Persecuzioni
Gerusalemme, estremisti ebraici profanano cimitero cristiano sul Monte Sion

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Tombe divelte e lapidi danneggiate nel camposanto protestante, di proprietà della Chiesa anglicana. Un video mostrerebbe due persone con indosso la kippah entrare nell’area e dissacrarla. Prevista una riunione del Consiglio di sicurezza ONU per la «provocatoria» passeggiata di Ben-Gvir alla spianata delle Moschee.
Un nuovo, grave episodio di intolleranza a sfondo religioso si è consumato ieri in Israele, mentre prosegue la polemica per la «passeggiata» alla Spianata delle moschee del ministro della Sicurezza Itaman Ben-Gvir, condannato da mondo arabo e larga parte della comunità internazionale.
Vandali non ancora identificati hanno danneggiato diverse tombe al cimitero protestante del Monte Sion, a Gerusalemme, di proprietà della Chiesa anglicana; un video mostra un gruppo di persone, all’apparenza ebrei, che distruggono le lapidi.
In una nota la polizia spiega di essere giunta sul posto dopo aver ricevuto una denuncia per vandalismo, corredata da immagini che mostrano lapidi rovesciate e parti in muratura danneggiate. Il video della telecamera di sicurezza registrato il primo gennaio alle 3.25 del pomeriggio – e rilanciato sui social – mostra due uomini, all’apparenza ebrei con indosso la kippah, colpire le lapidi e scagliare pietre sulle tombe.
L’allora vescovo di Gerusalemme Samuel Gobat ha aperto il cimitero nel 1848 e oggi è di proprietà della Church Missionary Trust Association Ltd, organizzazione anglicana.
Da tempo i leader cristiani di Terra Santa lanciano l’allarme per una escalation del radicalismo di matrice ebraica, che minaccia la sopravvivenza stessa delle comunità. Nel dicembre 2021 i patriarchi e i capi delle Chiese a Gerusalemme hanno diffuso una durissima nota congiunta in cui avvertivano del pericolo posto da gruppi radicali che mirano a «ridurre la presenza cristiana».
Quello al Monte Sion è solo l’ultimo di una lunga serie di attacchi intimidatori, alcuni dei quali firmati «price tag» [il prezzo da pagare, ndr] e riconducibili a coloni o estremisti ebraici. In passato hanno colpito diversi obiettivi, fra cui la chiesa vicino al Cenacolo, la basilica di Nazareth o edifici cattolici e greco-ortodossi. Nel mirino vi sono anche moschee e luoghi di culto musulmani.
Il «price tag» è un motto usato dagli estremisti israeliani, che minacciano cristiani e musulmani per aver «sottratto loro la terra». Un tempo il fenomeno era diffuso solo nelle aree al confine con la Cisgiordania e a Gerusalemme, ma oggi si è esteso in gran parte del territorio.
Intanto non si placa la protesta internazionale per il gesto «provocatorio» compiuto ieri mattina dal ministro israeliano per la Sicurezza nazionale che, scortato da un nutrito numero di agenti e fedelissimi, ha visitato la spianata delle Moschee. Domani dovrebbe riunirsi il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite su richiesta degli Emirati Arabi Uniti (EAU) e della Cina, per discutere della questione.
Unanime la condanna internazionale (dall’Europa agli Stati Uniti, passando per il mondo arabo) per un gesto definito una “provocazione senza precedenti” dai palestinesi, da Hamas all’Autorità palestinese.
Il portavoce del Dipartimento di Stato USA Ned Price ha manifestato «profonda preoccupazione» per azioni «unilaterali» che possono almeno a livello potenziale «esacerbare la tensione». «Gli Stati Uniti – ha aggiunto – si battono con forza per la conservazione dello status quo sui luoghi santi di Gerusalemme».
Fra le prime conseguenze della «camminata» di Ben-Gvir è lo slittamento del viaggio del primo ministro Benjamin Netanyahu negli Emirati, in programma la prossima settimana.
Una grana per il capo dell’esecutivo da poco insediato, che ha più volte assicurato di voler mantenere la stabilità sul monte del Tempio, pur respingendo al mittente le intimidazioni di Hamas contro cui il ministro per la Sicurezza ha minacciato di usare «il pugno di ferro».
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Immagini da AsiaNews
Persecuzioni
Cristiani siriani in pericolo: l’ECLJ allerta l’ONU

Il 4 agosto 2025, il Centro Europeo per il Diritto e la Giustizia (ECLJ) ha presentato una dichiarazione scritta al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite sulla drammatica situazione dei cristiani siriani dopo la presa del potere da parte dell’ex jihadista Ahmed al-Sharaa. L’ECLJ mette in guardia dal rischio che il modello di governo islamista centralizzato a Idlib si diffonda a livello nazionale.
Le cifre purtroppo parlano da sole: i cristiani siriani hanno perso tre quarti del loro numero dall’inizio della Primavera araba, passando da due milioni a 500.000 dopo la caduta di Bashar al-Assad. Da allora, l’esodo ha subito una pericolosa accelerazione. Un vescovo ha testimoniato che i suoi fedeli vogliono andarsene perché temono per i loro figli e mogli.
L’attacco del 22 giugno 2025 alla chiesa greco-ortodossa di Mar Elias a Damasco, che ha causato 25 morti e 63 feriti durante la messa, non li rassicura molto. Soprattutto perché il governo ha praticamente ignorato la questione.
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Le forze governative massacrano alawiti e drusi
Il caos non colpisce solo i cristiani. Nel marzo 2025, oltre 1.400 persone, la maggior parte delle quali civili alawiti, sono state uccise negli scontri nelle province di Latakia e Tartus. A luglio, la comunità drusa è stata presa di mira a Sweida, dove milizie beduine sunnite, supportate dalle forze governative, hanno attaccato e saccheggiato la città.
Il bilancio delle vittime di questi scontri a Sweida supera le 1.000 vittime e sarebbe stato probabilmente molto più alto se Israele non fosse intervenuto con la forza per rassicurare i drusi che vivevano sul suo territorio. La chiesa greco-melchita di San Michele nel villaggio di Al-Sura è stata data alle fiamme e decine di case cristiane sono state saccheggiate e bruciate.
La graduale islamizzazione della Siria
Ahmed al-Sharaa, presidente ad interim, cerca di imporre al Paese il modello di Idlib, governato dal 2017 dal gruppo islamista Hayat Tahrir al-Sham (HTS): governo centralizzato, rigorosa applicazione della Sharia, un’economia deregolamentata nelle mani di reti vicine al governo e tolleranza minima per le minoranze, mantenute in uno stato quasi di dhimmi.
Così, le scuole cristiane sono costrette a insegnare la Sharia, ad assumere presidi con lauree in diritto islamico e a separare i ragazzi dalle ragazze. «Questo contraddice l’intera tradizione educativa cristiana siriana. È inaccettabile», protesta un vescovo siriano. La polizia religiosa confisca gli alcolici, chiude i negozi che li vendono e monitora le relazioni tra uomini e donne. Tutto ciò che non è arabo sunnita viene emarginato: cristiani, alawiti, drusi, curdi.
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Sul fronte giudiziario, ex membri del regime di Assad sono stati perseguiti, ma non è stata aperta alcuna indagine contro figure di HTS integrate nel governo. I massacri di alawiti del marzo 2025 hanno portato all’arresto solo di pochi subordinati. «I gruppi armati vogliono farsi giustizia da soli senza aspettare l’istituzione di una giustizia pseudo-transizionale. Stiamo vivendo una giustizia di vendetta piuttosto che una giustizia di riconciliazione», ha confidato un leader cristiano.
Un opaco sistema di predazione è stato istituito sotto la guida del fratello del presidente, Hazem al-Sharaa. «È come se il partito laico baathista ora avesse una barba islamista», ha ironicamente commentato un leader cristiano. Un comitato segreto, composto da ex funzionari di HTS, ha recuperato oltre 1,6 miliardi di dollari di beni attraverso accordi riservati con gli oligarchi del precedente regime.
Di fronte a questi abusi, l’ECLJ invita gli Stati membri del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite a:
– Riconoscere i cristiani in Siria come un gruppo a rischio.
– Richiedere un’indagine internazionale indipendente sui recenti massacri.
– Rafforzare le sanzioni mirate contro gli autori di violazioni dei diritti umani.
Queste raccomandazioni fanno parte di una dichiarazione formale da presentare al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite il 4 agosto 2025.
Articolo previamente pubblicato da FSSPX.News
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Immagine di Drozi Yarka via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
Persecuzioni
Siria, uomini armati assaltano e derubano presule siro-cattolico

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Persecuzioni
Parlamentare finlandese trascinata di nuovo in tribunale per aver citato contro l’omosessualità

La Corte Suprema finlandese ha fissato la data per l’udienza orale nel caso di libertà di parola che coinvolge la parlamentare finlandese Päivi Räsänen e il prelato luterano Juhana Pohjola. Lo riporta LifeSite.
Entrambe le figure erano state precedentemente assolte all’unanimità dalle accuse di «incitamento all’odio» da due tribunali di grado inferiore dopo aver espresso pubblicamente la propria fede cristiana. Con l’udienza fissata per il 30 ottobre 2025, la campagna di censura del pubblico ministero contro Räsänen e Pohjola entrerà nel suo settimo anno.
Räsänen, medico, ex ministro degli Interni finlandese e parlamentare dal 1995, è stata formalmente accusata di «agitazione contro un gruppo minoritario» nel 2021. È stata incriminata ai sensi di una sezione del codice penale finlandese intitolata «crimini di guerra e crimini contro l’umanità» per aver condiviso le sue convinzioni cristiane sul matrimonio e l’etica sessuale in un tweet del 2019, nonché in un dibattito radiofonico in diretta del 2019 e in un opuscolo parrocchiale del 2004.
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La Pohjola è stata incriminata per aver pubblicato l’opuscolo di Räsänen del 2004.
I processi di alto profilo tenutisi presso tribunali di grado inferiore hanno ricevuto notevole attenzione a livello mondiale, in particolare dopo che l’accusa ha attaccato i fondamentali insegnamenti cristiani e ha controinterrogato Räsänen e Pohjola sulla loro teologia durante le udienze in tribunale.
«Non è un reato twittare un versetto della Bibbia o impegnarsi in un dibattito pubblico da una prospettiva cristiana. I tentativi di criminalizzarmi per aver espresso le mie convinzioni hanno portato a degli anni estremamente difficili, ma spero ancora in un risultato positivo che costituisca un precedente fondamentale per la tutela del diritto umano alla libertà di parola in Finlandia», ha affermato Räsänen, nonna di 12 nipoti.
Due tribunali di grado inferiore avevano precedentemente assolto Räsänen e Pohjola da tutte e tre le accuse nell’aprile 2022 e nel novembre 2023. Il pubblico ministero ha presentato ricorso per la terza volta, portando le accuse relative all’opuscolo e al tweet alla Corte Suprema, che ascolterà le argomentazioni orali il 30 ottobre 2025.
In precedenza, la difesa aveva sostenuto in tribunale che l’uso della parola «peccato» da parte di Räsänen nel suo tweet, che l’accusa aveva definito «offensivo» e quindi illegale, era una citazione diretta dalla Bibbia, e qualsiasi sentenza che ne condannasse l’uso condannerebbe direttamente la Bibbia stessa.
Ad essere sotto processo, quindi, sarebbe la stessa Sacra Scrittura dei cristiani.
Durante l’importante processo davanti alla Corte d’appello nel 2023, l’accusa ha spesso attaccato i fondamentali insegnamenti cristiani e ha controinterrogato Räsänen, uno dei membri più longevi del Parlamento finlandese, e la Pohjola sulla loro teologia.
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Il procuratore di Stato finlandese, Anu Mantila, ha affermato che «si può citare la Bibbia, ma sono l’interpretazione e l’opinione di Räsänen sui versetti biblici a essere criminali». In pratica, è l’ermeneutica a divenire passibile di penale, e galera.
Come riportato da Renovatio 21, la Bibbia era stata assolta dal tribunale finnico due anni fa.
Non si tratterebbe tuttavia solo di una tendenza della magistratura del vecchio continente. Un sondaggio del 2023 in Inghilterra ha rilevato che un giovane britannico su quattro sarebbe pronto a censurare la Bibbia.
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Immagine di FinnishGovernment via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
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