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Geopolitica

I pericoli di uno scontro nucleare. In questo preciso momento

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Non sembra diffusa la consapevolezza che le frizioni in corso in Ucraina possono escalare in uno scontro tra potenze dotate di armi termonuclerari.

 

Si tratta, come hanno dichiarato gli scienziati nucleari del Bulletin of Atomic Scientists che hanno lasciato il loro simbolico orologio dell’apocalisse a due minuti da mezzanotte, di una minaccia esistenziale per l’intera umanità.

 

Media e politici occidentali, che parteggiano spudoratamente per la parte ucraino-americana, paiono non rendersi conto del rischio esiziale che stiamo correndo – anzi, spesso soffiano sul fuoco.

 

Tuttavia, come nota EIR, diversi articoli pubblicati la scorsa settimana avvertono che l’ipotesi di una nuova guerra in Europa potrebbe scatenare una guerra termonucleare.

 

Gli autori mancano di soluzioni, alcuni hanno una prospettiva geopolitica, ma sollevano paure ben giustificate.

 

Ira Helfand, co-fondatore già presidente dei Physicians for Social Responsibility, e Daryl G. Kimball, Direttore Esecutivo della Arms Control Association, hanno scritto in un pezzo pubblicato il 18 gennaio sul sito web Just Security, intitolato «La crisi russo-americana in Ucraina: tutte le opzioni non dovrebbero essere sul tavolo».

 

«Nell’era nucleare, [espressioni come] “tutte le opzioni sul tavolo” in un conflitto che coinvolgono le potenze nucleari potrebbero essere interpretate come il potenziale uso di armi nucleari…. I leader statunitensi e russi devono considerare l’uso di tali armi fuori dal tavolo – non ci sono vincitori in una guerra nucleare»

«Nell’era nucleare, [espressioni come] “tutte le opzioni sul tavolo” in un conflitto che coinvolgono le potenze nucleari potrebbero essere interpretate come il potenziale uso di armi nucleari…. I leader statunitensi e russi devono considerare l’uso di tali armi fuori dal tavolo – non ci sono vincitori in una guerra nucleare».

 

«Una volta che le armi nucleari vengono utilizzate in un conflitto che coinvolge avversari dotati di armi nucleari, anche su una cosiddetta “scala limitata” che coinvolge una manciata di bombe “più piccole” delle dimensioni di Hiroshima, non vi è alcuna garanzia che il conflitto non si intensifichi e diventi una conflagrazione nucleare globale».

 

Gli autori hanno citato il generale dell’Air Force John Hyten, allora capo del comando strategico degli Stati Uniti, che nel 2018 dopo l’annuale wargame «Global Thunder» ha dichiarato: «Finisce male. E male significa che finisce con una guerra nucleare globale».

 

«Non dovremmo aver bisogno di ricordare a noi stessi il terribile pericolo rappresentato da queste armi, ma, chiaramente, lo facciamo. Se i nostri leader capissero veramente questo pericolo, non potrebbero assolutamente impegnarsi nel tipo di tintinnio di sciabole nucleari che abbiamo visto negli ultimi anni» scrivono gli autori sul sito nel cui comitato consultivo c’erano Jake Sullivan e Avril Haines, ora rispettivamente consigliere per la Sicurezza nazionale e direttore dell’Intelligence nazionale.

 

The Eurasian Review ha pubblicato un articolo di allarme intitolato «Siamo ostaggi del militarismo» a firma di John Scales Avery, presidente del National Pugwash Group della Danimarca.

 

«Recentemente gli Stati Uniti hanno fatto mosse provocatorie che rischiano seriamente di iniziare una guerra con la Russia che potrebbe trasformarsi in una guerra nucleare»

«Abbiamo urgente bisogno di nuove strutture politiche e di una nuova etica che corrispondano alla nostra tecnologia avanzata», scrive. «Recentemente gli Stati Uniti hanno fatto mosse provocatorie che rischiano seriamente di iniziare una guerra con la Russia che potrebbe trasformarsi in una guerra nucleare»

 

«Allo stesso tempo, gli Stati Uniti stanno compiendo mosse aggressive nel tentativo di “contenere la Cina”. Così coloro che detengono il potere a Washington stanno minacciando la guerra sia con la Russia che con la Cina… Quale può essere la ragione di queste azioni, che sembrano rasentare la follia?»

 

L’autore suggerisce che la risposta sta nel «pensiero da ubriacone del “Project for New American Century” [PNAC, “Progetto per un nuovo secolo americano”, ndr] del neocon Paul Wolfowitz, la cui dottrina, enunciata poco tempo prima dell’11 settembre, asserisce che «il nostro primo obiettivo è prevenire il riemergere di un nuovo rivale» nel mondo post-sovietico.

 

Il professor Laurence Kotlikoff dell’Università di Boston ha scritto su The Hill, il 24 gennaio che «pochi americani o russi sembrano rendersi conto che un’invasione russa dell’Ucraina e la risposta della NATO che stiamo iniziando a osservare potrebbero degenerare nella terza guerra mondiale».

 

«In breve, Stati Uniti e Russia navigano ancora una volta sull’orlo della follia. I presidenti Biden e Putin devono trovare una via d’uscita da questo disperato precipizio. La Russia ha bisogno di assicurazioni che non sia circondata da una coalizione in continua crescita di nazioni che la vedono come loro nemica. E i membri della NATO, in particolare quelli confinanti con la Russia, hanno bisogno di assicurazioni che la Russia non stia cercando di restaurare l’Unione Sovietica» scrive Kotlikoff.

 

«In breve, Stati Uniti e Russia navigano ancora una volta sull’orlo della follia. I presidenti Biden e Putin devono trovare una via d’uscita da questo disperato precipizio»

Interessante è il titolo scelto dal professore bostoniano: «Invitate la Russia ad aderire alla NATO».

 

Oggi sembra una bestemmia o una barzelletta, eppure 20 anni fa ci fu qualcuno che quasi ci riuscì: il premier italiano Silvio Berlusconi. L’incontro  di Pratica di Mare (28 maggio 2002) riunì i capi di Stato e di governo dei 19 paesi membri dell’Alleanza atlantica e il presidente russo Vladimir Putin furono letti come un possibile segnale di fine della guerra fredda: l’obbiettivo comune di Russia e NATO era ora, si disse, il terrorismo internazionale.

 

«Dopo la firma che Putin metterà sul documento NATO – scrisse  non senza entusiasmo il Corriere all’epoca – la Russia, anche formalmente, potrà sentirsi partner di questa alleanza comune contro il terrorismo internazionale. Per questo bisogna dare «enfasi e impeto» all’integrazione della Russia nella NATO, ha sottolineato il segretario di Stato Colin Powell».

 

Rileggiamo: integrazione della Russia nella NATO.

 

Per molti motivi questo sogno svanì, non ultimo il fatto che i neocon, di hanno di fatto guidato la politica estera e militare americana in quegli anni e che ora sembrano tornati in auge, hanno tutti geneticamente in odio Mosca: sono più o meno tutti quanti figli di immigrati fuggiti dai territori dove regnava lo Zar.

 

La politica estera di Silvio Berlusconi, trasformativa e geniale, forse la cosa migliore dei suoi governi, puntò sin da subito a cambiare gli equilibri in gioco, stringendo rapporti (anche di vera amicizia, sembra proprio) con il presidente della Federazione Russa.

 

Ora stiamo assistendo alla corsa al Quirinale. Berlusconi è fuori da giochi, forse programmaticamente: ha finto di correre e bruciarsi per poi manovrare sulla vera carta che ha in mano.

 

I rapporti con Putin, non solo di Berlusconi ma di tutti i candidati alla Presidenza della Repubblica, sono un fattore dirimente nella scelta che si farà

Tuttavia rimane che, come hanno riportato alcuni commentatori sui giornali nazionali, i rapporti con Putin, non solo di Berlusconi ma di tutti i candidati alla massima carica dello Stato, sono un fattore dirimente nella scelta che si farà. Abbiamo parlamentari ultra-atlantisti (gli stessi che quando il partito si chiamava PCI inveivano contro la NATO), abbiamo partiti (più di uno) che sembrano esprimere interessi cinesi…

 

Pare passato non un ventennio, non un secolo, ma un millennio da quando poco fuori Roma Putin si accordava con l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, cioè il massimo nemico militare che aveva l’URSS. E che forse, ancora oggi, ha la Russia.

 

 

 

 

 

 

 

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Geopolitica

Gli europei sotto shock per la strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti per il 2025

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I leader europei e i media dell’establishment sono in preda al panico dopo la diffusione, sul portale ufficiale della Casa Bianca, della «Strategia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti d’America 2025» (NSS).

 

A terrorizzare Bruxelles e dintorni è l’impegno esplicito del governo USA a privilegiare «Coltivare la resistenza all’attuale traiettoria dell’Europa all’interno delle nazioni europee», descritta in termini aspri ma realistici. Il report si scaglia in particolare contro l’approccio dell’UE alla Russia.

 

L’NSS ammonisce che il Vecchio Continente rischia la «cancellazione della civiltà» se non invertirà la rotta imposta dall’Unione Europea e da altre entità sovranazionali. La «mancanza di fiducia in se stessa» del Continente emerge con evidenza nelle interazioni con Mosca. Gli alleati europei detengono un netto primato in termini di hard power rispetto alla Russia in quasi tutti i campi, salvo l’arsenale nucleare.

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Dopo l’invasione russa in Ucraina, i rapporti europei con Mosca sono drasticamente deteriorati e numerosi europei vedono nella Federazione Russa una minaccia esistenziale. Gestire le relazioni transatlantiche con la Russia esigerà un impegno diplomatico massiccio da Washington, sia per reinstaurare un equilibrio strategico in Eurasia sia per scongiurare frizioni tra Mosca e gli Stati europei.

 

«È un interesse fondamentale degli Stati Uniti negoziare una rapida cessazione delle ostilità in Ucraina, al fine di stabilizzare le economie europee, prevenire un’escalation o un’espansione indesiderata della guerra e ristabilire la stabilità strategica con la Russia, nonché per consentire la ricostruzione post-ostilità dell’Ucraina, consentendole di sopravvivere come Stato vitale».

 

Il conflitto ucraino ha paradossalmente accresciuto la vulnerabilità esterna dell’Europa, specie della Germania. Oggi, le multinazionali chimiche tedesche stanno erigendo in Cina alcuni dei più imponenti complessi di raffinazione globale, sfruttando gas russo che non possono più procurarsi sul suolo patrio.

 

L’esecutivo Trump si scontra con i burocrati europei che coltivano illusioni irrealistiche sul prosieguo della guerra, appollaiati su coalizioni parlamentari fragili, molte delle quali calpestano i pilastri della democrazia per imbavagliare i dissidenti. Una vasta maggioranza di europei anela alla pace, ma tale aspirazione non si riflette nelle scelte politiche, in gran parte ostacolate dal sabotaggio dei meccanismi democratici perpetrato da quegli stessi governi. Per quanto allarmati siano i continentali, l’establishment britannico lo è ancor di più.

 

Ruth Deyermond, docente al dipartimento di Studi della Guerra del King’s College London e specialista in dinamiche USA-Russia, ha commentato su X che il testo segna «l’enorme cambiamento nella politica statunitense nei confronti della Russia, visibile nella nuova Strategia per la Sicurezza Nazionale – il più grande cambiamento dal crollo dell’URSS». Mosca appare citata appena dieci volte nel corposo documento, nota Deyermond, e prevalentemente per evidenziare le fragilità europee.

 

In un passaggio esemplare, il report afferma che «questa mancanza di fiducia in se stessa è più evidente nelle relazioni dell’Europa con la Russia». «L’assenza della Russia dalla Strategia di Sicurezza Nazionale 2025 appare davvero strana, sia perché la Russia è ovviamente uno degli stati che hanno l’impatto più significativo sulla stabilità globale al momento, sia perché l’amministrazione è così chiaramente interessata alla Russia (…) Non è solo la mancanza di riferimenti alla Russia a essere sorprendente, è il fatto che la Russia non venga mai menzionata come avversario o minaccia» scrive l’accademica.«La mancanza di discussione sulla Russia, nonostante la sua importanza per la sicurezza e l’ordine internazionale e la sua… importanza per l’amministrazione Trump, fa sembrare che stiano semplicemente aspettando di poter parlare in modo più positivo delle relazioni in futuro».

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La parte dedicata al dossier ucraino – che allude al fatto che «l’amministrazione Trump si trova in contrasto con i politici europei che nutrono aspettative irrealistiche per la guerra» – pare quasi redatta dal Cremlino. L’incipit della Deyermond è lapidario: «Se qualcuno in Europa si aggrappa ancora all’idea che l’amministrazione Trump non sia inamovibile filo-russa e ostile alle istituzioni e ai valori occidentali, dovrebbe leggere la Strategia per la Sicurezza Nazionale del 2025 e ripensarci».

 

Il NSS dedica scarsa attenzione alla NATO, se non per insistere sulla cessazione della sua espansione indefinita, ma stando ad un articolo Reuters del 5 dicembre, Washington intende che l’Europa rilevi entro il 2027 la gran parte delle competenze di difesa convenzionale dell’Alleanza, dall’intelligence ai missili. Questa scadenza «irrealistica» è stata illustrata questa settimana a diplomatici europei a Washington dal team del Pentagono incaricato della politica atlantica, secondo cinque fonti «a conoscenza della discussione».

 

Nel corso dell’incontro, i vertici del Dipartimento della Difesa avrebbero espresso insoddisfazione per i passi avanti europei nel potenziare le proprie dotazioni difensive dopo l’«invasione estesa» russa in Ucraina del 2022. Gli esponenti USA hanno avvisato i loro omologhi che, in caso di mancato rispetto del termine del 2027, gli Stati Uniti potrebbero sospendere la propria adesione a certi meccanismi di coordinamento difensivo NATO, hanno riferito le fonti. Le capacità convenzionali comprendono asset non nucleari, da truppe ad armamenti, e i funzionari non hanno chiarito come misurare i progressi europei nell’assunzione della quota preponderante del carico, precisa Reuters.

 

Non è dato sapere se il limite temporale del 2027 rifletta la linea ufficiale dell’amministrazione Trump o meri orientamenti di singoli addetti del Pentagono. Diversi rappresentanti europei hanno replicato che un tale orizzonte non è fattibile, a prescindere dai criteri di valutazione di Washington, dal momento che il Vecchio Continente necessita di risorse finanziarie aggiuntive e di una volontà politica più marcata per rimpiazzare alcune dotazioni americane nel breve periodo.

 

Tra le difficoltà, i partner NATO affrontano slittamenti nella fabbricazione degli equipaggiamenti che intendono acquisire. Sebbene i funzionari USA abbiano sollecitato l’Europa a procacciarsi più hardware di produzione statunitense, taluni dei sistemi difensivi e armi made in USA più cruciali imporrebbero anni per la consegna, anche se commissionati oggi.

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Geopolitica

Orban: l’UE pianifica la guerra con la Russia entro il 2030

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Il primo ministro ungherese Viktor Orban ha sostenuto che l’Unione Europea si sta preparando a un confronto bellico con la Russia e mira a raggiungere la piena prontezza entro il 2030. Parlando sabato a un raduno contro la guerra, Orban ha denunciato come il Vecchio Continente stia già procedendo verso uno scontro militare diretto.   Il premier magiaro delineato un iter in quattro tappe che di norma conduce al conflitto: la rottura dei legami diplomatici, l’applicazione di sanzioni, l’interruzione della collaborazione economica e, da ultimo, l’inizio delle ostilità armate. Secondo lui, la maggioranza di questi passaggi è già stata percorsa.   «La posizione ufficiale dell’Unione Europea è che entro il 2030 dovrà essere pronta alla guerra», ha dichiarato, rilevando inoltre che i Paesi europei stanno virando verso un’«economia di guerra». Per Orban, taluni membri dell’UE stanno già riconfigurando i comparti dei trasporti e dell’industria per favorire la fabbricazione di armamenti.   Il premier du Budapest ha ribadito la contrarietà di Budapest al conflitto. «Il compito dell’Ungheria è allo stesso tempo impedire che l’Europa entri in guerra», ha precisato.

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Orban ha più volte manifestato aspre critiche alla linea dell’UE riguardo alla crisi ucraina. L’Ungheria ha sempre respinto le sanzioni nei confronti di Mosca e gli invii di armi a Kiev, invocando invece colloqui di pace in luogo di un inasprimento.   L’allarme riecheggia le recenti uscite del presidente serbo Aleksandar Vucic e del ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius, entrambi i quali hanno insinuato che un scontro tra Europa e Russia diventi sempre più verosimile nei prossimi anni.   Malgrado la retorica sempre più bellicosa di certi membri dell’UE e della NATO verso la Russia, nessuno ha apertamente manifestato l’intenzione di impegnarsi in una guerra. La scorsa settimana, il presidente del Comitato Militare NATO, l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, ha confidato al Financial Times che l’Unione sta valutando opzioni per un approccio più ostile nei riguardi di Mosca, inclusa l’ipotesi che un attacco preventivo possa configurarsi come atto difensivo.  

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Scontri lungo il confine tra Thailandia e Cambogia

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Lunedì la Thailandia ha condotto raid aerei in Cambogia, mentre i due vicini del Sud-est asiatico si attribuivano reciprocamente la responsabilità di aver infranto la tregua negoziata dagli Stati Uniti.

 

A luglio, una controversia confinaria protrattasi per oltre cinquant’anni è sfociata in scontri armati tra i due Stati. Il presidente USA Donald Trump, tuttavia, era riuscito a imporre un cessate il fuoco dopo cinque giorni di ostilità.

 

L’esercito thailandese ha riferito che i nuovi episodi di violenza sono emersi domenica, accusando le unità cambogiane di aver sparato contro i soldati di Bangkok nella provincia orientale di Ubon Ratchathani. Un militare thailandese è caduto, mentre altri quattro hanno riportato ferite; in seguito, ulteriori truppe thailandesi sono state bersagliate da artiglieria e droni presso la base di Anupong, ha precisato lo Stato Maggiore.

 

 

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Il portavoce della Royal Thai Air Force, il maresciallo dell’aria Jackkrit Thammavichai, ha comunicato in tarda mattinata di lunedì che i jet F-16 sono stati impiegati per «ridurre le capacità militari della Cambogia al livello minimo necessario per salvaguardare la sicurezza nazionale e proteggere i civili». Il portavoce del ministero della Difesa cambogiano, il tenente generale Maly Socheata, ha replicato domenica sera sostenendo che le truppe thailandesi hanno sferrato vari assalti contro le postazioni di Phnom Penh, utilizzando armi leggere, mortai e carri armati.

 

«Anche la parte thailandese ha accusato falsamente la Cambogia senza alcun fondamento, nonostante le forze cambogiane non abbiano reagito», ha dichiarato. Il dicastero ha altresì smentito le denunce thailandesi su un potenziamento delle truppe lungo il confine.

 

La contesa territoriale affonda le radici nell’epoca coloniale, quando la Francia – che dominò la Cambogia fino al 1953 – delimitò i confini tra i due paesi. Gli scontri di luglio provocarono decine di vittime e oltre 200.000 sfollati da ambo le parti.

 

Come riportato da Renovatio 21, la Thailandia aveva sospeso la «pace di Trump» quattro settimane fa.

 

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