in un ordine cattolico tradizionale

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Un noto giocatore di pallavolo francese ha annunciato che intende unirsi a una piccola e tradizionale comunità di canonici. Si tratta di Ludovic Duée, 32 anni, capitano della sua squadra vincitrice del campionato nazionale francese di pallavolo. Lo riporta LifeSiteNews.

 

Il Duée ha annunciato a Ouest France la sua intenzione di entrare a far parte dei Canonici Regolari della Madre di Dio, un istituto religioso maschile di diritto pontificio dedito alla liturgia latina. Il campione ha dichiarato che sta scegliendo tra la «vocazione e la professione».

 

Nei giorni scorsi, il pallavolista professionista capitano della sua squadra del Saint-Nazaire Volley-Ball Atlantique, ha vinto il titolo nazionale di pallavolo francese. Tuttavia la partita del campionato nazionale sarà anche l’ultima, secondo le sue stesse dichiarazioni ai media.

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Duée entrerà quest’anno tra i Canonici Regolari, dove trascorrerà i primi mesi come postulante. Con sede nel sud della Francia, la comunità relativamente giovane segue la Regola di Sant’Agostino e ha una spiritualità mariana basata su San Luigi Maria di Montfort e San Massimiliano Kolbe.

 

Cresciuto cattolico ma senza prestare molta attenzione alla sua fede da adolescente, Duée ha detto che vedeva Dio come qualcuno «con una pistola, pronto a colpirmi se mi fossi allontanato».

 

La sua scoperta dei Canonici è avvenuta durante gli anni di restrizioni legate al COVID-19, durante i quali è stato costretto a un periodo di riflessione più intensa. Dopo aver incontrato i Canonici, che erano vicini a dove viveva, la stella della pallavolo ha dichiarato che la sua percezione di Dio è cambiata. Ha abbandonato la sua idea di «un padre minaccioso che era lì per colpire», a favore di «un Dio amorevole».

 

«Ho scoperto che Dio mi amava e che aspettava solo una cosa, che anch’io lo amassi». Questa, ha detto, «è stata la base di questo viaggio».

 

Fondata nel 1971, la comunità conta circa 39 religiosi maschi, con un ramo femminile dell’ordine stabilito a circa 30 chilometri di distanza. I suoi membri sono dediti alla celebrazione della Messa tradizionale.

 

Dopo aver completato il postulato, presumendo che sia lui che la comunità esprimano un discernimento di continuazione, Duée vestirà l’abito ed entrerà nel noviziato che dura almeno un anno. I voti temporanei vengono emessi al termine del noviziato, ed è circa cinque anni dopo l’ingresso nella comunità e l’assunzione dell’abito che un membro prende i voti permanenti.

 

Gli stessi Canonici affermano che la loro vita spirituale «è quella della vita cristiana: appartenere a Cristo e vivere nella Chiesa. Ciò richiede naturalmente la devozione alla Beata Vergine, modello e Madre della Chiesa». Notano che nella loro comunità la devozione mariana si avvale in modo particolare della consacrazione a Maria.

 

In quanto canonici, i membri della comunità hanno il carisma speciale di vivere in comunità e di basarsi sulla loro chiesa particolare. La loro vita canonica è costruita sulla liturgia, vivendo una vita comune sia nel lavoro che nella preghiera, e nel loro apostolato.

 

«L’obiettivo è diventare prete. Rispondo a quella che considero una chiamata interiore», ha detto Duée. Ha descritto i Canonici come «molto dinamici e molto aperti al mondo, con un lato apostolico molto pronunciato».

 

In effetti, la giovane comunità ha attirato attorno a sé numerose famiglie e giovani, offrendo ritiri per uomini e donne, preparazione al matrimonio e un luogo in cui gli studenti possano trascorrere del tempo nello studio tranquillo e nella preghiera.

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Ai visitatori dell’abbazia viene anche offerta l’opportunità di prendere direzione spirituale con uno dei canonici, e i canonici vengono regolarmente visti guidare e prendere parte a vari pellegrinaggi agli antichi santuari in tutta la Francia.

 

I canonici vendono parte dei loro prodotti per sostenere la loro vita quotidiana, fanno affidamento sul sostegno dei donatori per i loro bisogni e per l’attuale restauro dell’abbazia stessa.

 

La cosiddetta Opus Mariæ fu fondata nella diocesi di Gap nel 1969 da Roger Péquigney. Nel 1988, i suoi membri abbracciarono lo stile di vita dei canonici regolari, che coniugava contemplazione e attività pastorali. L’8 maggio 1997, la comunità fu ufficialmente eretta come abbazia, seguendo la regola di sant’Agostino, e adottò il nome di «canonici regolari della Madre di Dio».

 

La comunità ha mantenuto la liturgia latina come definita nella riforma promulgata da papa Giovanni XXIII nel 1962.

 

Nel 2004, la comunità si trasferì a Lagrasse, nella diocesi di Carcassonne.

 

L’ordine ricevette l’approvazione della Santa Sede l’18 ottobre 2002 ed è sotto la giurisdizione della Pontificia Commissione «Ecclesia Dei».

 

All’ordine è associato il ramo femminile delle canonichesse regolari della Madre di Dio, residenti nel monastero Mater Dei ad Azille.

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Caso di devozione da parte dei giovani francesi non compaiono nelle cronache, ma esistono eccome. Ne è prova una storia annessa al dramma di Annecy dello scorso anno.

 

Come riportato da Renovatio 21, quando un immigrato siriano si era messo ad accoltellare i passanti, tra cui dei bambini, in riva al lago, era intervenuto per fermarlo Henri d’Anselme, un giovane pellegrino che stava facendo un tour delle cattedrali francesi. Intervistato dalla tv di «informazione continua» BFM TV, un canale molto popolare in Francia, il ragazzo in 14 minuti di conversazione era riuscito ad inserire nel suo racconto dell’accaduto parole come «cattedrale», «cristianità», «Santa Vergine», «Cristo», «preghiera», «spirito cavalleresco».

 

 

Qualcosa sta accadendo all’ultima generazione, anche nella laicissima – cioè dominata da massoni – Francia.

 

Se a Parigi vi sono personaggi che parlano con nonchalance di guerra anche atomica, se al vertice potrebbero aver instaurato programmaticamente un abominio oscuro e indicibile, nelle valli e nelle campagne, nelle cittadine e perfino nelle isole lontane, un ritorno della purezza potrebbe manifestarsi – e trascinare rispedire l’élite malvagia all’Inferno.

 

E allora: vive la France. Dieu le Roi!

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Immagine di Mathieu MD via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported

 

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