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Geopolitica

Il Cremlino definisce per la prima volta gli USA come «un nemico»

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Il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha definito gli Stati Uniti un «nemico» parlando ai giornalisti martedì, in un apparente inasprimento della retorica tra i due Paesi.

 

Non è chiaro se l’uso della parola segnali un cambiamento politico ufficiale, poiché il portavoce aveva precedentemente sostenuto che solo il presidente Vladimir Putin può prendere tali decisioni.

 

Il rifiuto di Washington di consentire all’ex marine americano, ispettore delle armi delle Nazioni Unite e collaboratore di testate governative russe Sputnik e RT Scott Ritter di recarsi a San Pietroburgo è stata secondo Peskov «l’ultima manifestazione della rabbiosa campagna per impedire ai cittadini statunitensi di interagire con la Federazione Russa» – il che sarebbe solo «comprensibile» se ciò fosse in qualche modo legato al suo precedente status di Intelligence, ha detto martedì Peskov ai giornalisti.

 

«Ora siamo un Paese nemico per loro, proprio come loro lo sono per noi», ha detto Peskov, pur riconoscendo che le restrizioni applicate agli ex ufficiali dell’intelligence, specialmente sui viaggi «verso un Paese ostile», sono comuni in tutto il mondo.

 

Il Cremlino in precedenza aveva definito gli Stati Uniti e gli altri Paesi occidentali che hanno sostenuto e armato l’Ucraina e imposto sanzioni a Mosca «stati ostili» o «avversari».

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Il cambiamento di linguaggio fa seguito alla decisione di Washington di consentire a Kiev di utilizzare armi fornite dagli americani contro obiettivi all’interno della Russia, oltre quello che gli Stati Uniti considerano territorio ucraino, scrive RT.

 

A marzo, Peskov ha osservato che Mosca si oppone ai funzionari statunitensi che insultano il presidente Putin, ma che in generale non c’è «nessun sentimento anti-americano» in Russia, esprimendo la speranza che «prima o poi si realizzerà che i popoli di America e Russia non sono nemici».

 

Putin aveva affermato a gennaio che le élite dei paesi occidentali sono il vero nemico della Russia, mentre l’Ucraina è un mero strumento nelle loro mani.

 

«Il punto non è che stanno aiutando il nostro nemico, ma che sono nostri nemici», ha detto il presidente russo, sostenendo che il conflitto tra Mosca e Kiev è stato orchestrato dalle élite occidentali che cercano di infliggere una «sconfitta strategica» alla Russia.

 

Il mese scorso, Putin ha ribadito che «l’intera comunità occidentale sta lavorando per il nostro nemico, sognando che la Russia cessi di esistere nella sua forma attuale», ma si è fermato prima di definire «nemico» qualsiasi stato occidentale in particolare.

 

L’ex presidente russo Dmitrij Medvedev, che ora ricopre il ruolo di vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, e diversi altri funzionari noti per le posizioni aggressive, hanno ripetutamente bollato gli avversari di Mosca come «nemici» negli ultimi due anni – tuttavia il Peskov in precedenza aveva affermato che solo il presidente Putin può «formulare e dichiarare la posizione ufficiale della Russia in politica estera».

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Geopolitica

L’Arabia Saudita e il Pakistan firmano un patto di difesa reciproca

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L’Arabia Saudita e il Pakistan, dotato di armi nucleari, hanno siglato un accordo formale di difesa reciproca, consolidando ulteriormente la loro partnership di sicurezza decennale tra le due nazioni musulmane.   La decisione giunge in seguito a una sessione congiunta straordinaria tra la Lega Araba e l’Organizzazione per la Cooperazione Islamica (OCI), durante la quale gli stati membri hanno condannato l’attacco israeliano della settimana precedente alla capitale del Qatar, Doha, mirato a funzionari del gruppo armato palestinese Hamas. Secondo i media, l’episodio ha sollevato timori tra le nazioni del Golfo riguardo alla capacità degli Stati Uniti di garantire la loro sicurezza.   Mercoledì a Riad, il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman e il primo ministro pakistano Shehbaz Sharif hanno sottoscritto il patto di difesa tra i loro Paesi.   «Questo accordo, che riflette l’impegno comune di entrambe le nazioni a rafforzare la propria sicurezza e a promuovere pace e stabilità nella regione e nel mondo, mira a potenziare la cooperazione in materia di difesa tra i due paesi e a consolidare una deterrenza congiunta contro qualsiasi aggressione», si legge nella dichiarazione congiunta di Riad e Islamabad.

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Secondo l’accordo, qualsiasi attacco contro l’Arabia Saudita o il Pakistan «sarà considerato un’aggressione contro entrambi», si è sottolineato.   L’India, che a maggio ha affrontato un conflitto militare di quattro giorni con il Pakistan a seguito di un attacco terroristico contro turisti nel territorio dell’Unione di Jammu e Kashmir, ha dichiarato che «esaminerà le implicazioni di questo sviluppo per la nostra sicurezza nazionale e per la stabilità regionale e globale».   Nuova Delhi era al corrente dei legami di sicurezza tra Riad e Islamabad e sapeva che era in preparazione un patto di difesa tra le due parti, ha scritto su X il portavoce del Ministero degli Esteri indiano Randhir Jaiswal.   Un alto funzionario saudita ha dichiarato a Reuters che l’accordo con il Pakistan rappresenta «il culmine di anni di discussioni. Non è una risposta a Paesi o eventi specifici».   Le relazioni tra Arabia Saudita e India «sono più solide che mai. Continueremo a rafforzarle e a contribuire alla pace regionale in ogni modo possibile», ha aggiunto.   I legami militari tra Riad e Islamabad risalgono a oltre mezzo secolo fa, con migliaia di ufficiali sauditi addestrati in Pakistan, ai tempi della guerra in Afghanistan, quando con finanziamenti sauditi e comando americano si implementò quella che la CIA chiamava «Operazione Ciclone», con il reclutamento di jihadisti da tutto il mondo (all’epoca si chiamavano più pudicamente mujaheddin) allo scopo di combattere la presenza sovietica in Afghanistan.   Tra gli operativi sauditi che operavano nella zona vi era il rampollo di ricca famiglia Osama Bin Laden, che con altri gestiva quella che era il database dell’insieme delle forze islamiste convocate a combattere i soldati di Mosca, una lista poi chiamata al-Qaeda, che significa appunto «la base».   La partnership in ambito di difesa rimane attiva attraverso programmi di addestramento ed esercitazioni congiunte.

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Geopolitica

La Spagna annulla accordi sulle armi con Israele per oltre 1 miliardo di dollari

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La Spagna ha cancellato quasi 1 miliardo di euro di contratti di difesa con aziende israeliane, la sua mossa più forte finora nell’ambito delle misure recentemente annunciate dal Primo Ministro Pedro Sanchez contro Gerusalemme Ovest, hanno riferito martedì i media, citando fonti governative.

 

Questa decisione fa seguito all’impegno assunto da Sanchez la scorsa settimana di sancire per legge il divieto di vendita e acquisto di armi da Israele in relazione alla sua offensiva a Gaza.

 

Secondo quanto riportato, il ministero della Difesa ha annullato un contratto da 700 milioni di euro per 12 lanciarazzi SILAM e un contratto da 287,5 milioni di euro per 168 missili anticarro Spike LR. I sistemi SILAM, basati sulla piattaforma israeliana Elbit PULS, avrebbero dovuto essere costruiti da un consorzio spagnolo, secondo l’agenzia di stampa EFE. Si prevede che le cancellazioni saranno finalizzate la prossima settimana, mentre Madrid si prepara a disimpegnarsi militarmente e tecnologicamente da Israele, alla ricerca di fornitori alternativi.

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La decisione arriva mentre Israele spinge un’offensiva su Gaza City, volta a conquistare quella che definisce l’ultima importante roccaforte di Hamas. Il gabinetto di sicurezza ha approvato il piano il mese scorso, con l’obiettivo di portare la città – una delle poche aree non sotto il controllo delle IDF – sotto piena occupazione.

 

Sanchez è tra i più severi critici di Israele in Europa e ha accusato lo Stato ebraico di aver commesso «atrocità e genocidio» a Gaza, presentando nove misure per porre fine alla «complicità» della Spagna, tra cui un embargo permanente sulle armi, divieti per ministri israeliani estremisti, sospensione della cooperazione militare, restrizioni sulle importazioni dagli insediamenti e un aumento degli aiuti umanitari per i palestinesi.

 

Anche diversi paesi in Europa e nel resto del mondo si sono mossi per sospendere o limitare le esportazioni di armi verso Israele. Italia, Belgio, Paesi Bassi, Giappone e Slovenia hanno imposto divieti totali o parziali, mentre la Germania ha dichiarato che non approverà più le esportazioni che potrebbero essere utilizzate a Gaza.

 

Nel frattempo, la Commissione Internazionale Indipendente d’Inchiesta delle Nazioni Unite ha dichiarato martedì che la campagna di Israele equivale a genocidio, citando l’intento di distruggere i palestinesi attraverso atti definiti dalla Convenzione sul Genocidio del 1948.

 

Israele deve anche affrontare un caso separato per genocidio presso la Corte Internazionale di Giustizia.

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Immagine di Outsnn via Wikimedia pubblicata su licenzia Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported

 

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Geopolitica

Netanyahu: Israele deve prepararsi all’isolamento

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Il primo ministro israeliano Benjamino Netanyahu ha dichiarato domenica che Israele dovrà ristrutturare la propria economia per fronteggiare sanzioni e boicottaggi su larga scala.   Parlando alla conferenza generale annuale dei contabili del ministero delle Finanze a Gerusalemme, Netanyahu ha sottolineato che la crescente pressione internazionale legata alla guerra di Gaza sta spingendo il Paese verso una maggiore autosufficienza economica.   «Dovremo adattarci sempre di più a un’economia con caratteristiche autarchiche», ha affermato. «Credo nel libero mercato, ho lavorato per portare in Israele una rivoluzione liberale. Ma potremmo trovarci in una situazione in cui le nostre industrie della difesa saranno bloccate».   «Dovremo sviluppare l’industria della difesa nazionale. Dovremo diventare Atene e una super-Sparta. Non abbiamo scelta. Almeno nei prossimi anni, dovremo fare i conti con questi tentativi di isolamento. Ciò che ha funzionato finora non funzionerà più d’ora in poi».

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Gli attivisti pro-Palestina hanno esercitato pressioni sulle aziende straniere affinché interrompano i legami con Israele.   La settimana scorsa, la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha chiesto la sospensione dell’accordo di libero scambio tra l’UE e Israele, citando la crisi umanitaria a Gaza, dove circa 65.000 persone sono morte dal 2023, accusando i «ministri estremisti» del governo Netanyahu di incitare alla violenza contro i palestinesi.   Come riportato da Renovatio 21, a giugno il ministro delle finanze, affiliato al Partito Religioso Nazionale – Sionismo Religioso, Bezalel Smotrich aveva invitato le banche israeliane dovrebbero fornire servizi ai coloni colpiti dalle sanzioni dell’Unione Europea, nonostante le potenziali ripercussioni.   Israele riceve circa 3,3 miliardi di dollari all’anno in aiuti militari e di sicurezza dagli Stati Uniti, oltre a pacchetti aggiuntivi approvati dal Congresso. Secondo il Council on Foreign Relations, Washington ha fornito circa 310 miliardi di dollari, principalmente in assistenza militare, dal 1946.   Nel 2024, la spesa militare di Israele è aumentata, raggiungendo circa l’8,78% del PIL, quasi il doppio rispetto al livello pre-2023.  

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  Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia  
 
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