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Geopolitica

Funzionario della Coppa del mondo del Qatar ammette la morte di centinaia di lavoratori migranti

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In un’intervista con il giornalista britannico Piers Morgan andata in onda su TalkTV , ad Hassan Al-Thawadi, segretario generale del Comitato Supremo della Coppa del Mondo del Qatar, è stato chiesto quanti lavoratori migranti, che costituiscono il 90% della forza lavoro del piccolo Paese gasiero del Golfo Persico, sono morti durante la costruzione di infrastrutture legate al mondiale (stadi, hotel, autostrade, ferrovie e un aeroporto internazionale ampliato, etc.).

 

«La stima è di circa 400, tra 400 e 500», ha risposto Al-Thawadi. «Non ho il numero esatto, è qualcosa che è stato discusso. Un morto è troppo, è così semplice».

 

 

Un’analisi del quotidiano britannico Guardian ha rilevato che più di 6.500 lavoratori provenienti da India, Pakistan, Bangladesh, Nepal e Sri Lanka sono morti in Qatar da quando la monarchia del Golfo si è aggiudicata il principale torneo internazionale di calcio alla fine del 2010. La stima del Guardian , tuttavia, è stato criticata per aver contato tutti i morti di lavoratori stranieri nel paese nell’ultimo decennio.

 

Al-Thawadi ha affermato che le condizioni stanno migliorando per i lavoratori migranti in Qatar, rilevando l’implementazione di un salario mensile minimo di 1.000 riyal (circa 275 dollari), e una maggiore attenzione alla sicurezza.

 

Tuttavia, altri organi del piccolo Regno hanno fatto arrivare una smentita. Un portavoce del «Comitato Supremo per la consegna e l’eredità del Qatar» sembrava fare marcia indietro sulle osservazioni dell’Al-Thawadi con una dichiarazione uscita lo scorso martedì, dove veniva ribadita l’affermazione già fatta dal governo del Qatar per cui vi sarebbero solo tre morti tra i lavoratori migranti legati al lavoro e 37 tra il personale non legato al lavoro durante il periodo di costruzione della Coppa del Mondo.

 

«Le citazioni separate relative alle cifre si riferiscono alle statistiche nazionali che coprono il periodo 2014-2020 per tutti gli incidenti mortali legati al lavoro (414) a livello nazionale in Qatar, coprendo tutti i settori e le nazionalità» dice il comunicato.

 

La CNN ha riportato la storia di Hari, un manovale  nepalese di 27 anni che prendeva 700 riyal al mese, mentre unafamiglia media del Qatar guadagna più di 100 volte di più.

 

«Faceva troppo caldo. Il caposquadra era molto esigente e si lamentava molto. Il caposquadra minacciava di ridurre i nostri stipendi e gli straordinari. Ho dovuto portare le piastrelle sulla spalla fino in cima. È stato molto difficile salire attraverso le impalcature».

 

«Nel lavoro della condotta c’erano fosse profonde 5-7 metri, abbiamo dovuto posare le pietre e il cemento, è stato difficile a causa del caldo. Era difficile respirare. Abbiamo dovuto salire le scale usando una scala per bere l’acqua. In alcuni punti non avevano acqua. In alcuni posti non ci hanno fornito l’acqua in tempo. In alcuni posti andavamo nelle case vicine a chiedere dell’acqua».

 

«A me non è mai successo, ma ho visto alcuni operai svenire al lavoro. Ho visto un bengalese, un nepalese… due o tre persone svenire mentre lavoravano. Hanno portato il bengalese ai servizi medici. Non sono sicuro di cosa gli sia successo».

 

Uno studio del 2019 su 1.300 morti di lavoratori migranti nepalesi in Qatar pubblicato sul Cardiology Journal aveva trovato una «forte correlazione» tra il duro lavoro in condizioni di caldo estremo e la morte per problemi cardiaci.

 

Senz’acqua, a lavorare per una manciata di monete, nel caldo torrido di un Paese desertico, costretti in situazioni di pericolo: qualcuno ha avuto il coraggio di parlare di Mondiali costruiti sulla schiavitù?

 

Qualcuno ha detto che la Coppa potrebbe poggiare su migliaia di cadaveri di schiavi morti?

 

 

 

 

 

Immagine di Alex Sergeev via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0 Unported (CC BY-SA 3.0)

 

 

 

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Geopolitica

Il Venezuela chiede aiuti militari a Russia, Cina e Iran

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Il Venezuela ha sollecitato l’aiuto di Russia, Cina e Iran per potenziare le proprie difese militari nell’ambito dell’attuale tensione con gli Stati Uniti, ha riferito venerdì il Washington Post citando documenti governativi USA.

 

Stando al giornale, il presidente Nicolas Maduro ha indirizzato una lettera al leader cinese Xi Jinping per ottenere radar di rilevamento, invocando esplicitamente l’«escalation» con Washington. Caracas avrebbe inoltre chiesto all’Iran sistemi anti-radar e droni con autonomia fino a 1.000 km.

 

I documenti indicano che il ministro dei Trasporti venezuelano Ramón Celestino Velázquez avrebbe dovuto recapitare a Vladimir Putin, durante la sua visita a Mosca il mese scorso, una missiva con la richiesta di missili non meglio specificati e supporto per la manutenzione dei caccia Su-30MK2 e dei radar già acquisiti. Non è noto quale risposta abbiano dato Russia, Cina o Iran.

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Donald Trump ha accusato Maduro di capeggiare «cartelli macroterroristici» dediti al traffico di droga verso gli USA, offrendo una taglia per la sua cattura. Washington ha dispiegato una flotta nei Caraibi occidentali e, da settembre, ha colpito in acque internazionali oltre una dozzina di imbarcazioni sospette. Maduro ha respinto le imputazioni, parlando di «guerra inventata» da Trump.

 

Lunedì Mosca ha ratificato il trattato di partenariato strategico con Caracas, siglato a maggio. La portavoce del Ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha dichiarato che la Russia «sostiene la sovranità nazionale del Venezuela» e lo assisterà nel «superare qualsiasi minaccia, da qualunque parte provenga».

 

Un articolo del New York Times riportava che Trump avesse ordinato l’interruzione dei colloqui con il Venezuela, «frustrato» dal rifiuto di Maduro di cedere volontariamente il potere. Il giornale suggeriva anche che gli Stati Uniti stessero pianificando una possibile escalation militare.

 

Nel frattempo, Maduro ha avvertito che il Venezuela entrerebbe in uno stato di «lotta armata» in caso di attacco, aumentando la prontezza militare in tutto il Paese.

 

Come riportato da Renovatio 21, il mese scorso, gli Stati Uniti hanno inviato almeno otto navi della Marina, un sottomarino d’attacco e circa 4.000 soldati vicino alla costa venezuelana, dichiarando che la missione mirava a contrastare i cartelli della droga. Washington ha sostenuto che l’armata ha affondato tre imbarcazioni venezuelane, senza però fornire prove che le persone a bordo fossero criminali.

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La Casa Bianca accusa da tempo Maduro di guidare una rete di narcotrafficanti nota come «Cartel de los Soles», sebbene non vi siano prove schiaccianti o prove concrete che lo dimostrino, tuttavia lo scorso anno gli USA sono arrivati a sequestrare un aereo presumibilmente utilizzato dal presidente di Caracas. È stato anche accusato di aver trasformato l’immigrazione in un’arma, sebbene Maduro si sia mostrato pronto a dialogare con le delegazioni diplomatiche americane sulla questione.

 

Come riportato da Renovatio 21, a inizio anno Maduro aveva dichiarato che Washington ha aperto il suo libretto degli assegni a una schiera di truffatori e bugiardi per destabilizzare il Venezuela, quando gli Stati Uniti si sono rifiutati di riconoscere le elezioni del 2024 in Venezuela.

 

Secondo Maduro, almeno 125 militanti provenienti da 25 Paesi sono stati arrestati dalle autorità venezuelane. Aveva poi accusato Elone Musk di aver speso un miliardo di dollari per un golpe in Venezuela. Negli stessi mesi si parlò di un piano di assassinio CIA di Maduro sventato.

 

Nelle scorse settimane perfino l’account YouTube di Maduro è stato rimosso da YouTube.

 

Secondo notizie emerse negli ultimi giorni Trump punterebbe ad attaccare le «strutture della cocaina» in Venezuela.

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 

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Geopolitica

Gli USA revocano le sanzioni al leader serbo-bosniaco Dodik

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Washington ha revocato le sanzioni imposte al leader serbo-bosniaco Milorad Dodik e ai suoi familiari, ha reso noto mercoledì il Dipartimento del Tesoro statunitense.   Le misure restrittive, introdotte inizialmente sotto l’amministrazione Biden nel 2022 e poi inasprite negli anni successivi, colpivano Dodik per aver presumibilmente compromesso l’accordo di pace di Dayton del 1995, che istituì la Bosnia ed Erzegovina come Stato composto da due entità in larga misura autonome: la Repubblica Srpska a maggioranza serba e la Federazione bosniaco-croata.   La decisione del Tesoro fa seguito all’impegno formale di Dodik di rinunciare al suo potere nella Republika Srpska, l’entità serba di cui era stato presidente.   In un post su X, Dodik ha ringraziato il presidente statunitense Donald Trump, affermando che il provvedimento «ha corretto una grave ingiustizia inflitta alla Republika Srpska, ai suoi rappresentanti e alle loro famiglie». Ha aggiunto che la mossa ha dimostrato che «le accuse contro di noi non erano altro che bugie e propaganda».      

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Dodik ha accettato di dimettersi dopo uno scontro con il governo centrale bosniaco di Sarajevo e con Christian Schmidt, il diplomatico tedesco a capo dell’Ufficio dell’Alto Rappresentante (OHR), l’organismo che vigila sull’attuazione degli accordi di Dayton.   Come riportato da Renovatio 21, un tribunale bosniaco lo aveva in precedenza condannato a una pena detentiva, poi commutata in multa. Nuove elezioni regionali sono in programma per novembre.   Il politico si oppone da tempo all’integrazione della Bosnia nella NATO e nell’Unione Europea, promuovendo invece rapporti più stretti con Serbia e Russia. In un’intervista rilasciata all’inizio del mese ai media russi, Dodik ha dichiarato che i leader UE hanno «distrutto tutti i vantaggi che l’Europa [occidentale] un tempo offriva» e li ha accusati di adottare politiche autoritarie e militariste per mascherare i propri fallimenti.   Come riportato da Renovatio 21, il Dodik era stato condannato al carcere a fine 2024. Due anni fa aveva sollevato le controversie su Hunter Biden per accusare il presidente americano Joe Biden di ipocrisia per aver inserito nella lista nera i suoi figli per presunta corruzione. Dodik ha sostenuto che le mosse di Washington hanno più probabilità di rendere la Repubblica serba indipendente che di distruggerla.   Ad aprile Dodik aveva dichiarato che l’UE dovrebbe smettere di demonizzare la Russia e il suo leader, Vladimir Putin. In un’intervista rilasciata alla rivista svizzera Die Weltwoche, Dodik ha affermato che «il punto di vista russo è che la guerra in Ucraina è stata imposta alla Russia dall’élite mondiale occidentale», citando quindi il presunto ruolo di Boris Johnson nel fallimento dei negoziati di pace tra Mosca e Kiev a Costantinopoli, in Turchia, nel 2022.
 

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Immagine di © European Union, 2025 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative  Commons Attribution 4.0 International
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Geopolitica

Israele attacca ancora Gaza. Trump approva

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Il presidente statunitense Donald Trump ha giustificato i recenti raid israeliani su Gaza, a quasi tre settimane dall’avvio del cessate il fuoco da lui contribuito a negoziare.

 

Martedì sera il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha disposto «attacchi immediati e potenti», motivandoli con gli assalti di Hamas contro i soldati israeliani che ancora presidiano porzioni dell’enclave palestinese. Almeno 104 persone in risposta alla presunta violazione da parte di Hamas dell’accordo di pace nella regione mediato da Trump.

 

L’attacco è avvenuto dopo che Israele ha accusato il suo nemico di aver sparato a un soldato dell’IDF, spingendo Benjamino Netanyahu a ordinare un assalto «immediato e potente» alla città che ha già distrutto. Hamas afferma di non avere «alcun collegamento» con l’attacco.

 

I raid avrebbero colpito case, scuole e quartieri residenziali, e testimoni hanno descritto di aver visto «colonne di fuoco e fumo» alzarsi in aria mentre le esplosioni scuotevano la zona. Almeno 46 bambini e 20 donne sono morti, secondo il ministero della Salute della regione. La triste realtà è che, anche con l’accordo di pace, è improbabile che queste schermaglie finiscano presto. Entrambe le parti si sentono religiosamente in diritto di possedere il territorio della regione, e nessuna delle due sembra soddisfatta dall’idea di qualcosa di meno della totale e completa partenza dell’altra.

 

«Da quanto ho appreso, hanno eliminato un soldato israeliano», ha dichiarato Trump ai giornalisti a bordo dell’Air Force One mercoledì, diretto dal Giappone alla Corea del Sud. «Hanno ucciso un soldato israeliano. Quindi gli israeliani hanno reagito, e dovrebbero reagire. Quando accade una cosa del genere, devono reagire», ha proseguito.

 


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Trump ha assicurato che «nulla metterà a repentaglio» la tregua. Ha ribadito che Hamas rappresenta «una piccolissima parte della pace in Medio Oriente, e devono comportarsi bene», altrimenti «le loro vite saranno poste fine».

 

In precedenza, il vicepresidente statunitense J.D. Vance aveva sostenuto che il cessate il fuoco reggeva nonostante «piccole scaramucce qua e là». La testata Axios ha citato alti funzionari USA rimasti anonimi, i quali hanno rivelato che la Casa Bianca aveva invitato Israele a evitare «misure radicali» che avrebbero potuto far saltare l’accordo.

 

Secondo le Forze di Difesa Israeliane (IDF), la scorsa settimana due soldati sono stati assaliti e uccisi da Hamas a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, mentre martedì altri militari sono stati colpiti nella medesima area. Hamas ha smentito ogni coinvolgimento in entrambi gli episodi, accusando Israele di «una palese violazione del cessate il fuoco».

 

Il gruppo armato palestinese ha ammonito che l’escalation «causerà un ritardo» nel recupero e nella restituzione dei corpi dei 13 ostaggi israeliani ancora trattenuti a Gaza.

 

In precedenza, i funzionari israeliani avevano rimproverato Hamas di indugiare nella consegna di tutti i resti, come previsto nell’intesa mediata da Stati Uniti, Egitto, Qatar e Turchia, entrata in vigore il 10 ottobre.

 

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