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Fustigato e incarcerato: così la Malesia punisce il suo ex ministro condannato per corruzione

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Un ex ministro del governo è stato condannato alla fustigazione e a sette anni di carcere in Malesia per corruzione, hanno riferito giovedì i media locali.

 

Syed Saddiq Syed Abdul Rahman, ex ministro della gioventù e dello sport, è stato condannato con l’accusa di abuso di fiducia, appropriazione indebita di beni e due capi d’imputazione di riciclaggio di denaro.

 

Il trentenne riceverà due colpi di bastone, diventando così il primo politico a ricevere una condanna alla fustigazione, dicono i rapporti.

 

Oltre alla fustigazione e a una pena detentiva di 7 anni, Syed Saddiq è stato anche multato per un importo equivalente a 2,13 milioni di dollari. L’ex ministro ha negato le accuse e ha presentato ricorso.

 

La fustigazione, ovvero la fustigazione con un bastone di rattan inumidito, è una forma di punizione corporale a cui i criminali condannati possono essere condannati in Malesia oltre alla pena detentiva. Viene utilizzato per una vasta gamma di crimini tra cui appropriazione indebita, rapina, stupro e rapimento.

 

Come noto, la fustigazione è una pena spesso inflitta dal sistema giudiziario anche di Paesi limitrofi come il Brune e soprattutto la città-Stato di Singapore. La fustigazione è rimasta nel codice penale malese dopo che la Malesia divenne indipendente dalla Gran Bretagna nel 1957, e in quello singaporese che Singapore cessò di far parte della Malesia nel 1965. La legislazione successiva approvata dal Parlamento di Singapore nel corso degli anni ha aumentato il minimo numero di colpi che un delinquente riceve e pure il numero di crimini che possono essere puniti con la fustigazione.

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La legge di Singapore consente la fustigazione per oltre 35 reati, tra cui sequestro di persona, rapina, rapina di gruppo con omicidio, sommosse, lesioni gravi, abuso di droga, vandalismo, estorsione, voyeurismo, abuso sessuale, molestie (incluso l’oltraggio alla modestia), e detenzione illegale di armi. La fustigazione è anche una punizione obbligatoria per alcuni reati come stupro, traffico di droga, prestito di denaro illegale, e per gli stranieri che soggiornano più di 90 giorni – una misura progettata per scoraggiare gli immigrati clandestini.

 

Qualsiasi detenuto maschio, condannato o meno alla fustigazione, può anche essere fustigato in prigione se commette determinati reati mentre presta servizio in prigione. Secondo la legge, le donne, gli uomini di età superiore ai 50 anni e gli uomini condannati a morte le cui sentenze non sono state commutate, non possono essere condannati alla fustigazione.

 

Nel 1993, il numero delle condanne alla fustigazione ordinate dai tribunali è stato di 3.244. Nel 2007, questa cifra è raddoppiata arrivando a 6.404, di cui circa il 95% è stato effettivamente implementato. Dal 2007, il numero delle condanne alla fustigazione ha registrato un calo complessivo, scendendo a sole 1.257 nel 2016.

 

La pena del bastone è recentemente tornata alla ribalta perché invocata, certo scherzosamente (no?), dal sanguigno governatore della Campania Vincenzo De Luca, che in un video si scagliò contro il sistema dei test di ingresso alla facoltà di medicina.

 

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«Io darei a chi ha preparato questo test vent’anni di carcere, subito, a prescindere, vent’anni di carcere» ha detto De Luca dopo aver raccontato una prova grottesca subita ai figli aspiranti medici di un cittadino. «O meglio ancora lo sottoporrei al programma rieducativo che viene adoperato dalla Polizia municipale di Singapore che, come noto, ha in dotazione una frusta di bambù e la utilizza contro chi viola le regole stradali o chi getta a terra la gomma masticante».

 

(«Gomma masticante» è bellissimo: mai più senza, per un baldante ritorno dei participi presenti e passati nella lingua italiana, rimastane deficiente)

 

Il De Luca ha ribadito il suo pensiero sulla fustigazione stile Singapore anche durante un podcast con il controverso cantante Fedez.

 

 

Qui il De Luca accennò al «metodo pedagogico Singapore, a Singapore la polizia municipale è dotata di un frustino di bambù sottile, mica fanno il carcere… ti danno una ventina di frustate tra capo e collo». Insomma, grandi fan di Singapore sotto il Vesuvio. E perché no?

 

Inutile nascondere che Singapore è per molti cittadini delusi (diciamo così) dalla politica e dallo Stato un luogo dell’inconscio, e non solo di quello, dove ciascuno di noi può alle volte trovarsi a fantasticar.

 

In Malesia, tuttavia il sogno è realtà: ministri bastonati e via.

 

La superiorità della giustizia malese si potrebbe essersi manifestata anche in un’altra occasione: secondo una leggenda che non siamo in grado di verificare ma che ci sta qui di ribadire, nel 1997 quando George Soros con una megamanovra speculativa distrusse il ringgit, la valuta nazionale della Malesia, devastando di conseguenza l’economia del Paese, una corte lo condannò all’ergastolo in contumacia.

 

In Italia, dopo aver distrutto la lira con la speculazione del 1992, il Soros ricevette a Bologna, l’università di Prodi, una laurea ad honorem.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
 

 

 

 

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Ecco la catena alberghiera dell’ultranazionalismo revisionista giapponese

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Per chi è stato in viaggio in Giappone il nome APA hotels potrebbe risultare familiare. La catena di alberghi dalla caratteristica insegna arancione è onnipresente nel Paese del Sol Levante, possiede circa 900 strutture alberghiere e in alcune zone urbane la loro densità è incredibile: così a memoria direi che ce ne sono almeno 5 nella zona tra Asakusa e Asakusabashi (due fermate di metro o mezz’ora scarsa a piedi).   La catena ha anche già iniziato la sua espansione nell’America settentrionale, con 40 strutture tra Stati Uniti e Canada.   Di recente ho avuto l’occasione di provare per la prima volta un hotel APA a Kanazawa, dove la catena è nata nei primi anni ottanta. Il giudizio complessivo è positivo: pulito, molto pratico da usare, al netto di stanze piuttosto anguste (ma nella norma nipponica) non posso dire che mi sia mancata alcuna comodità.         Anzi, le stanze dispongono del «bottone buonanotte» (oyasumi botan) cioè un pulsante vicino al comodino che spegne tutte le luci in un colpo solo. Di questo sono particolarmente grato perché mi ha risparmiato la classica caccia agli interruttori che contraddistingue le serate passate negli alberghi meno recenti qui in Giappone – in alcuni ryokan ci sono persone che si rassegnano a dormire con le luci accese per la disperazione, spossati dalla caccia all’interruttore nascosto.      

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Un’altra caratteristica degli hotel APA è l’onnipresenza dell’effigie della presidentessa dell’azienda, la buffa Fumiko Motoya, sempre accompagnata da uno dei suoi vistosissimi cappelli (la sua collezione ne conta circa 240).  

Fumiko Motoya, di hirune5656 via Wikimedia CC BY 3.0

  Insegne, pubblicità, bottiglie di acqua minerale, confezioni di curry liofilizzato: non c’è posto da cui non spunti il sorriso della nostra Fumiko, il tutto ha una lieve sfumatura di culto della personalità da regime totalitario.     Ma quello che porta ripetutamente questa azienda al centro di aspre polemiche non sono i vistosi copricapo del suo presidente, né tanto meno la folle varietà di ristoranti ospitati dagli alberghi APA (a seconda della località mi è capitato di vedere ristoranti italiani, indiani, singaporiani, coreani, caffè in stile europeo, letteralmente la qualsiasi). Si tratta, invece, della cifra politica della catena alberghiera.   Ogni stanza d’albergo ha in dotazione almeno un paio di copie degli scritti del fondatore dell’azienda, Toshio Motoya, storico e ideologo di orientamento decisamente patriottico.   Gli scritti in questione innescano periodicamente polemiche furibonde: il picco era stato raggiunto tra 2016 e 2017, quando il volume che si trovava nelle stanze degli alberghi conteneva una revisione storica del massacro di Nanchino (1937). Apriti cielo: il clima allora era meno liberticida di adesso, si era agli albori dei social media totalitari come li conosciamo oggidì, ma le polemiche in Asia e occidente furono furibonde.   Il bello è che l’autore e l’azienda hanno fatto quello che oggi nessuno fa: nessun passo indietro, nessuna scusa, soltanto ribadire le proprie ragioni in maniera più articolata. In un mondo come quello in cui viviamo, in cui la gogna internettiana ha reso tutti ominicchi, quaquaraquà e, d’altronde love is love, un po’ invertiti, un atteggiamento del genere si può forse definire eroico.   Cotale attitudine mi ha ricordato l’epoca d’oro del movimento ultrà italiano, quando ancora dalle curve, allora libere da qualsiasi controllo da parte di partiti politici, malavita e istituzioni, si alzava il coro liberatorio: «Noi facciamo il cazzo che vogliamo!».   La pagina in inglese dell’azienda usa uno stile revisionistico che in Europa sarebbe ragione sufficiente per arresto, condanna e detenzione. Ve la ricordate la libertà, voi europei? Pensate che brivido trovare in albergo letteratura che rivede il dogma riguardo agli eventi accaduti nei primi anni quaranta tra Polonia, Germania e Austria…   Di fronte alle furiose contestazioni, l’azienda continua imperterrita a fare trovare in ogni camera delle copie di Theoretical modern history (理論近現代文学), i volumi che raccolgono gli scritti del fondatore della catena Motoya. Durante il mio soggiorno a Kanazawa ho avuto modo di leggere alcuni articoli che mi hanno dato una prospettiva diversa della storia giapponese.      

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L’insegnamento della storia nel Giappone post bellico ha frequentemente preso l’aspetto di una forma di autoflagellazione (sotto la guida dell’occupante statunitense). Questa colpevolizzazione del paese a scapito di tutte le altre forze coinvolte nel conflitto mondiale raggiunge picchi disturbanti nelle prefetture più sinistrorse del Paese, le così dette H2O (Hiroshima, Hokkaido, Oita).   Ci sono stati casi di genitori che hanno protestato dopo avere sentito che ai figli veniva insegnato che «le bombe atomiche ce le siamo meritate». Dopo decenni di scuse a capo chino, non c’è da stupirsi che parte del Paese inizi a manifestare insofferenza verso questo clima culturale e a volersi riconciliare con la propria storia, senza intenti necessariamente autoassolutori.   L’articolo che riporto nella foto riguardo al pilota suicida (quelli che l’occidente chiama kamikaze, ma che in Giappone sono tokkoutai, 特攻隊、le squadre speciali d’assalto), mi ha ricordato il manifesto elettorale del partito Sanseito, in cui due piloti «kamikaze» sono raffigurati abbracciati e con le lacrime agli occhi, un’immagine dei cosiddetti kamikaze diversa da quella che solitamente ci viene mostrata.     Passare una notte all’APA hotel è stata l’occasione per capire una volta di più che al popolo del Giappone, come a quelli d’Europa, è stato messo sulle spalle il giogo di un senso di colpa che impedisce loro di esistere in quanto tali, costringendoli ad abiurare sé stessi quotidianamente.   Adesso basta, noi facciamo il katsu che vogliamo.   Taro Negishi Corrispondete di Renovatio 21 da Tokyo

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Immagine di Mr.ちゅらさん via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International; immagine tagliata
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Chirurgo del servizio sanitario pubblico britannico si è fatto amputare le gambe per «gratificazione sessuale»

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Le autorità britanniche hanno condannato il chirurgo Neil Hopper a 32 mesi di carcere dopo essersi amputato le gambe per gratificazione sessuale.

 

Il medico presso il Royal Cornwall Hospitals NHS Trust a Truro, in Cornovaglia, dove, secondo diverse fonti, ha effettuato centinaia di interventi di amputazione prima del 2019, anno in cui egli stesso ha subito l’amputazione di entrambe le gambe.

 

La Corte di Truro ha appreso che l’uomo ha mentito agli assicuratori sostenendo che le lesioni alle gambe erano dovute a sepsi e non autoinflitte. Si è appreso che nel maggio 2019 Hopper aveva subito amputazioni sotto il ginocchio a seguito di una «malattia misteriosa». In realtà, aveva usato ghiaccio e ghiaccio secco per congelarsi le gambe, quindi è stato necessario asportarle, ha affermato il procuratore Nicholas Lee.

 

I bizzarri dettagli del caso sono emersi durante il processo. Hopper era da tempo eccitato dall’idea di amputarsi le gambe, arrivando addirittura ad acquistare video pornografici di uomini che si facevano estrarre volontariamente i genitali. Secondo quanto appreso dalla corte, i reati di pornografia estrema erano collegati a video di mutilazioni corporee che lo Hopper aveva acquistato online e che non includevano bambini.

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Aveva inviato a un altro personaggio, Marius Gustavson precedentemente incarcerato per aver guidato un’organizzazione di body modification estreme come il sito EunuckMaker («produttore di eunuchi»), una foto del suo pene eretto prima di procedere con l’amputazione delle gambe.

 

L’operazione ha seguito un iter specifico. Sotto la guida del Gustavson, Hopper aveva immerso i piedi nel ghiaccio secco mentre moglie e figli erano fuori casa. Quando i paramedici sono arrivati, hanno creduto che soffrisse di sepsi.

 

Lo Hopper ha ricevuto 466.000 sterline dagli assicuratori dopo aver accettato quella richiesta di risarcimento. «Sarà fantastico essere un doppio amputato», ha scritto Hopper in un messaggio di testo prima di commettere il suo crimine.

 

Prima che emergesse lo scandalo e la frode, il medico della Cornovaglia era stato definito «il più coraggioso di Bretagna» e aveva partecipato a programmi TV in cui raccontava la sua esperienza di amputato. Particolare degno di nota è quello per il quale, secondo quanto si apprende, il chirurgo vascolare prima di programmare la propria auto-amputazione aveva eseguito come medico statale centinaia di amputazioni.

 

La questione richiama alla mente la possibilità che molti dottori, e infermieri, le cui storie talvolta finiscono nelle cronache, esprimano durante la loro pratica medica impulsi sadici e perversi, arrivando persino a totalizzare, secondo calcoli, centinaia di vittime.

 

Il medico era stato arrestato nel marzo 2023 ed è sospeso dall’albo dei medici dal dicembre 2023. Lo Hopper soffriva di «disforia corporea» fin dall’infanzia e i suoi piedi rappresentavano per lui un «indesiderato inconveniente» e un «disagio persistente e senza fine», ha un dottore sentito dalla BBC.

 

Secondo quanto sentito in tribunale, lo Hopper aveva acquistato tre video dal sito web EunuchMaker, rispettivamente per 10 e 35 sterline, che mostravano uomini che si facevano rimuovere volontariamente i genitali, scambiando circa 1.500 messaggi con Gustavson sulle sue amputazioni degli arti inferiori e su come le aveva eseguite, chiedendogli anche quanto ghiaccio secco avesse usato. Gustavson è stato condannato all’ergastolo con una pena minima di 22 anni all’Old Bailey nel 2024 per aver guidato un’organizzazione di body modification estreme, come la castrazione.

 

Come riportato da Renovatio 21, il Gustavson era stato condannato all’ergastolo con una pena minima di 22 anni nel carcere dell’Old Bailey nel 2024 per aver guidato un’organizzazione che praticava modifiche corporee estreme.

 

Il sito Eunuch Maker contava circa 23.000 abbonati in tutto il mondo. Secondo la BBC, il sito gli aveva fruttato circa 375.000 dollari. Il Gustavsone e i suoi assistenti filmavano le procedure e le pubblicavano sul sito web dove erano disponibili in pay-per-view.

 

La presunta «disforia dell’integrità corporea» è un fenomeno in crescita in tutto il mondo. L’anno passato i medici hanno amputato il quarto e il quinto dito sani della mano sinistra di un ventenne del Quebecco perché credeva che non facessero parte del suo corpo.

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Le connessioni di tali pratiche di perversa «cura» amputante di una presunta «disforia» con la questione del transessualismo – promosse dallo Stato moderno e pagate dal contribuente – dovrebbe saltare agli occhi di tutti.

 

I casi di amputazioni inflitte, anche più prosaicamente, alle truffe di assicurazioni non sono infrequenti. Nel 2001 si parlò di un signore della provincia autonoma di Bolzano che si sarebbe fatto amputare una gamba dal cugino ottenere un risarcimento dalle assicurazioni, con le quali sarebbero state stipulati contratti da oltre un miliardo di lire in caso di invalidità permanente. Contrariamente all’ingegnoso programma, l’uomo perì sul posto, mentre il cugino fu arrestato e messo in carcere.

 

La vicenda ispirò, dal Trentino al Veronese ed oltre, diverse conversazioni, battute e probabilmente pure la canzone del gruppo rock di estrema destra scaligero «Truffa all’assicurazione» (2003).

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Ladro d’auto si ferma a far benzina mentre è inseguito dalla polizia

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Eccezionale scena ripresa da varie telecamere: un uomo a bordo di un’Infiniti blu rubata ha condotto la polizia della California in un inseguimento a 160 chilometri orari nel traffico di Losa Angeles, epperò fermandosi a metà inseguimento per fare benzina.   Un video mostra il sospetto di Grand Theft Auto (GTA), cioè furto di macchina, in una stazione di servizio Shell nella zona di Wilshire, a Los Angeles, mentre faceva rifornimento nervosamente con la camicia tirata sul viso – il tutto mentre sapeva di avere la polizia alle calcagna. Il motociclista alla pompa successiva sembrava ignaro della drammatica situazione.   «Non potrebbe comportarsi in modo più sospetto, te lo assicuro», ha commentato il giornalista che stava riprendendo l’inseguimento dall’elicottero. Il cronista volante ha anche notato che non c’era polizia nelle vicinanze, dando all’uomo più di un minuto per fare rifornimento.  

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Dopo aver riavvitato con calma il tappo del serbatoio, l’uomo si è allontanato a tutta velocità, passando poi sotto un cavalcavia per evitare di essere visto dagli elicotteri. Ha quindi abbandonò l’auto (a cui aveva appena fatto il pieno), facendola per qualche ragione schiantare contro un palo della luce. Il reporter dall’elicottero la ha definita «forse la mossa più intelligente della serata».   L’uomo si è quindi dileguato. Di lui, al momento, nessuna traccia – se non il serbatoio pieno dell’auto rubata.   La polizia ritiene che un altro automobilista possa averlo aiutato a fuggire. L’inseguimento ha attirato grande attenzione sui social media, con gli spettatori che hanno seguito increduli la diretta dell’elicottero mentre il sospettato si fermava casualmente per fare benzina durante l’inseguimento.   I commentatori hanno notato l’insolita decisione degli agenti di indietreggiare ripetutamente, una tattica talvolta utilizzata per ridurre il pericolo per il pubblico durante gli inseguimenti ad alta velocità.   È interessante notare che il cavalcavia da cui il sospettato è fuggito è esattamente lo stesso cavalcavia da cui, in un altro recente inseguimento della polizia, il sospettato è sceso da un’autocisterna rubata ed è salito su un altro veicolo rubato, scrive ABC7.   GTA, o Grand Thef Auto, è una popolarissima e pluridecennale serie di videogiuochi open-world incentrato su ogni sorta di violenza stradale, incluso soprattutto il ladrocinio di automobile. Ebbene, crediamo che in nessuna versione di GTA una mossa del genere sia stata tentata.   Pensiamo sempre di averle viste tutte. E invece.

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