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I network pedofili si connettono su Instagram. Voi invece magari siete bannati

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I pedofili si connettono piuttosto liberamente su uno dei principali social network. È la conclusione sconvolgente di un lungo articolo che sta facendo tremare la rete.

 

Una corposa inchiesta del Wall Street Journal e dello Stanford Internet Observatory assieme alla University of Massachusetts Amherst rivela che Instagram – società di proprietà di Meta, cioè Facebook – ospiterebbe una rete organizzata e massiccia di pedofili.

 

L’articolo sostiene che sono gli stessi algoritmi di Instagram che promuoverebbero contenuti pedofili ad altri pedofili, mentre i pedofili stessi userebbero emoji codificati, come l’immagine di una mappa o una fetta di pizza al formaggio – la famosa «cheese pizza» (le iniziali dell’espressione inglese per «pedopornografia») di cui si era sentito parlare all’altezza dello scandalo del 2016 chiamato Pizzagate, poi dichiarato in lungo e in largo una bufala, una «fake news».

 

«Instagram collega i pedofili e li guida ai venditori di contenuti tramite sistemi di raccomandazione che eccellono nel collegare coloro che condividono interessi di nicchia, hanno scoperto il Journal e i ricercatori accademici» scrive l’articolo.

 

«I ricercatori hanno scoperto che gli account pedofili su Instagram mescolano sfacciataggine con sforzi superficiali per velare la loro attività. Alcuni emoji funzionano come una sorta di codice, come l’immagine di una mappa – abbreviazione di “minor-attracted person” [persona attratta dai minori, ndr] – o quella di “cheese pizza”, che condivide le sue iniziali con “pornografia infantile”, secondo Levine di UMass. Molti si dichiarano “amanti delle piccole cose della vita”».

 

Secondo i ricercatori, Instagram avrebbe addirittura consentito ai pedofili di cercare contenuti con hashtag espliciti come #pedowhore e #preteensex, che sono stati poi utilizzati per collegarli ad account che pubblicizzano materiale pedopornografico in vendita da utenti con nomi come «little slut for you» («piccola troia per te»).

 

«In molti casi, Instagram ha permesso agli utenti di cercare termini che i suoi stessi algoritmi sanno possono essere associati a materiale illegale. In tali casi, una schermata pop-up per gli utenti ha avvertito che “Questi risultati possono contenere immagini di abusi sessuali su minori” e ha osservato che la produzione e il consumo di tale materiale causano “danni estremi” ai bambini. Lo schermo offriva due opzioni per gli utenti: “Ottieni risorse” e “Vedi comunque i risultati”. In risposta alle domande del Journal, Instagram ha rimosso l’opzione per gli utenti di visualizzare i risultati di ricerca per termini che potrebbero produrre immagini illegali. La società ha rifiutato di dire perché aveva offerto l’opzione».

 

Secondo il pezzo, i venditori di pornografia infantile spesso trasmettono in modo lievemente criptato l’età presunta del bambino, dicendo che sono «al capitolo 14» o «31 anni» con però un’emoji di una freccia inversa.

 

Meta, la società che possiede Instagram e anche Facebook, afferma di aver rimosso 27 reti di pedofili negli ultimi due anni e afferma di pianificare ulteriori rimozioni.

 

I ricercatori avrebbero creato account fittizi all’interno dei network dei pedofili, per essere immediatamente inondati di consigli (del tipo «suggeriti per te») con contenuti di sesso infantile, nonché account che si collegavano a siti di scambio fuori piattaforma.

 

«I creatori e gli acquirenti di contenuti sessuali per minorenni sono solo un angolo di un ecosistema più ampio dedicato ai contenuti di bambini sessualizzati» scrive l’articolo del WSJ. «Altri account nella comunità pedofila su Instagram aggregano meme pro-pedofilia o discutono del loro accesso ai bambini. Gli attuali ed ex dipendenti di Meta che hanno lavorato alle iniziative per la sicurezza dei bambini di Instagram stimano che il numero di account esistenti principalmente per seguire tali contenuti sia nell’ordine delle centinaia di migliaia, se non milioni».

 

«Instagram è una rampa verso luoghi su Internet dove ci sono abusi sessuali su minori più espliciti», secondo Brian Levine, direttore dell’UMass Rescue Lab. Levine ha scritto un rapporto del 2022 per il National Institute of Justice del DOJ sullo sfruttamento dei minori su Internet.

 

L’articolo del WSJ quindi cita National Center for Missing & Exploited Children («Centro nazionale per i bambini scomparsi e sfruttati»): «Meta rappresenterebbe l’85% delle segnalazioni di pornografia infantile presentate al centro, inclusi circa 5 milioni da Instagram».

 

«Meta ha faticato più di altre piattaforme sia a causa della debole applicazione che delle caratteristiche di progettazione che promuovono la scoperta di contenuti legali e illeciti» avrebbe detto lo Stanford Internet Observatory.

 

Il Journal prosegue raccontando la storia agghiacciante di una madre attivista contro lo sfruttamento minorile in rete.

 

«Sarah Adams, una madre canadese di due figli, ha costruito un pubblico su Instagram discutendo dello sfruttamento dei minori e dei pericoli dell’eccessiva condivisione sui social media. Data la sua attenzione, i seguaci di Adams a volte le inviano cose inquietanti che hanno incontrato sulla piattaforma. A febbraio, ha detto, uno le ha inviato un messaggio con un account marchiato con il termine “incest toddlers” (“bambini piccoli incesti”, ndr)».

 

«Adams ha affermato di aver effettuato l’accesso all’account, una raccolta di meme a favore dell’incesto con oltre 10.000 follower, solo per i pochi secondi necessari per segnalare a Instagram, quindi ha cercato di dimenticarsene. Tuttavia nel corso dei giorni successivi, iniziò a sentire i genitori inorriditi. Quando hanno guardato il profilo Instagram di Adams, ha detto che erano stati consigliati come “incest toddlers” a seguito del contatto di Adams con quell’account. Un portavoce di Meta ha affermato che i “incest toddlers” hanno violato le sue regole e che Instagram ha commesso un errore nell’applicazione».

 

«Il team di Stanford ha trovato 128 account che offrivano di vendere materiale pedopornografico su Twitter, meno di un terzo del numero che hanno trovato su Instagram, che ha una base di utenti complessiva molto più ampia di Twitter» continua il WSJ. «Twitter non ha consigliato tali account nella stessa misura di Instagram e li ha eliminati molto più rapidamente, ha scoperto il team». Come emerso di recente, il nuovo proprietario di Twitter Elon Musk si è preso l’impegno personale di cancellare dalla sua piattaforma la pedofilia e la sua propaganda.

 

Mark Zuckerberg, vertice di Meta e quindi di Instagram, in questi giorni tuttavia ha deciso di andare sui giornali per altro – e non sappiamo se sia una strategia.

 

Se mesi fa aveva approfittato di un’ospitata del popolarissimo podcast di Joe Rogan per sganciare la dichiarazione bomba per cui l’FBI poco prima delle elezioni del 2020 li aveva avvisati di una campagna di disinformazione riguardante il laptop di Hunter Biden (rivelatosi poi verissimo), in settimana ha scelto per fare altrettanto il podcast di Lex Fridman, giovane professore di Intelligenza Artificiale rifugiato in USA con la sua famiglia russo-ebraica, nonché figura che in quanto a emotività e apparenza robotica può davvero rivaleggiare con lo Zuckerberg (sul fatto che il padrone di Meta sia in realtà un androide ci sono pletore di meme in rete).

 

Così Zuckerberg ha rivelato che sì, durante la pandemia Facebook ha censurato anche notizie vere, incolpando «l’establishment» che lo avrebbe incoraggiato a cancellare tante cose… «hanno chiesto di censurare un sacco di cose che, in retrospettiva, sono risultate più discutibili o vere».

 

 

Non è chiaro come questa intervista, destinata a fare rumore come l’ammissione riguardo l’FBI e il laptop, possa essere temporizzata con l’atroce scoop del Journal. L’articolo è uscito il 7 giugno, l’intervista con l’insopportabile Fridman il 9. Dall’articolo del WSJ è possibile comprendere che Meta avesse contezza che si stesse lavorando ad un exposé sul tema.

 

Ad ogni modo, il chiasso generato da questa sua ultima uscita – in cui si discolpa, perché sono stati gli altri a fargli fare quelle cose – non ha coperto del tutto la questione della pedofilia su Instagram.

 

Si è svegliato il Commissario Europeo per il mercato interno e i servizi Thierry Breton, che ha chiesto risposte da Zuckerberg per il contenuto dell’articolo del Wall Street Journal.

 

«Il codice volontario di #Meta sulla protezione dei minori sembra non funzionare. Mark Zuckerberg deve ora spiegare e agire immediatamente» ha scritto il Breton su Twitter.

 

«Mark Zuckerberg deve ora spiegare e agire immediatamente».

 

«Discuterò con lui al quartier generale di Meta a Menlo Park il 23 giugno. Dopo il 25 agosto, sotto il DSA Meta deve dimostrarci le misure o affrontare pesanti sanzioni». Il DSA sta per il Digital Service Act, un regolamento dell’Unione Europea pubblicato ad ottobre del 2022 che costituisce la direttiva comunitaria sul commercio elettronico in relazione ai contenuti illegali, alla pubblicità trasparente e alla disinformazione.

 

L’Unione Europea contro Instagram per la presenza di pedofili, quindi. Immaginiamo quante cose passino ora per la mente del lettore, ma non abbiamo voglia di aggiungere altro.

 

In realtà, è facile farsi prendere da un grande senso di scoramento. Perché, mentre i pedofili scorrazzano liberi sui social a scambiarsi immagini di incesti e di bambini piccoli, ben serviti dall’algoritmo, quantità di persone che combattono cause giuste ne vengono espulsi senza pietà, andando a cagionare – nel momento in cui l’opinione pubblica, il mercato delle idee, le proprie relazioni interpersonali esistono quasi solo su quelle uniche piattaforme – un danno immane, irreparabile.

 

È successo a Robert Kennedy jr, pure da candidato presidenziale, bannato da Instagram. È successo su Facebook, come sapete, a Renovatio 21. È successo a tantissimi lettori: che lo sappiano o no, l’algoritmo della piattaforma ha manipolato i loro feed, e magari reso invisibili agli altri i contenuti che caricavano (un articolo di giornale, una vignetta, una foto, un video) – oppure li ha censurati punto e basta, magari pure disintegrando tutti gli account, come è successo a noi.

 

È successo a chiunque abbia espresso una certa idea, in pandemia o fuori – che poi, come pure ora ammesso strategicamente dal ragazzino miliardario a capo di tutto, si è rivelata vera.

 

In pratica, voi, per aver detto la verità siete stati puniti. Siete stati bannati, banditi.

 

I pedofili no: possono continuare, supportati perfino dall’informatica.

 

Sì, pensate bene: è il mondo rovesciato. Dove chi difende i bambini viene rinchiuso, mentre chi li usa nei modi più osceni viene lasciato libero.

 

Cosa vi aspettate? L’alta moda lascia indizi orrendi, in questo senso. Organismi ONU cercano di depenalizzare il sesso con i minori. L’OMS spinge la «masturbazione della prima infanzia». Professori parlano della «destigmatizzazione» della pedofilia, anzi qualcuno dice che è un «errore» pensare che sia sbagliata. Le serie in streaming mostrano bambine ultrasessualizzate. Idee allucinanti riecheggiano in discorsi di ministri di Paesi europei. Ai giornalisti australiani viene detto che non possono più dire la parola «pedofilia». Programmi di Intelligenza Artificiale vengono usati per spogliare foto di minorenni. In TV gli adulti, anche transessuali, si spogliano davanti ai bambini. Le bambole ora gemono in modo osceno. Bambini robot si approntano per soddisfare «eticamente» gli orchi. Opere indicibili vengono difese dal presidente della Repubblica di Francia. Trafficanti pedofili venivano accolti alla Casa Bianca e nei possedimenti della Regina inglese. Si celebra Don Milani, nonostante quelle storie terribili.

 

È il mondo invertito.

 

È il Regno Sociale di Satana.

 

 

 

 

 

 

 

Internet

Incredibili video realizzati con l’IA lanciata da pochi giorni

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Il generatore di video basato sull’Intelligenza Artificiale Sora 2 di OpenAI ha debuttato la scorsa settimana e ha conquistato i social media con clip incredibilmente iperrealistiche che hanno fatto sì che gli spettatori si interrogassero su ciò che vedono online e hanno fatto sbiancare gli studi di Hollywood.

 

Gli utenti sembrano averci preso gusto a fare video sul defunto fisico tetraplegico Stephen Hopkins, anche crudelmente.

 

 

 


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Un altro modulo molto popolare è quello di esseri che vengono fermati dalla polizia – il filmato è come da una bodycam delle forze dell’ordine – e scappano via subito: ecco un gatto, Spongebob, Mario, un ammasso di prosciutto a fette.

 

 

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Il CEO di OpenAI Sam Altman viene beccato a rubare in un negozio, tutto visto da una telecamera di sorveglianza. L’uomo poi cucina Pikachu alla griglia.

 

 

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Animali che rubano alimentari nei supermercati.

 

 

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Piace Hitler che fa stand-up comedy con l’altrettanto (teoricamente) defunto Tupac, rapper ammazzato una trentina di anni fa ma che tutti per qualche ragione ricordano.

 

Lo Hitlerro dimostra di saperci fare con lo skateoboardo, e pure di saper rispondere a muso duro a Michael Jackson in un ambiente che ricorda le trasmissione trash di Jerry Springer.

 

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Pare che SoraAI abbia messo un filtro che impedisce di creare episodi di South Park, che gli utenti hanno generato automaticamente a bizzeffe.

 

 

Non manca la finta pubblicità degli anni ’90 per un giocattolo basato sull’isola dei pedofili di Jeffrey Epstein, con l’action figure del miliardario e di altri personaggi orrendi – l’aereo privato Lolita Express è incluso.

 

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Ecco, infine, il futuro: le fake news, ma nel senso vero. Telegiornali fatti con l’IA. Un motivo in più per non credere nemmeno a quelli veri.

 

 

Quindi: non è solo Hollywood che sarà sostituita, disintermediata, distrutto: è tutto quanto. È la realtà stessa che sta per venire divorata da simulacri iperreali eruttati ad ogni minuto dall’IA.

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Cina

Pechino condanna a morte 16 gestori dei centri per le truffe online in Birmania

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.   Il tribunale di Wenzhou ha giudicato colpevoli 39 imputati della famiglia Ming, originaria dello Stato Shan nel nord del Myanmar. Le accuse comprendono frode e traffico di droga con proventi stimati in oltre 10 miliardi di yuan. Tra i condannati a morte figurano il figlio e la nipote del patriarca Ming Xuechang, morto in circostanze controverse durante l’arresto. L’operazione si inserisce nella più ampia repressione di Pechino contro i gruppi criminali che operano in Myanmar.   Un tribunale cinese ha condannato a morte 16 membri della famiglia Ming, potente gruppo criminale della regione Kokang, nello Stato Shan del nord del Myanmar, coinvolto nei commerci illeciti legati ai centri per le truffe online, una questione a cui Pechino da tempo sta rispondendo con una dura repressione.   Secondo i media cinesi, il Tribunale intermedio di Wenzhou, nella provincia orientale di Zhejiang, ha riconosciuto colpevoli 39 imputati per 14 reati, tra cui frode, omicidio e lesioni volontarie. Le condanne sono state differenziate: 11 imputati hanno ricevuto la pena capitale immediata, cinque la condanna a morte con sospensione di due anni, 11 l’ergastolo e gli altri pene comprese tra i cinque e i 24 anni di carcere.   Per alcuni sono state inoltre disposte anche multe e la confisca dei beni.

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L’accusa ha ricostruito che, a partire dal 2015, la famiglia Ming ha sfruttato la propria influenza nella regione Kokang per costituire una fazione armata e creare diversi «parchi» composti da edifici dediti alle truffe online. I gruppi armati hanno stretto alleanze con altre bande per fornire protezione alle attività illecite del clan: truffe telefoniche, traffico di droga, prostituzione, gestione di casinò e giochi d’azzardo online. I proventi stimati da frodi e gioco d’azzardo superano i 10 miliardi di yuan, circa 1,4 miliardi di dollari, secondo l’accusa.   Al centro del processo è finita in particolare la «Crouching Tiger Villa», una base utilizzata per le truffe online di proprietà di Ming Xuechang, patriarca della famiglia. Il 20 ottobre 2023 le guardie del complesso aprirono il fuoco contro lavoratori che cercavano di fuggire: fra le vittime vi furono 14 cittadini cinesi, alcuni dei quali – secondo indiscrezioni non verificate – erano agenti di sicurezza sotto copertura inviati da Pechino.   Tra i condannati a morte figurano anche il figlio di Ming Xuechang, Ming Xiaoping (noto anche come Ming Guoping), e la nipote, Ming Zhenzhen. Non compare invece la figlia, Ming Julan, il cui arresto era stato annunciato in un primo momento ma non confermato nella successiva comunicazione ufficiale da parte della giunta birmana.   Il patriarca Ming Xuechang, 69 anni, era stato arrestato nel novembre 2023 insieme ad altri membri della famiglia, nel quadro della pressione esercitata da Pechino sul Myanmar per smantellare i sindacati criminali del Kokang.Secondo le autorità di Naypyidaw, Xuechang si sarebbe sparato durante l’arresto ed è morto in seguito per le ferite riportate. In passato era stato membro della Zona a statuto speciale del Kokang e deputato del parlamento statale dello Shan per l’Union Solidarity and Development Party (USDP), partito legato ai militari birmani.   Il caso della famiglia Ming si inserisce nella vasta campagna lanciata da Pechino contro le truffe telefoniche transnazionali. Il ministero della Pubblica sicurezza ha dichiarato che, solo nel periodo del 14° Piano quinquennale (2021-25), la polizia cinese ha risolto 1,74 milioni di casi di frode, smantellato oltre 2mila centri di truffe all’estero e arrestato più di 80mila sospetti.   In parallelo, anche la milizia legata a Pechino che controlla il Wa State, un’area anch’essa al confine tra Cina e Myanmar, ha di recente intensificato i rimpatri forzati verso la Cina: solo negli ultimi nove mesi sono state deportate 448 persone sospettate di frodi online, in una dozzina di operazioni coordinate con Pechino.   Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne. Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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Internet

Israele paga gli influencer 7000 dollari a post sui social media USA

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Israele ha finanziato influencer per pubblicare contenuti sui social media al fine di migliorare la propria immagine negli Stati Uniti. Lo riporta la testata online Responsible Statecraft.

 

Come riportato da Renovatio 21, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha recentemente evidenziato l’importanza dei creatori di contenuti per mantenere il supporto allo Stato Ebraico, incontrando, a margine della sua problematica apparizione all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, gli influencer filosionisti.

 

Martedì, Responsible Statecraft ha riportato che documenti presentati in conformità al Foreign Agents Registration Act (FARA) degli Stati Uniti hanno svelato i dettagli di una «campagna di influencer» gestita da una società di consulenza con sede a Washington che collabora con il ministero degli Esteri israeliano.

 

Le fatture inviate ad un gruppo mediatico tedesco, che coordina la campagna, indicano un finanziamento di 900.000 dollari tra giugno e novembre 2025 per un gruppo di 14-18 influencer. I documenti stimano tra 75 e 90 post in quel periodo, con un costo per post tra 6.143 e 7.372 dollari, secondo Responsible Statecraft. Non è stato reso noto quali influencer siano coinvolti.

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La società statunitense avrebbe coinvolto un ex portavoce delle Forze di Difesa Israeliane (IDF) e un ex rappresentante della società israeliana di spyware NSO Group, produttrice del celeberrimo software-spia per smartphone Pegasus.

 

La settimana scorsa, Netanyahu ha dichiarato in una conferenza stampa che è essenziale rafforzare la «base di sostegno di Israele negli Stati Uniti» attraverso gli influencer, soprattutto su piattaforme come TikTok – di cui si è beato per l’acquisto da parte del miliardario filo-israeliano Larry Ellison – e X, posseduto dall’«amico» Elone Musk.

 

La campagna d’immagine di Israele si colloca in un contesto di diminuzione del sostegno negli Stati Uniti, in particolare riguardo alla guerra di Gaza. Un recente sondaggio del New York Times ha rivelato che il 60% degli americani ritiene che Israele debba porre fine al conflitto, e più della metà si oppone a ulteriori aiuti economici e militari allo Stato degli ebrei .

 

Alcuni legislatori, come la deputata repubblicana Marjorie Taylor Greene, hanno definito la situazione a Gaza un «genocidio» e si sono opposti a ulteriori aiuti a Israele.

 

Come riportato da Renovatio 21, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, pur continuando a sostenere Israele, ha recentemente ammesso che l’influenza della lobby israeliana, che un tempo aveva un «controllo totale» sul Congresso, è diminuita.

 

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